7. Numb

È sabato sera e vorrei uscire con Matteo, ma sua madre e suo padre lavorano fino a tardi e gli tocca stare a casa a fare da babysitter al fratellino. Mi dispiace un sacco non vederlo e ho anche rifiutato l'invito di Claudia a uscire con lei, convinta che sarei stata con Matteo.

Scrollo la home di Instagram, sperando magari di vederlo in linea ma niente. Evidentemente, il fratellino gli starà dando filo da torcere. Non è ancora ora di cena, sono appena le sei del pomeriggio, e io non so davvero come far trascorrere questi minuti. D'un tratto, però, un'idea geniale mi balza nella mente.

Posso andarlo a trovare a casa sua!

Lui non mi ha invitato convinto che non mi andasse passare il sabato sera a casa sua a fare da balia a suo fratello, ma tutto sommato posso anche sopportarlo, se in cambio sto un po' con Matteo.

Salto giù dal letto sul quale ero sbracata e apro l'armadio. Voglio mettere qualcosa di carino. Gli occhi cadono su una gonna nera con le balze comprata da Zara tempo fa e che uso solo per i live, perché convinta che mi porti fortuna.

Direi che è perfetta.

La infilo e poi ci abbino una canotta bianca a righe nere e le ballerine nere con le borchie che mi ha regalato Remo lo scorso Natale.

Passo al trucco. Tiro una linea di eyeliner, poi una punta di mascara e il fard per illuminare le guance. Non metto quasi mai nulla sulle labbra, ma questa volta scelgo un lucidalabbra neutro. Davanti allo specchio pettino i lunghi capelli corvini con le mani.

Sorrido a me stessa.

***

Casa di Matteo non è proprio vicina alla mia – diciamo circa una decina di minuti a piedi – ma dalla parte opposta a dove abito io. Durante il tragitto penso a cosa potrei dirgli, o meglio a come potrei organizzare la sorpresa che sto per fargli. Potrei fingermi un'altra persona, quando lui risponderà al citofono, e poi presentarmi direttamente fuori la porta di casa sua. Appena la aprirà, potrei urlare "Sorpresa!" e poi baciarlo prima che possa dire qualsiasi altra cosa.

La scenetta che ho immaginato forse è un po' troppo romantica per i miei gusti, ma credo che valga la pena metterla in scena per Matteo. In fondo sono stata troppo sospettosa nei suoi confronti, quando lui invece si sta rivelando dolce e protettivo nei miei.

Mancano pochi metri per raggiungere casa di Matteo, quando da lontano vedo qualcuno uscire proprio da lì. È Matteo e io mi fermo a osservarlo con un sorriso da ebete stampato sul volto: ha indosso la maglia degli Iron Maiden che gli sta davvero bene e i jeans chiari che risaltano i suoi colori scuri. Sto per alzare la mano per richiamare la sua attenzione, mandando così al diavolo tutti i piani che mi sono fatta, ma mi fermo alla vista di una ragazza che esce appena dopo di lui.

In un primo momento penso che non sia collegata a lui, ma appena lui le stampa un bacio sulle labbra, cambio subito idea. Una mano dietro la schiena e lei che ricambia poggiando la testa sulla sua spalla, si muovono per togliersi da lì; d'istinto mi nascondo dietro a un albero affinché non mi vedano. Li osservo venire nella mia direzione e trattengo il fiato, sperando che non si accorgano di me.

Per fortuna mi sorpassano e svoltano l'angolo, e sono ormai lontani dalla mia vista.

Immobile, schiacciata contro l'albero così tanto che per poco non assaporo la resina con la bocca, non posso credere a quello che ho appena visto. Le gambe tremano, ma non riesco a muovermi. Il cuore batte forte nel petto, la testa pesante... Non so che fare. Quest'albero è per me un rifugio per circa una decina di minuti.

Poi mi ci stacco lentamente e corro via, corro come non avevo mai fatto in vita mia. Le ballerine non sono le scarpe adatte per correre, ma al momento non mi interessa.

Non sento niente.

Non sento l'affanno, non sento la stanchezza.

Le mie gambe non sono mai state così forti.

Il vento mi scompiglia i capelli e li fa sbattere veloci sul mio volto; li sistemo dietro l'orecchio e la mia corsa continua noncurante di tutto e di tutti. Ci sono solo io, come in una bolla.

Al viale alberato, arresto la mia corsa solo per non essere investita da un'auto, dopodiché attraverso la strada, entro nel condominio – il cui cancelletto trovo aperto –, salgo sempre di corsa le tre rampe di scale e mi fermo davanti alla porta di casa mia.

Ho dimenticato le chiavi e mi tocca bussare.

Mi apre Remo, che appena mi vede resta stordito. Quando sono uscita sono corsa via gridando che non ci sarei stata per cena e ora deve essere perplesso dal vedermi già di ritorno.

«Paola, ma che...?» inizia, ma non gli do il tempo di finire la frase, né gli rispondo.

Mi fiondo in camera mia, chiudo la porta, accendo lo stereo e alzo il volume più che posso. Numb dei Linkin Park mi rimbomba nelle orecchie. E mentre i bassi mi battono nel petto, infilo le mani nei capelli e mi tengo la testa tra le mani scuotendola incredula.

Non può essere...

Matteo mi ha tradito.

Come ha potuto?

Cammino per la stanza, giro su me stessa, poi mi lascio cadere seduta sul letto. Alzando lo sguardo in direzione dello specchio, incontro per la seconda volta oggi la mia immagine riflessa. Ma se prima l'ho rimirata soddisfatta di com'era, adesso non lo sono neanche un po'.

Non mi riconosco. Non riconosco ciò che ho fatto a me stessa.

Mi sollevo e quasi mi attacco allo specchio per vedere meglio. La bocca è imbrattata da quel lucido, che levo passandoci sopra il dorso della mano; i capelli sono un disastro, l'eyeliner non ha retto alla corsa ed è andato a sporcare metà palpebra, il fard mi ha macchiato le guance. Strofino forte il palmo della mano sulla guancia destra ma ciò che ho ottengo è di farla diventare ancora di più rossa, così che adesso ho metà del viso a macchie bianche e rosse e metà rosso.

Sospiro affranta, non riuscendo a staccare gli occhi da quell'immagine che, ancora una volta, non riconosco.

Sono davvero io?

Questa ragazza col trucco colato, gli occhi lucidi e i capelli da pazza sono proprio io? No, non può essere così perché io avrei preso a schiaffi quella faccia da culo di Matteo. Invece sono rimasta ferma, a osservarlo mentre mi tradiva.

Perché?

Perché?

Perché?

Lancio un urlo, stringo i pugni e fracasso lo specchio con il gancio destro. Un pezzo di vetro si stacca e cade a terra fracassandosi in mille pezzi; un rumore assordante mi riecheggia nelle orecchie, mentre mi accorgo che una scheggia mi ha tagliato il palmo e ora sulla mano scorre sangue a fiotti. Vorrei fermarlo, la pelle pulsa, ma l'unica cosa che riesco a fare è urlare, urlare per il dolore che ho dentro.

Scivolo in ginocchio, gli occhi appannati dalle lacrime.

Chester Bennington canta "You were just like me with someone disappointed in you" ed è l'ultima cosa che ricordo.

***

Apro gli occhi lentamente. Stesa in quello che non riconosco come il mio letto, avverto lo stomaco sottosopra e la testa scoppiare. Porto la mano alla tempia, come se questo mio gesto possa in qualche modo darmi sollievo, e mi accorgo di avere un ago conficcato nelle vene. Quest'ultimo porta a una flebo da cui scendono gocce trasparenti.

Sono in ospedale, è ovvio.

Le pareti bianche e il letto circondato da sbarre sono un'ulteriore conferma.

Provo ad alzarmi, ma il mio stomaco ha un sobbalzo e per poco non vomito seduta stante.

«Non alzarti. Resta stesa.»

Alla mia destra, appoggiato al muro con le braccia incrociate sul petto, c'è Gabriele. Si avvicina e mi sfiora la mano fasciata, quella che ho usato per fracassare lo specchio.

«Ti fa male?»

Scuoto la testa senza rispondere a voce.

«Avevi delle schegge di vetro nella mano, ho guidato Remo affinché ti portasse all'ospedale.»

«Non potevi guarirmi tu?» affermo in un sussurro rauco.

«Mi hai chiesto di non farlo, avevi paura che andassi via.»

Annuisco, anche se non ricordo per niente di averlo visto e di avergli parlato. Chissà che altro gli ho detto...

Gabriele accenna un sorriso e ritorna ad accarezzare la mia mano, il suo volto è triste e pensieroso e non mi serve leggergli nella mente per capire che avrebbe voluto evitarlo, o che forse avrebbe dovuto. Vorrei dirgli di stare tranquillo, che la mano non mi fa male, ma le parole mi si bloccano in gola. Deglutisco a fatica, la bocca impastata.

«Paola!» Remo entra bruscamente nella stanza. «Sei sveglia! Come ti senti?»

Impaurita, punto gli occhi su Gabriele, che ha smesso di accarezzarmi la mano.

Tranquilla, non mi vede, mi dice mentalmente.

«Sto... sto bene.»

«Oh, Paola!» Remo mi si avvicina, mi accarezza i capelli e mi aiuta a sistemarmi meglio sul letto, mentre Gabriele si sposta affinché non si tocchino. «Mi hai fatto prendere un tale spavento! Perdevi tanto sangue e non riprendevi conoscenza. Non so dove ho trovato la forza di alzarti da terra: lo sai, il sangue mi spaventa, ma dovevo portarti assolutamente qui.»

Sento Gabriele ridacchiare nella mia mente.

«Sto chiamando la mamma e Marco da un'ora, ma nessuno dei due mi risponde e poi...»

Remo continua a parlare ma io quasi non lo sento; credo sia la flebo che mi stordisce. L'unica cosa di cui sono certa e di voler tornare a casa, nel mio letto.

«Portami via» bisbiglio, ma Remo mi ha sentito, perché ferma la sua filippica contro Marco e mia madre e annuisce rassicurante.

«Certo, piccola, chiamo il dottore per l'accertamento e ti riporto a casa.»

Mi dà un bacio sulla fronte ed esce dalla stanza. Un'improvvisa stanchezza si impossessa di me tanto che vorrei solo dormire. Dormire e basta.

Ma prima di richiudere gli occhi mi giro verso Gabriele e scopro che è ancora lì.

Non potrei essere più felice. 



Forse, ma forse, eh, Paola ha capito che Matteo è un imbecille e che in fondo Gabriele aveva ragione a metterla in guardia, così come le sue amiche. 

Però chissà ora come andrà... Di fatto lei non ha ancora detto nulla a Matteo... 

A venerdì! 

Mary <3 

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