21. Cena
«A cosa brindiamo?» chiede Fabio sollevando il suo calice di vino bianco.
Sorrido e imito i suoi movimenti, alzando però il mio bicchiere pieno di ghiaccio e Coca Cola.
Siamo finalmente riusciti a vederci per la cena e mi ha portato in un ristorantino sui Navigli con una vista strepitosa. Infatti, nonostante faccia freddo, ho voluto che ci sedessimo all'esterno, o non avremmo potuto ammirare il panorama fatto di luci che si riflettono sull'acqua del canale e imbarcazioni che fanno fare il giro ai turisti.
«Non lo so, alla fine della tua punizione?»
«Consegna» mi corregge.
«Quando Marco mi dice che non devo uscire per giorni da casa, la chiama punizione.»
«Perché ti mette in punizione?» domanda, curioso.
«No, ma ci prova.»
Fabio ride, abbassa la testa e alza gli occhi su di me. «D'accordo, e poi io direi di brindare anche alla miglior chitarrista.»
«Perfetto.»
«Cin!» esclama e facciamo tintinnare i nostri bicchieri.
Fabio manda giù un sorso del suo vino bianco e io una sorsata della mia Coca Cola.
«È davvero ottimo» afferma, riferendosi al vino. «Sicura che non vuoi assaggiarlo?»
«Sicurissima, e poi ricordati che sono minorenne, o stai cercando di farmi ubriacare?»
«Non lo farei mai, e poi anch'io lo sono.»
«In che senso?»
Fabio sembra colto in fallo, ma poi si riprende e risponde: «Voglio dire che in alcuni paesi non avrei l'età per bere.»
«Perché quanti anni hai?»
«Ventuno a marzo. E tu?»
«Diciassette a dicembre.»
«Mmh... tra poco» riflette mentre taglia un pezzo del suo arrosto, per poi portarselo alla bocca. «Che giorno di dicembre?»
«Venticinque.»
Per poco non sputa tutto quello che ha in bocca. Deglutisce a fatica e si tampona le labbra con il tovagliolo. «Dici sul serio?»
«Sì, sono nata a Natale.»
«Wow. Dammi la carta di identità, voglio controllare.»
«Non mi credi?»
«Certo, ma voglio vedere con i miei occhi.»
Sebbene non ci trovi nulla di entusiasmante, mi volto comunque verso lo schienale della sedia per afferrare la borsa che vi ho attaccato ed estrarre la carta di identità dal portafoglio. La porgo a Fabio.
Lui si schiarisce la voce tossendo. «Venticinque dicembre 1998» legge. «Wow.»
«Non capisco cosa c'è di strano, qualcuno deve pure nascere a Natale, non è mica proibito?»
«Lo so, ma, sai, è un evento particolare per la nostra società, per le nostre credenze. Tu credi, Paola?»
«In cosa?»
«In Dio.»
Sto per rispondergli con un "Assolutamente sì", dato che credo che qualcuno, anche se non è detto che si chiami Dio, abbia deciso che percorso devo condurre e che mi ha mandato Gabriele. Ma per non risultare troppo sicura, mi limito a dirgli: «Un po'.»
«Davvero?» si sorprende lui. «Non me l'aspettavo da te.»
«In che senso?»
«Sembri un tipo molto... Ateo.»
Ateo...
Beh, sì, forse mi sarei definita anche io così prima di conoscere Gabriele, prima di conoscere chi ha ribaltato tutte le mie credenze in fatto di questioni sull'al di là.
«Infatti lo sono... Cioè, non è che credo a quello che dice la Chiesa e nemmeno vado a messa tutte le domeniche. Credo solo che, magari, c'è una presenza che ci permette di vivere tutto questo e che ci permette di vivere anche dopo la morte.»
«Interessante» fa lui. Stringe le labbra in un'espressione di vera curiosità. «Quindi secondo te esiste anche una vita dopo la morte. E cos'è che diventiamo?»
Angeli custodi, risponde la mia mente.
La mia voce, invece, balbettando replica: «Non... non lo so questo, precisamente.»
Poi deglutisco perché questo discorso mi sta facendo improvvisamente avvampare.
«Capisco... Diciamo che, però, la tua sicurezza mi sta convincendo e forse anche io comincerò a credere a una vita dopo la morte. Anche se sembra solo una stupida illusione, senza offesa.»
Scrollo le spalle. «Figurati, ognuno crede a ciò che vuole.»
Fabio annuisce e per qualche minuto restiamo in silenzio, tutte e due con la testa nei piatti. Poi, però, lui riprende a parlare.
«E così la notte di Natale hai trascinato i tuoi genitori all'ospedale. Poverini.»
«Già» commento, criptica, sia perché non mi va di parlare ancora del giorno della mia nascita e sia perché non mi va di parlare dei miei genitori.
Lui sembra accorgersene. «Ho detto qualcosa che non va?» chiede, gli occhi puntati su di me.
«No.» Mi ficco un boccone di filetto in bocca e lo mastico lentamente. «Diciamo solo che mi hai fatto ripensare a mio padre ed era molto che non accadeva» confesso.
«Oh, scusami! Io non lo sapevo, lui è...»
«No, non è morto» lo anticipo e lui tira un respiro di sollievo. «È solo fuggito.»
Anche se fa male uguale quanto la morte, se non di più.
«Mi dispiace» sussurra Fabio. «Davvero, sono desolato. Sono riuscito a tirare fuori l'unico argomento di cui non vuoi parlare.»
Gli sorrido. «Non lo sapevi» lo tranquillizzo. «E poi non è che non ne voglio parlare, è solo che non saprei nemmeno cosa dirti: ne so meno di chiunque. Ho provato a chiedere qualcosa di lui alla mia famiglia, su che lavoro fa, o su dove vive, ma non ho mai ottenuto risposte.»
«Mi sembra alquanto strano, non trovi?»
«In che senso?»
«Beh... sicuramente ti tengono all'oscuro per proteggerti, ma io penso che così non fanno altro che alimentare la tua curiosità. È evidente che c'è qualcosa che non ti hanno detto.»
«Dici?» Mi appoggio alla sedia con la schiena e rifletto sulle sue parole. «Non ci avevo mai pensato, sai? Ma cosa potrebbe essere di così brutto da dovermelo nascondere?»
«Non ne ho idea, ma io, se fossi stato in te, avrei già smosso mari e monti per saperlo.»
«Il fatto è che non ne sento molto il bisogno. Non c'è mai stato nella mia vita e di conseguenza non ne ho mai sentito la mancanza. Però forse è vero che, così facendo, la mia sete di sapere non si è mai placata.»
«Se vuoi trovarlo, posso fare una ricerca in ufficio.»
«No, grazie» rispondo, sicura.
«Come vuoi, ma se hai bisogno di me basta chiedere.»
Mi fa l'occhiolino e io mi lascio andare a un risolino.
«I signori gradiscono altro?» Il cameriere si intromette nella discussione con una mano dietro la schiena e il menù nell'altra.
«Vuoi qualcos'altro? Un dolce?» mi chiede Fabio.
Mi pulisco le labbra con il tovagliolo. «No, grazie, sto bene così.»
«Sicura?»
«Sì.»
«Ci porti il conto, allora» dice Fabio al cameriere, e lui annuisce per poi sparire tra i tavoli. «Ti va di andare a fare un giro?»
«Certo.»
Quando il cameriere ritorna con il conto, Fabio tira fuori il portafoglio dalla tasca dei pantaloni, lo apre e ne estrae la carta di credito. L'uomo la afferra.
«Torno subito» dice, prima di andarsene di nuovo insieme allo scontrino. Al suo ritorno, ci alziamo entrambi. «È andato tutto bene?»
«Sì, grazie.» Fabio gli porge la mano e il cameriere la stringe sorridendo. «Andiamo?» chiede a me.
Annuisco.
«Arrivederci.»
Fabio saluta il cameriere, prima di cingermi le spalle con un braccio.
«Arrivederci» farfuglio a mia volta.
Parcheggiare l'auto nei pressi dei Navigli è un'impresa quasi impossibile, per cui siamo stati costretti a lasciarla in un parcheggio al quale ritorniamo prendendo la metropolitana. Prima di salire in macchina, Fabio mi bacia appassionatamente tenendomi ferma con la schiena alla portiera della Fiat. Muove le labbra sulle mie, e io cerco di seguire il suo ritmo, ma la sua barba accennata mi fa venire i brividi e ridacchiare.
«Hai una risata fantastica» dice.
Poi mi accarezza il viso con il dorso della mano, scende fino ai miei capelli e ci giocherella stringendoli tra le dita. Chiudo gli occhi e assaporo di nuovo il momento delle sue labbra sulle mie, morbide e carnose e dal sapore dolce del vino che ha bevuto.
Piccoli baci, uno dietro l'altro come se non ne avesse mai abbastanza, quindi il suo bacio diventa ancora una volta passionale.
«Forse è meglio se saliamo in macchina» afferma, fermandosi a respirare. «O sto tutta la notte a baciarti.»
Il che non mi dispiacerebbe affatto, ma mi stacco anche io da lui ed entrambi saliamo in macchina. Non mi chiede dove voglio andare, quindi suppongo che abbia una meta ben precisa in mente.
Allungo una mano a ridosso del cambio e lui subito la afferra per stringerla con la sua. «Sei sicuro che puoi guidare?» faccio per evitare di sentire il cuore che, forte, galoppa nel petto. «Hai bevuto.»
«Tranquilla.» Per un attimo si volta verso di me, sorride. «Sto bene, o hai paura che ci fermano i carabinieri?»
«No, non credo accadrà» rido. «Dove mi stai portando?»
«Non te lo dico.»
«Ma dai, lo voglio sapere!»
«No, no.»
Sbuffo, ma non lascio andare la sua mano e nemmeno lui lascia andare la mia. Dopo qualche minuto, parcheggia di fronte la gelateria del mio primo appuntamento con Matteo.
Deglutisco, provando a celare il mio disappunto. Ma perché sono tutti fissati con i gelati?
«Mi hanno detto che qui fanno delle granite ottime» dice Fabio, entusiasta, spegnendo l'auto.
«Sì ne ho... ne ho sentito parlare» borbotto.
Ordiniamo due granite, io all'arancia e lui al limone, poi torniamo in auto per sorseggiarle senza il freddo pungente che c'è all'esterno, e forse l'idea della granita, sotto questo punto di vista, non è stata eccezionale.
«Oh!» Fabio si lamenta stringendo forte gli occhi e portandosi una mano alla tempia. «Mi sto congelando il cervello.»
«Cosa ti aspettavi?» Sorrido e tiro un sorso della mia granita. «Fa troppo freddo per bere quello che è a tutti gli effetti ghiaccio.»
«Attenta, che per me stai bestemmiando. E poi per noi, in Sicilia, la granita si può bere sempre, non solo in estate.»
«Che esagerato! È pur sempre Italia, ci sarà l'inverno anche in Sicilia.»
«Certo, ma non come qui. E poi io ho il sole dentro!»
Scoppio a ridere e la granita che avevo in bocca con uno sputo va a finire sul sedile di Fabio.
«Fai attenzione, che la macchina è nuova.»
«Scusa, ma tanto è solo acqua...»
Fabio alza un sopracciglio, cercando di essere minaccioso, ma al momento non attacca con me.
«Ti è piaciuta la cena?»
«È stata ottima» rispondo.
Lui sorride soddisfatto. «Sono contento che il posto ti sia piaciuto.»
«Beh, quella vista era incantevole.»
«Bella, hai ragione. Bella davvero» pronuncia con una lentezza che mi fa capire che non si sta riferendo solo alla vista del ristorante. Infatti, il suo sguardo è così penetrante sul mio corpo, così fisso che quasi sembra che voglia leggermi nella mente. Arrossisco e, imbarazzata, abbasso gli occhi sulla mia granita.
Continuo a sorseggiarla, finché non finisce e io non ho più scuse per non guardarlo. Tuttavia, anche lui l'ha finita e dopo aver preso il bicchiere sporco dalle mie mani, scende per gettarli entrambi.
«Torniamo?» chiede, quando rientra.
«Va bene.»
Di fronte casa mia, c'è qualche attimo di silenzio tra noi. Sappiamo entrambi che è il momento dei saluti, ma forse, entrambi, non vogliamo che tutto questo finisca.
Sono stata davvero bene.
«Sono stato davvero bene, Paola.»
La sua frase mi fa sussultare per un attimo, ma poi il suo sorriso dolce mi fa sciogliere e perdere la testa.
«Anche io.»
«Mi fa piacere.»
Sto aprire la bocca di nuovo quando si fionda su di me e mi bacia tenendo la mia testa ferma tra le sue grandi mani.
Tra un bacio e l'altro, apro gli occhi per sbirciare la sua espressione: ha gli occhi chiusi ed è rilassato. Li richiudo a mia volta.
Paola?, mi chiama Gabriele.
«Mh...» mi lamento tra le labbra di Fabio.
«Che c'è?» Fabio blocca i suoi baci. «Va tutto bene?»
«Sì, tutto bene.»
Questa volta sono io ad avvicinarmi al suo viso, lo bacio e riprendiamo il nostro ritmo.
Dove sei?, continua Gabriele.
Con Fabio, fuori casa mia.
D'accordo, ci vediamo dopo in camera tua.
Fabio si stacca da me. «Devi andare?»
Guardo l'ora e scopro che è quasi mezzanotte. «Sì, dovrei.»
«D'accordo, allora buonanotte.»
«Buonanotte.»
Fabio mi scocca un ultimo bacio, quindi mi lascia andare per poi riprendermi per un braccio e darmene altri venti, di baci. Alla fine, mi lascia davvero entrare in casa.
***
Mi getto sul letto a pancia in su, gli occhi sul soffitto e un grande sorriso sul volto.
«Dove ti ha portato?» domanda Gabriele, spuntando dal nulla come mi aveva anticipato.
«Sui Navigli, è stato bellissimo.»
«Bellissimo?» mi fa eco lui. «Era bellissimo il posto dove ti ho portato io, il ristorante sui Navigli al confronto era carino.»
Mi giro a guardarlo, interrogativa.
«Dico sul serio» continua, la fronte aggrottata e gli occhi fermi nei miei. «Io posso portarti in qualunque posto desideri andare. Vuoi vedere? Dammi la mano.»
Gabriele mi porge la sua mano destra, ma io non la stringo e mi siedo. «Gabriele, sei geloso?» mi viene da chiedergli d'istinto.
Lui sbuffa. «Certo che no!» sbotta.
«Allora che ti prende e perché ti stai paragonando a Fabio? Tu sei il mio angelo custode e hai dei doni straordinari, è logico che Fabio come umano sia limitato in certe cose, così come lo sono io.»
«Tu non sei limitata, tu puoi fare grandi cose perché ci sono io con te.»
«Ma la tua presenza è solo per indirizzarmi sul sentiero giusto, l'hai detto tu stesso che non posso sfruttare i tuoi doni per un rendiconto personale.»
«Sì, è giusto, ma...»
«Ma?» lo incalzo.
Scuote la testa. «Niente, lascia stare.»
Poi si tortura il labbro con i denti in un gesto che ho visto fare a chi è in imbarazzo, ma chissà se per lui vuol dire la stessa cosa.
«Resti a dormire con me?»
Forse ha bisogno di sapere che non preferisco altri al mio angelo custode, anche se tra noi c'è un rapporto totalmente diverso da quello che potrò mai avere con chiunque altro essere umano.
«No, non posso. Ci vediamo domani, forse.»
«Forse?» rigiro la domanda, ma lui non risponde.
«A domani» ripete, prima di andare via.
Che ne dite? La cena pare sia andata piuttosto bene, anche se alla fine quello a essere strano è stato Gabriele... Che prende ora anche a lui?
A venerdì!
Mary <3
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