Becky - ammissioni

Quando mi svegliai trovai il letto vuoto. La portafinestra era socchiusa e il vento muoveva la tenda, facendola fluttuare nell'aria attraverso i fasci di luce che mi si depositavano caldi sulla pelle del stomaco. 

Avevo ancora la maglietta sollevata, tirata su fino al ferretto del reggiseno, quello un po' sbiadito dove c'era il gancio di chiusura e che usavo spesso perché le bretelle, a differenza degli altri reggiseni, non mi scivolavano quasi mai dalla spalla. 

Lo sperma di Deniel si era ormai seccato, facendo sembrare raggrinzita la pelle su cui era schizzato la sera prima. Attorno a quelle chiazze lievemente più chiare, vidi che degli aloni rossi si stavano frastagliando, allungandosi lungo le costole.

Sfiorai lo stomaco con la punta del dito e subito lo ritrassi, sentendo una sorta di scossa elettrica attraversarmi la falange e serpeggiare verso l'avambraccio. E ancora più su, rincorrendosi in scariche più lievi che si arrestarono all'altezza del cuore.

Trattenni l'aria nei polmoni e balzai seduta sul letto, scalciando per togliere le lenzuola aggrovigliate attorno ai miei polpacci. Posai un piede sul pavimento freddo e mi avventai verso il bagno, talmente spaventata da non far caso che l'angolo del lenzuolo si era arrotolato attorno alla caviglia, trattenendola quando la tirai in avanti in un mezzo passo.

Persi l'equilibrio e barcollai di lato, prima di cadere e sbattere la spalla sulle assi di legno.

"Dannazione", imprecai, mettendomi carponi.

Fu a quel punto che lo vidi. Deniel era lì, la schiena posata sullo stipite della porta del bagno, le braccia incrociate al petto e l'espressione più annoiata che gli avessi mai visto, quasi stesse aspettando da ore intere che mi svegliassi. L'angolo della bocca scattò in su quando una ciocca arruffata di capelli mi finì in bocca. 

"Non che voglia a tutti i costi farti cambiare posizione", disse suadente, osservando sfacciatamente il mio sedere nudo che oscillava mentre a quattro zampe scalciavo via il lenzuolo. "Ma se ti serve una mano non hai che da chiedere".

Imbarazzata agguantai l'orlo della maglietta e lo tirai verso il basso, coprendo le natiche e una buona fetta di cosce. 

"Voltati", ordinai.

"L'imperativo assoluto non ti si addice". 

"Vai al diavolo!".

Si accucciò di fronte a me, lasciando oscillare lo sguardo tra i miei occhi e l'ampio scollo della maglia che, per gravità, pendeva verso il basso, mettendo in bella mostra la parte alta del seno.

C'era qualcosa in quello sguardo. Qualcosa che mi incatenava a lui. Non riuscivo a capirne il senso, eppure, per la prima volta, non mi fece venire voglia di scappare. 

"Mi era quasi mancato il tuo brutto caratteraccio", mi sorrise composto. "Posso sapere di grazia perché sei di nuovo arrabbiata con me?".

"E me lo chiedi?", sbottai, mettendomi seduta. 

Lo sguardo si staccò mal volentieri dallo scollo della maglia e si fissò su di me. "E' quello che ho appena fatto".

"Beh, devi essere particolarmente stupido per non arrivarci. Dio Santo, Deniel! Mi hai marchiata!".

Per un paio di secondi il suo volto perfetto venne attraversato dalla confusione e il sorriso si spense gradualmente. "Se non ricordo male sei stata tu a chiedermi di farlo".

"Mi hai morsa!", precisai. "Ma che ti dice il cervello?".

Il sorriso tornò, seducente. "Non mi sembra che lì per lì tu ti sia lamentata".

Sgranai gli occhi, furibonda, tastando il collo nel punto esatto in cui potevo ancora sentire i quattro piccoli fori. Non faceva male e con tutta probabilità se non avessi conservato il ricordo della sua bocca che tirava, strappava e leccava la striscia di pelle appena sopra la clavicola, non avrei nemmeno sospettato di essere ferita. 

Sulla pelle si era già formata la crosta e quando mi osservai le dita non trovai alcuna goccia di sangue. Eppure le sentii umide, viscide come se avessero toccato una sostanza oleosa.

"E' il mio veleno", spiegò tranquillo.

"Il tuo...", mi strozzai, strofinando energicamente le dita sulla stoffa della maglietta. "Tu mi hai avvelenata?".

"Per gli umani il nostro veleno non è tossico". 

"E questo dovrebbe tranquillizzarmi?". Gli puntai un dito contro il petto e per poco me lo slogai. I suoi pettorali sembravano fatti di granito. "Mi hai morso! Mi-hai-morso! Sai cosa significa questo?".

"In realtà no!".

"Ah, fai pure lo spiritoso". 

Senza ragionare alzai velocemente la mano, colpendolo al volto con forza inaudita, obbligando la sua faccia a voltarsi di lato. Il suono dello schiaffò rimbombò nella stanza a lungo, svanendo pian piano in un silenzio opprimente.

Con la coda dell'occhio mi fissò, serio, e così composto da risultare ancora più minaccioso. "Ringrazia il cielo di essere mia".

Mi massaggiai il polso intorpidito per la forza che avevo adoperato nel colpirlo. "Altrimenti cosa avresti fatto? Mi avresti uccisa? In pratica lo hai già fatto".

"E quando esattamente?", abbassò il tono, rendendolo ironico. "Mentre la mia lingua ti faceva contorcere o mentre ansimavi nel sentire quanto fossi duro per te?".

"Sei un idiota", sbraitai, voltandogli le spalle e puntando la porta del bagno.

"Torna qui. Subito", cambiò tono.

L'ordine perentorio fece montare la rabbia dentro di me con tale forza che, prima che potessi trattenermi, mi bloccai di colpo. "Perché mi hai morsa?".

"E' collegato all'eccitazione. Quando noi maschi godiamo, per espellere il nostro seme dobbiamo nutrirci di qualche goccia di sangue".

"E quando pensavi di dirmelo?".

"Voltati".

"No".

"Becky, per quanto il tuo sedere sia piacevole da guardare, preferisco parlarti guardandoti negli occhi".

Ripresi a camminare verso il bagno e immediatamente, alle spalle, sentii i suoi passi rimbombare contro le assi di legno del pavimento e di conseguenza accelerai il passo.

"Non osare guardarmi il sedere", digrignai i denti.

Ridacchiò, come se la mia rabbia fosse un gioco divertente. "L'ho guardato a sufficienza mentre lo facevi oscillare in un tentativo piuttosto evidente di fare entrare la mia lingua con più foga dentro di te", buttò lì, con sfacciata tranquillità.

"Vai al diavolo".

"Fermati e ascoltami".

"Non ci penso minimamente".

Il colpo secco di uno schiaffo rimbombò nelle mie orecchie e l'istante successivo sentii un bruciore irradiarsi sulla natica. Mi bloccai, senza fiato, gli occhi spalancati per l'indignazione.

"Ho la tua attenzione, ora?", mi imbeccò, improvvisamente serio.

Mi voltai come una furia ma prima che potessi schiaffeggiarlo a mia volta mi agguantò i polsi con una mano, imprigionandomeli dietro la schiena. Sentii il seno schiacciarsi contro il suo petto e l'accenno della sua erezione sbattermi contro la pancia. 

"Regola numero tre: non fuggire mai da me se non vuoi che ti veda come una preda. Fidati, è meglio che io non lo faccia".

"Lasciami andare".

Mi sospinse in avanti, conducendomi a forza dentro il bagno e richiudendosi la porta alle spalle con un calcio.  Incrociò le braccia al petto e posò una spalla contro le piastrelle della parete. Con la testa lievemente inclinata mi stava fissando come se tutto ad un tratto mi fossi trasformata in una piccola preda in trappola.

"Quando ti avrei uccisa?", riprese il discorso.

Strinsi i pugni lungo i fianchi. "Fingi di non sapere di cosa stia parlando quando invece sai benissimo che con quel morso mi hai tolto la vita".

Le sue sopracciglia scattarono verso l'alto. "Ti ho davvero fatto così male?".

"Dannazione, Deniel, fammi la cortesia di non ironizzare su questo. Non ne avevi il diritto". 

Sebbene il sorrisetto sghembo non accennasse a diminuire, la sua sicurezza vacillò. "Ma di cosa stai parlando?".

Per un momento mi dondolai nell'incertezza che si aggrappa disperata alla tranquillità di Deniel, per poi lasciarsi schiacciare subito dopo dalla consapevolezza che non aveva battuto ciglio nel mordermi. 

"Di questo", urlai isterica, puntando il dito contro il morso. "Quanto mi rimane da vivere? Quando mi trasformerò?". 

Le guance di Deniel si gonfiarono e infine gettò la testa all'indietro, scoppiando a ridere. "Io a Carl lo ammazzo!".

"Che centra Carl, ora?".

Nel sentirmi pronunciare il nome del suo Beta, gli occhi scattarono verso di me, gelidi, svuotati da ogni rimasuglio di allegria. "Bada a come parli se non vuoi ritrovarti ancora addosso a una parete".

Ruotai gli occhi e riformulai. "Che centra il tuo Beta?".

"Non avrebbe dovuto farti guardare tutti quei film sui licantropi". 

"Perché?".

"Ascoltami, nessuno sa della nostra esistenza. Nessuno. Chiediti quindi come un regista o uno scrittore possa sapere qualcosa di vero sul nostro mondo. Quei film non sono altro che stronzate fantasy senza una cazzo di logica".

Sbattei le palpebre, confusa. Dentro di me si stava formando una vera e propria rivolta. I sentimenti si stavano ribellando, esigenti, soffrendo per la mancanza di certezze, eppure ogni pensiero, guidato fino ad oggi da inconfutabile senso pratico, accanito nella ricerca di una spiegazione scientifica che potesse razionalizzare l'esistenza di una specie diversa da quella umana, stava iniziando a crogiolarsi nelle parole di Deniel, affidandosi ad esse con una fiducia mai provata.

Deniel Farrow poteva anche essere la cosa più pericolosa sulla faccia della Terra, ma non era un bugiardo. Pur cercando di non coinvolgermi in questa guerra tra licantropi, pur dandomi solo poche informazioni, non mi aveva mai mentito. La sua sincerità era autentica, sebbene non avessi perso occasione per criticarla.

Vedendomi tentennare si staccò dalla parete, posizionandosi le mani sui fianchi. I poderosi tendini delle braccia si tirarono. Impossibile distogliervi gli occhi. "Hai creduto davvero che per averti mordicchiato un po' il collo ti saresti trasformata in una femmina di licantropo?

 "Non... non funziona così?", blaterai, vergognandomi delle mie stesse paure.

"No, e lo sapresti se non fossi così ostinata a comprendere il mio mondo anziché fare uno sforzo per comprendere me come uomo".

"L'ho fatto", sollevai il mento. "E infatti ho compreso che sei uno stronzo".

Gettò fuori l'aria dal naso, in quella che parve una risata sarcastica. "Se l'avessi fatto davvero sapresti che non ti farei mai una cosa simile. Mi hai sempre puntato il dito contro, accusando i miei metodi, senza chiederti perché mi comportassi così. Solo perché appartengo ad un mondo diverso dal tuo. Sei un po' razzista, ragazzina, lasciatelo dire", concluse derisorio, avanzando minaccioso di un passo.

Le sue parole penetrarono dentro di me, una ad una, come piccole spade che laceravano il mio orgoglio e la mia presunzione.

"Voi non lo siete forse?", mi difesi. "Ci giudicate inferiori solo perché umani. Anche questo, a casa mia, è razzismo".

"Continui a parlare di noi. Tu devi cominciare a parlare di me".

"E perché di grazia?".

I suoi occhi mi puntarono, talmente scuri e intensi che mi ritrovai a retrocedere. Una strana luce li attraversava. Non era cattiveria, tuttavia portava in sé una buona dose di minaccia.

"A chi appartieni?".

Sollevai gli occhi. "Di certo non a te".

Un sorrisetto sghembo lo rese più minaccioso. Avanzò di un altro passo, silenzioso come un animale che aveva appena fiutato la propria preda. "Perché sei qui dentro?".

"Mi ci hai trascinata tu".

"Perché stavi correndo al bagno poco fa?", domandò ancora, più aspro.

Gli inviai un'occhiataccia sprezzante. "Per lavarmi via di dosso il tuo... il tuo...".

"Quindi te lo richiedo, Becky: a chi appartieni?".

Feci per mandarlo al diavolo ma il suo successivo passo in avanti mi zittì, obbligandomi a retrocedere. 

Sollevai un dito. Il bagno stava cominciando ad essere davvero troppo piccolo. Mi mancò l'aria. "Stai indietro".

Deniel scrollò la testa lentamente, avanzando ancora. 

Per un momento osservai la porta accanto al suo braccio, valutando quante possibilità avessi per svignarmela.

"Credi davvero che ti farò uscire di qui?", intuì quello che stavo pensando.

"Hai intenzione di tenermi in questo bagno fino quando, ad ottobre, morirai?".

"No", scrollò la testa. La postura era così rilassata che non sembrava nemmeno stesse litigando con me. "Ho intenzione di tenerti qui dentro finché non ti scuserai con me. Sta a te decidere se farlo subito, o tra un'ora o a ottobre".

Deglutii a vuoto quando mi resi conto che stava facendo sul serio. Posai le mani contro le fredde piastrelle della parete alle mie spalle e slittai di lato, cercando di mettere distanza tra di noi.

"Non devo scusarmi di nulla. Ed ora se mi fai la cortesia di uscire vorrei farmi una doccia".

Di nuovo scrollò la testa, compensando con eleganza felina un altro mio passo che mi conduceva verso la porta. "Se tenterai di toglierti di dosso il mio seme le tue mani saranno attraversate da una scarica elettrica talmente forte che ne resterai folgorata".

Spalancai la bocca. "Non potrò mai...?".

"A chi appartieni?", chiese ancora.

Slittai ancora di lato. "Smettila".

Con un movimento fluido mi si parò nuovamente di fronte. "Dillo".

"Di certo non appartengo ad un uomo che per tenermi legata sé ha dovuto mettere ben cinque licantropi a controllarmi".

"Ti rendi conto di quanto sia difficile proteggere una femmina che, ignara di come funzioni il mio mondo, non fa altro che mettersi in pericolo senza nemmeno accorgersene? Sai quante volte ho rischiato di scatenare una guerra in queste ultime ventiquattro ore? Non per ultimo quando hai tentato di abbracciare mio padre. Come credi avrebbe reagito mia madre? Come credi avrei dovuto fermarla? E chi credi avrebbe vinto, tra me e lei?".

Deglutii l'aria. La sua accusa mi centrò in pieno.  Impegnata com'ero a piangermi addosso, non mi ero soffermata nemmeno un secondo a chiedermi quanto difficile e scomoda potesse essere anche la sua posizione. 

Inspirò per calmarsi e lasciò andare il respiro lentamente. "Lasciarti senza i miei uomini accanto, nel mio mondo equivale a condannarti a morte. Sei la mia donna. La donna dell'Alpha. E se questo lascia te indifferente, di certo io non posso mostrare la stessa pericolosissima indifferenza". 

Mi morsi il labbro, ragionando svelta. 

"E non appartengo ad un uomo che minaccia di toccarmi se solo oso infrangere le sue maledettissime regole", elencai, leggermente meno sicura.

" Vuoi sentirmi ammettere che sono geloso di te? Dio, sì. Lo sono. Mortalmente", ammise per la prima volta, senza alcuna esitazione. "Ucciderei per te. L'ho già fatto e lo rifarei. Perché ti vogliono, Becky. Tutti. Chi perché è rimasto abbagliato, chi perché vuole vedere me morto. Chiamare un maschio col suo nome ti metterà in pericolo, e dato che non lo capisci con le buone non mi resta che usare le cattive. E le userò tutte se questo servirà a tenerti al sicuro".

Abbassai lo sguardo sentendo sfuggirmi di mano ogni sicurezza. Lo avevo accusato di maschilismo e di essere un dittatore, senza però sforzarmi d comprendere il motivo per cui si comportasse in quel modo. Era stato facile scambiare il suo senso di protezione per un'innata predisposizione al comando, ed ora lo era altrettanto captare tutto il suo amore all'interno della spiegazione che mi aveva appena fornito. 

Avevo ceduto alla tentazione di criticare le divergenze che regolavano le nostre vite, ma di certo lui aveva rispettato il mio mondo più di quanto avesse fatto il mio. 

"Non appartengo ad un uomo che, mentre dice di amarmi, mi strappa via la carne dal collo", non cedetti, parlando però senza alcuna convinzione.

"Non morderti, non marchiarti la pelle, lasciarti senza protezione... questo sì, sarebbe non amarti", ribatté pronto.

Le risposte logiche ad ogni mia accusa non erano studiate. Non stava recitando, le pensava davvero. Mi fecero improvvisamente sentire dalla parte del torto.

"Deniel", mormorai, sentendo le guance andarmi in combustione. "Senti, mi dispiace, io...".

"Dillo!", incalzò. I suoi occhi mi ricercarono, trovandomi subito. Visti da così vicino apparivano ancora più sinceri. Più solenni. "A chi appartieni?".

Scrollai la testa, prendendo tempo. "Hai detto che se mi scusavo mi avresti lasciata andare".

Con un balzo silenzioso mi si parò di fronte, nervoso. "Dillo".

"NO!".

"Sei la femmina più dannatamente testarda che abbia mai conosciuto", mi sorprese con un sorriso, puntando le mie labbra.

Quindi avanzò di un misero passo, imprigionandomi tra il suo petto e la parete. Mi accarezzò la guancia con la punta del pollice e accostò il labbro all'angolo della mia bocca.

"Cosa stai facendo?", chiesi e il suo labbro si mosse insieme al mio.

"Ti sto suggerendo la risposta".


Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top