01.
(Nome)'s pov
Il curry era il mio piatto preferito.
Amavo la sensazione del riso che mi solleticava la lingua con i suoi granelli croccanti, l'aroma deciso della salsa che si combinava a quello delicato delle verdure, i morbidi cubetti di carne che si mimetizzato tra gli ingredienti e quel profumo familiare, leggermente speziato, che non poteva appartenere a nessun'altro piatto.
Ora però ricordo a malapena il suo sapore, allo stesso modo in cui è sbiadito nella mia mente il modo in cui lo preparavo.
Per la verità, è da tempo ormai che non faccio un vero pasto: un piatto di soba, degli onigiri, del pesce fritto. Tutte cose di cui andavo matta, ma che ora riescono soltanto a darmi la nausea.
Le mie solite barrette dietetiche hanno preso il posto di qualsiasi altro cibo, mentre la colazione è diventata poco meno di un optional. Meno tempo spreco a mangiare e meglio è.
Non so di preciso quando tutto questo sia cominciato, so solo che da quando ho cambiato scuola tutte quelle cose che prima mi sembravano insignificanti sono diventate fondamentali come respirare.
"Se non hai un punto vita di sessanta centimetri non ti guarda nessuno"
"Se avessi le gambe più magre saresti perfetta"
"Lo sai che Hannah ha provato una nuova dieta che le ha fatto perdere cinque kili?"
"Mangi davvero tutte quelle schifezze?"
Avevo cominciato con il diminuire il cibo - niente colazione, insalata a pranzo e yogurt a cena - , poi sono passata alla palestra tre volte a settimana. Ho visto i primi risultati dopo poche settimane, ma non era abbastanza.
Non era mai abbastanza.
Ora passo praticamente tutto il tempo tra la scuola, i compiti e le mie sessioni di allenamento; ho a malapena tempo di respirare, figuriamoci se posso permettermi di sedermi per mangiare.
Non sono più nemmeno sicura di quante taglie ho perso, tutto il mio armadio è stato cambiato, i vecchi vestiti buttati via, sostituiti da quelli che andavano di moda, poco importava se mi piacessero o meno. Se le mie amiche dicevano che erano perfetti, allora mi fidavo.
Sono caduta in un vortice senza uscita, le mie guance hanno perso tutto il proprio colore, i miei occhi sono spenti, privi di quella scintilla chiamata 'vita', mi trascino giorno dopo giorno senza mai percepire veramente ciò che mi circonda.
Sembra tutto affievolito, come una tela in bianco e nero: vedo le persone, ascolto le loro parole, però non riesco a provare niente.
I miei sentimenti sono come spenti da un interruttore posizionato sulla scritta 'off'.
Mi alzo dal letto come un automa, quel peso sullo stomaco torna a farsi sentire non appena metto piede a terra, un mostro che ruggisce dentro di me, pronto a divorarmi pezzo dopo pezzo, lacrima dopo lacrima.
Raggiungo il bagno a passi lenti, l'immagine che mi restituisce lo specchio sopra il lavandino è quella di un estranea. Sembro quasi un fantasma, il guscio di una persona andata via da tempo, un fantoccio senza vita.
Mi sciacquo la faccia, le dita indugiano sulle ossa sporgenti degli zigomi, sulle guance scavate. Mi tolgo la maglia gettandola in un angolo, le costole in vista mi ricordano i gradini di una piazza ormai vuota, la pelle sul mio ventre è tirata fino al limite, gli spigoli delle anche premono sull'elastico del pantaloncino.
L'uniforme, sapientemente stretta sulle cuciture, ricade perfettamente sul mio corpo fasciando la vita sottile e mettendo in risalto le cosce longilinee. È questo che rincorrevo da tempo, non posso lasciarmelo sfuggire, o almeno è quello che mi ripeto ogni mattina.
Lascio la casa vuota senza aspettarmi un saluto da nessuno, so già che i miei genitori sono fuori per lavoro o a fare chissà cosa, non che mi interessi. Sono usciti dalla mia vita già da parecchio tempo, a volte penso che abbiano deciso di concepirmi solo per potersi vantare della loro figlia che frequenta la scuola più prestigiosa della città, non li importa cosa faccio, purché non li porti guai.
Raggiungo la scuola, un ampio edificio a quattro piani dipinto di un rosa pesca, con la musica che mi rimbomba nelle orecchie, a malapena sento la voce della mia vicina di banco che mi chiama. Si trova accanto all'ingresso principale della struttura, insieme agli altri due ragazzi con cui a volte usciamo: Neito Monoma e Yosetsu Awase.
"(Nome)-chan finalmente sei arrivata, ti stavamo aspettando!"
Kendo mi squadra da capo a piedi, un'espressione di disappunto le si dipinge sul viso quando nota una cucitura della mia gonna leggermente allentata.
"Da chi te la sei fatta stringere? Non vedi che tra un po' si strapperà di nuovo?" Mi dice stizzita, come se il fatto che la mia gonna non sia apposto le abbia appena rovinato la giornata.
Sposto lo sguardo nello stesso punto del suo e mi rendo conto che in effetti il filo nero è visibile tra le pieghe del tessuto, afferro l'estremità sporgente tirandola in modo tale da stringere nuovamente la cucitura.
"Mi dispiace, la porterò nuovamente in negozio. Per ora penso possa bastare questo" mi scuso.
La vecchia me l'avrebbe mandata a quel paese, ma in questo momento lei è una delle poche persone con cui ho un rapporto che va oltre la convivenza civile. Dover sottostare a questi suoi piccoli capricci è il prezzo da pagare per poter passare del tempo con lei.
"Tra cinque minuti suona la campanella, dobbiamo andare in aula" ci riprende Monoma, rassettandosi con una mano il ciuffo biondo perfettamente pettinato.
Poi, senza aspettare risposta, comincia ad incamminarsi all'interno della scuola. Lo seguiamo senza fiatare, mi impegno nel miglior modo possibile ad evitare tutte le persone che mi circondano, riesco a vedere solamente un mare di scarpe che stridono sul pavimento, nessun volto, nessuna espressione. Alzo la testa solamente al suono della voce di Kendo.
"Guardate quelli della 1-A, sempre sorridenti come se fossero i padroni del mondo. Davvero non li sopporto"
La coda arancione ondeggia al ritmo della sua testa scossa con evidente irritazione, la ruga tra le sue sopracciglia più profonda che mai.
Non so quale motivo mi spinge a levare lo sguardo oltre quella porta, forse il suono di una bellissima risata che rimbomba tra le pareti dell'aula accanto alla mia o forse l'aura di allegria che sembra risplendere a partire dalla linea sottile che separa il corridoio da quella stanza.
Rosso.
È il primo colore che mi salta all'occhio; una chioma di quel colore tirata verso l'alto con un'abbondante quantità di gel spicca tra quelle delle altre persone. Appartiene ad un ragazzo bellissimo, dal volto gentile e le labbra tirate in un sorriso, mi accorgo ora che la risata veniva proprio da lui.
Per un istante il velo che mi separa dal mondo sembra strapparsi proprio nel punto in cui lui è seduto sul banco con le gambe penzoloni, i colori e le emozioni che avevo seppellito da tempo mi colpiscono come un fulmine a ciel sereno. È tutto così improvviso che mi ritrovo a fare un passo indietro senza accorgermene.
"Andiamo, (Nome)"
Monoma mi afferra il braccio senza un briciolo di gentilezza, strattonandomi a sinistra, il verso strozzato che esce dalla mia gola a causa dello spavento sembra attirare l'attenzione di quel ragazzo.
Rosso, di nuovo.
Questa volta è il colore delle sue iridi a raggiungermi, è caldo, più caldo di qualsiasi cosa abbia mai visto. Lo sento accarezzarmi da capo a piedi, ogni cellula del mio corpo viene scossa da quel contatto, dopo tanto tempo mi sento di nuovo me stessa. Percepisco la terra sotto le mie suole, l'aria contro le guance, la luce che inonda l'aula.
Senza accorgermene punto i piedi, riuscendo così a divincolarmi dalla stretta di Monoma, sinceramente non mi importa di cosa mi sta dicendo in questo momento. Mi importa solo del ragazzo che si trova a pochi metri da me, lo vedo socchiudere le labbra come per dire qualcosa.
In quel momento però il suono della campanella mi riporta alla realtà. Scuoto la testa e faccio un profondo respiro, mi sento come se fossi appena uscita da una lunga apnea.
Distolgo lo sguardo e mi avvio verso la mia classe, ma sento ancora quello sguardo bruciarmi addosso.
-
"(Nome)-chan, non vieni a pranzo?"
Kendo posa una mano sul banco per attirare la mia attenzione, chiudo il quaderno pieno degli appunti presi durante la lezione prima di guardarla negli occhi.
"Non ho fame, vi raggiungo per le lezioni pomeridiane" le rispondo con un lieve sorriso, ignorando il mio stomaco che brontola per l'assenza di cibo dalla sera precedente.
"Fa come vuoi, ma sappi che se dimagrisci ancora un po' comincerai a fare impressione. Chi vuoi che voglia una ragazza tutta ossa?"
Kendo era stata la stessa che all'inizio dell'anno mi aveva detto di dover perdere dei chili di troppo, oppure non mi sarebbe nemmeno entrata l'uniforme. L'avevo ascoltata, solo che neanche questa volta andava bene.
Quando ci sono di mezzo io, niente va mai bene.
Mi sento sbagliata in ogni situazione. Qualsiasi cosa io faccia mi porta ad avere una perenne sensazione di disagio. Mi sento spesso fuori posto come se fossi indesiderata. Non so mai di cosa parlare, ho paura di sembrare troppo o troppo poco.
"Sta tranquilla, mi sono portata il pranzo da casa. Vedrò di mangiare qualcosa" dico, pur sapendo che non sarei riuscita a far entrare nulla nello stomaco.
Kendo e Awase - un ragazzo con degli appuntiti capelli neri che porta sempre sulla fronte una fascia bianca con dei rombi azzurri - lasciano la classe ormai vuota, Monoma invece resta accanto a me, mi rivolge uno dei suoi soliti sguardi maliziosi.
"Per me vai bene comunque"
Prende una ciocca dei miei capelli rigirandola svogliatamente tra le dita, poi incastra l'altra mano fra i capelli alla base della nuca, mi tira verso di lui. Poso le mani sul suo petto per evitare di avvicinarmi troppo, il cuore mi martella nella cassa toracica.
Non è la prima volta che succede una cosa del genere, in realtà è da quando ci siamo conosciuti che prova a conquistarmi come ha già fatto con metà delle ragazze della scuola. Credo di essere l'unica, oltre a Kendo, ad aver resistito al suo fascino da principe di altri tempi.
So di non avere possibilità contro di lui, non potrei mai sopraffare la sua forza, il fatto di non aver mangiato poi mi rende ancora più debole.
Mi alzo in piedi per cercare di aggirarlo ma lui mi afferra per il polso spingendomi contro il banco alle mie spalle, stringo i denti per il dolore che mi risale lungo la schiena.
"Perché devi fare sempre la difficile!?"
Si sporge verso il mio viso con l'intenzione di baciarmi, io giro la testa di lato, le sue labbra mancano l'obbiettivo incontrando invece la mia guancia. Comincio a tremare di paura, non si era mai spinto a tanto fino ad ora, gli era sempre bastata qualche frecciatina o tentativo di adescamento.
"Ci conosciamo da quasi un anno e tu neppure mi chiami per nome" continua, spingendo il proprio bacino contro il mio, sento le prime lacrime pizzicarmi gli angoli degli occhi.
"Basta" singhiozzo portandomi un braccio davanti al viso.
Mi sento così indifesa, non so come proteggermi da tutto questo. Lui mi guarda come un predatore di fronte alla sua preda, sento la paura bloccarmi ogni muscolo, ogni pensiero che cerca di formarsi nella mia mente. La sensazione del suo tocco sulla mia pelle è lava incandescente, lame che riescono a ferirmi.
"Dì il mio nome, voglio sentirlo dalle tue labbra" mi sussurra all'orecchio, mentre fa aderire il suo corpo al mio con una mano risale la mia schiena.
Rimango immobile, non voglio dargli soddisfazione ma non sono neanche capace di dire altro. Mantengo il viso nascosto nell'incavo del gomito, mentre cerco di trattenere quei singhiozzi che vorrebbero spezzare in due il mio petto.
"DILLO!"
Mi spinge all'indietro facendomi cadere sulla superficie dura del banco di legno, con un ginocchio tra le mie gambe si mantiene in equilibrio a pochi centimetri dal mio busto. La mano che non tiene fermo il mio viso mi viene posata sulla coscia, le dita si imprimono violentemente nella carne.
"Lasciami, ti prego" lo supplico con un fil di voce, impotente di fronte al palmo che sta risalendo lentamente sotto il tessuto della gonna.
"Solo se ti deciderai a collaborare una buona volta. Cosa devo fare per convincerti!?"
Il suo è poco più di un ringhio, le pupille dilatate dal desiderio lo rendono ancora più spaventoso. La cosa che più mi fa paura è però la consapevolezza che nessuno verrà a salvarmi, nessuno sentirà la mia richiesta d'aiuto. Tutti si trovano nella mensa della scuola, i corridoi a quest'ora sono deserti.
Chiudo gli occhi quando lo vedo avvicinarsi sempre di più alla mia bocca, la mia speranza sbiadisce ogni secondo che passa.
Poi il vuoto.
Il peso del suo corpo non schiaccia più il mio, le sue mani non sono più in contatto con la mia pelle, il suo odore di colonia è ormai lontano.
"Che diavolo credevi di fare!?"
Quella voce.
Mi rimetto seduta in fretta e furia, appena in tempo per vedere il ragazzo dai capelli rossi piantare un pugno sul naso di Monoma. Non indossa la giacca dell'uniforme e la camicia bianca è tesa sotto i muscoli della sua schiena; stringe l'altro ragazzo per il colletto mentre la mano che lo ha colpito è ancora sospesa in aria.
"Non sono affari tuoi" risponde il biondo fingendosi sicuro di sé. In realtà si vede che sta morendo di paura, le mani strette attorno al polso del rosso gli tremano.
"Pensavi che potessi ignorare quello che le stavi facendo?"
Per un attimo i suoi occhi incontrano i miei, è bastato quel breve contatto per farmi mancare il respiro. È ancora più bello di quanto ricordavo, con la luce pomeridiana che fa risplendere le sue iridi cremisi e mette in risalto una piccola cicatrice sulla sua palpebra destra.
La voglia di toccare il suo viso mi fa prudere la punta delle dita.
"A chi pensi che importi di lei?"
Sentendo quelle parole una morsa mi stringe improvvisamente il petto, forse perché so che ha ragione.
Non ricordo l'ultima persona che mi ha chiesto come stavo, che mi ha abbracciata senza motivo, che ha fatto un gesto carino senza secondi fini, non ricordo l'ultima volta che mi sono sentita veramente amata.
La stretta attorno al collo di Monoma si stringe impercettibilmente, vedo il volto del rosso contrarsi in una smorfia ancora più furiosa.
"A me importa"
Quelle parole hanno su di me l'effetto di una valanga, la diga che mi ero sapientemente costruita attorno al cuore per impedire alle emozioni di uscire dal mio controllo viene abbattuta completamente.
Mi rendo conto che siamo piccoli atomi di carbonio, apparentemente tutti uguali e insignificanti. Ma poi qualcuno diventa semplice grafite, come ho fatto io, mentre altri un bellissimo diamante, raro, prezioso e ammirato da tutti. Proprio come lui. Quel ragazzo che, seppur non conoscendomi, mi ha appena salvata in tutti i sensi. Ha salvato non solo il mio corpo, ma anche la mia anima.
Lui è la persona che si incontra quando la vita decide di farti un regalo.
"Ora sparisci dalla mia vista"
Monoma lascia la classe dandosela letteralmente a gambe, solo allora mi rendo conto del fatto che siamo rimasti solo noi due nella stanza. Il nodo attorno alla gola torna a farsi più stretto, cerco di dire qualcosa ma i miei occhi si riempiono nuovamente di lacrime.
Seppellisco il viso tra le mani, le gambe abbandonate oltre il bordo del banco portano ancora i segni delle dita del ragazzo impressi sulla pelle. Mi sento usata, violata nel peggiore dei modi.
"Ehi, va tutto bene"
Sento il rumore dei suoi passi avvicinarsi. Chissà cosa avrà pensato di me vedendomi in quella situazione, sicuramente crederà che sono una di quelle ragazze che si abbandona tra le braccia del primo che incontra. Ho appena rovinato ogni mia possibilità di riuscire anche solo a parlargli.
Sobbalzo quando mi posa una mano sulla spalla e lui, rendendosi conto di quanto fossi ancora spaventata, la ritira subito facendo un passo indietro.
"Non voglio farti niente"
Persino la sua voce ha qualcosa di unico, quel tono tra il rassicurante e lo scherzoso che è difficile da trovare, quello che anche provandoci non sarei mai riuscita a dimenticare.
Abbasso la testa senza riuscire a sostenere lo sguardo preoccupato che mi sta rivolgendo.
Scendo lentamente dal banco ma le gambe ancora tremanti non riescono a sostenere il mio peso, barcollo in avanti senza trovare niente a cui aggrapparmi. I riflessi del ragazzo fortunatamente gli permettono di prendermi al volo, mi ritrovo premuta contro il suo petto con le mani di lui attorno alla vita.
Il sangue mi confluisce alle guance, sento di star andando a fuoco. L'odore maschile della sua pelle mi dà alla testa, ho le mani aggrappate disperatamente al tessuto della sua camicia, poco sopra gli addominali, il calore del suo corpo si mescola al mio.
Lo vedo incupirsi sotto il mio sguardo che timidamente era riuscito a spostarsi sul suo viso, mi chiedo cosa stia pensando il questo momento. A volte vorrei avere il potere di leggere nella mente delle persone.
Kirishima's pov
Le sue ossa premono contro i palmi delle mie mani, ho paura che questa ragazza possa cadere a pezzi sotto la mia stretta. Sembra così fragile e innocente, non riesco a capire come quel ragazzo abbia potuto trattarla in questa maniera.
Quando questa mattina, prima dell'inizio delle lezioni, l'ho vista di fronte alla porta della mia classe ho pensato che lei fosse un angelo. I capelli le ricadevano intorno al corpo come un aura di luce e i suoi occhi, abbastanza grandi da contenere l'intero oceano, mi avevano stregato fin da subito.
Ma c'era una cosa che mi aveva smosso più di tutte: quella silenziosa richiesta di aiuto che aleggiava attorno a ogni suo gesto.
L'avevo capito alla prima occhiata, lei era una ragazza che aveva bisogno di attenzioni. Le stesse che nessuno le aveva mai rivolto, le stesse che per qualche strano motivo voglio darle io stesso. È stato come un lampo, accecante e distruttivo, ho capito subito che era lei, non avevo bisogno di nessun'altra prova.
"Hai già pranzato?"
So che è una domanda stupida, ora che ci penso non l'ho mai vista in mensa e il suo aspetto conferma pienamente la mia tesi.
"No, io..."
La sua voce è così sottile che faccio quasi fatica a sentirla, sta ancora tremando sotto il mio tocco. Abbassa la testa per nascondere il rossore delle sue guance, mi viene da sorridere di fronte alla tenerezza di quel gesto.
"Non mangi, vero?" Le chiedo allontanando lentamente le mani dalla sua vita, stando attento a non farla cadere. Non voglio starle addosso più del necessario.
Scuote impercettibilmente la testa, il suo viso è pallido e profonde occhiaie spiccano sotto gli occhi. Non capisco come possa ancora reggersi in piedi; nonostante tutto però continuo a trovarla bellissima.
"La colazione?"
Ripete lo stesso gesto.
"Allora di cosa ti cibi? Aria? Luce del sole? Sei una pianta per caso?"
Scorgo un piccolo sorriso arricciarle le labbra, non è una ragazza di tante parole, per fortuna sono capace di parlare per entrambi. I professori sanno bene quanto amo chiacchierare viste tutte le volte che mi devono riprendere durante le lezioni, quando mi distraggo per parlare con il mio vicino di banco.
"No, non sono una pianta" mi risponde alzando, anche se di poco, il tono di voce. Sposta il peso del corpo da un piede all'altro, "solo, non mi piace mangiare. Non ne sento il bisogno"
Vorrei invitarla a pranzare con la mia classe, so però che non accetterebbe mai. È già tanto che l'ho convinta a rilassarsi in mia presenza, spero non mi veda più come una minaccia.
"Dovresti andare in mensa, tra poco la pausa finisce" esclama, riportandomi alla realtà.
Guardo l'orologio, in effetti mancano poco più di quindici minuti alla campanella. Sollevo nuovamente gli occhi su di lei, non vorrei davvero lasciarla sola ma il mio stomaco non tarda a ricordarmi che lui ha bisogno di cibo.
"Hai ragione". Sporgo le dita verso la sua guancia sfiorandola appena, "ma ci vediamo, giusto?"
"Certo..." esita per un attimo, riesco quasi a vedere un pensiero formarsi nella sua bella testolina. "Non so come ti chiami"
Questa volta è il mio turno di arrossire, ero stato talmente preso dal fatto di essere riuscito a parlare con lei che mi sono completamente scordato delle buone maniere.
"Eijiro Kirishima"
Le porgo una mano che lei stringe gentilmente, la sua pelle è liscia e calda, indugio più del dovuto prima di lasciarla andare.
"(Nome) (Cognome)"
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(Nome)'s pov
La luce del sole illumina la palestra all'aperto, gli alberi verdeggianti attorno al confine del campo sono scossi da una leggera brezza primaverile e il terreno polveroso con sopra disegnate varie linee bianche sembra quasi dorato.
È passata una settimana da quando ho conosciuto Kirishima e da allora ci siamo limitati a scambiarci dei saluti amichevoli le volte in cui si è affacciato alla porta della mia classe, oppure qualche parola quando ci siamo incrociati in corridoio.
Il sorriso in ogni occasione non ha mai mancato di illuminargli il viso.
È l'ora di educazione fisica, nella mia scuola le lezioni pratiche sono molto importanti e di solito si svolgono di pomeriggio, dopo la pausa pranzo.
La tuta scolastica - ovvero t-shirt e pantaloncini con i colori e lo stemma della scuola - è molto più comoda dell'uniforme, inoltre questa è l'unica lezione che la nostra classe svolge in contemporanea con la sezione A.
Era stato facile scorgere la chioma rossa di Kirishima dall'altra parte del campo, al momento sta parlando con un ragazzo con i capelli biondi sparati verso l'alto e l'espressione corrucciata. Devo ammettere che quel tipo mi fa paura.
Cominciamo il riscaldamento, oggi fa particolarmente caldo, e come se non bastasse la testa mi gira leggermente. Al secondo giro di campo sento già la fatica mozzarmi il respiro, avrei dovuto mangiare qualcosa prima di cominciare l'allenamento, ormai però è troppo tardi per pentirsi.
Sento la voce di Kendo urlarmi qualcosa; sta correndo a circa un metro dietro di me, tento di girarmi per guardarla in faccia, le sue parole mi giungono ovattate come se fossimo sott'acqua. Ma tutto ad un tratto il mondo sembra sparire, come quando abbassi l'interruttore della luce.
La notte cala all'improvviso, non sento neanche il mio corpo toccare terra.
-
Stavo facendo un bellissimo sogno. Ero al mare, sopra una scogliera, il rumore delle onde copriva ogni cosa, persino il rumore dei miei pensieri. Il sole era caldo, mi accarezzava dolcemente le guance, facendomi dimenticare cosa significasse la parola 'freddo', come se questa non fosse mai esistita.
Poi tutto era volato via, rimpiazzato dal ronzio dei fili della luce e dal bianco accecante dell'infermeria.
Ci metto qualche secondo a ricollegare il filo dei miei pensieri; inizialmente non ricordo cosa sia successo, perché mi trovassi lì o che ore fossero. Poi la consapevolezza mi si abbatte addosso come un muro di cemento.
Sono svenuta.
Stavamo correndo nel campo di allenamento all'aperto, Kendo era dietro di me, poi il vuoto.
Mi guardo intorno spaesata, la tenda chiara è tirata attorno al mio letto di metallo con le lenzuola di un bianco ancora più chiaro, queste mi pizzicano sulla pelle scoperta della gambe. Le calcio via con uno scatto e mi metto seduta, sbatto violentemente la schiena contro la testiera rettangolare a causa dell'ennesima vertigine.
Un singolo gemito sfugge dalle mie labbra. Chissà cosa avranno pensato i miei compagni di classe, chissà cosa avrà pensato lui.
Lo sguardo mi cade sulle gambe scheletriche, indosso ancora l'uniforme sportiva, ho le ginocchia fasciate e diversi lividi violacei ricoprono la porzione di pelle lasciata scoperta dalle garze ruvide.
Sospiro. "Sono una stupida, un'inutile stupida. Non sono neanche più brava a stare in piedi."
"Non sei affatto una stupida"
Quasi urlo per lo spavento. Kirishima mi osserva dallo spiraglio lasciato scoperto dalla tenda, non mi ero nemmeno accorta che fosse entrato tanto ero presa dai miei pensieri.
Ha il solito dolce sorriso che gli adorna il viso, indossa l'uniforme classica - apparte per la giacca, lasciata chissà dove - e tra le mani stringe una specie di portapranzo blu con sopra il logo di qualche videogioco. È dannatamente adorabile, con quella sua aria da bimbo innocente.
"Cosa?" mi ritrovo stupidamente a chiedere.
Non è la prima volta che mi rivolge la parola, ma trovarmi da sola con lui in una stanza mi mette addosso una certa agitazione; l'ultima volta che ci siamo trovati in una situazione simile è stato quando mi ha 'salvata' da Monoma.
"Ho detto che non sei affatto una stupida" ripete pazientemente lui, continuando a sorridermi.
Mi ritrovo a fissargli le labbra, non credo di aver mai visto un sorriso più bello. È davvero assurdo il modo in cui una persona possa, soltanto inclinando gli angoli della bocca, illuminare tutto ciò che la circonda.
Poi il mio sguardo cade sul suo collo, i muscoli vi creano una V perfetta, messa in evidenza dalle luci bianche dell'infermeria. Mi ritrovo a chiedermi cosa si possa provare a toccare il punto in cui le sue clavicole si congiungono alla base della gola.
Deglutisco. "Che ore sono?"
Una domanda più stupida non potevo farla.
Si avvicina cautamente al mio letto e poggia la scatola di plastica sul comodino di metallo accanto ad esso. Poi alza una mano e la posa affettuosamente sulla mia testa: è calda, ed estremamente delicata. Mi chiedo come faccia la stessa mano che aveva colpito brutalmente Monoma sul viso a trasmettermi simili sensazioni; il cuore mi batte all'impazzata, in un modo che non credevo più possibile.
Provare nuovamente certe emozioni dopo tanto tempo è bellissimo e spaventoso allo stesso tempo. Questo ragazzo mi ha risvegliata dal lungo letargo in cui ero caduta da tempo, è bastato soltanto il suo sorriso.
"Le lezioni sono finite da circa mezz'ora. Volevo venire a trovarti prima, ma i professori non me l'hanno permesso. Così ho dovuto aspettare fino a questo momento." I suoi occhi cremisi indugiano su di me per qualche secondo, prima di continuare a parlare. "Peccato che ti sia già svegliata, sono sicuro che sarebbe stato uno spettacolo guardarti dormire"
Sento le guance andarmi a fuoco.
Kirishima toglie la mano dalla mia testa - per poco non sussulto a quel gesto, il suo tocco già mi manca -, e afferra nuovamente il portapranzo, per poi accomodarsi sul bordo del letto.
"Mi sono preoccupato quando ti ho vista cadere nel mezzo del campo." Il suo sorriso si incrina leggermente, un'ombra gli attraversa lo sguardo. "Sono sollevato nel vedere che stai bene. Comunque, ti ho portato un regalo"
Solleva il coperchio di plastica, un' odore di carne speziata e verdure satura istantaneamente l'aria. Una porzione abbastanza disordinata di curry viene posata sulle mie gambe, non si riesce bene a distinguere il riso dalla salsa e i vari ingredienti sembrano un po' troppo cotti.
"Non sono un asso in cucina, mi dispiace." Si passa imbarazzato una mano sulla chioma rossa, lo sguardo è rivolto verso un punto indefinito del pavimento. "Ma credo che mangiare qualcosa possa farti bene"
Guidata da una forza a me sconosciuta, afferro le bacchette lasciate sul coperchio e mi riempio la bocca con un'enorme porzione di curry.
"È buonissimo" dico, subito dopo averlo buttato giù.
L'espressione di pura felicità che si era dipinta sul volto di Kirishima alle mie parole mi spinge a prenderne un secondo boccone.
Si, il curry è ancora il mio piatto preferito.
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