17. Imbarazzo

La cena che si terrà stasera ha un po' il sapore di qualcosa di sgradevole ma al tempo stesso inevitabile. Non puoi smettere di mangiare, anche se sai già che ti farà schifo. E presumo che sarà esattamente così che andrà, a meno che io non mi stia sbagliando e allora filerà tutto liscio.

Marco ha infatti invitato Rosaria ed era dal litigio dopo la spesa al supermercato che non succedeva. Nessuno di noi si è azzardato, nei giorni scorsi, a chiedere a Marco se lui e Rosaria avevano fatto pace, né lui si è degnato di farcelo sapere. Fatto sta che ci ha detto della cena quasi come se ci stesse comunicando che andava a pagare la bolletta della luce.

«Viene Rosaria, stasera.»

Semplice, conciso. Da Marco, insomma.

Nessun'espressione sul volto da sbirro, mentre io, Remo e mia madre non abbiamo potuto far altro che lanciarci occhiate, sbigottiti. In più, mamma ha voluto a tutti i costi sapere se Rosaria restava a cena, quando era ovvio che fosse così.

A ogni modo, Marco ha risposto con un secco sì e lei si è acquietata, almeno per un paio d'ore. Perché poi è uscita come una pazza per andare a fare la spesa e preparare una cena degna di un ristorante gourmet: antipasto di cocktail di gamberi, linguine con sugo di gamberoni e orata al forno.

«A Rosaria piace molto il pesce» si è giustificata.

Non lo so perché si è data tanto da fare, intanto ha fatto salire l'ansia anche a me e ora mi sento quasi come se a cena dovesse venire una sconosciuta. Invece, Rosaria la conosco da anni e sebbene io non abbia un gran rapporto con lei, dovrei riuscire a dirle almeno un "ciao" senza balbettare.

Dopo aver apparecchiato la tavola peggio che a Natale, mia madre mi fa anche passare l'aspirapolvere. Qualche minuto dopo, il suono del campanello ci mette in allerta, nonostante sappiamo che Marco è andato a prendere Rosaria.

Vado ad aprire io e di fronte mi trovo subito Rosaria con in mano un vassoio pieno di dolci. Me lo porge e mi saluta con un bacio sulla guancia.

«Buonasera.»

«Ciao» ricambio, mentre lei va salutare mia madre, poi Remo.

Appoggio i dolci sulla credenza e osservo le interazioni tra di loro: mia madre ride, ride tanto. E di solito lo fa quando è in imbarazzo. Remo parla a raffica, quasi non voglia lasciare neanche un secondo di silenzio, e anche questo è un segno di imbarazzo, per lui. Rosaria invece si gratta spesso il braccio e sposta lo sguardo in direzione di Marco, che, come me, non è entrato ancora nella conversazione.

Forse Rosaria cerca la sua approvazione in questo caso, ma non saprei dire se anche lei è imbarazzata.

Prima di sederci a tavola, l'attimo di imbarazzo ce l'ho pure io: di solito, quando viene a cena, lascio il mio posto a Rosaria, così che possa stare accanto a Marco. Adesso, tuttavia, non so se devo comportarmi come sempre o lasciar perdere.

Considerare il loro litigio come un punto di rottura dal quale le cose non possono tornare più come prima. Alla fine, decido di cederle comunque il mio posto a tavola e lei mi sorride, riconoscente.

«È sempre molto gentile, da parte tua» dice, «anche io sono affezionata al mio posto, a casa.»

Non so cosa risponderle e mi limito a sorriderle.

Tuttavia, l'atteggiamento cordiale di Rosaria non cambia per tutta la cena, né nei miei confronti, né in quelli di mia madre e di Remo. Si prodiga in complimenti sul cibo, chiede continuamente dove abbiamo acquistato questo o quello, perché vorrebbe acquistarlo a sua volta, e ascolta con vivo interesse tutto ciò che le diciamo.

Questa è la prima volta, davvero. La prima volta in cui ho piacere a stare a tavola con lei. La prima volta in cui i suoi sorrisi non mi paiono finti, la prima volta in cui le sue parole non sono a tratti fastidiose. Soprattutto, non ha fatto alcun cenno a suo fratello Federico e a quanto saremmo una coppia perfetta.

«Prendiamo i dolci?» chiede Remo.

«Sì, io ho proprio voglia di assaggiare i dolci che ha portato Rosaria.» Mia madre lo dice senza smettere per un secondo di incrociare gli occhi di Rosaria e di sorriderle. «Paola, mi aiuti a sparecchiare?»

«No, macché, faccio io» si intromette Rosaria, già in piedi e con il suo piatto sporco tra le mani. «Sul serio.»

«Ma no, non serve, sei l'ospite, qui.»

Nonostante la frase di mia madre era volta a far sentire Rosaria una regina da servire e riverire, la fa rabbuiare in un colpo, e forse ho capito perché.

«In realtà non è un ospite qui» dico, afferrando a mia volta il mio piatto e poi quello di Marco, che mi guarda sbigottito. «È di famiglia. Quindi muoviti, dai. Sparecchiamo.»

Uno scroscio di risate si leva imbarazzato nella stanza, mentre Rosaria fa finta di essersi offesa perché le ho dato degli ordini. Poi, però, mi segue in cucina per posare i piatti e impedisce a mia madre di fare lo stesso.

Era esattamente questo che voleva, essere trattata come in famiglia, e ora le è ritornato il buonumore.

«Grazie, Paola» afferma, gettando i rimasugli di pasta nella pattumiera. «Davvero. E scusami per come mi sono comportata l'altra volta. Tu non c'entravi niente in tutta quella storia. Cioè c'entravi, ma non era giusto che ti venisse sbattuto in faccia così. Perdonami.»

«Marco si sbaglia a pensarla così, quindi forse, se fossi stata in te, mi sarei arrabbiata anche io.»

Rosaria sospira, guarda oltre l'uscio della cucina come se stesse effettivamente guardando Marco. «Forse si sbaglia, intanto tu sei la sua famiglia ed è giusto che se ne occupi.»

«Ma non a discapito della sua fidanzata.»

«Oh no, questo no. Questo mai. Marco è un fidanzato attento.»

«Ne sono felice.»

«Prendiamo i dolci?»

Annuisco e lascio fare a lei, la aiuto solo a prendere dei piatti di plastica e dei tovaglioli di carta. Rientrate in salotto, Rosaria sistema il vassoio giusto al centro del tavolo; sto per poggiare i piatti e i tovaglioli, quando la suoneria del mio cellulare invade l'intera stanza.

Lo estraggo dalla tasca e quando vedo comparire sullo schermo il nome "Fabio" sbianco. Di fretta poggio i piatti e i tovaglioli sul tavolo, quindi mando in muto il cellulare e mi catapulto fuori dalla stanza.

Mi rinchiudo in camera da letto e tossisco per schiarirmi la voce.

«Pronto?»

«Ciao, Paola, ti disturbo?»

«Oh no, affatto.»

«Bene. Che stavi facendo?»

«Ah, niente.» Poi mi guardo intorno alla ricerca di un'idea, invece di dirgli semplicemente che stavo cenando. Il televisore mi dà l'ispirazione. «Guardavo la tv.»

«Capisco... Senti, stavo pensando che non ci siamo messi d'accordo sull'orario di sabato.»

«Giusto» replico, anche se penso che per quello bastava un semplice SMS. «Dimmi tu. Penso sarai soggetto ai turni di lavoro.»

«Sì, infatti. Sabato stacco alle otto, va bene per te alle nove?»

«Okay, perfetto. Dove ci vediamo?»

«Ti passo a prendere a casa, o è un problema?»

«Oh, no, nessun problema, tranquillo.»

«Va bene, allora a sabato, ci sentiamo in questi giorni.»

«D'accordo, a presto.»

«Ciao, Paola, buona serata.»

«Anche a te, ciao.»

Riaggancio. Sospiro. Rimetto il cellulare in tasca e, dopo un altro lungo respiro, ritorno alla cena. Quando entro in salotto, la conversazione si arresta d'improvviso e tutti mi osservano sedermi al mio posto.

«Chi era al telefono?» chiede mia madre.

«Claudia» rispondo in fretta e abbasso la testa sul vassoio dei dolci.

«Quando ti chiama Claudia arrossisci?» fa notare Marco.

Fingo una risata che in realtà è un "cazzo" trattenuto tra i denti. «Arrossita? Ma va!»

«Mi sembravi in imbarazzo» insiste lui. Il che non è del tutto sbagliato, dato che Fabio mi fa sentire effettivamente in soggezione, ma non posso dargli ragione.

«No...» mormoro.

«Forse sono le luci» si intromette Rosaria. «Io vi vedo un po' tutti rossi, a dire il vero.»

«Ah sì?» fa mamma, toccandosi il viso come se potesse constatare in quel modo la verità delle parole di Rosaria.

Parole, tuttavia, che non sono vere ma volte solo a difendermi e a far passare in secondo piano la mia telefonata. Infatti nessuno più si ricorda della mia chiamata e non posso che essere riconoscente a Rosaria.

***

Quando finalmente suona la campanella dell'ultima ora, dopo una giornata faticosissima a scuola con ben tre ore di matematica, due di inglese e una di storia, tiro un respiro di sollievo e non vedo l'ora di tornare a casa.

Recupero tutti i libri, li sistemo nello zaino e insieme a Claudia, Michela ed Elisa esco dall'edificio. Sulle scale, poco prima di scendere, Claudia ci blocca spalancando le braccia in un colpo solo.

«Ragazze!» esclama. «Chi è quello schianto?»

Indica in un punto non proprio preciso e così ognuna di noi si ritrova a guardare in una direzione diversa.

«Ma dove?» chiede Elisa.

«Lì, lì! Guardate, vicino alla statua, è appoggiato alla moto.»

Moto? Mi basta quella parola per riuscire a focalizzare bene. E proprio dove ha detto Claudia, appoggiato alla sua moto – o sarebbe più corretto dire a Lizzy –, c'è Fabio, le gambe incrociate e le mani nelle tasche del giubbotto di pelle. Che cavolo ci fa qui?

«Fabio...» mormoro.

«Cosa?» Claudia si volta verso di me con un sopracciglio arcuato.

«È Fabio.»

«Lo conosci?» chiede Michela.

Annuisco.

«Ma Fabio... Fabio dell'invito a cena?»

Annuisco ancora.

«Invito a cena? Quale invito a cena? Perché non ne so niente?» chiede Elisa.

«Anche io voglio sapere!» esclama Michela.

«Sh! Vi spiego dopo!» bisbiglia Claudia, poi mi si avvicina a e mi prende per un braccio. «Paola, vai da lui, ora.»

«Ah?» Stordita, la fisso negli occhi non troppo sicura di ciò che ha detto.

«Vai! Che aspetti?»

«Ma non so neanche perché è qui...»

«Vallo a scoprire» mi incita Elisa.

«Okay» mi arrendo, «ma voi venite con me.»

Le mie amiche accettano di assecondare la mia idea, ma lasciano che sia io a camminare per prima. Inizialmente non ci do molto peso, credendo che stiano lasciando a me il compito di fare strada, ma quando sono faccia a faccia con Fabio, con la coda dell'occhio le becco a dirigersi in tutt'altra direzione.

Bastarde!

«Ehi.» Fabio mi accoglie con un grande sorriso e con gli occhi che brillano per via del sole che gli cade proprio addosso.

«Ciao» farfuglio. «Che ci fai qui?»

«Ti aspettavo.»

«Mi aspettavi?»

«Sì, ho la mattinata libera e ho pensato di venirti a prendere.»

«Ah.» Vorrei proprio chiedergli come fa a sapere dei miei orari scolastici e soprattutto in che scuola vado, ma lascio perdere. «Non c'era bisogno, in realtà.»

«Non vuoi più fare un giro sulla mia moto?»

«Sì, quello sì, però...»

«Monta su, allora! Abbiamo tempo per un giretto, o hai il coprifuoco?»

«No, non ce l'ho.»

«Perfetto!»

Fabio mi porge il suo casco e io lo afferro come la prima volta che sono salita in sella alla sua moto: titubante. Ancora una volta, poi, ce n'è solo uno, di casco.

«Tu non lo metti?»

«Non ne ho un altro, di solito non porto passeggeri.»

«E se ci fermano i carabinieri?»

Scoppia a ridere. «Bella questa!»

Rido anch'io, anche se di sicuro con più imbarazzo di lui, e mi infilo il casco, mentre Fabio toglie la moto dal cavalletto e la accende. Sto per salire quando mi ricordo che Gabriele, in teoria, non mi ha dato "l'approvazione" per questo incontro così, improvviso. In passato non me ne sarebbe fregato nulla di avere il parere di un'altra persona su una cosa così stupida come un passaggio in moto, ma negli ultimi giorni mi sono ritrovata a riflettere più del dovuto sulle mie scelte.

E se ora faccio quella sbagliata?

«Va tutto bene?» Fabio percepisce la mia titubanza e spegne la moto.

«Sì, è solo...» Mi guardo intorno alla ricerca del mio angelo custode, a cui non ho detto nemmeno "ciao" uscendo da scuola. «Sono solo preoccupata che...»

«Che?»

Alla fine di cosa stiamo parlando? Di un giro in moto?

Scuoto la testa. «Niente di che, lascia perdere. Andiamo?»

Fabio mi sorride e saliamo entrambi in sella alla moto. Parte d'improvviso, senza darmi il tempo di sistemarmi meglio, e io sono costretta, come quella volta fuori dalla caserma, a stringermi al suo busto per paura di cadere.

Si immette nel traffico, facendo lo slalom tra le macchine, prende la superstrada e quando la strada è libera davanti a noi, sbircio il contachilometri. Centodieci chilometri all'ora e non me ne ero proprio resa conto che fossimo arrivati a questa velocità.

Nonostante sia un tratto dritto, ogni volta che Fabio incontra una macchina davanti a sé, la sorpassa per poi immettersi di nuovo nella sua corsia. Sembra che nessuno possa ostacolare la sua corsa e che è lui il padrone della strada.

Esce a un bivio e ci troviamo su una strada di campagna. Prosegue per ancora qualche metro e alla fine sosta la moto in mezzo all'erba. Mi aiuta a scendere e a togliere il casco.

«Ti piace?» chiede.

È una collina, credo. Da qui si vedono i campi coltivati, alberi di pino e in lontananza delle casette in mattone grigio. Profumo di fiori e di resina mi invade le narici. Piacevole, quasi quanto la presenza di Fabio al mio fianco.

«È bellissimo.»

«Ho scoperto questo posto il giorno che sono venuto per la prima volta in questa caserma. Mi ero perso, il GPS non prendeva e ritornare sulla strada giusta è stato alquanto difficile. Quel giorno, non ho per niente apprezzato questo panorama meraviglioso e mi sono ripromesso di tornarci. Mai avrei pensato che l'avrei fatto con la ragazzina che, proprio quel giorno, mi ha fatto il dito medio.»

«E io non avrei mai pensato che il motociclista che stava per investirmi mi avrebbe portato in questo meraviglioso posto.»

«Direi che siamo pari» sentenzia.

«Direi anch'io.»

Fabio rimira ancora una volta il panorama, quindi si siede sull'erba, appoggia le mani dietro la schiena e stende le gambe, prima di incrociare i miei occhi.

«Mi parli un po' di lei.»

Una risata lascia le mie labbra per il tono da psicologo che ha usato. «Oh no, per favore no! Non amo parlare di me.»

«E perché mai?»

Scrollo le spalle e non rispondo, ma lui insiste.

«Sappiamo che suona la chitarra, ha altri interessi?»

«Credo di no. I tuoi invece quali sono?»

«No, no! Non provare a cambiare discorso, stiamo parlando di te.»

«Che brutto argomento!»

Fabio sistema le mani dietro la testa e si lascia andare steso sull'erba. «Perché sei così cattiva con te stessa?»

«Non c'è molto da dire.»

«Va bene, allora parliamo di me» afferma prima di strattonarmi per la maglia e farmi stendere di forza accanto a lui. «Ma dovrai sorbirti tutta la mia biografia, e alla fine voglio anche un tuo commento. O una diagnosi, se lo ritieni opportuno.»

Faccio finta di prendere appunti con un bloc notes e una penna immaginaria. «D'accordo, incominci pure.»

«Allora, sono nato in una piccola provincia siciliana, mia madre è una casalinga, mio padre è un pediatra. Sono figlio unico, e so a cosa stai pensando, ma non sono viziato.»

Alzo le mani in segno di difesa e continuo a prendere appunti.

«Ho sempre fatto sport, a dodici anni ero nelle giovanili del Palermo, poi ho dovuto smettere perché il calcio toglieva molto tempo allo studio e mia madre non era d'accordo: avere un figlio ignorante, ma asso del calcio non è mai stato il suo sogno. Voleva che mi iscrivessi a Medicina, ma, dopo il diploma, sono entrato nei militari, ho superato il concorso per entrare nei carabinieri la prima volta ed eccomi qui. Carabiniere semplice, con voglia di salire di grado, magari continuando anche gli studi, chissà.»

«Cosa vorresti studiare?»

«Ottima domanda! Non lo so, non ci ho mai pensato. Credo giurisprudenza, o economia, qualcosa del genere.»

«Il tuo Maresciallo è laureato in Giurisprudenza, con centodieci e lode. Studiava e lavorava. Lui è un genio, io non potrei mai farlo.»

Fabio si gira sul fianco e mi gratta la pancia, facendomi ridere a crepapelle. «Non voglio più sentirti parlare di te stessa così!»

«Basta, basta!» mi lamento, senza smettere di ridere.

«Niente più pessimismo.»

«Va bene» acconsento e lui torna a stendersi sull'erba. «Dovreste usare questi metodi per interrogare i criminali.»

«Ah, ma li usiamo già.»

«Certo, come no!» rido ancora, ma adesso anche lui sta ridendo con me. «Beh, tutto qui?»

«Cosa? Ne vuoi ancora?»

«No. La tua biografia, dicevo, è tutto qui?»

«Direi di sì.»

«Interessante.»

«Sono un soggetto salvabile, dottoressa?»

«Credo proprio di sì!»

«Ah, meno male!»

Il silenzio cala per un attimo tra di noi e io mi ritrovo a non riuscire più a stare stesa accanto a lui, per cui mi rimetto seduta a gambe incrociate.

Paola?

«Che c'è?»

Anche Fabio si mette a sedere, fissandomi con interesse. «Non ho detto niente.»

Paola? Paola, dove sei?

«Oh...»

Sorrido a Fabio, mentre cerco di comunicare con il mio angelo custode senza sembrare una pazza.

Con Fabio.

E dove? Non riesco a percepirti.

Non lo so.

Come fai a non saperlo?

Non lo so!

D'accordo, provo a venirti a cercare a modo mio.

«No!» esclamo. Fabio, accanto a me, sobbalza e io mi rendo conto di aver usato di nuovo la voce, anziché i pensieri. «Scusami ma ho visto un uccello mangiare una lucertola e... e mi è dispiaciuto.»

«Beh, è il ciclo della vita.»

«Lo so, però quella lucertola non se l'aspettava e, poverina, è morta così, in un attimo e...»

Non continuo, con la voglia solo di morire io, in questo momento. Per fortuna, però, Fabio non sembra essere spaventato da quello che sto dicendo, né sembra pensare che sono una matta.

Anzi.

Si avvicina a me e con gli occhi bassi gioca con i miei jeans stracciati sopra al ginocchio. Prima gratta con l'indice, poi infila il dito nella fessura e ci giocherella per qualche secondo. Lunghi brividi mi solcano la schiena, mentre lui, con l'altra mano, mi accarezza la tempia fino a scendere sulla guancia; il dorso mi sfiora il viso, poi l'indice si sposta sulla mia bocca, tirandomi il labbro di sotto.

Sta per baciarmi, lo sento.

Infatti, a un passo dalle sue labbra chiudo gli occhi e aspetto che il contatto avvenga.

Paola!

Di scatto, tiro indietro la testa, perdo l'equilibrio e cado stesa sull'erba.

Cazzo.

Sconcertato, Fabio mi fissa con le labbra schiuse ma con nessuna parola che viene fuori da esse.

«Tutto bene?»

«Sì, io...»

A quel punto non so più cosa dire e come giustificare quest'enorme figura di merda e mi alzo da terra. Lui segue i miei movimenti, si pulisce i jeans dall'erba che era rimasta attaccata e dà uno sguardo veloce al suo cellulare, facendo una smorfia.

«Va bene se ti accompagno?» chiede.

«Certo» rispondo, anche se questa risposta ha un sapore amaro. Anzi, amarissimo.

Questa me la paghi.




Buon martedì! 

Insomma, Fabio ci prova ma Gabriele fa i guai. Come dobbiamo fare? 

A venerdì! 

Mary <3

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