13. Resta

«Paola... Paola... Paola...»

Rannicchiata nel mio letto, avvolta nelle coperte, mi sento chiamare. Ho freddo e sonno, e convinta di aver aperto gli occhi ma di non aver visto nessuno, mi giro dall'altra parte e ritorno a dormire.

Quando riapro gli occhi, la mia camera da letto è immersa nel buio. Un nero talmente fitto da non riuscire a vedere nemmeno il mio corpo. La paura mi soffoca e sono costretta a scostare le coperte e a muovermi a tentoni alla ricerca dell'interruttore.

Non lo trovo, ma non mi arrendo e continuo a tastare il muro fin quando non avverto sotto il palmo della mano la maniglia della porta. Non è quello che sto cercando, ma almeno potrò uscire dalla stanza.

Però, quando faccio pressione per aprirla, mi rendo conto che è chiusa a chiave e che quest'ultima non è nella serratura.

No, non è possibile...

Forzo la maniglia, la abbasso, la scuoto più volte ma niente: non si apre.

La paura, che prima mi soffocava ma che tutto sommato era sopportabile, adesso si trasforma in vero e proprio panico. E cresce, cresce sempre di più dentro di me. Soprattutto perché adesso un calore improvviso mi invade il viso, le mani si intorpidiscono e il formicolio si sposta lentamente in tutto il corpo.

E lo so che cosa sta succedendo.

No, non voglio!

Fatemi uscire da qui!

«Paola!»

Gli occhi si offuscano, le orecchie fischiano. Ho la sensazione di cadere, e la paura aumenta perché non voglio sbattere a terra, sul pavimento duro e freddo. Ma le gambe tremano, stanno per lasciarmi.

Resisti, dico a me stessa.

Eppure non riesco e il pavimento si avvicina sempre di più al mio viso.

«Paola!»

Sobbalzo, spalanco gli occhi.

Stesa nel mio letto, non riesco a muovermi per via dei muscoli addormentati. Il buio non mi travolge più ma anzi la stanza è illuminata completamente.

Cazzo, era solo un incubo.

«Paola!»

Sobbalzo di nuovo e mi accorgo che in piedi, sistemato accanto al letto e con le braccia incrociate, c'è Marco. Come al solito indossa la divisa e mi sta trucidando con lo sguardo per motivi che adesso mi sfuggono e che non ho nemmeno voglia di capire, a dire il vero.

«Hai marinato la scuola?»

«Mh...» mi lamento, mentre provo a tirarmi le coperte sul volto. Marco le strattona, tirandole in basso, e me le fa arrivare alle cosce. Cerco di allungare una mano per riprenderle, ma sono troppo lontane e dovrei alzare la schiena. «Mh...»

«Allora?»

«Che vuoi?» bofonchio, facendomi calore con le mani sulle braccia.

«Che voglio? Hai ricominciato a marinare la scuola, Paola?»

«Sono andata a scuola, Marco.»

«Non dirmi bugie! Sai benissimo che, dall'anno scorso, la scuola chiama ogni volta che un alunno minorenne non si presenta in classe. E mamma ha ricevuto tre chiamate dalla preside.»

Sospiro, avevo proprio dimenticato questo dettaglio. «Non mi andava» sussurro.

«Avevi un compito?»

«No.»

«Un'interrogazione?»

«No.»

«Semplicemente non volevi andarci?»

«Esatto.»

Marco sospira a sua volta, poi si passa una mano tra i capelli castani e si gratta il mento ricoperto da un velo di barba. «Però stamattina ti ho visto alzarti, vestirti e uscire. Poi sei arrivata a scuola e hai capito che non avevi voglia?»

Annuisco, anche se non è andata del tutto così. Se infatti il mio angelo custode non avesse deciso di portarmi al San Raffaele, a scuola ci sarei andata eccome.

«La prossima volta che non hai voglia, allora, dillo a me o alla mamma, senza fare le cose di nascosto. Perché, credimi, non è bello essere chiamati dalla scuola e sapere che non sei entrata. Soprattutto perché non rispondevi al telefono. Se ne sentono tante di questi tempi e...»

Marco si blocca, non termina la frase. Tuttavia io capisco bene che cosa vuole dire e per la prima volta capisco anche che la sua rabbia era dovuta a sincera preoccupazione. Non ho avvertito che non sarei entrata, la scuola ha chiamato e siccome mi sono addormentata non devo aver sentito neanche le telefonate che mi avranno fatto per accertarsi che stessi bene.

Inoltre, fino all'anno scorso, tutta questa paura non c'era. La scuola non avvertiva e io potevo fare ciò che volevo senza preoccuparmi o senza far preoccupare loro, che magari scoprivano delle mie assenze a fine quadrimestre, o addirittura alla fine dell'anno.

Poi, però, poco prima della conclusione dello scorso anno scolastico, una ragazza non entrata ed è stata trovata morta dopo una settimana di inutili ricerche. Forse, se la scuola avesse avvisato subito i suoi genitori, avrebbero potuto salvarla.

«Mi dispiace» mormoro, con un gruppo in gola non indifferente.

«Ho avvisato mamma che sei qui e che stai bene. Adesso però mi prometti che non farai mai più una cosa del genere.»

«Marco...»

«Prometti.»

Sbuffo. «Lo prometto.»

«Adesso vieni a mangiare, che ho cucinato io.»

«Oh no!» ironizzo e Marco accenna un sorriso, prima di lasciarmi sola nella mia stanza.

Quel che mi ha mostrato Gabriele e l'incubo che ho appena fatto mi fanno provare un'infinita tristezza. O forse sarebbe meglio dire che la sensazione che avverto adesso è malinconia. L'umore nero, come nero era tutto attorno a me, nel sogno.

Mi alzo sospirando, ma durante il pranzo con Marco cerco di nascondere ciò che provo internamente. Mangio tutto e lo aiuto anche a sparecchiare e a lavare i piatti. E quando lui mi dice di avere il pomeriggio libero e di voler andare al supermercato a comprare delle cose di cui ha bisogno, mi aspetto di sentirmi dire che sarò da sola in casa e che dovrò evitare di fare casini.

Invece Marco mi invita.

«Vieni con me? Rosaria ha da fare e quando Remo ha saputo che dovevo andarci, mi ha dato una lista infinita di cose da comprare. Una mano mi servirebbe.»

A dire il vero, non ne è ho molta voglia, ma accetto perché almeno così potrò svagare la mente.


***


Al supermercato, io spingo il carrello mentre, di fianco a me, Marco segue la lista che gli ha dato Remo. È scritta su un foglio A4 di stampante e Marco l'aveva ripiegato in quattro parti e posto nella tasca interna della sua giacca.

La grafia di Remo è abbastanza comprensibile, anche se Marco di tanto in tanto mi chiede delucidazioni. Il che rende il mio lavoro meno noioso, o starei solo a spingere il carrello. Infatti, quello che prende i prodotti dallo scaffale e li ripone è sempre Marco.

E devo ammettere che il modo in cui lo fa – dividendo i prodotti in modo ordinato – mi diverte alquanto.

«Smettila» mi dice dopo aver impilato tre confezioni di yogurt una sopra l'altra.

«Di fare che?»

«Di ridere di me. Guarda che me ne sono accorto che mi prendi in giro mentalmente.»

«No, io...» Punto lo sguardo sui prodotti perfettamente posizionati e davvero non riesco a trattenere un'involontaria risata. «Non ti sto prendendo in giro...»

«Ah no?»

«No, trovo solo che tu sia molto ordinato.»

«Ed è un male?»

«No, mi fa solo sorridere. Tutto qui.»

Ed è un bene, vorrei dirgli, dato che oggi non avevo proprio voglia di sorridere. Ma mi trattengo e proseguiamo nella nostra spesa. Marco si ferma al banco salumeria e quando ripone del prosciutto cotto nel carrello, mi dice una cosa che non capisco subito.

«Come?»

«Ti ho detto di togliere il piede da lì, dalla ruota del carrello.»

Sorpresa, mi fisso i piedi per scoprire che, in effetti e senza accorgermene, ho poggiato uno di essi sulla ruota destra del carrello. Tuttavia, non capisco perché dovrebbe essere un problema.

«Cosa?»

«L'ultima volta che sono venuto al supermercato con te» mi spiega Marco, «avevi sette anni. Stavo prendendo i biscotti e tu lanciasti il carrello e salisti sulle ruote con i piedi. Andasti a sbattere contro un'enorme pila di scatole di cioccolato posta al centro del corridoio.»

«Sul serio?» chiedo, senza riuscire a camuffare un risolino. Nella mente non ho niente. Nessun ricordo si affaccia per confermare ciò che ha detto Marco, ma l'immagine mentale che mi si è formata è alquanto divertente.

E forse mi sarò divertita anche allora, nel farlo.

«Tu ridi? Io volevo ammazzarti! Facesti cadere tutte le scatole, ma per fortuna non ci fecero pagare niente.» Scuote la testa sconvolto.

Sorrido. «Non me lo ricordo» ammetto.

«Beh, beata te!»

E per via dell'espressione che assume – una smorfia con la bocca che gli arriccia le labbra – scoppio a ridere questa volta della grossa.

«Paola, smettila di ridere» dice lui, ma in realtà sta ridendo a sua volta. «Siamo solo alla metà della lista e non so neanche se ho abbastanza soldi per pagare tutto questo.»

«La carta di credito?» domando, la risata che scema lentamente ma il sorriso fermo sulle labbra.

«L'ho prestata a Rosaria e non me l'ha ancora restituita.»

«Ahia.»

«Dici che devo preoccuparmi?»

«Forse...»

«Oh caspita!» si lamenta lui, e scoppiamo di nuovo a ridere.

Fermi tra le corsie del supermercato, mi rendo conto che io e Marco non siamo mai stati così bene insieme ed era da tanto che non restavamo da soli, io e lui. Quasi mai trascorriamo del tempo che sia anche solo a guardare la tv insieme, o a chiacchierare del più e del meno come faccio con Remo. È vero che io e Marco abbiamo una differenza d'età maggiore di quella che c'è tra me e Remo, ma è comunque mio fratello e sento di conoscerlo davvero poco, come forse lui sente di conoscere davvero poco me.

Mi chiedo se alla fine è tutta colpa mia. Se, a causa del mio atteggiamento, ho sempre allontanato Marco da me, se l'ho sempre visto e considerato come il fratello maggiore rompipalle che cerca di mettermi senza motivo i bastoni fra le ruote.

Forse i suoi motivi ce li ha anche lui, e forse Gabriele ha davvero ragione: l'unica emozione che conosco è la rabbia.

E a questo punto non so neanche se uno sforzo da parte mia basterà a rimettere le cose al proprio posto. Soprattutto, non so se basterà per rimetterle a posto con Gabriele. Nel giro di mezza giornata, sono riuscita ad allontanare di nuovo il mio angelo custode e a ferirlo. Adesso cosa accadrà al nostro rapporto? Ritornerà a essere freddo?

Prima di concludere la nostra spesa, facciamo una sosta nel reparto detersivi: a Marco servono le lamette e io ne approfitto per fare rifornimento di shampoo. Quindi paghiamo tutto e usciamo per poi sistemare le buste nell'auto di Marco. Durante il tragitto dalla cassa alla macchina, Marco mi ha raccontato che, dal suo compleanno, Federico ha ripreso a mangiare più spesso e con più voglia e che Rosaria crede che sia tutto merito mio, che abbia compiuto un miracolo.

«Ma va, non ho fatto niente!» rispondo a Marco, mentre nella mente le parole di Gabriele ritornano prepotenti e mi colpiscono al cuore.

Sono fiero di te.

In macchina, appoggio la testa al finestrino e ascolto Marco parlare senza in realtà sentirlo più di tanto, tant'è che mi limito ad annuire di tanto in tanto senza sapere con precisione qual è l'argomento.

La mia mente è sempre lì, sempre per lui.

«Ciao, Paola!»

La voce di Rosaria mi fa trasalire. Forse avrei dovuto prestare più attenzione a ciò che mi stava dicendo Marco, perché così almeno avrei saputo che saremmo andati a prenderla.

Poco male, almeno in questo modo parlerà lei con Marco e io potrò ritornare a pensare a Gabriele. Com'è d'abitudine, quindi, la faccio accomodare sul sedile anteriore per andarmi a sedere su quello posteriore. Marco rimette in moto.

«Io e Paola siamo andati al supermercato» racconta a Rosaria.

«Ah sì? Cosa avete comprato di bello?»

«La maggior parte cose che Remo ci ha chiesto di prendere. Mi ha fatto una lista infinita, vero, Paola?»

«Mh-hm.»

«Pensa che non sapevo neanche se ce l'avrei fatta a pagare, anche perché la mia carta di credito ce l'hai tu e come mi ha fatto notare Paola forse dovrei preoccuparmi del fatto che tu non me l'abbia restituita ancora...»

Marco l'ha detto ridendo, ma Rosaria non coglie l'ironia e si volta verso di me per lanciarmi un'occhiataccia. «Cosa volevi dire con quella frase?»

«Cosa?»

«Pensi che stia spendendo tutti i soldi di tuo fratello?»

«Che? Io non ho detto questo!»

«Sì, è vero, non voleva dire questo. E poi, se anche così fosse, stava scherzando ovviamente» si intromette Marco, guardandomi attraverso lo specchietto retrovisore.

«Già» commento.

«Mi dispiace, ma io non ci trovo nulla di divertente. Non sono mica una di quelle donne che appena hanno una carta di credito tra le mani fanno spese pazze!»

«Ma infatti io non intendevo questo.»

«E cosa intendevi?»

Non lo so.

Non lo so neanche più che cosa intendevo dicendo a Marco che forse avrebbe dovuto preoccuparsi. Ma non faccio in tempo a rispondere, che Marco mi blocca.

«Paola, per favore, lascia stare. Rosaria, smettila, ma che ti prende?»

«Che mi prende?» Come una furia, Rosaria scava nella sua borsa griffata di Louis Vuitton ed estrae un portafoglio bianco abbinato alla borsa da cui prende la carta di credito di Marco. Gliela lancia addosso e la Mastercard va a finire tra le gambe di mio fratello. «Tienitela! Non ho speso nemmeno un soldo. Controlla, se vuoi!»

Marco sbuffa e con molta calma afferra la carta di credito per poi poggiarla sul cruscotto. «Riprenditela.»

«No!»

«Prendila.»

«No!»

«Se non la volete, la prendo io» mi scappa di dire.

«Paola, stanne fuori» mi rimprovera Marco.

«Oh e per quale motivo? Coinvolgiamola nel nostro discorso, tanto succede sempre così!»

«Rosaria!»

«Che vuol dire?» A questo punto sono curiosa, anche se preferirei che la smettesse di urlare come una pazza senza motivi apparenti.

Almeno per il momento.

«Vuol dire che entri spesso nei nostri discorsi.»

«Cioè?»

«Rosaria, smettila.»

«E perché dovrei? Visto che lo vuole sapere, glielo dico! Tuo fratello, ogni volta che parliamo del nostro matrimonio, dice che vuole aspettare a quando prenderai il diploma o quando compirai diciotto anni, o quando smetterai di combinare guai. Il che potrebbe essere anche fra vent'anni!»

«Marco, è vero?» chiedo stupita.

«Oh Dio!» esclama Marco, ma oltre a quello non dice nient'altro.

Non mi spiega se è vero quello che ha detto Rosaria e d'altra parte non lo fa nemmeno lei. Tuttavia non mi servono troppe spiegazioni per capire che è un argomento che affrontano spesso e ora forse Rosaria è arrivata al limite della pazienza. Ma quella che sta usando Marco è una scusa, perché pensare di lasciare casa e di mettere su famiglia solo quando io sarò indipendente – o quando la smetterò di fare casini, come ha detto Rosaria – è davvero sciocco.

Quando Marco parcheggia l'auto davanti casa nostra, scendiamo tutti e tre senza dire una parola. Aiuto Marco a portare dentro la spesa mentre Rosaria si avvia all'ascensore. La prende e sale senza aspettarci.

Negli occhi di Marco ci leggo un misto di rabbia e delusione.

Ed è tutta colpa mia.


***


Mi sfilo la maglietta e infilo quella del pigiama, la voglia solo di mettermi a letto e dimenticare questa orribile giornata. Una giornata che non poteva finire in un modo peggiore. Marco e Rosaria hanno litigato ancora.

Furiosamente.

Chiusi nella camera da letto di Marco, hanno continuato a inveire l'uno contro l'altra mentre un groppo mi si formava in gola. Ho dovuto rinchiudermi a mia volta nella mia stanza, soprattutto per evitare le domande insistenti di mia madre e di Remo.

«Tu sai cos'è successo?»

Oh, mamma, so pure troppo. So cose che non dovrei sapere.

Sbottono i jeans e nell'esatto momento in cui li abbasso, Gabriele appare davanti a me. Sobbalzo e mi copro con le mani.

«Scusami!» esclama lui, voltandosi imbarazzato.

«Cosa...» Il cuore batte furioso nel petto per tanti motivi. Primo fra tutti quello di non aspettarmi di trovarmelo davanti così, all'improvviso. «Cos'è successo?»

«Posso girarmi?»

Mi sfilo i jeans e metto i pantaloni del pigiama. «Sì.»

Le guance rosse, gli occhi bassi, Gabriele afferma: «Ho urgente bisogno di parlarti.»

«Dimmi» lo sprono, il cuore che batte sempre più forte.

«Sì, allora...» Si schiarisce la voce tossendo. «Volevo dirti che se tu vuoi che io me ne vada, non posso costringerti ad accettare la mia presenza. Per cui, se non vuoi vedermi più, io andrò via.»

«Vuoi andare via?»

«Solo se tu lo vuoi.»

Le gambe cedono d'improvviso e sono costretta a sedermi sul letto per non cadere. «No» sussurro.

«Come?»

«Non voglio che tu vada via!» esclamo e, prima che possa fermarle, lacrime inondano il mio viso... di nuovo.

«Paola...» Gabriele si inginocchia davanti a me e con l'indice mi alza il mento. «Non piangere, ti prego.»

Ma io non riesco a fermarmi e singhiozzo sempre più forte. Il corpo scosso dagli spasmi, Gabriele è costretto a prendermi in braccio e a farmi stendere sul letto.

Per favore, calmati.

Non ci riesco.

A quel punto lui si stende accanto a me e mi abbraccia forte. Nonostante io stia ancora tremando e le lacrime non smettano di scendere, le sue braccia attorno al mio corpo mi danno sollievo. Inoltre, Gabriele fa in modo da farci accoccolare entrambi sotto le coperte, così da stare al caldo, e io d'istinto poggio la testa sul suo petto.

Resta, ti prego, lo imploro.

Non me ne vado.

Puoi dormire con me?

Non me ne vado.

Chiudo gli occhi e sospiro. Gabriele mi accarezza i capelli, avvolgendoseli attorno alle sue dita. Il suo respiro è regolare e la sua tranquillità mi dà forza.

Le lacrime hanno cessato di scendere e io cado in un sonno profondo.




Buon martedì! Momenti difficili tra Paola e Gabriele, ma anche tra Marco e Rosaria. Marco crede di essere responsabile per Paola, Paola dice di non aver bisogno di una figura paterna che in realtà non ha mai avuto. Voi che ne pensate? 

A venerdì! 

Mary <3 

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