18. Il filo che ci unisce

«Come cavolo ti è saltato in mente?» inveisco contro Gabriele, con il quale sono al parco vicino casa mia. Dopo avermi riaccompagnato, in un viaggio di ritorno senza neanche una parola detta per sbaglio, Fabio mi ha salutato con un "Ci vediamo" ed è scappato via.

Ed è tutto per merito di quello che dovrebbe essere il mio angelo custode.

«Non...»

«Non dirmi che non doveva andare così!» lo blocco prima che possa finire la frase. «Ti ho chiesto prima se potevo uscirci e tu mi hai detto di sì. Adesso non venirmi a dire che "non doveva andare così", anche perché ne ho abbastanza di questa frase!»

Gabriele sbuffa, incrocia le braccia sopra al petto. «Non è questo. Non riesco a vedere il tuo futuro legato a lui e non mi sembrava il momento giusto per far succedere qualcosa tra di voi. Ho bisogno di tempo per capire e nel frattempo devi evitare di agire d'istinto.»

«Che cosa?» Sbatto le palpebre, perplessa. «Deve esserci anche un momento giusto per far succedere qualcosa tra di noi? Considerando quello che hai fatto, non credo proprio ci saranno altri momenti!»

«Che vuoi dire?»

«Che voglio dire? Sei duro di comprendonio, mio caro angelo» affermo, imitando le sue parole di qualche tempo fa. «Dopo la splendida figura che mi hai fatto fare, sono sicura che non vorrà vedermi mai più!»

«Esagerata! E perché non dovrebbe? Sei una ragazza adorabile.»

«Adorabile?» Mi porto la mano alla tempia e in questo modo cerco, anche se inutilmente, di fermare il mal di testa che mi sta venendo. «Mi stai facendo innervosire, come fai a dire che sono adorabile?»

«Perché lo sei.»

Lo dice, ma sorride e poi ridacchia. Cos'è, mi sta prendendo in giro?

Sto per riaprire bocca per dirgliene quattro, quando il cellulare nella tasca vibra. Lo prendo in fretta e altrettanto in fretta leggo l'SMS di Fabio. Dice che dobbiamo rimandare la cena di sabato perché gli hanno spostato i turni, si scusa tanto e mi promette che ci sentiremo presto. Non ho molta esperienza in fatto di ragazzi, ma so cosa significa: mi ha scaricato.

Nervosa, sollevo il telefono per far leggere a Gabriele ciò che c'è scritto.

«Hai visto?» urlo. «Mi ha scaricato!»

Gabriele sbuffa di nuovo, spazientito, e la sua rabbia non fa altro che farmi incazzare ancora di più. Lui non può permettersi di avercela con me: questa volta ho ragione io.

«Che vuoi che ti dica?»

«Ammetti di avere torto. Ammetti che hai fatto una stronzata!»

«Non ho fatto una stronzata» ringhia.

«Sì che lo hai fatto!»

«Non posso credere che stiamo discutendo di nuovo! Ne ho abbastanza.»

«Tu? Tu ne hai abbastanza? Che cosa dovrei dire io? Sei piombato nella mia vita promettendomi che mi avresti aiutato, che mi avresti consigliato, ma da quando sei qui non hai fatto altro che mettermi il bastone tra le ruote!»

«È questo che pensi?»

«Sì.»

Gabriele sospira. «Ti ho già spiegato mille volte che il tuo comportamento non porta a niente di buono, né per te né per gli altri.» Poi si ferma d'improvviso, fissa le panchine di fianco a noi. «D'accordo, siediti, ti spiego come funziona.»

«Che?»

«Siediti.»

Faccio come mi dice e aspetto che si sieda a sua volta e che inizi a parlare.

«Stammi bene a sentire, perché lo dirò una sola volta. Ognuno di noi, o meglio, ognuno di voi umani è collegato con un filo sottile ad altri esseri umani, che, a loro volta, sono collegati ad altri e così via. Ci sei fin qui?»

Annuisco.

«Bene» continua. «Immagina, nella tua mente, un filo collegato da te a tua madre, ai tuoi fratelli, e immagina che loro siano collegati a – non lo so – tuo fratello a Rosaria, per esempio, Remo a Michela, e così via. Ora immagina di tagliare quel filo, o di aggrovigliarlo. Che cosa succederebbe secondo te?»

«Succederebbe che il loro filo, collegato al mio, si spezzerebbe o si aggroviglierebbe a sua volta.»

«Esatto.»

«Una specie di "effetto domino"?»

«Più o meno sì.»

«Questa tua spiegazione filosofica, però, non spiega perché ti sei comportato così. Mi vuoi dire che, agendo per una volta d'istinto e vedendomi con Fabio senza il tuo consenso, avrei stravolto così tanto il disegno creato per me?»

«Non lo posso sapere con certezza, ma poteva capitare. Potevi baciarlo, starci più tempo insieme e quando ti avrebbe accompagnato a casa avreste potuto incontrare Marco e sarebbe successo il finimondo. Lo sai, vero, che tuo fratello è a casa in questo momento e che sta sbraitando come un matto?»

«No, non... non ricordo tutti i turni di Marco e poi perché lui... insomma... No, lascia perdere, non voglio saperlo. Avrei quindi fatto succedere qualcosa che non doveva accadere, giusto?»

«Esatto.»

«Mi vuoi dire quindi che l'hai fatto per me e che così rivedrò Fabio?»

«Non ho detto questo, ma che ho solo cercato di salvare il salvabile, oggi.»

«Mh... Però credo che il tuo intervento sia stato inutile e che si vede che doveva andare esattamente così.»

«In che senso?»

«Beh, il suo messaggio era chiaro. Non credo lo rivedrò più.»

«Se lo dici tu.»

«Sai qualcosa che non so?»

«No.»

«Capisco...»

D'improvviso, la malinconia mi invade. Se il gesto di Gabriele è servito per "salvare il salvabile", come ha detto, tanto valeva che almeno me lo faceva baciare. Avrei corso il rischio, ma ne avrei tratto un minimo di soddisfazione. Invece così sono stata scaricata e anche senza aver neanche il piacere di provare.

Il sole sta via via scomparendo ed è l'ora per me di tornare a casa per la cena. Saluto Gabriele e mi avvio verso casa. Di fronte alla porta, sono costretta a bussare perché non ho le chiavi.

Ad aprirmi è Marco, arrabbiato come poche volte l'ho visto. Lo capisco dall'espressione che ha sul volto, ma anche perché mi tornano in mente le parole di Gabriele di poco fa. Rosaria, alla sua sinistra, cerca di dirmi qualcosa che però non afferro.

«E tu dove cazzo eri?»

«Io, ero, mmh... al parco.»

«A fare che?»

«A...»

«Amore, dai, non prendertela con lei» mi blocca Rosaria, mentre mi fa cenno di entrare. Sorpasso Marco e lui chiude la porta alle mie spalle. «Calmati, ti prego.»

Lui sbuffa, o sarebbe meglio dire che fa uscire l'aria dal naso come un toro pronto ad attaccare.

«Che è successo?» provo a chiedere.

«Cose di lavoro.»

«Il suo collega, Fabio, hanno discusso» mi spiega Rosaria.

Rabbrividisco.

«Collega?» urla Marco d'un tratto. «Lui è un mio sottoposto e deve obbedirmi! L'ho chiamato mille volte, ma non mi ha mai risposto. Non ci si comporta così: è un carabiniere e deve essere sempre pronto nel caso in cui serva.»

«Marco, è solo un ragazzo. Sii paziente.»

«Un ragazzo? Io non ero così scostumato alla sua età e soprattutto non mi sono mai permesso di rispondere al mio Maresciallo come lui ha fatto con me! Ma tanto gliel'ho fatta pagare, gli ho tolto il sabato sera libero. Così impara! Chissà con quale delle tante galline che gli vanno dietro era! Una deficiente come lui, ne sono sicuro.»

Oh, cavolo. Se solo Marco sapesse...

Però almeno adesso so che Fabio non mi ha scaricato e che gli hanno davvero spostato i turni. Anzi, che gli ha spostato i turni.

Mentre Marco continua a inveire contro Fabio anche se lui non c'è, ripenso al pomeriggio che abbiamo trascorso insieme e un sorriso lascia spontaneamente le mie labbra.

«Che cavolo ridi tu?» Marco ferma il mio idillio. «Vuoi che tolga il sabato libero anche a te?»

«Marco!» lo rimprovera Rosaria, poi lo afferra per un braccio e lo bacia. «Calmati.»

Marco deglutisce, Rosaria lo bacia ancora e mentre sono avvinghiati, Rosaria mi intima di uscire dalla stanza.

So che non è per avere un po' di privacy e che mi ha salvato una seconda volta.

***

Ieri sera sono andata a letto presto e questa mattina ho trovato una chiamata persa di Fabio, ma a scuola non ho trovato un solo momento di pausa per scrivergli un SMS. Avrei almeno voluto dirgli che so della punizione che gli ha dato mio fratello, anche se in termini diversi. L'unica cosa che sono riuscita a fare è stata riferire a Gabriele quanto è successo ieri e non l'avessi mai fatto...

Ha gongolato per tutto il tempo.

«Hai visto? Non ti ha scaricato

Sì, solo culo, direi.

Però almeno mi ha concesso di frequentarlo, mentre lui cerca di capire cosa c'è che non va nella connessione mia e sua. Crede, infatti, che lo stare sulla Terra gli abbia fatto perdere parti delle sue capacità e per questo motivo non riesce come prima a vedere il mio futuro, o ciò che le mie azioni potrebbero comportare alla linea che dovrei seguire. Considerando, poi, che non percepisce non solo cose che riguardano Fabio, ma anche altri aspetti della mia vita.

Per una parte, l'intera questione mi preoccupa; dall'altra ammetto di sentirmi un po' più libera al pensiero che Gabriele non abbia il pieno controllo della mia vita e delle mie azioni. Sono sempre disposta a fare come mi dice, ma credo che una certa libertà, soprattutto in questioni futili come l'amore, non potrebbe che farmi bene.

Anche se di amore, qui, non ce n'è e sto esagerando nel definirlo in questo modo. Quello che abbiamo io e Fabio è dell'interesse reciproco che potrebbe essere coltivato, come naufragare.

Per questo motivo, decido di chiamarlo e di fare io un passo verso di lui. E decido di farlo mentre sto andando alle prove con il gruppo. Risponde dopo alcuni squilli.

«Ciao.»

«Ehi.»

«Dove sei?»

«Per strada, sto andando a provare.»

«Provare?»

«Sì, ho le prove con il gruppo.»

«Ah. Va bene, allora sarà per la prossima.»

«Cosa?»

«Volevo vederti. Ho finito il turno e per qualche ora posso scappare dalla caserma.»

«Puoi venire alle prove, se ti va.»

«Oh. D'accordo, sembra divertente! Dov'è la sala?»

«Via dei Gigli numero trentatré. Non ti perdere. Il GPS prende qui.»

Ride. «La troverò, tranquilla. A dopo.»

«A dopo.»

Riaggancio per poi cominciare a correre per arrivare il più in fretta possibile alla sala prove. Arrivata, lo aspetto fuori rendendomi conto che per una volta quella in ritardo sono io. L'appuntamento era alle quindici, ma il mio orologio segna le quindici e dieci.

Nervosa, mi mordo le labbra mentre osservo tutte le macchine che passano e tutte le moto cercando di individuare Fabio. Una decina di minuti dopo, una Fiat Punto bianca parcheggia sul lato opposto della strada. Lo sportello si apre e dalla macchina esce Fabio ancora in divisa.

Ha davvero staccato da poco.

Il mio cervello, per un momento, gongola quasi quanto Gabriele oggi, nel dirmi che è davvero corso da me. Al tempo stesso, però, mi ricorda che devo riprendermi, così sospiro e cerco di fare l'indifferente.

Fabio chiude la macchina con il telecomando, poi attraversa la strada. Si avvicina a me sorridendo, il cuore che mi martella forte nel petto.

«Ciao» esordisce, prima di darmi un bacio sulla guancia tenendo appoggiata la mano sulla mia spalla.

«Ciao» farfuglio. Da questa posizione, posso sentire l'odore del suo profumo: un misto di limone e lavanda e di qualcos'altro che non riesco a percepire. Gli dà un'aria ancora più sensuale di quanto non ne abbia già.

«È da molto che mi aspetti?»

Guardo l'orologio e scopro che sono le tre e venticinque.

«Cavolo!» esclamo. «Andiamo!»

«Ti ho fatto fare tardi?»

«Un po'.»

Lo conduco nella saletta e lui mi segue scrutando tutto quello che c'è intorno a noi.

Busso alla porta, e non appena Stefano mi apre comincia dicendo: «Ah, finalm...» Ma si blocca quando vede Fabio alle mie spalle. «Salve» lo saluta.

«Salve» risponde Fabio.

«Ohi!» Christian sta arrotolando i fili in modo che non diano fastidio, ma non appena mi vede li lascia cadere a terra, viene verso di me e mi dà un bacio sulla guancia molto simile a quello che Fabio mi ha dato qualche secondo fa.

Arrossisco.

«Ciao» gli dice Fabio alle mie spalle. «Piacere, Fabio.»

Christian gli porge la mano, e Fabio quasi gliela stritola. Me ne accorgo perché Christian si massaggia la mano, mentre da dietro la batteria Mirko si presenta a sua volta.

«Resta a sentirci, se non è un problema» dico, imbarazzata.

Nessuno dei tre si oppone, anche se non sembrano molto contenti. Faccio comunque accomodare Fabio su un amplificatore, quindi vado a sistemare la mia Amy. Gli altri sono già pronti e aspettano solo me, per cui mi riscaldo in fretta.

«Sono pronta» annuncio dopo un po'.

«One, two, three, four.» Mirko dà il tempo prima di iniziare. In questa canzone attacchiamo insieme, dopo qualche secondo parte Christian.

«What if I wanted to break, laugh it all off in your... face. What would you do?» canta Christian, per poi arrestarsi all'improvviso e dire: «Però mi dovete aiutare!»

«A fare che?» chiedo.

«I cori.»

«Ma quali cori?» domanda Stefano.

Christian sbuffa, va a prendere il foglio con sopra il testo della canzone – che aveva appoggiato su uno scaffale – poi ritorna al suo posto al centro della sala. Io e Stefano ci avviciniamo a lui per leggere.

«Ecco qui, vedete?» Christian punta l'indice sul foglio.

«Questo "oh, oh" tra parentesi sarebbero i nostri cori?»

«Sì.»

«Mah.»

«Ti sembra strano?»

«No, semplicemente non lo ricordavo. Fammi un po' vedere 'sto foglio.» Stefano lo strappa dalle mani di Christian; nel frattempo, Mirko batte impaziente sulla grancassa. «Anche queste altre parti tra parentesi sono i nostri cori?»

«Praticamente sì. Davvero non te lo ricordi? Ah! E se poi fate anche questa parte qui, vedi, dove c'è "Ah, ah" e "oh, oh", mi fareste un piacere, così riprendo fiato dopo "This is who I really am."»

Mirko scoppia a ridere e nemmeno io riesco a trattenermi. Stefano, invece, cerca di trattenersi perché ha Christian proprio di faccia, ma quando Mirko urla: «Ah... ah... oh... oh... sì» per poco non sputa addosso a Christian per le risate che gli escono a metà tra il trattenuto e il non.

Sconvolto, Christian si guarda intorno senza capire perché stiamo ridendo. Perfino Fabio ride.

«Smettetela» dice, incredulo e arrossito fino alle punte delle orecchie. «Non c'era niente di malizioso nella mia frase.»

Nessuno di noi è d'accordo, però dopo qualche secondo le risate cessano e torniamo a suonare. Questa volta, io e Stefano non dimentichiamo di fare i cori, ma è impossibile non ridere mentre li eseguiamo. Christian si limita a lanciarci un'occhiata di traverso, ma non smette mai di cantare.

Dopo mezz'ora non abbiamo ancora provato tutta la canzone, perché c'è sempre qualcuno di noi che sbaglia e ci tocca ripetere tutto da capo. Alla fine, e con molta fatica, riusciamo a concluderla, anche se non perfetta. Per fortuna abbiamo altri due giorni per provare.

Poso Amy e mi avvicino a Fabio.

«Piaciuta?» gli chiedo.

«Molto. Adoro questa canzone, ma temo che finirò per odiarla: l'ho sentita almeno venti volte da quando sono qui.»

«Mi dispiace, però...»

«Non si apre!»

La voce di Stefano sovrasta la mia frase. Punto lo sguardo verso di lui e lo scopro a battere i pugni contro la porta, mentre Mirko urla il nome del portiere della saletta.

«Com'è possibile?»

«Non si...» bisbiglio. «... apre?»

La mia band si volta di scatto verso di me; Stefano spinge Christian affinché venga a calmarmi perché sanno, come lo so io, quello che sta per accadere.

«Christian, non...?» piagnucolo, il cuore che batte forte nel petto, la gola secca e gli occhi che si inumidiscono.

«Sh, sh» mi dice Christian. «Siediti e calma.»

Poi mi spinge su una cassa, su cui mi fa sedere a forza, e si inginocchia davanti a me. Con lo sguardo, cerco di superarlo per vedere cosa sta succedendo e scopro che la situazione è sempre la stessa. Stefano ha preso il cellulare e sta cercando di chiamare qualcuno.

«Non prende, questo cazzo di telefono!» impreca.

Le guance si inumidiscono, il respiro mi manca e non so se ce la faccio a trattenermi, anche se sto facendo del mio meglio.

«Paola?» Christian riporta la mia attenzione su di lui. Adesso, mi rendo conto, anche Fabio è in ginocchio davanti a me, alla sinistra di Christian.

«Che le succede?» chiede.

«È claustrofobica.»

Christian risponde in fretta, per poi tornare con lo sguardo su di me. Ma io mi distraggo ancora e mi perdo a osservare Stefano smanettare col suo cellulare e quella dannata porta ancora chiusa.

Perché non fanno niente?

Non ne posso più e le lacrime cominciano a bagnarmi il viso.

«Paola?» mi richiama ancora Christian. «Guardami.»

Lo faccio, per quanto mi è possibile avendo gli occhi pieni di lacrime.

«Quante volte è successo che la porta non si apriva?»

Una fitta di dolore mi attraversa il petto. Abbasso la testa e chiudo gli occhi. Christian mi alza il viso prendendomi per il mento.

«Allora?» continua.

«Tante.»

«E siamo mai rimasti chiusi qui dentro?»

«No.»

«Ti senti meglio?»

Scuoto la testa in segno di diniego. Forse, quello che ha detto Christian ha solo aumentato la mia paura.

Fabio toglie la mano di Christian da sotto il mio mento e dice: «Non credo le sia di aiuto.»

«Vuoi essere di aiuto tu? Perché non provi a sfondare la porta? Non sei un carabiniere?»

«Hai visto troppi film polizieschi» replica Fabio.

«Smettetela» bisbiglio.

Paola.

«Gabry» bisbiglio ancora tra i singhiozzi.

Sh, va tutto bene, respira.

Tiro un respiro profondo e chiudo gli occhi.

Non migliora per niente. Fai qualcosa, ti prego.

Ci sto lavorando. Però adesso ascoltami. Ti faccio uscire da qui tra dieci secondi, ma tu devi stare a sentirmi, okay?

Annuisco.

Ti ricordi il posto dove ti ho portato? Con quella cascata? Mi hai detto che ti piaceva tanto, ritornaci con la mente. Lo vedi?

Sì.

Brava, cosa vedi?

La cascata e l'arcobaleno.

Che altro?

Ci sei tu.

Okay, respira.

Tiro un altro respiro profondo.

«Jack, sono Stefano del gruppo, ci vieni ad aprire?»

Apro gli occhi di scatto, Stefano è al telefono.

Non ti deconcentrare, chiudi gli occhi.

«Che vuol dire "bloccata"?»

Sobbalzo a quelle parole, ma devo concentrarmi. Così richiudo gli occhi e sono di nuovo alla cascata.

Brava. Com'è l'acqua? La senti?

Sì, la sento, il suono della cascata riecheggia nella mia mente.

L'arcobaleno com'è? Descrivimelo.

È blu, e verde e rosso, violetto anche.

Okay, e io? Cosa indosso?

Non me lo ricordo, ma sono sicura di sentire la mano di Gabriele sulla mia spalla.

Non fa niente. Va tutto bene. Respira.

Inspiro ed espiro. Ho ancora le guance bagnate ma non sembra che sto continuando a piangere.

Un rumore forte interrompe la mia meditazione e quando apro gli occhi la porta è aperta. Li richiudo e mi lascio andare completamente. 



E così siamo tutti legati da un filo sottile che ci unisce. Che ne pensate? Anche secondo voi è così?

Al prossimo martedì! 

Mary <3 

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