Becky e Deniel - Dea Luna

Mi chinai in avanti, posando le mani sulle ginocchia per riprendere fiato. Il sudore mi colava lungo le tempie, finendomi negli occhi e mescolandosi alle mie lacrime.

Da quando ero scesa dall'auto di servizio di Malloy, la nostra attraversata nei boschi non mi aveva lasciato ampio spazio per ragionare e sapevo che, una volta arrivata a destinazione, il mio cervello avrebbe trovato una tregua tra la fatica, soccombendo così al pensiero che con ogni probabilità non avrei mai più rivisto Deniel.

Pur non provando rimpianti, la separazione stava già avendo su di me degli effetti logoranti. Sapevo che, qualsiasi cosa stessi provando, dalla più grande alla più insignificante, era dettata dagli effetti che l'imprinting di Deniel avevano sortito sulla mia mente. Qualunque cosa fosse quel legame chiamato imprinting, pilotava il mio cuore, forgiandomi la mente in sentimenti che in caso contrario non avrei mai provato verso uno sconosciuto.

Non con questa intensità perlomeno. 

"Malloy, capisco che Deniel ti abbia affidato la mia vita, ma se continuiamo di questo passo sarò morta prima di arrivare a...". Mi guardai attorno, provando ad orientarmi, senza ovviamente riuscirci. Dal tipo di boscaglia intuivo solo di essere ancora sul monte Eagle a circa tre ore da dove stava per iniziare una battaglia senza precedenti.

"Siamo quasi arrivati. Non fermarti". Eppure nel dirlo, anche Malloy arrestò la propria camminata, ruotando attorno a se stesso per controllare l'ampia distesa di pini che si innalzava verso il cielo sempre più scuro.

Infine i suoi occhi si fermarono contro i miei, registrando le mie lacrime. 

"Stai piangendo per lui?", chiese, senza nessun accenno di accusa.

Mi lasciai cadere sopra un masso e abbassai lo sguardo sulle mie mani congiunte, schiarendomi la gola, alla ricerca della voce. Nonostante lo sforzo, comunque, fu il mio cuore a rispondere. E lo fece quasi sottovoce.

"Che senso ha la mia vita senza di lui?".

"Non sei tu a parlare", liquidò la mia confidenza.

Comprendevo il motivo per cui non stava dando importanza alle mie parole. Il seme di Deniel aveva amplificato tutto ciò che provavo, trasformando di conseguenza un timido affetto in amore, un fugace desiderio in sfrenato bisogno sessuale, la rabbia in odio.

Ed ora era con questi sentimenti opposti che dovevo fare i conti. L'amore mi faceva singhiozzare senza sosta, l'odio mi spingeva a proseguire su quell'irto sentiero che mi avrebbe condotta lontana da lui.

"Gli effetti dell'imprinting passeranno gradualmente con la lontananza", cercò di consolarmi. 

"E a lui? Passeranno?".

"No, a lui no".

"Come sai tutte queste cose sui licantropi?", domandai, più che altro per non consentire alla sua risposta di aver presa sul mio cervello. 

"Oh", sospirò, togliendosi il cappello e asciugando il sudore sulla fronte con la manica della camicia. "Conosco il branco dei Farrow da molto prima che tu nascessi. Ero un ragazzino quando divenni amico del nonno di Deniel".

"Come vi siete conosciuti?".

"All'epoca i branchi qui in Minnesota non avevano un territorio ben definito. Va da sé che questo ha comportato una vicinanza troppo stretta tra mutanti e umani, con tutte le problematiche del caso".

"Problematiche?".

"Ragazzina, mi auguro che ti abbiano raccontato dei loro sistemi per restare giovani e in forze".

"Ti riferisci al fatto che per rinnovare le proprie cellule devono fare l'amore con le umane?".

"Sì, sì, a quello", borbottò imbarazzato, risistemandosi il cappello in testa. "C'era bisogno che qualcuno tracciasse dei netti confini tra i nostri mondi, in modo da limitarne i danni, così un giorno mentre stavo indagando sulla sparizione di cinque sedicenni, mi imbattei nel nonno di Deniel". Indicò il masso su cui ero seduta: "fammi spazio".

Slittai di lato ed attesi che si sedesse accanto a me.

"Impiegai forse ancor più tempo di te per accettare l'esistenza di un mondo sovrannaturale. Ma sai, all'ora ero giovane, ambizioso. Avevo il desiderio di diventare il più giovane sergente del Minnesota, perciò quando venni a conoscenza di questo branco, non persi tempo a indagare su di loro e scesi a patti col nonno di Deniel senza pensarci troppo. Avevo visto in questa collaborazione una possibilità di bruciare le tappe per scalare i gradi in tempi record. E così fu! Da quando stabilii i confini del branco dei Farrow, gli omicidi diminuirono in modo drastico e le sparizioni si azzerarono. Mi presi i meriti e diventai Sergente in meno di sei mesi".

Malloy tolse un pacchetto di sigarette dal taschino della camicia e ne accese una. "Tu fumi?".

Scossi la testa.

"Ti da fastidio l'odore?".

"No, tranquillo".

Prese un'altra boccata e la lasciò andare con un lungo sospiro. "Il nonno di Deniel e in seguito suo padre, furono abili nel far interagire i componenti nel branco con le umane. Non li facevano mai scendere in città tutti insieme e mai nel periodo del calore, durante il quale diventavano più brutali. Per quanto questo compromesso non azzerasse le vittime, sapevo che era la cosa più giusta da fare. Collaborare con loro mi permetteva di salvare la vita a più giovani possibili e a loro di restare nell'anonimato. Negli anni ho archiviato diversi casi, manipolando le prove. Mi consolava il fatto che per ogni vita persa ne avevo salvate almeno trenta".

"Non ti è mai venuta voglia di dirlo a qualcuno?".

"Tutti i giorni", sorrise malinconico. "Ma farlo, avrebbe portato me alla morte e di conseguenza sarebbe iniziata una caccia alle streghe. Se si fosse sparsa la voce, gli umani avrebbero cominciato a sospettare del vicino di casa, di un familiare... di chiunque. Avrebbero poi iniziato una guerra contro i mutanti. E avrebbero perso".

"Avevi le mani legate".

"Le ho tutt'ora, ragazzina. Altrimenti niente mi fermerebbe dall'uccidere l'Alpha".

Sbatte le palpebre, confusa. "Perché vuoi ucciderlo?".

Malloy sospirò, cambiando posizione per dare le spalle a un fascio di sole che gli faceva lacrimare gli occhi. "Lo hai visto come ti ha ridotta...".

"E' stata la Bestia non...".

"Loro SONO la Bestia", mi interruppe. "Non c'è distinzione. Hanno una parte umana ed una animale. Ma sarà sempre la Bestia a predominare. Non sono umani e se non avessi su di te gli effetti dell'imprinting mi daresti ragione senza alcun dubbio. Ascoltami...", prese un tiro di sigaretta e gettò fuori il fumo con una sbuffata nervosa, "... non sono i "buoni". Nessuno di loro lo è. So che Deniel e tutti gli altri ti hanno mostrato il loro lato umano. Probabilmente non hai mai visto né Deniel né Dimitri nella loro forma animale. Ma è questo ciò che sono: animali. Tutto ciò che ti hanno mostrato è illusorio".

Per un attimo, la mia mente vagò libera da freni verso il ricordo di Deniel che sbranava un suo simile a lato della strada. Poi cambiò rotta, abissandosi sul ricordo in cui Deniel mi aveva tenuta ferma contro un albero, prendendosi il mio corpo con brutale ferocia. Persino poche ore prima, quando aveva fatto l'amore con me senza far emergere la Bestia, si era comportato in modo trattenuto, quasi fosse sul punto di perdere il controllo da un momento all'altro. 

Mi aveva presa in una posizione che ricordava quella adottata dagli animali e una volta terminato, mi aveva lasciata nuda e sola, senza quasi rivolgermi la parola. Come avrebbe fatto un animale.

A quel punto però la mia mente si fermò su un dettaglio: prima di andarsene, mentre si stava rivestendo, i suoi occhi si erano riempiti di lacrime. 

"Loro provano dei sentimenti", dissi risoluta.

"Ma certo che ne provano", fece spallucce. "Qualunque essere vivente ne prova. La domanda che devi porgerti è: quali sono i sentimenti che provano? Perchè vedi, quando è la rabbia a prevalere su tutto il resto, loro non si limitano a spaccare qualcosa o ad urlare. Loro fanno razzie, uccidono senza rimorsi. Per il capriccio di una femmina potrebbero sterminarci tutti in meno di mezza giornata".

"Non provano solo rabbia", cercai di farlo ragionare.

"Becky, loro non sono i buoni", rimarcò. Quindi abbassò il tono. "Credi che il tuo Deniel sia migliore degli altri?".

"Sì, lui mi ha dimostrato che in loro c'è più di una semplice Bestia".

"Allora chiediti chi è stato ad uccidere quei tre ragazzi".

Lo fissai disorientata, non capendo a cosa si stesse riferendo.

"Sforzati, Becky, so che puoi ricordare".

Scossi la testa, nel buio assoluto.

"Eri appena uscita dalla Hill Farrow. Stavi tornando a casa e dietro di te hai sentito i passi di qualcuno".

Il respiro mi restò incastrato in gola.

"Sì, so che ci stai arrivando", annuì, gettando il mozzicone a terra e schiacciandolo con la suola degli stivali. "Ti stavano seguendo tre ragazzi. Erano ubriachi ma senza precedenti. La fedina penale immacolata. Erano tre ragazzi che stavano festeggiando una laurea e ci avevano dato dentro con l'alcol. Probabilmente volevano solo rimorchiarti, solo che...".

Lasciò la frase in sospeso e nel lasso di tempo che restò in silenzio, davanti agli occhi rividi l'articolo di giornale in cui erano state riportate le immagini di un'aggressione ai danni di tre ragazzi. Erano stati barbaramente uccisi, e il caso era stato chiuso in fretta e furia.

"E' stato Deniel", confermò i miei pensieri.

"Perchè?", riuscii a dire.

"Perchè?", rise amaro. "Eri già la sua compagna e un licantropo, te ne sarai accorta, è molto territoriale".

"Li ha uccisi perché volevano rivolgermi la parola?". Era talmente assurdo che nemmeno dicendolo a voce alta riuscivo a trovarvi una logica.

Mi fissò. A lungo.

"Loro non sono i buoni", ripeté, alzandosi in piedi. "Vieni ora, dobbiamo proseguire o non arriveremo in tempo".

"Perché me lo dici solo adesso?", lo rincorsi.

"Perché adesso so che, nonostante l'imprinting, Deniel sarebbe in grado di uccidere persino la sua stessa compagna".

"Non lo farebbe mai".

"Lo hai già fatto".

"No".

Si voltò di scatto e mi acciuffò la mano. "Sei stata morta per un minuto intero, Becky. E se ora sei qui che cammini è stato grazie solo al mio intervento".

Sfilai la mano dalla sua. "Non è vero", eppure non seppi dare alle mie parole un tono deciso.

Qualcosa del suo racconto aveva incrinato tutto ciò che fino a quel momento avevo creduto sui mutanti, e se una piccola parte di me continuava a paragonarli a dei normali esseri umani, un'altra parte, molto più grande, stava iniziando a soccombere alle parole di Malloy.

"Ho ancora il defibrillatore in macchina. In tanti anni di servizio non ho mai dovuto staccarlo dalla parete delle base e per la prima volta l'ho usato su di te". Mi fissò a lungo prima di tornare a voltarmi le spalle. "Ora, per favore, chiedimi ancora perché lo voglio uccidere".

Vacillai sulle ginocchia, incespicando in una radice semi nascosta da un cumolo di foglie ormai ingiallite. La schiena di Malloy, a pochi passi davanti a me, oscillava sotto i suoi passi veloci, ma quasi non riuscii a vederla.

Le lacrime mi annebbiarono la vista, riducendo ogni cosa davanti a me ad una massa informe e tremolante. 

"Non è vero", mi sentii urlare.

Ma quando Malloy non si voltò, mi resi conto che quelle parole erano rimaste incastrate infondo alla mia gola, zittite da singhiozzi che urlavano al mio posto, lasciando sfogare una rabbia sempre più aberrante e che mi conduceva ancor più lontano da Deniel di quel che i miei passi stavano già facendo.

E continuarono ad urlare finché persino la mia mente restò senza respiro, imprigionata nella consapevolezza che in realtà, tutto ciò che Deniel e il suo branco mi avevano mostrato non era stato altro che un inganno.

Per un momento realtà e finzione oscillarono appese a ossessionanti ricordi che si mescolavano tra di loro, facendomi vacillare con tutto il corpo verso una meta che non conoscevo, spingendomi unicamente a seguire Malloy lungo un sentiero sempre più irto e mal segnalato.

Il silenzio attorno a noi era condito dalle mie lacrime che si depositarono prima sul davanti della mia maglietta, poi sulle foglie, sui massi, sui fili d'erba sempre più radi, segnando un percorso che mi stava riportando verso la libertà, imprigionando però il mio cuore in una morsa di dolore.

Fu quando gli alberi sparirono del tutto alle nostre spalle, aprendo un varco che conduceva ad un casolare dall'aria abbandonata, che Malloy si fermò, ispezionando attentamente la radura attorno a noi.

"Controlla se la porta è aperta", ordinò spiccio.

Mi avvicinai stordita e posai cauta una mano sulla maniglia. Dovetti far forza per abbassarla e appena ci riuscii l'uscio si schiuse in un cigolio, lasciando che gli ultimi raggi di sole penetrassero nel piccolo spiraglio, fendendo la penombra all'interno della cascina.

La fiamma di una candela oscillò appena varcai la soglia, gettando la mia ombra contro la parete più vicina.

"Resta lì dentro e non uscire finché non sarò di ritorno", mi arrivò la voce di Malloy.

Mi affacciai per chiedergli quando sarebbe tornato ma in quel bravo lasso di tempo che impiegai per voltarmi, era già lontano, quasi del tutto inghiottito dal bosco.

"Ti stavo aspettando". La voce di una donna alle mie spalle mi fece sussultare.

Mi voltai di scatto e spalancai la porta per permettere alla luce del giorno di entrare completamente nella stanza spoglia del casolare. La fiamma della candela si spense, facendo cigolare la cera, e un attimo dopo i miei occhi si abituarono alla luce interna, registrando una presenza che prima, nella fretta, mi era sfuggita.

Una donna sulla quarantina se ne stava con la schiena posata nell'angolo della parete più interna della cascina, il volto rivolto verso i propri piedi nudi, semi nascosto da una cascata di capelli biondi che si mescolavano alla perfezione con la tinta del suo abito.

Erano lunghi fino alla vita, talmente lisci da sembrare umidi di pioggia, attorcigliati sulle punte tra le candide dita sottili delle mani.

"Chi sei?", chiesi, azzardando un passo avanti.

Sembrava umana in tutto e per tutto se non fosse che ogni minima parte del suo corpo era perfettamente immobile. Le palpebre non si abbassavano in una naturale lubrificazione dell'occhio né il petto si sollevava sotto respiri apparentemente assenti. Persino quando parlò, le sue labbra restarono sigillate in quello che sembrava un sorriso materno.

"Ho tanti nomi".

"Allora dimmi quale devo usare io".

"Per quanto ne so, come umana, sei abituata a chiamarmi... Dio".

Sentii la bocca schiudersi in una "o" muta prima di aprirsi in una risata isterica. "Naaa, okay, questo è troppo. Dimmi chi sei. Ti ha mandato Deniel?".

"No". La bocca restò immobile.

"Quindi fai parte del branco di Kennet?".

"No".

Scossi la testa e mi assicurai che la porta rimanesse aperta prima di avvicinarmi di qualche passo. La sua immobilità doveva essere un trucco ben collaudato e forse avvicinandomi mi sarei resa conto che era tutto frutto della mia immaginazione.

"Non hai la barba", le faci notare stupidamente.

"No".

"Se fossi Dio non dovresti averla?".

"No".

"Sai dire altro oltre che no?", mi spazientii.

"Sì".

"D'accordo", sbuffai, avvicinandomi ancora. Ci separavano pochi passi e da vicino potei notare che i suoi occhi erano dello stesso colore dei capelli, inumani. Intuii fosse una qualche forma di mutante e per un secondo fui tentata di retrocedere. "Sei una licantropa?".

"Ti ho già detto chi sono".

"Bhe io non ti credo!", persi le staffe.

"Loro lo fanno".

"Loro chi? I licantropi?".

"Sì".

"Allora ti aggiorno e spero di non spezzarti il cuore ma i licantropi venerano il Dio della foglia, della carne e robe simili".

"Mi danno solo un nome diverso".

"Un nome diverso?".

"Da quello che mi date voi umani".

Sentii l'angolo delle labbra piegarsi in un altro sorriso. "Stai dicendomi che sei quella che loro chiamano Dea Luna?".

"Sì".

"E dov'è la tua aureola?".

I suoi occhi si sollevarono di scatto, mostrandomi una pupilla sottilissima, quasi invisibile. Era il primo movimento che effettuava e mi fece letteralmente saltare indietro. Lo spigolo della porta mi colpì il fianco e nel contraccolpo si chiuse con un cigolio talmente inquietante che mi fece accapponare la pelle delle braccia.

"Ti stavo aspettando", ripeté.

"Perché quando parli non muovi le labbra?". Stavo cominciando seriamente a credere che non fosse un trucco e istintivamente allungai un braccio oltre la mia schiena, aggrappandomi alla maniglia.

Solo che questa volta, per quanta forza ci mettessi, restò immobile, come bloccata.

"Non uscire di qui finché non mi avrai ascoltata", supplicò calma, quasi suadente. Se stava cercando di tranquillizzarmi tuttavia non ci riuscì. "Ho bisogno del tuo aiuto".

Abbozzai. "Proprio del mio?".

"Sì".

"E immagino che non potrò rifiutare"..

"Potrai rifiutarti", mi sorprese invece. 

"Per la faccenda del libero arbitrio?", la derisi.

"Sì".

"Se sei veramente chi dici di essere cosa succede se ti tocco?", deviai il discorso.

"Ti consiglio di non farlo".

"E se provassi a colpirti?".

"Ti consiglio di non fare anche questo". Questa volta le sue labbra di mossero di qualche millimetro. alterando il sorriso materno in un sorriso quasi feroce.

Mi mise i brividi. L'intera aria nella stanza sembrò raffreddarsi di qualche grado.

"Sei pronta ad ascoltarmi? Non ti rimane molto tempo".

"Per cosa?".

"Per ucciderli".

"Uccidere i Kennet?".

"Per ucciderli tutti".


DENIEL

La nebbia si stava allungando nel sottobosco, avvolgendo le nostre caviglie mentre avanzavamo furtivamente attraverso gli alberi, accerchiando il nostro obiettivo.

Io e Dimitri eravamo ancora in forma umana, in attesa che Malloy raggiungesse la base e ci rifornisse delle armi che era riuscito a recuperare. Il nostro compito era piazzare gli esplosivi, fornire un diversivo e sterminare senza lasciare alcuna traccia chiunque del branco di Kennet fosse riuscito a superare la barriera di Beta che si stava sparpagliando lungo il confine a nord.

Se i miei uomini avessero seguito alla lettera il mio finto piano, non avrebbero corso alcun pericolo di rimanere coinvolti nelle esplosioni, limitandosi a bloccare i pochi nemici che si erano sicuramente spinti sul versante ovest.

Appena vidi Malloy, sollevai due dita verso Dimitri per segnalarli che c'erano due uomini nascosti a pochi metri dalla base e l'istante successivo lo vidi acquattarsi sul terreno umido, mutando forma in brevissimi istanti. L'istante successivo ancora, stava già correndo nel groviglio di vegetazione fino a raggiungere l'aria disboscata della base, attirando su di sé l'attenzione dei due uomini e spostandola inevitabilmente da Malloy.

Completamente ignaro da ciò che stava accadendo a pochi metri da lui, avanzò verso il magazzino ricavato in un bunker sotterraneo accessibile solo da una botola ormai arrugginita dal tempo. Lo osservai entrare e quando scomparve tirai un sospiro di sollievo e corsi a perdifiato per raggiungerlo.

"Il perimetro è sicuro", lo aggiornai.

"Bene", annuì, armeggiando con delle valigette in metallo.

"Becky?". Il solo pronunciare il suo nome mi tolse il respiro.

"E' alla cascina".

"Come sta?".

"Gli esplosivi sono pronti. Attenderò il tuo via per radio prima di azionarli. Per quanto invece riguarda i lanciafiamme...".

"Come sta, Malloy?", alzai la voce. Cazzo, era una domanda semplice.

Posò la valigetta di metallo. "E' viva, e spero ti basti come risposta". Quindi afferrò delle taniche, sollevandole a fatica ed allineandole accanto alla scaletta a pioli che conduceva alla botola d'uscita. "Qui c'è abbastanza napalm da incendiare l'intero monte Eagle. Usatele come ultima risorsa".

Annuii e sollevai il volto verso lo sbocco d'uscita nel rendermi conto che Dimitri si era affacciato.

"Via libera", annunciò.

"Arrivo". Quindi tornai a Malloy. "Sposterò il combattimento nella radura che circonda la base. Come da accordi. Appena i miei uomini saranno abbastanza lontani ti darò il via libera per radio".

"Buona fortuna", bofonchiò, voltandomi le spalle.

Mi arrampicai sulla scaletta e annuii a Dimitri, incitandolo a seguirmi. 

"Pronto?", chiesi.

"Che la guerra abbia inizio".


"

"




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