Becky - Attenzioni sgradite

"Mamma, per caso hai stirato la mia camicia bianca?". 

Le temperature erano aumentate di colpo, da un giorno all'altro, e nell'armadio avevo solo maglioni e pantaloni felpati. Avevamo passato il week end a svuotare gli scatoloni per il cambio stagione ma la maggior parte dei capi era stata ripiegata male e durante i mesi invernali si era sgualcita.

"No ma ti ho messo sulla scrivania la maglietta rosa", mi rispose dalla cucina.

"Mamma!", mi lagnai. "Quella maglia ha la stampa di due gatti sul davanti. Ti sembra che possa metterla per andare in ufficio?".

"E allora mettiti quella nera".

Quella nera aveva l'orlo scucito su una manica e avrei impiegato almeno venti minuti per sistemarla. Dubitavo che il sig. Farrow avrebbe giustificato un mio ritardo a causa di una banalissima opera di taglio e cucito.

A dire il vero, dal modo ostile con cui spesso mi fissava, dubitavo che giustificasse la mia intera esistenza. Il fatto che mi avesse omaggiata con dei fiori non significava automaticamente che la mia presenza gli andasse a genio. Probabilmente il suo gesto era stato dettato da una sorta di patto di tregua, della serie "ti tollero a stento ma dato che dobbiamo lavorare insieme tanto vale mettere via l'ascia di guerra... e a proposito, ti perdono!".

Col senno di poi mi ero ritrovata a pentirmi per aver rifiutando il primo mazzo di fiori. Facendolo non avevo fatto altro che confermargli quanto detto nell'atrio dell'agenzia il giorno in cui c'eravamo incontrati la prima volta, e cioè che il suo arrivo aveva messo sotto sopra la mia tranquillità lavorativa. 

Facendo poi recapitare altri mazzi direttamente a casa mia vi era un chiaro tentativo di farmi un dispetto e l'ancor più chiaro segnale che qualunque cosa provassi gli era indifferente. Si faceva come voleva lui. Punto e basta. E se lui voleva mettere una pietra sopra al nostro disastroso primo incontro, si sarebbe dovuta mettere questa benedetta pietra senza alcuna protesta.

Non che volessi protestare, anzi. Per quanto odiassi gli uomini autoritari, in questa determinata situazione mi conveniva mettere da parte la mia intolleranza e smetterla di ingigantire un gesto cordiale. Non ero più nemmeno tanto certa di voler mettere Dimitri al corrente del fatto. A che pro? Essendo suo socio si sarebbe schierato dalla sua e io mi sarei ritrovata inutilmente in una posizione imbarazzante. 

 "E' pronto il caffè", mi chiamò la mamma.

Infilai la maglietta rosa, sistemai alcune ciocche di capelli rimaste incastrate nella scollatura ed uscii di corsa dalla camera evitando di sbirciare verso lo specchio a parete. Alle volte era meglio non vedere.

"Caffè, caffè, caffè", implorai catapultandomi nel pergolato e subito mi bloccai di colpo, sorpresa. "Sergente Malloj, benvenuto! Che ci fai qui a quest'ora?".

L'anziano bloccò la mano a mezz'aria, rinunciando a dare un morso alla ciambella, e si sollevò di scatto per venirmi ad abbracciare. 

"Bambina mia quanto sei bella".

Ricambiai l'abbraccio con un gran sorriso. "Anche tu sei sempre uno splendore. Chissà quante sono le donne che te lo dicono".

"Non fare la sfacciata con me, ragazzina", finse di sgridarmi, ripensando sicuramente a quella volta in cui avevo cercato di combinargli un'incontro con la nonna di una mia vecchia compagna di liceo. L'incontro comunque non era mai avvenuto. "Ma che ti da da mangiare tua madre? Guarda, guarda!", mi pizzicò un fianco. "Cos'è? E' pancetta quella che sento?".

"Ah-ah! Spiritoso".

"Sul serio, che mangiate voi ragazze d'oggi? Siete tutte pelle e ossa. E prenditela una ciambella, forza, su!", posò una mano al centro della mia schiena, spingendomi verso il tavolo.

"Farò tardi a lavoro", iniziai a protestare.

"In realtà stai già lavorando".

"Stare in tua compagnia è faticoso, lo ammetto, ma non sapevo che parlarti fosse considerato un impiego a tutti gli effetti", lo presi in giro.

"Sì e no".

"In che senso?".

"Siediti, bambina. Siediti che ti spiego".

Presi posto accanto a mio padre e lo baciai sulla guancia. "Dormito bene?".

"A meraviglia", ricambiò il bacio con un sonoro schiocco. 

"Allora, sergente Malloj, spiegami un po'", lo incitai, servendogli delle pesce sciroppate.

"Ho qui un progettino da farti visionare", impostò il tono professionale che usava sempre quando era di servizio e mi venne da sorridere.

Si chinò verso la sua valigetta in pelle rigida e ne estrasse alcuni fogli. Quindi me li passò, stando attento a non urtare la brocca del caffè.

Diedi una rapida occhiata allo schema scritto in matita con riportato un elenco di lavori da effettuare alla base di controllo del monte Eagle. "Che cos'è?".

"Stiamo facendo qualche aggiustatina al protocollo di sicurezza e avviando alcune ricerche su quanto gli effetti climatici stiano influenzando la vita della fauna presente nei nostri boschi. La crisi climatica comporta una reazione da parte degli animali, come per esempio i lupi, che si ritrovano costretti ad adattarsi alle nuove temperature. E' un progetto ambizioso ma anche molto costoso. Richiede liquidi che non possediamo e perciò abbiamo pensato di avviare una campagna crowdfunding per ottenere i fondi necessari".

"E ti serve pubblicità", fece due più due.

"Esattamente", annuì, porgendosi verso mio padre. "E' sveglia la tua bambina".

"La mela non cade mai lontano dall'albero", gongolò mio padre.

"Papà", lo ammonii scherzosa. Poi tornai a rivolgermi a Malloj. "Hai già parlato con Dimitri?".

"No, no, non con lui. Ne ho discusso con Deniel".

"E chi è?".

"Il signor Farrow, sciocchina".

Mi diedi una manata alla fronte. "Ah, già. Sono così abituata a chiamarlo per cognome che sulle prime non sono riuscita a collegare. E lui che ti ha risposto? E' d'accordo?".

"Altroché. E' stato lui a dirmi di prendere accordi con te".

Mi piantai un dito al centro del petto. Dire che ero stupita era riduttivo. "Con me?".

"Non sei la sua assistente?".

Scossi la testa, sempre più confusa.

"Beh, lui mi ha garantito che questo progetto lo porterete avanti voi due".

"Ma io sono solo una dipendente. Faccio fotocopie e cambio qualche grafica sui cartelloni".

"Tesoro", mi puntò contro la forchetta, "non sono a conoscenza della vostra gerarchia aziendale, ma se Deniel ha deciso di voler farti diventare parte attiva di questo progetto significa che gli va bene così. Probabilmente gli avrai fatto una buona impressione".

Mi sfuggì una smorfia. Oh, certo! Buonissima!

"E lui?", chiese.

"Lui cosa?". La smorfia non accennava a diminuire.

"Ti ha fatto una buona impressione?".

La domanda era strana e poco pertinente. Sembrava volesse insinuare qualcosa ed era strano che Malloj si addentrasse in certi discorsi frivoli. 

Sentii addosso gli occhi dei miei genitori e misurai attentamente le parole. "Più o meno. Non ci ho parlato molto".

Una strano sorriso gli stiracchiò le labbra e le guance scavate si sollevarono. "Ora avrete modo di farlo".

*****

Quando arrivai alla Hill Farrow notai una certa agitazione attorno alla mia postazione. Non arrivai nemmeno a posare la borsa sulla sedia che Connor si fece spazio tra i vari colleghi intenti ad arrotolare alcuni cartelloni. 

"Attenzione tutti quanti!". Battè la mani un paio di volte ed attese che ci mettessimo in cerchio attorno a lui. "Da oggi l'ufficio del signor Farrow sarà quello", indicò una stanza con le pareti di pannello trasparente infondo all'open space. Fino a quel momento era stata utilizzata come stanza del pensiero, cioè dove noi creativi ci rifugiavamo quando avevamo bisogno di un pò di silenzio per ideare qualche slogan.

"Perché non utilizzerà quello del tredicesimo piano?", si sorprese Jenny.

"Pare ci siano delle rotture. Forse un problema di tubazioni. Non saprei. In ogni caso da adesso in poi basta chiacchiere inutili nella zona bar", iniziò ad elencare sollevando il pollice, quindi l'indice e così via, "basta attacchi di isterismo quando un lavoro non viene accettato, basta chiamate personali, basta chattare su Telegram con le cameriere del Dorians'bar... sì, sì, dico a te Simon. E tu..", si voltò brusco verso di me, puntandomi un dito contro, "... basta accartocciare carte di merendine sulla scrivania. Siamo un'agenzia pubblicitaria, non un'azienda di dolciumi. E basta anche gettare a terra cartacce. Mi avete capito?".

Annuii frastornata e saltellai di lato fino a raggiungere Jenny. Che fosse eccitata da questo fuori programma glielo si leggeva in faccia. Le tremavano persino le mani.

"Hai sentito", sgranò gli occhi. Il suo sorriso era così ampio che mi sorpresi riuscisse a parlare. "Il grande capo, il signor Farrow in persona fianco fianco con noi! Questa è un'opportunità  da cogliere, quella che tutti noi stiamo aspettando da due anni. Vedendoci lavorare potrà capire chi di noi è più qualificato per avere una promozione. Chissà? Magari si sceglierà un'assistente. Dio, ti immagini?".

"Vagamente", biascicai inorridendo. 

Strisciai i piedi verso la mia scrivania e accesi il pc. Erano tutti entusiasti di poter far finalmente colpo sul capo mentre io avrei voluto nascondermi dietro la macchina fotocopiatrice e uscire allo scoperto solo all'orario di chiusura. 

Come avrei potuto giustificare con i miei colleghi che il signor Farrow mi aveva già scelta come sua assistente senza nemmeno prendersi la briga di verificare che ne fossi all'altezza? C'erano persone molto più competenti di me e con il doppio della mia esperienza.

L'unica campagna che avevo seguito era stata per un integratore alimentare destinato alle cavie e non era nemmeno stata accettata dal cliente. 

Possibile che il signor Farrow volesse affidarmi un progetto così importante solo per umiliarmi e potermi infine licenziare? Era il capo, poteva licenziarmi senza bisogno di inventare scuse!

Ero così concentrata sulle mie ipotesi che mi accorsi in ritardo che le voci dei miei colleghi erano divenute un brusio. Si riusciva persino a sentire il ronzio della mosca che continuava a sbattere sul vetro della finestra. Connor se ne stava in piedi davanti a me, le mani sui fianchi e l'espressione più furente che gli avessi mai visto. Di più ancora di quando inavvertitamente gli avevo rotto la tazza che sua madre gli aveva regalato per Natale.

"Sei con noi, Becky?", ringhiò, quando sollevai finalmente la testa dal temperamatite che cui stavo distrattamente giocherellando.

"Sì, che c'è?", ribattei un po' troppo scontrosa.

Connor chiuse gli occhi e inspirò lentamente per calmarsi, prima di indicare qualcosa alle mie spalle.

Feci per voltarmi ma i miei occhi registrarono un fascio di muscoli nascosti sotto una maglietta scura; il signor Farrow era alle mie spalle. Mi fissava in silenzio, incurvato lievemente verso di me, sorreggendo parte del proprio peso tenendo una mano posata a bordo della mia scrivania.

"Il suo è un vizio", piagnucolai in imbarazzo. Perché doveva sempre arrivarmi alle spalle?

"Nel mio ufficio", ordinò freddo, incitandomi con un cenno del capo di fare alla svelta.

Fulminai Connor e mi apprestai a seguirlo. "Signor Farrow non ero assolutamente distratta. Ero in meditazione creativa. Il nostro lavoro funziona così. Se fosse stato qui presente negli ultimi due anni anziché girovagare per ...".

Farrow si bloccò all'istante e mi scontrai contro i muscoli tesi della sua schiena. Premetti una mano sul naso e retrocessi di due passi, realizzando che per l'ansia lo avevo criticato davanti a tutti.

Quando si voltò, lo sguardo furente venne per un attimo attraversato da un'espressione preoccupata. Gli occhi registrarono il modo in cui stavo massaggiandomi il naso.

"Ti sei fatta male?".

"Lei al posto dei muscoli ha il granito", borbottai. Arricciai il naso, stringendo i denti per il male, e tentai di rilassare i muscoli del volto.

"Prendi nota di camminarmi un po' più distante", consigliò, abbozzando un sorriso quando ripresi a massaggiarmi il naso. "Non è solo la mia schiena ad essere dura come il granito".

"Sì, sarà bene che me lo tenga a men...", boccheggiai, lanciando un urletto scandalizzato, appena metabolizzai il doppio senso della sua raccomandazione. "Cosa ha detto?".

Farrow mi diede le spalle e notai che si stavano sollevando in una bassa risata. "Ho il sospetto che tu abbia frainteso".

"Io? Ma le pare", lo contraddissi, fingendo una certezza che non provavo affatto. 

"Bene!", spalancò la porta del suo ufficio e si fece di lato per farmi entrare per prima. "Sarebbe stato imbarazzante dovermi ripetere".

Sentii le guance andarmi a fuoco e gli passai accanto di corsa, desiderosa di sfuggire al suo sguardo vagamente derisorio.

"Codarda", lo sentii mormorare.

Raddrizzai le spalle e mi morsi la lingua. Davanti a me c'erano posizionate quattro sedie, dietro le quali si ergeva il lungo tavolo in vetro su cui erano state sistemate le cose del signor Farrow. Mi ritrovai a esitare, ricordando che l'unica volta che mi ero ritrovata nel suo ufficio aveva polemizzato per dove avevo scelto di prendere posto.

"Dove vuole che mi sieda?".

Un guizzo gli increspò le labbra seminascoste sotto la barba, ma scomparve subito. Difficile intuire il perché la mia domanda lo avesse divertito così tanto.

"Prendi una sedia e vieni accanto a me. Abbiamo un solo pc e dovremo dividerlo".

"Devo lavorare qui con lei?", mi stupii.

Con uno scatto sollevò gli occhi verso di me, quindi li riabbassò verso lo schermo del computer. "Non hai ricevuto la visita del signor Malloj questa mattina?".

Annuii e per un attimo volli sprofondare. Pur essendoci un pannello tra le mie spalle e l'open space, sentivo bruciarmi addosso gli sguardi curiosi di tutti i colleghi. Cosa avrebbero pensato? Cosa mi avrebbero detto una volta uscita di qui? Era scontato che quale male lingua cominciasse e seminare qua e la varie ipotesi perché tutto sommato essere promossa così, su due piedi, puzzava pure a me. 

"Allora sai già che ti ho scelta come assistente per la nuova campagna pubblicitaria sulla salvaguardia della fauna. Perciò", sollevò nuovamente lo sguardo freddo su di me, "... chiediti piuttosto se la tua domanda merita una risposta".

L'arroganza di quest'uomo mi fece stringere le mani in pugno per la rabbia. Ero nata in una casa in cui la parità dei sessi era stata la pietra biliare su cui costruire l'intera stabilità familiare, cresciuta in un quartiere in cui gli individui non si distinguevano in base al sesso bensì alle proprie virtù. Mi avevano istruita a base di pane, latte ed emancipazione femminile. 

Un'istruzione che andava a farsi benedire davanti a quest'uomo. La sua arroganza trovava radici in una sicurezza interiore che solo un leader poteva provare e a me mancavano troppe esperienze di vita per confrontarmi con lui. Partivo svantaggiata, senza alcuna possibilità di uscire vincitrice in un possibile scontro verbale.

Da una parte, tuttavia, sgomitava il mio orgoglio. Era quasi in fin di vita, schiacciato dalla pesante sicurezza che quell'uomo aveva di sé, tuttavia annaspava alla ricerca di un appiglio, reclamando una vittoria che non gli sarebbe mai appartenuta.

Fu proprio l'orgoglio a infondermi il coraggio di ribattere. "Forse le mie domande le appariranno sciocche, signor Farrow, ma resta comunque irrisolto un quesito che spero potrà dipanare: perché tra tante persone qualificate ha scelto proprio me?".

"E' così scarsa la considerazione che hai di te stessa?", rispose di getto, cogliendomi impreparata.

"Non si tratta di questo. Ma la sua scelta è azzardata. Non ho alcuna esperienza e non so davvero dove cominciare per buttare giù un progetto per questa nuova campagna".

Il signor Farrow ruotò sulla sedia e si piegò in avanti, incrociando le dita delle mani tra le ginocchia divaricate. "Vieni a sederti".

Feci come mi ordinò e sistemai la sedia di fronte a lui, cercando comunque di restare a debita distanza.

"Pensi che voglia morderti?", mi stuzzicò, notando la distanza di sicurezza che continuavo a tenere.

Quindi allungò le braccia, afferrò i braccioli della mia sedia e mi sospinse in avanti, obbligandomi a serrare le cosce per poter intrufolarmi tra le sue gambe divaricate. Il respiro mi rimase incastrato in gola.

"Becky, sono un fotografo di fama mondiale che si sta abbassando a fotografare qualche alberello nelle foreste locali", scandì lentamente. "Ho accettato questa campagna solo per ricambiare un favore al sergente Malloj e ho bisogno di qualcuno che sappia muoversi nella foresta. Dimitri mi ha detto che ami camminare e quindi ho pensato subito a te. Se questo però ti crea disagio posso sostituirti con Connor o con quella riccia che indossa sempre maglioni verdi".

"Ally", gli ricordai il nome della mia collega.

"Non me ne frega un accidenti del suo nome", si irritò davanti alla mia interruzione. "Mi frega solo avere un'assistente che non si metta a lamentarsi ad ogni passo e che non si presenti sul set con i tacchi a spillo. Tu sei quella che cercavo".

Annuii con convinzione. La sua spiegazione era logica e dissipava ogni mio possibile fraintendimento. 

"Ora spero sia tu a rispondere ad una mia domanda", mi sorprese, strattonando la mia sedia in avanti una manciata di centimetri.

 Sentii le ginocchia sbattere contro le sue cosce solide e d'istinto spalancai la bocca in un ansimo. L'espressione del signor Farrow rimase composta e sperai non si fosse accorto di come avevo reagito. 

"Dimmi, per favore, perché non hai la forza di guardarmi in faccia", disse serio.

Mi ci vollero una manciata di secondi per trovare il coraggio di sollevare lo sguardo e quando lo feci mi scontrai in due iridi scure in cui si intravvedevano degli aloni rossi. Il signor Farrow aveva degli occhi fuori dal comune.

"Lei mi mette a disagio, signor Farrow", ammisi.

"Perché!!!".

"Presumo sia per i fiori". Cominciavo a sentirmi sulle spine e la voce mi tremò.

"Non li hai graditi?".

"Sì", risposi di getto e subito mi corressi. "Cioè, no! Cioè... lei è il mio capo e sarebbe molto sconveniente da parte mia accettare un simile omaggio".

Le guance gli si gonfiarono in un sorriso e impiantando il talloni sul pavimento fece slittare all'indietro la propria sedia. "Ora che abbiamo appurato i nostri dubbi, possiamo concentrarci sul lavoro?".

Non si era giustificato. Aveva cambiato semplicemente il discorso in fretta e furia, ma me lo feci andare bene. 

Chiusi gli occhi e rilasciai il respiro con lentezza. Illogicamente stare così vicina al signor Farrow mi destabilizzava e mi faceva provare sensazioni mai provate. Così nuove da non riuscirvi a trovare un nome, ma sufficientemente forti da scombussolarmi e rendermi impacciata.

"Malloj ti ha consegnato il progetto con le richieste sulla campagna, giusto?", chiese ad un certo punto.

Gli consegnai il foglio spiegazzato che Malloj mi aveva portato durante la colazione ed attesi che Farrow  lo esaminasse con calma. Mentre leggeva mi presi del tempo per osservarlo. Se ne sta disinvoltamente posato contro lo schienale della sedia, una gamba sollevata sul bracciolo. Il braccio allungato contro il mio schienale mi impediva di mettermi seduta comodamente, costringendomi e restare in bilico con le natiche sul bordo della sedia.

Era bello. Uno di quegli uomini che riuscivano ad essere seducenti senza il minimo sforzo, con ogni movenza, anche la più insignificante, senza bisogno di artefici o faticose strategie. Le stesse sopracciglia, arcuandosi quando leggeva qualcosa che gli era poco chiaro, riuscivano a trasformare in affascinante la sua intera espressione.

La barba nascondeva gran parte delle labbra ma non era uno schermo sufficiente per celarne le espressioni o quei mezzi sorrisi di arrogante derisione che spesso mi rivolgeva. Gli zigomi alti erano abbronzati ed ora che lo stavo guardando da vicino mi accorsi che quello destro, sotto i peli della barba, era attraversato da una sottile cicatrice.

La fronte era l'unico indizio della sua età. Attraversata da alcune rughe che, ne ero certa, qualche giorno prima erano meno evidenti. Forse aveva lavorato fino a tardi ed erano un chiaro segnale della sua stanchezza, come lo erano le sottilissime rughe d'espressione che dall'angolo dell'occhio gli si allungavano verso le tempie. 

"Siamo un po' distratte, eh?", si rivolse a me di punto in bianco, senza nemmeno sollevare gli occhi dal foglio.

Colta sul fatto mi sentii arrossire e tentai di imbastire una scusa che potesse giustificare il modo in cui mi ero imbambolata a fissarlo. "Stavo solo attenendo che finisse di leggere le richieste di Malloj".

Farrow si umettò le labbra e, ne ero certa, lo fece solo per trattenere un fastidioso sorrisetto. Non mi aveva creduta, era evidente, ma ebbe almeno il buon senso di non ribattere. 

Lanciò il foglio al centro della scrivania e ruotò la sedia verso la mia. Il braccio che teneva posato sullo schienale della mia sedia slittò qualche centimetro in avanti e istintivamente compensai la distanza mettendomi ancor più in bilico sul bordo della sedia.

Il mio movimento non gli sfuggì e questa volta, a differenza di qualche istante prima, stiracchiò l'angolo destro delle labbra in un ghigno. 

"Perché non me lo chiedi?", parlò piano, monitorando i miei occhi con un'attenzione snervante.

Corrugai la fronte, incerta. "Chiederle cosa, signor Farrow?".

"Il motivo che mi ha spinto a regalarti quei fiori".

Strinsi le labbra e sistemai una ciocca di capelli dietro la spalla. Avevo una natica indolenzita per la scomoda posizione e distesi la gamba per affievolire l'intorpidimento. "Sono certa che le sue intenzioni siano state dettate da un tentativo educato di deporre l'ascia di guerra. Quindi indagare e porgerle domande inutili, oltre ad essere una perdita di tempo, la indurrebbero ad irritarsi, signor Farrow. Non me lo ha forse sottolineato appena entrati in ufficio?".

Un guizzo divertito gli abbellì la bocca ma non ebbe il tempo di illuminargli gli occhi perché in un singolo secondo erano divenuti saturi di collera. "Ti stai prendendo gioco di me?".

"No, signor Farrow, ma non può pretendere di trattarmi come poco fa senza che io poi cerchi in qualche modo di difendermi".

Per un attimo mi fissò in silenzio, assorto in qualche pensiero, quindi annuì lentamente, come se fosse arrivato ad una conclusione inaspettata. Aprì la bocca per dire qualcosa ma alla fine la richiuse, ripensandoci.

La sedia tornò a ruotare verso la scrivania e il suo braccio si staccò dal mio schienale.

"Il signor Malloj non chiede cose infattibili", tornò concentrato sul lavoro. La sua abilità nel passare dal privato al lavorativo mi spiazzava. Come il suo sguardo: quando parlava con me era teso, quasi sulle spine, alle volte persino irritato. Quando invece si dedicava al lavoro restavano solo concentrazione e passione. "Costruiremo l'intera campagna partendo dalla vegetazione e dalla biodiversità dei nostri boschi a valle del monte Eagle".

"Potremmo costruire il set verso est, dove c'è la base di controllo del sergente Malloj. Lì la luce del sole resiste fino a tardi e potremo sfruttare la base come deposito".

"Sì', è una buona idea", si complimentò. "In questo modo Malloj potrà verificare passo per passo la procedura del progetto". Prese fiato e si voltò a darmi una rapida occhiata. "Poi se tutto andrà come spero bisognerà salire su in vetta per riprendere la vita dei lupi. Se...", si bloccò di nuovo. Sembrava di colpo sulle spine. "Se te la sentirai potrai accompagnarmi".

"Come faremo coi permessi? Quella zona è interdetta".

"Non per me", gli sfuggì e subito si corresse. "Intendo dire che Malloj non farà storie. Ho già preso accordi con lui".  

"D'accordo, allora vado a istruire il team creativo", scattai in piedi.

La sua mano calò implacabile contro il mio polso e lo artigliò in una stretta che mi fece male. "Ti ho forse detto che potevi andartene?".

"Pensavo che...", abbassai lo sguardo sulle sue dita e cercai di strattonare il polso per liberarmi dalla stretta. Malgrado i miei sforzi però, non accennò a diminuire. "Credevo solo avesse fretta di iniziare".

"Ne ho", confermò. Poi sostituì il tono adirato con uno più gentile. "Siediti".

Con uno strattone gentile mi attirò nuovamente verso la sedia e appena mi riaccomodai lasciò la presa. Sentivo il polso formicolare e allargai e strinsi le dita una dozzina di volte per riattivare la circolazione. Sulla pelle, al posto delle dita di Farrow era rimasto un alone rosso.

Deglutii per ricacciare in gola le lacrime e impostai il volto in un'espressione professionale. Non volevo che capisse quanto mi avesse turbata. Piangere per una sciocchezza simile poi, era davvero fuori discussione.

"Cosa non hai capito del fatto che saremo io e te a seguire la campagna?", sembrava seccato, tuttavia si sforzò di mantenere la calma. "Andremo io e te a perlustrare le varie location e a te spetterà la scelta delle migliori. Come regista ti indirizzerò su ciò che serve per una buona ripresa, quindi non ti lascerò mai sola nel prendere delle decisioni".

"Non ci appoggeremo sullo staff?", ero sorpresa ma del resto non ero mai stata su un set. Il mio lavoro ruotava attorno alla scrivania e al pc. Erano i creativi e i pubblicitari assunti da più tempo a recarsi sui vari set e ad occuparsi delle riprese. Io mi limitavo a fare le fotocopie e le stampe.

"So che non hai esperienza...", si umettò le labbra e per un attimo, scioccamente, mi parve quasi volesse intendere più di quanto in realtà avesse detto. 

Arrossii e non gli sfuggì. Lo intuii da come le sue pupille si strinsero mentre incurvava la testa di lato per osservarmi da più vicino. Il suo respiro si mescolò col mio e per un attimo venni colta dal panico. Fu lui a mettere distanza tra di noi, raddrizzando la schiena.

Quando parlò non vi era traccia di gentilezza, ma solo autorevole certezza: "Farai esperienza con me. Ti insegnerò tutto".

"Tutto?", ribattei confusa. Intendeva davvero promuovermi? 

"Sì, Becky. Tutto", trascinò ogni sillaba, abbassando lo sguardo sulle mie labbra.

Di nuovo ebbi l'impressione che stesse portando avanti due argomenti nel medesimo tempo e mi diedi della stupida perché era totalmente irrazionale. 

In totale imbarazzo cercai qualcosa da dire e la fortuna volle che proprio in quel momento il signor Farrow decidesse di alzarsi di scatto, dandomi la schiena per raggiungere la finestra. La spalancò e vidi le sue spalle sollevarsi in un respiro profondo. Come se fino ad ora avesse trattenuto l'aria in gola.

Mi annusai la punta dei capelli e non percepii alcun odore sgradevole. Dopo l'ultima volta che ero stata nel suo ufficio avevo persino cambiato marca di shampoo per timore di ritrovarmi nuovamente davanti all'atteggiamento disgustato del signor Farrow. Forse era la mia pelle...

"Ho ancora un cattivo odore addosso?", mi sfuggì e subito mi morsi la lingua.

Farrow non si voltò. Anzi! Si sporse in avanti, a caccia di aria fresca. "Il tuo odore è la cosa più squisita che abbia mai potuto annusare".

Impacciata distolsi lo sguardo anche se lui era ancora voltato. Allora perché si comportava come se il mio odore lo infastidisse? Perché si tappava il naso ogni volta che mi muovevo troppo veloce oppure quando giocherellavo coi capelli? Forse lo faceva senza rendersene conto, tuttavia lo faceva...

"Come sei messa con gli altri progetti? Sei a buon punto?"

Annuii e mentalmente mi diedi una pacca sulla fronte. Non poteva vedermi. "Devo mandare in stampa la locandina per il rossetto e modificare la gradazione colore dell'ultimo logo che ha creato il team pubblicitario. Poi per il momento non ha altri compiti assegnati".

"Ottimo!". Finalmente si voltò e di nuovo si pizzicò la base del naso, socchiudendo gli occhi come se fosse appena stato investito da una folata di odore ripugnante. L'espressione talmente seria da mettere in soggezione. "A che ora passo a prenderti?".

"Prendermi?". Non capivo.

"Parliamo la stessa lingua mi pare. Non farmi ripetere".

"Io... signor Farrow...", deglutii e ci riprovai. "Davvero non capisco".

Azzardò qualche passo avanti, allargò le narici e si fermò di colpo. "A che ora passo a prenderti domani? Per andare alle Eagle".

"A dire il vero pensavo di venire da sola". Ero più che spiazzata.

"Non hai un'auto, come pensi di arrivare fino a lì?".

"Come fa a sapere che non ho una macchina?".

"Stiamo ricadendo nel circolo delle domande inutili?", evitò di rispondere.

"Prenderò un taxi", tagliai corto. 

"Ti aspetterò alla base del sergente Malloj". Un lampo di preoccupazione gli increspò la fronte, accentuandone le rughe. "Sai dove si trova?".

"Sì, certo. Malloj è un caro amico di mio padre e andiamo spesso a trovarlo. Conosco benissimo la strada".

"So che sono amici".

"Come fa a...?"

Il suo sguardo mi fulminò, truce, e un alone rosso schiarì i contorni delle iridi. Se avessi avuto più confidenza gli avrei suggerito di andare a fare una visita dall'oculista. 

"Suppongo che anche questa sia una domanda inutile", borbottai, andando seccata verso la porta. "A domani, signor Farrow".

"Ciao Becky", ricambiò cordiale.

Abbassai la maniglia in fretta e furia, desiderando di uscire da lì al più presto.

"Ah! Becky?", esclamò, richiamandomi.

Lo guardai da sopra la spalla. Un sorrisetto fastidioso gli sollevava lo zigomo. 

"A proposito del granito... prima mi stavo riferendo al mio torace".






"


Comi


Mi aspettavo una risposta ma non arrivò. 

"






"Odio














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