Storie di famiglia

"I ricordi sbiadiscono nello scorrere di un Eterno,perdendosi nelle nebbie del tempo"

Così, questa notte inizio a scrivere la mia storia, seguendo il consiglio dell'ultimo uomo che ho amato, colui che ha posto fine alla mia vita e dato inizio alla mia non-vita, condannata a nutrirmi solo di chi lui mi ricorda. Mai abbastanza lontana per dimenticarlo, incapace di recidere questo legame.

Scarlet, questo il mio nome. Nata il 21 dicembre 1982, dei miei genitori ricordo l'amore, il calore, le storie che mi raccontavano del loro primo incontro, magico, folgorante. Si incontrarono in autunno, durante un viaggio d'affari di mio padre in Italia, a Torino. Lui stava camminando per strada, ancora reduce dai postumi del jet lag, quando il suo sguardo incrociò due occhi viola e profondi, in cui si perse in un sol attimo. Quante volte ho sentito questa storia, quante volte l'ho letta nel diario di mia madre immaginando, sentendo, capendo quelle emozioni che minuziosamente descriveva fino a renderle vive e palpabili. Si incontrarono, si amarono, e mia madre lo seguì a San Francisco senza indugi; un anno dopo nacqui io. Lei si adattò con una certa facilità al nuovo stile di vita, senza però cambiare ciò che era... e mio padre l'amava per tutto quello che era.

Ricordo una vita tranquilla, fatta di piccoli gesti in famiglia, nonostante mio padre lavorasse moltissimo, e compleanni deliranti, tra feste e regali. Tanta gioia, tanta vita.

Mia madre era sempre presente e attenta a tutto e tutti: nessuno poteva sfuggire alle sue attenzioni. Tante cene, tante persone, conoscenti e affaristi. Tuttavia, lei non aveva molti amici, le persone di cui si fidava si potevano contare sulle dita di una mano: tre a Torino e due San Francisco.

Lei, sempre presente, padrona del suo piccolo regno: la nostra casa. So che la ristrutturarono mentre lei era incinta; i miei genitori ci misero il cuore per renderla perfetta ai loro occhi... e ai miei. Un piccolo salone ad accoglierti, con un pavimento in marmo scuro e un lampadario in cristallo che da bambina mi incantava.

Appena entrati, sulla sinistra il guardaroba e a destra lo studio di mio padre, il posto che meno conoscevo e che meno ho vissuto: lì non si giocava mai.

Di fronte alla porta d'accesso si apriva quindi la zona giorno, suddivisa in due ambienti da un ampio arco a volta, muri candidi e marmo rosato. A sinistra il salotto con un grande divano angolare in pelle nera, un buon televisore e un camino che d'inverno trasmetteva calore a tutta la stanza, non tanto in termini di temperatura, quanto di atmosfera. Un'ampia libreria in nero ebano si stagliava sul muro alle spalle del divano, dando un tocco di stile alla stanza, con libri e riviste varie.

Sulla destra un'esplosione di luce portava al soggiorno, con un enorme tavolo, in mogano e cristallo, e alte sedie con seduta in pelle nera. Ciò che davvero colpiva era la vetrata che dava sul giardino, occupando quasi l'intera parete esterna. Era stata mia madre a volerla, il giardino era il suo angolo di paradiso, a cui si dedicava con costanza, tra fiori, piante ed erbe di qualsivoglia genere. Le piaceva poter conversare stando ad ammirare quello squarcio di natura.

La scala che portava al reparto notte, separava in modo netto alla vista il soggiorno dalla cucina: il pavimento riprendeva i toni scuri della sala d'accesso, in contrasto con i mobili bianchi che l'arredavano. Quando non avevamo ospiti eravamo soliti mangiare lì; un luogo decisamente più intimo e informale, in cui era facile trovare un contatto e parlare tutti assieme, scherzare.

Al piano di sopra tutto il pavimento era coperto di caldo parquet, che conferiva un tono alla stanza decisamente accogliente. Sia la mia camera che quella dei miei genitori avevano un bagno personale, poi vi erano un paio di alloggi per gli ospiti, altri due bagni, meno importanti, e una stanza che mi era stata riservata come studio: in realtà fungeva da sala giochi nell'infanzia.

Mia madre tenne per sé la soffitta, a cui si accedeva da una piccola scala laterale, proprio di fianco la loro camera. Adoravo quel posto: vi trascorrevo così tanto tempo con lei: tempo prezioso, unico.

Decisamente non mi è mai mancato nulla: ho avuto un'infanzia felice. Nonostante le altre bambine leggessero giornaletti che io ritenevo inutili, riuscivo a integrarmi con facilità, mentre mia madre mi istruiva ai suoi culti, antichi e misterici, assai lontani da quel mondo, ma vicini a me.

Ho sempre vissuto e visto ciò che mia madre era, ma fu al compiere dei miei sei anni che iniziò la mia istruzione, fatta di leggende non più fantastiche, ma di frammenti nascosti di una realtà per i più impossibile; oggetti e gesti calati in un mondo sottile ed etereo che pian piano entrarono nel mio quotidiano e che costruirono un legame indissolubile tra me e lei. Ore di meditazione in una solitudine mai vuota, in un silenzio ricco di parole, che solo chi ha provato può tentare di capire. Libri e manoscritti il cui profumo ancora riecheggia nella mia mente, causandomi una stretta al cuore per emozioni ormai non più tangibili.

Lei scriveva molto, tutto: ogni dettaglio, anche apparentemente insignificante, era un mattone con cui costruire la propria forza e ampliare le proprie conoscenze. Nulla doveva andare dimenticato, perché anche le pratiche più antiche potevano essere modificate, adattate, amplificate.

Al tempo non comprendevo veramente tutto ciò: mi sembrava eccessivo e maniacale, ma era la verità ch'ella cercava di trasmettermi. Ogni vita finisce e tutto sarebbe andato perso se quei pezzi non fossero stati scritti per essere tramandati.

Nonostante ciò, c'era qualcosa che lei non aveva considerato: un'altra realtà, una non-vita, eterna e sterile, in cui la solitudine diventa un vuoto interminabile e la conoscenza, un bagaglio sempre più pesante da trascinare attraverso il tempo.

Le uniche due amiche di mia madre qui a San Francisco erano Amy e Kayla, due donne che avevano circa la sua stessa età. Si trovavano quasi ogni giorno: la sera in famiglia, per bere un caffè e chiacchierare degli argomenti più comuni; di pomeriggio, invece, soltanto fra di loro, per affrontare discorsi di tutt'altra levatura, estremamente intensi, in uno studio continuo della natura umana nei suoi molteplici aspetti e potenzialità.

Un giorno, però, Amy dovette trasferirsi a New York per affari del marito e restò via un paio d'anni, se la memoria non m'inganna. Quando tornò, io avevo circa dieci anni e il suo approccio alla vita era molto diverso; ancora oggi, non so cosa sia successo, ma iniziai a essere tenuta in disparte dalle conversazioni private tra lei e mia madre.

Chi varcava la porta di casa non poteva sfuggire all'attenzione di mia madre, sempre accorta, cordiale e disponibile con tutti. Quegli occhi riuscivano a seguirti ovunque in casa, o almeno quella era la sensazione che lei mi trasmetteva, e le sue attenzioni erano così argute da precedere, talvolta, le richieste stesse.

Lei era sempre presente quando ne avevo bisogno:era una madre, ma anche un'amica, senza mai perdere la sua genitorialità. Forseper questo la sua mancanza ha lasciato un vuoto incolmabile in chi l'ha amatacosì tanto.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top