2. Abbandono

Seduta sul pavimento della mia camera da letto, imbraccio la mia bellissima chitarra elettrica, una Gibson Flying V. Ha la forma di una "V" rovesciata, il corpo in mogano così come il manico, ed è perfetta per il genere che suono io, ovvero il Rock e il Metal. A causa della sua forma, però, è davvero scomoda da suonare da seduti, dato che tende a sbilanciarsi, e infatti non ho nemmeno attaccato l'amplificatore. Mi sto limitando a suonare qualche accordo a caso, considerando anche che sono le tre del pomeriggio e il condominio in cui vivo mi si rivolterebbe contro se iniziassi davvero a suonare. Se iniziassi davvero a suonare la mia musica "satanica", come la definisce la signora Vaccari, che abita nell'appartamento di fianco al nostro.

Non mi dà molta gioia suonarla così, perciò dopo poco mi annoio e lascio perdere. Poggio la chitarra sul suo sopporto, sistemato di fronte alla porta in modo tale che io possa vederla ogni volta che metto piede in stanza, e la osservo ancora per qualche secondo. La adoro. L'ho soprannominata Amy, come Amy Lee degli Evanescence, la mia cantante preferita.

«Però, cara Amy, adesso devo proprio mettermi a studiare» le dico. Sono trascorse infatti due settimane dall'inizio della scuola e io non ho svolto nemmeno uno dei compiti assegnati. Vorrei non dovermi ridurre sempre all'ultimo, per una volta.

Svuoto lo zaino sulla scrivania e scostando quaderni, penne e quant'altro, afferro il diario, che apro alla pagina di domani. Inizierò dagli ultimi che ci sono stati assegnati, poi vedrò di fare gli altri. O forse dovrei fare il contrario?

Sfoglio il diario per capire se è necessario partire dai primi che abbiamo avuto e nel farlo mi accorgo di un bigliettino infilato tra le pagine.

"Prima delle vacanze mi avevi promesso un appuntamento, esci con me sabato?

M."

So benissimo per cosa sta quella "M". Matteo Lanzi, mio compagno di classe, voleva uscire con me prima delle vacanze estive, ma poi c'è stato tutto il casino della sua ormai ex fidanzata e non se n'è fatto più niente. Non vederlo né sentirlo per alcuni mesi ha aiutato sia me sia lui a capire che cosa provavamo l'uno per l'altra e devo dire che a me non dispiacerebbe affatto uscire con lui. Il problema, se così vogliamo definirlo, sono le mie migliori amiche: Claudia, Elisa e Michela. Ce l'hanno con lui per ciò che ha fatto l'anno scorso e sono convinte che non dovrei affatto considerare una frequentazione con lui. Addirittura, secondo loro, dovrei smetterla anche di parlarci e dovrei iniziare invece a considerare altri ragazzi, come quel Gabriele arrivato da poco e che ogni giorno prova a instaurare – senza successo – una conversazione con me. In tutta onestà, io non la vedo così tragica. Matteo ha sbagliato, è vero, ma tra tutti i miei compagni e tra tutti i ragazzi che conosco è quello più simile a me.

È una testa calda, non si preoccupa mai di dire quello che pensa, né gli interessa quello che gli altri pensano di lui. Ascoltiamo lo stesso genere musicale, il che per me è un enorme punto a suo favore, dato che, se non si fosse ancora capito, la musica è tutta la mia vita; inoltre, mi attrae anche fisicamente: adoro vedere i suoi capelli ricci sempre in disordine e sebbene non sia molto alto, ha una corporatura atletica.

Tuttavia, decido di lasciare la risposta per dopo, per quando avrò finito i compiti, e mi dedico allo studio. Dopo due ore non ho finito nemmeno la metà dell'assegno, ma sono stanca e non ho intenzione di perderci altro tempo. Chiudo i libri, scarabocchio un veloce "Sì" sul bigliettino di Matteo e lo rimetto nel diario. Dovrò ricordarmi di darglielo domani a scuola.

Nell'alzarmi dalla scrivania, il mio sguardo cade di nuovo su Amy. E questa volta posso davvero darmi da fare con lei. Quindi non solo la imbraccio come si deve – in piedi, con la tracolla che passa sulla spalla sinistra – ma attacco anche l'amplificatore. Regolo l'accordatura, tolgo il plettro da sotto le corde e provo l'intonazione con un accordo. Il suono della mia Amy riecheggia nella stanza, facendo vibrare le pareti. Un altro accordo, questa volta però uso il pick-up. Quando è tutto pronto, provo il nuovo brano che abbiamo deciso di suonare con la mia band, In the end dei Linkin Park.

I tried so hard and got so far

But in the end, it doesn't even matter...

La canticchio mentalmente, per aiutarmi con gli accordi, ma non sono arrivata neanche al secondo ritornello, che qualcuno mi interrompe.

«Paola?»

Mia madre è sulla soglia della porta della mia stanza. Sorride, ancora indosso i vestiti formali che usa per andare allo studio in cui lavora come Architetta; i capelli mossi tirati in alto e fermati con quella che ha tutta l'aria di essere una forchetta di plastica.

Sarebbe proprio da lei.

«Sì?»

«È tardi e la cena è quasi pronta.»

«Ma se non ho neanche iniziato!»

«Lo so, ma potrai farlo domani, e poi mi serve una mano.»

Sbuffo e controvoglia, dopo aver posato di nuovo Amy sul suo supporto, la seguo fino in cucina. Lì ci sono già Marco e Remo. Remo sbuccia le patate, che suppongo voglia friggere, dato l'olio che già è stato messo nella padella; Marco, invece, è seduto a capotavola e legge il giornale.

«Ehilà» mi saluta Remo, «come sta la mia sorella preferita?»

«Annoiata già dalla scuola e triste perché non ho finito di provare il pezzo nuovo.» Prendo la tovaglia e inizio ad apparecchiare la tavola. «Tu stasera esci?»

«Assolutamente sì» fa lui, mentre taglia in strisce più o meno uguali le patate. Alza gli occhi azzurri su di me e mi fa l'occhiolino. «Vuoi venire con me?»

«N...»

«Non può venire con te, Remo» si intromette Marco. Chiude il giornale e lo poggia sul tavolo, proprio sopra alle posate che ho appena messo. «Ha sedici anni e i minorenni non entrano in discoteca.»

«Non entrano in quelle in cui vai tu, casomai. In quelle in cui vado io, invece, è il meno che può succedere.»

«In che senso, scusa?» L'istinto da sbirro di Marco si anima e la sua concentrazione è tutta su quello che ha detto Remo. «Circola droga?»

«Non te lo dico.»

«Dovresti.»

«Non devo proprio niente, sbirro con la mazza nel culo che non sei altro.»

Mi scappa una risata per quello che ha appena detto Remo, ma la camuffo subito con una finta tosse quando Marco mi rivolge uno sguardo omicida.

«Comunque...» ritorna a parlare Marco, «mi chiedo quando la smetterai di perdere tempo e inizierai a darti da fare sul serio. Un lavoro quando lo trovi?»

«Quando tu ti sposi e te ne vai da questa casa.»

«Se io mi sposo e me ne vado da questa casa, come dici tu, voglio proprio vedere come fate tutte e due.» Marco indica me, poi Remo. «O i miei soldi improvvisamente vi fanno schifo?»

A me no.

Non mi fanno schifo per niente.

Pure perché se contassi su mia madre, per quanto riguarda la paghetta, la riceverei una settimana sì e altre mille no. Marco almeno è un "pagatore" regolare. Il fastidio è, come in questo caso, quando ci rinfaccia di prestarci soldi, o di finanziarci economicamente quando in effetti non sarebbe del tutto compito suo.

«I soldi non fanno mai schifo, soprattutto quando arrivano dalla famiglia e con affetto.» Mamma si inserisce nel discorso lasciando perdere per un attimo la cena che stava preparando. Scompiglia i capelli a Remo e carezza la guancia a Marco. «Marco, fai anche di più di quello che dovresti per questa famiglia e i tuoi fratelli te ne sono grati, così come te ne sono io. Ma, effettivamente, non pensi che sia arrivato il momento per te e Rosaria di mettere su famiglia?»

«La farai diventare vecchia, quella povera ragazza» continua Remo.

«Smettila, Remo» risponde Marco. «Smettetela in generale con questo discorso. Mi sposerò quando vorrò perché, a quanto ho capito, in questa famiglia ognuno fa il cazzo che gli pare.»

«Te ne potevi andare pure tu, allora, se la pensi così.»

«Non ti permettere!» Marco si alza di scatto dalla sedia per puntare l'indice su Remo. Nei suoi occhi c'è il fuoco di chi un confronto del genere non vorrebbe mai sentirlo, e non posso dargli tanto torto. «Non osare, Remo.»

Remo non dice niente. Resta solo fermo, col petto che si abbassa veloce, a pochi centimetri dalla mano tesa ma che trema di Marco. Non è la prima volta che battibeccano, non è la prima volta che Marco accusa Remo, anche se velatamente e mai direttamente, di essere un nullafacente; e non è la prima volta che Remo risponde a queste accuse mettendo in mezzo la sua relazione con Rosaria, che dura da più di cinque anni e che sembra essere ferma senza proseguire.

Però è la prima volta che Remo dice una cosa del genere.

So benissimo quanto possa fare male quell'accusa. Difatti, dopo l'intervento ancora una volta di mia madre e la cena triste e desolante che ne segue, quando torno in camera mia non faccio altro che pensarci.

Nostro padre ci ha abbandonato. Un giorno, qualche anno dopo la mia nascita, ha deciso che era stufo della sua vita con la mia famiglia e se n'è andato. Non ha mai più cercato di mettersi in contatto con noi, né di provare a spiegare i motivi del suo gesto. Ed essere paragonati a lui è quanto di più brutto ci possa essere, nella mia famiglia. Così com'è odioso per me sentirmi dire che meritavo quell'abbandono, che sono una ragazza ribelle e scostumata e che nessun padre vorrebbe mai avermi come figlia. Questo in realtà non lo so per certo, non lo so se mio padre non voleva avermi: è andato via che ero piccolissima e non ricordo nulla di lui, né del nostro rapporto. So solo che perfino la professoressa Brandelli si è sentita in diritto di dargli ragione, di dirmi che lo capiva, se mi aveva abbandonato.

E poi quella stronza sono stata io, che le ho tirato una sedia addosso. La violenza non è mai la risposta giusta, dicono, intanto è la prima reazione che mi viene da tenere, quando vado fuori di testa per la rabbia.

Mi sdraio sul letto e fisso il soffitto. In un attimo mi tornano alla mente tutte le volte in cui sono esplosa scagliandomi con violenza su cose e su persone; tutti i litigi sfociati in silenzi mai interrotti o in rapporti rovinati.

Una lacrima solitaria mi riga il volto e socchiudo gli occhi nel tentativo di scacciare via ogni pensiero intrusivo che sto avendo in questo momento.

Ogni ricordo che mi stringe la gola in una morsa e mi fa venire voglia solo di aprire le porte, le finestre e cercare aria.

Dopo qualche minuto sento che sta funzionando e lentamente scivolo in un sonno profondo ma agitato. 



C'è una ferita profonda nell'animo di Paola, ed è dovuta all'abbandono del padre. Anche se lei finge che non gliene interessi, in fondo ci soffre moltissimo e in generale il fatto che l'argomento "padre" nella sua famiglia sia così delicato non aiuta per niente. 

I suoi fratelli ce l'hanno a morte con il padre (capirete poi) e la madre non ama parlarne. 

Forse covano un segreto? 

Lo scopriremo... 

A martedì! 

Mary <3 

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