Becky e Deniel - presentazione al branco (parte 1)

BECKY

L'edificio generale era ormai avvolto nell'oscurità di una notte senza luna. Spiccava da lontano solo grazie alla luce fioca e giallognola di alcune lampade interne che filtrava dalle ampie finestre protette da inferriate simili in tutto e per tutto a quella messa a protezione del portone d'ingresso.

Due uomini dalla corporatura massiccia erano in piedi davanti alla porta a doppio battente, le gambe lievemente divaricate, le mani intrecciate dietro la schiena e il mento proteso verso l'alto. Nei loro completi scuri sembravano vagamente ai buttafuori che avevo intravisto le poche volte che ero entrata in discoteca con Jenny e Connor.

Nel ripensare ai miei due colleghi chiusi gli occhi e rallentai il passo. Con loro non avevo un'amicizia profonda, di quelle che si maturano col tempo, tuttavia lavorando fianco a fianco e incontrandoci tutti i pomeriggi alla macchinetta del caffè si era creato un rapporto amichevole, soprattutto con Jenny.

Eppure mi mancavano. Mi mancava tutto ciò che mi era stato strappato via. Persino le cose più stupide come le mie ciabatte, l'odore di chiuso che sentivo sempre in soffitta, il piccolo spacciatore che abitava nella casa infondo alla via che mi rivolgeva sempre un sorriso da killer quando gli passavo accanto, il rumore del camion della nettezza urbana quando sfrecciava veloce lungo il viale, senza fermarsi per raccattare i numerosi sacchetti dell'immondizia, destinati a marcire e ad ingombrare gli stretti marciapiedi che ormai avevano tutto il cemento crepato.

Mi mancava il suono della sveglia e il rumore che faceva quando finiva a terra urtata involontariamente dal mio braccio. Mi mancava il profumo di biscotti che sentivo sempre dal panificio di fronte casa mia.

Mi mancava lo zampettio dei gatti che si rincorrevano sopra i cassonetti a caccia di cibo. Mi mancavano le urla dei due bambini che giocavano sempre con la bicicletta nel giardinetto che confinava col mio.

Mi mancava la mamma.

Tornai a fissare i due uomini davanti all'edificio generale e deglutii. Erano mastodontici in tutto e per tutto, letali in ogni fascio di nervo, tesi e pronti a scattare al minimo segnale di pericolo. Guardandoli, solo un ingenuo avrebbe potuto scambiarli per umani. I canini inferiori erano allungati e sormontavano il labbro superiore, gli occhi gialli rilucevano nella penombra, il naso e la fronte erano aggrottati in spesse rughe che ne deformavano i tratti. 

"Sono tutti così i tuoi Beta?", chiesi quasi sottovoce, certa comunque che Deniel sarebbe stato in grado di sentirmi.

"Solo quando lo vogliono. Credo ti stiano facendo un dispetto".

"A me? Perché?".

"Sanno che sei umana e vogliono impressionarti". Un lento sorriso gli abbellì le labbra piene. "Che stronzi".

Passammo davanti a loro e li vidi chiaramente chinare la testa in segno di rispetto sebbene gli occhi restarono immobili e fissi sul davanti, senza guardarmi nemmeno di sbieco. Eppure un mezzo sorriso trattenuto confermava i sospetti di Deniel: si stavano davvero prendendo gioco di me.

"Guardate che non mi spaventate", dissi, trattenendomi dal fare loro una linguaccia.

"Becky, non cominciare", brontolò Deniel, trascinandomi via.

"Hanno cominciato loro".

"Ora ascoltami, piccola", attaccò premuroso, facendo cenno con la testa ai due di smammare. "Per ovvie ragioni non ti ho spiegato bene quali sono le nostre regole...".

"E quali sarebbero queste ragioni così ovvie?", lo interruppi, vagamente attenta, sollevandomi sulle punte dei piedi per sbirciare attraverso il piccolo vetro installato nella parte superiore del portone. 

"Che non le avresti seguite", sbottò, afferrandomi per un braccio per farmi smettere di sbirciare.

Non che fossi riuscita a vedere nulla comunque, poiché le finestrelle erano posizionate troppo in alto.

"Se fossero regole sensate le seguirei", mi difesi.

"Concentrati, per favore".

Piantai i piedi a terra, smettendo di sbirciare.

"Abbiamo un'infinità di regole, piccola, e non tutte ti piaceranno. Mi basta che te ne ricordi tre. Uno", sollevò il pollice, "non contraddirmi".

"Quella era la regola numero due", gli ricordai, sollevando gli occhi.

"Interrompimi ancora e giuro che ti bacio finché ti passerà la voglia di parlare", minacciò grave.

Mi zittii. All'istante.

E all'istante riapparve quel sorrisetto soddisfatto sulle sue labbra.

"Seconda regola: non interferire nelle nostre decisioni. Le femmine generalmente non partecipano alle riunioni, soprattutto non a quelle militari".

"Ottima decisione", annuii convinta. "La condivido pienamente. Perciò, se non ti dispiace, io andrei".

Feci due passi e mi riacciuffò. "Torna qui, disgraziata".

"Perché devo entrare lì dentro?".

"Me lo hai chiesto sul serio?".

Indicai la porta col braccio. "So che vuoi presentarmi ai tuoi Beta, quello che non so è il motivo per cui vuoi farlo. Non ti basta andare da loro e dire ho trovato una campagna, buona serata a tutti?".

"Non funziona proprio così", abbozzò, consapevole della mia ignoranza in materia, ma subito tornò serio. Un cipiglio lo rendeva più tenebroso. "Hai paura?".

"Naaa", scrollai le spalle. "Cosa vuoi che sia? Devo solo ritrovarmi in una stanza piena di licantropi".

"E qui arriviamo alla regola numero tre, quella che probabilmente ti piacerà di meno e farà venire a me un furioso mal di testa: voglio che tu tenga lo sguardo basso".

"In che senso?", chiesi, già sul piede di guerra.

Inspirò lentamente e chiuse gli occhi, preparandosi mentalmente alla mia prossima reazione. Qualunque cosa stesse per dirmi, sembrava sapere con esattezza che mi avrebbe fatta infuriare.

"Non voglio che guardi nessuno negli occhi. Se dovessi farlo potrebbero esserci dei problemi".

Sbattei gli occhi, cercando di dare alla sua richiesta un senso diverso da quello ovvio. "Non hai diritto di dirmi cosa o chi guardare".

"Oh, in realtà lo ho".

"Perché sono la tua compagna, suppongo".

"Esattamente".

"Beh è una regola di merda".

"BEcky". Il suo tono di ammonimento non faceva presagire nulla di buono ma non riuscì ad arrestare la rabbia cieca che stava montando dentro di me.

"Ed io non sono disposta a seguire regole assurde".

"Va bene", mise un punto alla discussione, spingendo il pesante portone.

L'uscio si schiuse e un fascio di luce mi colpì le gambe nude, portando con sé un vociferio composto e relativamente basso.

La resa di Deniel però mi aveva insospettita. Era arrivata immediata, fulminea. Non era da lui uscire perdente in una discussione, men che meno senza ricordarmi di essere l'Alpha. Per questo, quando fece un passo in avanti, restai ferma, con i tacchi sprofondati nell'erba soffice e umida.

"Bhe?", si voltò verso di me, aprendo un po' di più la porta. Il vociferio si fece più alto.

"Sul serio?", chiesi, corrugando la fronte in un'espressione sospettosa.

"Sul serio, cosa?".

"Va bene e basta?".

Deniel chiuse gli occhi, di nuovo. Un tentativo evidente di mantenere una calma che aveva già perso. Quando risollevò le palpebre, la calma era completamente scomparsa, sostituita da una dura determinazione e un'oscurità che mi raggelò.

"Hai deciso di non seguire la terza regola", fece spallucce, mostrandosi sereno. Ma non era sereno. Non lo era affatto. "Per me va bene. Come spero andrà bene a te affrontarne le conseguenze".

Mi misi sul chi va là. "Quali conseguenze?"

Il suo ghigno fu come una spada che mi trafiggeva. "Tu guarda anche un solo uomo, e io lo uccido". 

Mi precipitai dietro di lui appena avanzò oltre la soglia, senza attendermi.

"Non puoi parlare sul serio", lo tampinai. "Deniel! Aspettami. Deniel!".

Ma a quel punto eravamo arrivati nell'ampio atrio di quello che era il quartier generale dell'intero branco. Nell'attimo stesso in cui comparvi sulla soglia, ogni conversazione si interruppe. Tutte le teste si voltarono, tutti gli occhi mi fissarono.

Istintivamente feci un passo indietro, intimidita e imbarazzata, nascondendomi parzialmente dietro le spalle di Deniel. Davanti a me, seduti attorno ad un'ampia tavolata in legno c'era una dozzina di giganti vestiti di nero che avevano tutta l'aria di aver commesso i più efferati crimini. 

Spalancai gli occhi, senza fiato, sentendo il panico strisciare viscido come una serpe all'interno del mio cervello, minando la sicurezza che nonostante tutto fingevo di mostrare restando immobile, quasi sfrontata, gli occhi fissi in avanti, fintamente interessata da tutto ciò che mi circondava. 

Lasciai vagare lo sguardo nella sala luminosa, molto più accogliente di quanto si potesse dire dall'esterno, registrando velocemente la presenza delle pareti spoglie e di pietra, simili a quelle di casa di Deniel, le travi a vista del soffitto, alcuni lampadari che penzolavano ai lati della stanza. 

Poi però ebbi la pessima idea di posarlo sui volti presenti e fu a quel punto che notai gli sguardi lascivi dei cinque licantropi seduti più vicino alla porta. In reazione abbassai il mio sulla punta delle scarpe. Improvvisamente, la regola numero tre non mi sembrava affatto male.

"Fratelli", sentii la voce di Deniel, solida, ferma, mentre mi sistemò un braccio attorno ai fianchi, senza però smettere di farmi da scudo col proprio corpo.

Si levò un coro di voci che spaziavano dai saluti ai commenti sul fatto che ero umana, ad esclamazioni di sollievo legate ad una morte certa scampata, a mugugni sul mio odore ed a quanto potesse essere squisito.

"Non temere". Deniel si curvò sulla mia testa per darmi un bacio tra i capelli. "Ti va di restare dietro di me per qualche istante?".

Annuii con la salivazione azzerata, senza osare sollevare lo sguardo mentre mi conduceva verso il tavolo a passi calcolati e lenti, quasi stesse accertandosi che la situazione non gli sfuggisse di mano. 

Che non era tranquillo glielo si poteva leggere in faccia e nei muscoli tesi della schiena e delle braccia, lievemente staccate dai fianchi, pronte a scattare in caso qualcuno avesse fatto un passo falso.

Con la coda dell'occhio sbirciai di lato, giusto per capire dove stessi mettendo i piedi, pregando di non guardare nessuno nemmeno per sbaglio. Come mi aveva avvertita Deniel, avevo il presentimento che se i miei occhi avessero incontrato quelli di un qualsiasi licantropo presente, qui dentro si sarebbe scatenato l'inferno. 

Assurdamente cominciai ad apprezzare anche la regola più assurda di tutte: impedendomi di lavarmi, Deniel mi aveva davvero salvato la vita. L'odore del suo sperma fungeva da scudo, avvolgendomi in invisibili sbarre che nessuno si sarebbe sognato di oltrepassare.

"Fratelli, questa è Becky", mi presentò con un tale grado di orgoglio nella voce che mi fece sentire ancora più fuori posto. "Il nostro futuro".

Si udì chiaramente un'esclamazione soffocata quando si spostò di lato, rivelandomi completamente alla vista di tutti i presenti. Col cuore in gola abbozzai, o almeno provai a farlo dato che la nausea aveva impietrito ogni tratto del mio volto.

"Piacere di... ", gracchiai, sollevando una mano in segno di saluto.

Ma non ebbi il tempo di finire la frase. Dodici sedie scivolarono all'indietro grattando rumorosamente sul pavimento e tutti e dodici i Beta si sollevarono contemporaneamente.

Una fitta di panico mi fece barcollare e dovetti portarmi una mano al cuore. Lo sentii battere con forza contro il palmo, minacciava quasi di esplodere. 

Mio malgrado mi ritrovai a fissare Carl, l'unico licantropo presente a parte Deniel con cui avessi avuto modo di parlare ed instaurare una parvenza di rapporto amichevole, ma la sua espressione era grave come quella di tutti gli altri e per niente incoraggiante. 

Poi apparvero i canini.

Con un crepitio simile a delle ossa rotte le mandibole dei presenti si deformarono per lasciare spazio a dei canini affilati e lunghi quanto il palmo della mia mano.

"Merda", soffiai, retrocedendo veloce di una manciata di passi, fino a schiantarmi contro la parete alle mie spalle.

Stavo per mettermi quasi ad urlare quando in un movimento fluido ed omogeneo i dodici si inginocchiarono, portando i polsi al centro delle loro mascelle e mordendo finché zampilli di sangue imbrattarono le loro gengive, colando in gocce cremisi sul pavimento scuro.

Il rispetto che trapelava da ogni loro gesto aveva in sé qualcosa di affascinante.

In un unico movimento, come se facesse parte di una coreografia ben studiata, fecero scattare le braccia in avanti, i polsi ruotarono verso il pavimento e lo sgocciolio del sangue disegnò una mezza luna perfetta sul pavimento. 

Infine sollevarono le teste e la mandibola mi si staccò quasi, spalancandosi di fronte allo stupore. Nei duri lineamenti dei loro volti c'era scolpita una reverenza assoluta.

"Nostra regina!", esclamarono insieme.

"Ti hanno accettata", spiegò Deniel in un mormorio orgoglioso.

"Ah sì?", ridacchiai isterica, spalancando gli occhi sui loro canini. "Pensa se non lo avessero fatto".

DENIEL

"I confini sono al sicuro", affermò convinto Peter. "La sorveglianza è sotto venti leve ed ogni sei ore vengono a farmi rapporto".

"Nessun problema nemmeno in città. So che ad occuparsene c'è Dimitri ma considerando il tempo che dedica all'agenzia ho pensato di dargli una mano", intervenne un altro Beta che avevamo soprannominato "lo sfregiato" per via della cicatrice che gli attraversava il volto.

"Perciò siamo sempre allo stesso punto", sbottò Vincent. 

Per tutta la riunione se ne era rimasto in silenzio e gli era bastata una sola frase per farmi girare i coglioni. Sapevo come la pensava in merito a questa guerra e alle decisioni prese fino ad ora. 

"Se hai qualcosa da dire fallo subito".

Notai il suo sguardo diffidente mentre si posava per un istante sulla mia piccola, abbastanza rapido da non consentirle di accorgersene. Del resto sarebbe stato difficile riuscirci per lei, dal momento che aveva preso alla lettera la regola numero tre. Strinsi le labbra per trattenere un sorriso e inclinai la testa in avanti, massaggiandomi la fronte per nascondere il mio divertimento a tutti quanti.

Non era il momento di ridere, non era proprio un buon cazzo di momento per fare qualcosa che non fosse escogitare un piano per individuare il branco nemico e fermare la guerra sul nascere, prima che si trasformasse in una carneficina.

Eppure, ogni volta che fissavo Becky e il suo sguardo mite posato contro il pavimento, sentivo dentro di me ribollire una risata sorda. Non esisteva nessuna regola che prevedeva che lei non potesse guardare i miei Beta. L'avevo inventata di sana pianta per scatenare la sua rabbia e toglierle di dosso la paura.

Da quando aveva indossato quel castigato abito rosso si era trasformata, divenendo quasi apatica. Il terrore di uscire da casa mia per entrare al quartier generale l'aveva spenta, facendola sembrare quasi rassegnata, e mentre la stavo conducendo lungo il sentiero mi era sembrata una condannata a morte.

Sapevo che non avrei potuto mai tranquillizzarla, e sapevo che al momento non si fidava sufficientemente di me da poter affidarmi la sua vita. Credeva ancora che avrei permesso a qualcuno di farle del male e di certo la Bestia dentro di me l'aveva spinta a vedermi come il cattivo della storia.

Cosa che probabilmente ero. 

Ma non con lei. Mai con lei.

Per questo mi ero inventato quella regola assurda e maschilista. Gliel'avevo gettata addosso con la preghiera che potesse distrarla dalla paura. La rabbia mi era sembrata un ottimo diversivo. Ma ora, ora che la guardavo ubbidire per la prima volta ad un mio ordine, più che rendermi soddisfatto mi divertiva oltre ogni ragione. 

Assurdamente, vederla piegata al mio volere, sottomessa e remissiva, non mi dava affatto soddisfazione. La preferivo combattiva, irritante, sfrontata. La sua capacità di farmi girare i coglioni era mille volte più affascinante di questa sua parvenza di ubbidienza.

"Alpha!", mi sentii chiamare.

"Sì?", borbottai distratto, individuando svelto chi era stato a chiamarmi.

Lo sfregiato mi stava fissando pensieroso dalla parte opposta del tavolo. Sedeva accanto al Beta più giovane, quello che una riunione sì e l'altra pure finiva con l'essere cacciato prima che la seduta terminasse. Non che la sua presenza fosse particolarmente necessaria, comunque. Era ancora troppo testa di cazzo per poter tornare utile in qualche modo e se lo tolleravo era solo grazie alle sue abilità di mimetizzazione. 

"L'idea di Vincent non è male", commentò lo Sfregiato.

"Marcire sotto tre metri di terra lo sarebbe?", minacciai. Non avevo sentito la proposta di Vincent ma dopo la nostra ultima discussione non avevo dubbi che avesse tirato in ballo la mia piccola.

La voleva come esca e di conseguenza io volevo lui morto.

"Potremmo condurre Becky sul confine a nord", avanzò titubante Carl.

Mi voltai di scatto verso di lui. "No".

"Il tuo odore su di lei è forte", prese la parola Vincent.

"Se non la smetti, l'unico odore che sentirai d'ora in avanti sarà quello dei fiori che ti porteranno sulla tomba".

"Avanti, Alpha, bisognerebbe almeno parlarne", non demorse.

"Pensavo di averlo fatto quando ho parlato della tua cazzo di morte".

Carl scoppiò a ridere e si appoggiò allo schienale della sedia, scambiandosi uno sguardo complice con Peter. 

"Nessuno di voi sospetta di Ayris?", interrogò Carl.

Bastò quella mezza domanda per tirare fuori dalle loro bocche tutto ciò che non avevano avuto il coraggio di dire fino a quel momento.

"Dovremmo interrogarla".

"Io mi propongo per torturarla".

"Ma è ancora su al laghetto a contare le pinne dei pesci?".

"Secondo me se li è mangiati tutti".

"Ecco perché la mia compagna non me li cucina più".

"Non te li cucina perché tu sei un cazzo di erbivoro".

"Ma vaffanculo".

"Si è poi capito perché si è andata a nascondere lassù?".

"Non lo sai? Ha disertato la stronza".

"Perché?".

"Ma siete sicuri che si è mangiata tutti i pesci?".

"Sono abbastanza sicuro che lei sappia qualcosa. Sapeva di Becky prima ancora che l'Alpha ne parlasse".

"Perciò è evidente che collabora col branco nemico".

"Di evidente non c'è proprio un cazzo. Non è che possiamo puntare il dito senza prove".

"Per questo ho detto che mi proponevo per torturarla".

"Cazzo! A me piacevano quei pesci".

"Qualcuno l'ha vista? Siamo sicuri che sia ancora lì?".

"Certo che è ancora lì", intervenne Peter, offeso. "Controllo i confini, stronzetti, o lo avete dimenticato?".

"Bene, allora vai a prenderla".

"Che diciamo a suo padre? Ha ancora i pieni diritti su di lei", gli ricordò Vincent, per niente contento di come avessimo declinato la sua proposta.

"Al padre ci penso io", sospirai mal contento. L'idea non mi piaceva per niente ma del resto ero l'unico che potesse vantare dei diritti sui membri del branco. E i miei superavano di gran lunga quelli del padre di Ayris, sebbene lei fosse sua figlia.

Al suono della mia voce si zittirono tutti quanti. Il tempo delle discussioni era finito.

Sbattei il palmo aperto sul tavolo, attirando l'attenzione anche dei Beta seduti più lontano. "Va bene, teste di cazzo, ecco che cosa faremo...".

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