11. L'unica risposta che non posso dare
Credo che potrei segnare questo giorno sul calendario, per quanto è unico. Questo è il giorno in cui sento di sapere qualcosa di matematica e queste due ore che adesso ci aspettano non mi spaventano per niente. Ho i concetti ben piantati in mente, la sicurezza di riuscire a capire dove ho commesso l'errore, nel caso in cui un esercizio non mi riesca; la dimestichezza anche con gli esercizi che una volta mi sembravano insormontabili.
Posso recuperare l'insufficienza del compito e lo farò proprio a breve, dato che la professoressa Brandelli vuole fare un'interrogazione a tappeto prima di passare al prossimo argomento in programma. Decide di chiamarci tutti alla lavagna per svolgere un esercizio a testa e lo fa seguendo un suo schema mentale che ho imparato ormai a conoscere: dal più bravo a quello meno bravo. Ovviamente, io vengo chiamata per ultima, addirittura dopo Matteo.
E vengo chiamata con parole pungenti, volte a offendermi.
«Vieni, Paola, sei l'ultima.»
Questa volta però non ho intenzione di dargliela vinta, e soprattutto le dimostrerò che si sbaglia.
Vado alla lavagna. Matteo è ancora in piedi lì vicino e non appena gli sono di fronte mi porge il gessetto, che prendo stando attenta a non sfiorargli la mano. Dovrebbe tornare a posto, invece resta per un attimo impiantato davanti a me, a fissarmi con occhi le cui pupille sono piccolissime, il nero che quasi ricopre interamente il castano, i capelli scompigliati, il livido sul naso dovuto al mio pugno e la maglia dei Metallica.
Sono felice di non provare niente per lui in questo momento. Anzi, più lo guardo e più provo ribrezzo nei suoi confronti. Gli do le spalle e aspetto che la professoressa detti l'esercizio; lo sento sospirare mentre ritorna al suo posto.
Sono tentata dallo girarmi e dirgli che è proprio inutile sospirare come un cane bastonato adesso, ma mi tocca concentrarmi sull'esercizio, anche perché quello che mi ha assegnato la professoressa necessita di molti passaggi ed è parecchio complicato. Ci impiego infatti circa un quarto d'ora per completarlo e con mia grande sorpresa ci mette però di più la professoressa per correggerlo.
Quasi, penso malignamente, sta cercando disperatamente di non ammettere che è tutto corretto. La sua espressione di delusione non mente, quando finalmente dichiara: «Sì, è tutto giusto, vai a posto.»
Neanche le chiedo se mi darà più della sufficienza. Mi spolvero le mani dal gesso battendole insieme, poi tornando al mio banco incrocio lo sguardo di Gabriele e un sorriso mi nasce spontaneo sul volto.
Ce l'abbiamo fatta, angelo custode.
Siamo solo all'inizio dell'anno scolastico, mi fa volare basso lui.
Sbuffo e gli concedo un altro sorriso, ma questa volta accompagnato da una smorfia.
«Cosa c'è tra te e Gabriele?»
Elisa me lo chiede una manciata di secondi dopo e lo fa senza neanche alzare il viso dal quaderno su cui sta prendendo appunti, concentratissima a non perdersi neanche una parola della spiegazione della professoressa.
«Come?» faccio finta di non capire.
«Guarda che ce ne siamo accorte tutte.» E quando dice "tutte" si riferisce ovviamente anche a Claudia e a Michela. «Non fate altro che scambiarvi sguardi e sorrisetti, e di punto in bianco sembrate amici di vecchia data. Vi ho visto parlare sì e no un paio di volte, qui in classe. È successo qualcosa che non so, dopo quella volta che dovevate vedervi da soli? Anche perché non ci hai detto nulla...»
«Mh...» Mi prendo un attimo di pausa per risponderle, facendo finta di essere preoccupata che la professoressa Brandelli possa sentirci chiacchierare. «No, non è successo nulla di che» dico alla fine.
Avrei potuto inventare una scusa migliore, lo so, ma non sono in grado di farlo. Soprattutto così, su due piedi.
«Paola, sei sicura?»
«Sì.»
«Non è che non vuoi dirmelo?»
«No... cioè, non c'è nulla da dire, te lo ripeto.»
«Come vuoi.»
Elisa sembra aver accettato la cosa, invece poggia la tempia sul pugno chiuso, quasi a voler utilizzare il suo braccio per non vedermi, e non aggiunge altro. Di tanto in tanto provo a dirle qualcosa, soprattutto a sottolinearle che non stavo mentendo riguardo me e Gabriele, ma la sua bocca resta cucita come se ci avessero messo sopra la colla.
D'un tratto, durante l'intervallo, se ne va da Michela e Claudia e io non ho il coraggio di avvicinarmi a loro. So che parleranno di me e che lo faranno credendo chissà cosa, ma non faccio niente per impedirlo. Difatti, quando la campanella sancisce la fine della giornata scolastica, vanno via senza salutarmi.
Mentre le osservo allontanarsi da me, sento il tocco gentile di Gabriele sfiorarmi le spalle.
«Vuoi compagnia per tornare a casa?»
«No, grazie.»
Voglio restare sola con i miei pensieri e anche se so che lui è sempre accanto a me e che di fatto può leggerli, i miei pensieri, preferisco così. Lui non obietta ed entrambi usciamo da scuola.
Di ritorno a casa cerco di riavvolgere il nastro e ripercorrere la conversazione tra me ed Elisa. Avrei potuto darle un contentino senza dirle di fatto la verità? Perché il rapporto che c'è tra me e Gabriele non posso rivelarlo a nessuno – è una delle regole – ma al tempo stesso non saprei cosa inventarmi per spiegare l'intesa particolare che abbiamo. Non è il mio fidanzato, non è solo un amico.
È allora cos'è?
È il mio angelo custode.
È l'unica risposta che so darmi, ma l'unica che non posso dare.
Forse, se Elisa crede che le sto nascondendo qualcosa e che tra me e Gabriele c'è qualcosa che va oltre l'essere compagni di classe, non posso farci niente. Spero solo di non perderla, così come spero di non perdere le mie amiche.
Spalanco la porta di casa con un misto di delusione e tristezza. Non annuncio neanche che sono arrivata, anche perché non so chi c'è a quest'ora. Dei colpi forti e ripetuti, però, mi destano dai miei pensieri.
«Remo!» grida Marco dando pugni alla porta del bagno. «Vuoi uscire da questo bagno? Sei chiuso qui dentro da un'ora!»
Quando Marco si accorge della mia presenza, scuote la testa, incredulo, cercando di coinvolgermi nel suo disappunto. Poi la sua attenzione torna tutta su Remo chiuso nel bagno. Alza il pugno, con l'intenzione di batterlo ancora sul legno della porta, ma proprio in quel momento Remo esce.
«Finalmente!» esclama Marco. Remo lo ignora e sta per filarsela, ma Marco lo tira a sé prendendolo per il lembo della felpa. «Remo, che hai? Guardami.»
«Non ho niente, lasciami» sussurra Remo, abbassando la testa.
«Guar-da-mi.»
A quel punto Remo alza lentamente la testa e punta gli occhi in quelli di Marco. Nonostante io non sia faccia a faccia con Remo come lo è Marco, non mi sfuggono gli occhi rossi e lucidi, il naso che cola e le guance paonazze.
Figuriamoci se sfuggono a Marco...
«Ti sei drogato?»
«No!» Remo riesce a liberarsi dalla presa di Marco, ma lui lo afferra di nuovo questa volta stringendo il colletto. «Mollami!»
«Remo, ti sei drogato?» ripete Marco, un sopracciglio arcuato, gli occhi stretti a fessura per valutare se Remo sta mentendo.
«Ti ho detto di no!» grida Remo e prova a divincolarsi ancora una volta. «Mollami, ho detto! Non mi sono drogato, ho pianto. Contento?»
La voce di Remo si incrina sulle ultime parole. Marco lo lascia andare lentamente e non gli dice nulla, nemmeno le scuse che forse merita. Restiamo tutti e tre in un silenzio imbarazzante, quindi Remo scappa in camera sua.
Non ci penso due volte a seguirlo e, nonostante mi dica di andare via, resto.
«Per favore, dimmi che succede» gli dico, mentre lui si lascia cadere seduto sul letto e si prende la testa tra le mani.
Non ho intenzione di forzarlo a dirmi cos'è che lo turba, se non vuole, ma Remo in questo stato raramente l'ho visto e vorrei fare qualcosa, se posso, per farlo stare meglio. Lui con me l'ha fatto un milione di volte.
«Si tratta di Michela» trova il coraggio di dirmi.
«L'hai messa incinta? Divento zia?»
Remo accenna un breve sorriso, capendo la mia ironia, e si asciuga il naso con il dorso della felpa. «No, non siamo ancora così intimi.»
«E allora che c'è?»
«Non posso dirtelo.»
«Perché Michela è mia amica?»
«No, perché sei mia sorella.»
La sua risposta mi spiazza e mi fa capire che in qualche modo c'entri anche io nel discorso. Eppure non ho fatto assolutamente nulla per impedire la loro relazione, anzi. Né Michela mi ha mai chiesto niente su mio fratello.
«Me lo dici, per favore?» insisto. «Sto viaggiando con la mente e non voglio pensare cose che non sono vere.»
«Tipo?»
«Remo...»
«D'accordo.» Remo si schiarisce la voce tossendo. «I suoi genitori non vogliono che ci frequentiamo.»
«Pensano che tu sia troppo grande per lei? Tre anni per me sono pochi, ma lei è minorenne e tu...»
«No, non è per quello. È perché sono tuo fratello e tu sei mia sorella. Pare che durante una discussione sia venuto fuori che in realtà ai genitori di Michela tu... tu non piaccia poi tanto.»
«Oh... questo non... non lo sapevo.»
Non che io abbia mai avuto modo di parlare molto con i genitori di Michela o in generale con i genitori delle mie amiche, ma non mi aspettavo una cosa del genere. Mi ferisce sentire che per colpa mia non vogliono che Remo frequenti Michela, ma temo che non posso dar loro troppo torto, alla fin fine.
«Mi dispiace, non te lo devo dire» fa Remo.
«Invece hai fatto benissimo. E se questo è veramente il motivo per cui non vogliono che vi frequentiate, allora dimostra loro che non possono giudicarti in base alle mie azioni. Quello che dicono di me posso anche accettarlo, ma non quando ci va di mezzo la mia famiglia, o le persone a cui tengo. Perciò convincili a farti conoscere. Organizza una cena, o qualcosa del genere.»
«E se non vogliono?»
«Peggio per loro!»
Remo grugnisce, quasi sul punto di rimettersi a piangere. «Michela mi piace veramente» ammette.
E credo che sia la prima volta che gli sento dire una cosa del genere su una ragazza.
«Allora ci devi provare, non esistono alternative.»
Remo annuisce, soppesa le mie parole. Poi mi cinge le spalle con un braccio e mi trae a sé. «Grazie» sussurra tra i miei capelli, «e tanto per essere chiari: a me non interessa quello che dicono gli altri di te. Nessuno ti conosce davvero.»
Mi sorride e io ricambio, un po' restia, il suo sorriso. Sarà anche che per Remo i genitori di Michela e tutti quelli che mi hanno sempre etichettata come una persona da tenere alla larga dei propri figli hanno torto, ma intanto tornare indietro è difficile.
Si può solo sperare nel futuro e per fortuna, per quello, io ho Gabriele.
Estraggo il telefono dalla tasca e cerco la chat con Michela, Claudia ed Elisa. Vorrei scrivere qualcosa, una qualsiasi, per vedere se mi rispondono, ma non so quale argomento potrei mettere in mezzo per costringerle a parlarmi.
Lo sfondo che ho come immagine su WhatsApp mi dà l'ispirazione.
"Verrete al concorso?"
Buon martedì!
Spero abbiate trascorso una serena Pasqua... cosa avete trovato nell'uovo? Nel frattempo, la nostra Paola si trova a dover affrontare un problema che forse non aveva messo in conto, quando ha conosciuto Gabriele: come spiegare il loro rapporto?
Voi come agireste?
A venerdì!
Mary <3
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