capitolo 26
Ma salve
è passato quasi un mese, se non di più, e mi dispiace di essere sparita. ma ora sono qui!
eccovi il 26esimo capitolo di Saviour.
la canzone è 'iris' degli Sleeping With Sirens che ho sentito a ripetizione per ben due ore mentre scrivevo il capitolo.
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Jordan
Doveva parlare con Afrodite.
Non c' era alcun dubbio che ci fosse sua madre dietro tutta quella storia, l' aveva già fatto in passato chissà quante volte e non avrebbe certo avuto problemi a rifarlo. Fu solo quando ormai si trovava davanti la cabina di Afrodite che Jordan si rese conto del fatto che non aveva idea di come contattare sua madre.
Provare ad invocare la dea dell' amore e della bellezza nel mezzo della cabina non gli sembrava esattamente una magnifica idea. Così si ritrovò a vagare per il bosco alla ricerca di un punto isolato. Che poi, che bisognava fare per invocare una dea, non lo sapeva proprio. Avrebbe potuto utilizzare i messaggi-iride ma era a corto di monetine. Avrebbe potuto farsene prestare una ma, in tutta onestà, non c' aveva pensato. Bhe, poteva sempre tornare indie-
La sua corrente di pensieri si interruppe all' improvviso, quando si trovò davanti la dea in persona.
"mi cercavi tesoro?"
Sospirò. Era snervante avere Afrodite come genitore divino, il solo avere una conversazione con lei comportava fare una seduta di due ore di meditazione per riprendere la solita calma che caratterizzava Jordan.
"mamma. Dobbiamo parlare."
La dea annuì e con uno schiocco di dita fece comparire un tavolinetto con tanto di tè e biscottini accompagnato da due sedie.
Era abituato alle frivolezze e stramberie di sua madre, quindi il semidio non batté ciglio e si sedette.
"devi far tornare le cose come erano prima tra Percy Jackson e Nico Di Angelo."
La dea scoppiò a ridere e quel suono era talmente dolce che quasi diede il voltastomaco a Jordan
"oh tesoro, questo non è proprio possibile. Non potrei neanche se volessi, quel che è fatto è fatto e nemmeno io posso far tornare le cose come prima."
Il nervo della mascella del semidio guizzò
"e allora perché? Perché l' hai fatto?"
Ogni traccia di divertimento scomparve dal viso della dea. Allungò una mano affusolata verso quella del figlio ma Jordan la ritrasse ed incrociò le braccia al petto
"l' ho fatto per te, figlio mio. Sapevo quanto ci stessi male. Guardare da bordo campo la storia d' amore della persona che ami non è facile, lo so."
"ma io non ti ho chiesto niente! Percy era felice e a me andava bene così! Poi sei arrivata tu e hai rovinato tutto e ora sia lui che Nico stanno soffrendo ingiustamente."
L' angolo della bocca di Afrodite si sollevò leggermente in un sorriso di scherno.
"davvero pensi che sia stato solo il mio piccolo intervento, il mio incoraggiamento a mandare a rotoli la loro storia?"
Jordan non sapeva cosa dire e rimase in silenzio. Sapeva fin troppo bene che sua madre non aveva bisogno di una risposta per continuare a parlare.
"mi dispiace tesoro ma se è così hai ancora tante cose da capire.
È vero, ho voluto darti questa possibilità con il figlio di Poseidone, ma ricorda che al di sopra di noi divinità c' è il Fato. Tutto accade per una ragione. Io ho fatto in modo che Percy venisse da te e ho leggermente amplificato le sue emozioni –che in quel momento consistevano più che altro in rabbia- ma non avrei potuto fare niente se il semidio si fosse opposto con tutte le sue forze."
La dea si interruppe per prendere un sorso di tè dalla tazzina che si trovava sul tavolinetto. Ci mancò poco che anche Jordan allungasse la mano per prenderne un sorso, ma si trattenne. Non aveva nessuna intenzione di assecondare sua madre in una situazione del genere, nonostante lei gli avesse trasmesso la passione del tè.
"C'era una parte di Percy" riprese la dea "se pur minuscola, che era d'accordo con i miei sussurri. C' è sempre stata una parte di lui che dubitava della fedeltà del figlio di Ade così come, figlio mio, c'è sempre stata una parte di lui a cui non sarebbe dispiaciuto fare quello che poi ha effettivamente fatto nella cabina quella sera, quando Nico vi ha trovati."
A quel punto il semidio non sapeva proprio cosa dire. Solo il ricordo di quella notte gli suscitava dolore e piacere misti.
Poi Afrodite gli rivolse uno sguardo che non gli piaceva per niente
"Quindi, figlio mio, pensaci bene: vuoi davvero lasciarti scappare il tuo prezioso figlio di Poseidone? Quella che ti ho dato è un' occasione che capita solo una volta nella vita. Pensaci Jordan."
E così, in una frazione di secondo, scomparve. Portandosi via il tè, il tavolino, le sedie e con loro la risolutezza di Jordan.
Nico
Erano passati quattro giorni da quel primo strano incontro con Rixon nel parco. Andy aveva dovuto ricominciare a lavorare visto che la settimana di ferie che si era preso per 'stargli vicino' era giunta al termine. Nico non sapeva se esserne felice o meno. Il pensiero che Andy si fosse dovuto prendere una settimana dal lavoro solo perché doveva stargli appresso non gli andava giù. Il fatto che fosse di peso per il suo amico non gli piaceva ma da un' altra parte doveva dire che era solo merito del ragazzo dagli occhi di ghiaccio e della settimana di ferie che si era preso se ora poteva dire di stare meglio.
Ed era così, Nico stava davvero meglio. Riusciva tranquillamente ad uscire di casa da solo senza che ci dovesse essere il suo amico a tranquillizzarlo con la sua presenza per evitare che facesse diventare nero tutto ciò che lo circondava.
Proprio ora infatti si trovava su una panchina del parco vicino casa di Andy dove, ormai, si era accorto passare molto del suo tempo. Forse troppo. Quel parco conteneva davvero troppi ricordi, sia belli che brutti.
In particolare lì continuava ad incontrare una certa persona. L' ultimo loro incontro risaliva a la sera prima e a quel punto non era neanche sicuro se si trattasse di incontri sgraditi o no.
Era ormai quasi il tramonto e Nico, tanto per cambiare, si ritrovava su una panchina del solito parco che dava su un ponte e il fiumiciattolo che sovrastava. Dire che quella vista gli risultava familiare sarebbe stato l'eufemismo dell' anno. Si ricordava fin troppo bene di quando sul quel ponte c' erano stati lui e Percy a scambiarsi promesse, parole dolci e baci.
Come se avessero volontà propria i suoi occhi neri gli si posarono sul suo polso che celava il tatuaggio che lui e il figlio di Poseidone si erano fatti quello stesso giorno. Non che riuscisse realmente a vederlo, in quanto indossava una maglietta a maniche lunghe proprio per evitare la vista di quelle parole tatuate a vita sulla sua pelle. Era strano però, nonostante tutto non riusciva proprio a pentirsi di essersi tatuato quelle parole.
'Saviour will be there' dicevano. E mai come in quel momento il giorno del compleanno di Percy gli era sembrato più lontano. Non era passato tanto tempo eppure sembrava fosse accaduto in un'altra era. Un tempo in cui lui e il figlio di Poseidone si trovavano ancora nella loro bolla d'amore e felicità.
" io voglio tatuate sulla mia pelle quelle parole perchè voglio che tu sappia che io sarò sempre al tuo fianco. Ci sarò sempre per te, come tu sarai sempre qui per me ed è per questo che credo che ognuno di noi abbia un 'salvatore' che sarà sempre al nostro fianco quando ne avrà bisogno. Perchè so che tu sarai sempre colui che mi salverà"
Così aveva detto quel giorno il figlio di Ade alla persona che amava di più al mondo. Aveva pronunciato quelle parole in quello che era un tempo completamente diverso da quello in cui si trovava in quel momento, eppure ancora risuonavano vere nella sua testa. Forse perché era passato ancora troppo poco tempo perché il suo cervello e il suo cuore fossero capaci di lasciar andare quello che aveva con Percy, o forse perché sotto sotto il semidio nutriva ancora la speranza che il figlio di Poseidone l' avrebbe salvato da quello che lui stesso aveva causato.
'when I hear your cries, prying for light, I will be there' dicevano invece le parole tatuate sul braccio di Percy. Si ricordava ancora perfettamente bene come l' inchiostro si attorcigliava sul braccio del semidio dagli occhi verde-mare.
"voglio quelle parole tatuate sulla mia pelle perchè io ci sarò sempre per te e ogni volta che sentirò i tuoi pianti, ogni volta che avrai bisogno di trovare la luce voglio che tu sappia che io sarò lì. Sempre." Gli aveva detto il più grande.
Dov' era quando fino al giorno prima le lacrime lo accompagnavano fin quando, troppo esausto, si addormentava? Dov' era invece ora, quando lui aveva bisogno di trovare la luce più che mai? Luce che aveva perso a causa dello stesso semidio, poi.
Se ancora una parte si sé credeva alle parole tatuate sulla sua pelle, c' era rimasto poco e niente del figlio del dio dei morti che credesse davvero a quelle tatuate sul braccio della persona che lo aveva ferito così profondamente.
Aveva distolto bruscamente lo sguardo da quel ponte e quel fiume che ormai erano come maledetti per lui e in quel momento qualcuno gli si era seduto affianco. Per qualche strana ragione non si era sorpreso neanche più di tanto quando, girandosi, si era ritrovato Rixon vicino. Era già la terza volta che lo incontrava in quel parco e non c' era neanche una piccolissima parte di lui che credeva si trattasse solo di coincidenze. Il figlio di Ares che, sempre in quella che sembrava un' altra epoca, aveva detto di disprezzarlo si trovava sulla panchina gambe accavallate, braccia conserte e sguardo fisso su quello stramaledetto ponte dove, tre giorni fa, si erano incontrati civilmente per la prima volta e il semidio gli aveva detto quanto gli dispiacesse. Nico non sapeva esattamente cosa fare. Il giorno prima era successa la stessa cosa: Nico si trovava su quella stessa panchina sull' orlo delle lacrime e Rixon era arrivato, gli aveva posato una mano sulla spalla, stringendo per un secondo, e poi era rimasto lì con lui, in silenzio.
Nico aveva tanto voluto fare quello che giorni fa, sul ponte, non era stato in grado di fare a causa dello shock: dargli un bel pugno in bocca. Ma non c' era riuscito. Era troppo devastato da quello che stava succedendo con il figlio del dio del mare per cedere alla rabbia e lasciarla andare.
Era stato strano. La mano sulla spalla, la sua sola presenza, era come se il semidio cercasse di confortarlo e, in un modo che era ancora più strano, riusciva nel suo intento. Anche in quel momento la sua presenza era stranamente confortante e questo lasciava il figlio di Ade più confuso che mai.
Era stata proprio quella confusione, che in un momento tale davvero non si poteva permettere di sopportare, che aveva spinto il semidio a rivolgere la parola, per la prima volta dai loro strani incontri, al figlio di Ares.
"Si può sapere cos'è questo?"
L' altro aveva alzato le spalle "è un parco in cui potresti avere la residenza, visto che non fai altro che stare qui" aveva risposto l'altro con calma e l' accenno di un sorrisetto sulle labbra.
Stupito e indispettito da quella risposta, il semidio aveva aggrottato le sopracciglia
"molto spiritoso. Ora rispondi."
"questo cosa?"
Nico allora aveva gesticolato indicando prima sé stesso e poi l' altro semidio "questo incontrarci, o meglio, questo tuo seguirmi. Questo tuo parlarmi civilmente e non picchiarmi. Questo tuo quasi confortarmi. Questo."
Solo allora, dopo aver ascoltato quelle parole, il figlio di Ares si era deciso a guardare negli occhi Nico. E quello che il figlio del signore dei morti vide in quegli occhi neri come suoi lo lasciò di stucco. Le orbite del ragazzo che gli sedeva accanto celavano tanta di quella tristezza, dispiacere, pentimento e rabbia che per poco Nico non aveva pensato che si stesse guardando allo specchio. Stessi occhi neri, stesse emozioni celate dietro di essi.
Dopo qualche secondo però il figlio del dio della guerra aveva abbassato lo sguardo e sospirato
"Non sono bravo con le parole, ancora meno con le emozioni. È il mio modo di starti vocino e scusarmi."
Nico a quelle parole aveva aperto la bocca per urlargli contro. Come poteva aspettarsi il suo perdono dopo tutto il male che lui e i suoi fratelli gli avevano fatto? Era assurdo anche solo lontanamente pensare una cosa del genere. Non sarebbe bastato pedinarlo, dargli qualche pacca sulla spalla e 'stargli vicino' perché potesse perdonargli tutto il male che gli aveva fatto. Sempre se nel suo cuore il figlio di Ade sarebbe mai riuscito a trovare la forza per perdonare l'ennesima persona che gli faceva del male.
Ma non aveva fatto in tempo ed esprimere la sua rabbia perché l' altro aveva continuato a parlare
"so che quello che ho fatto è imperdonabile e non sono qui per il tuo perdono. Non mi permetterei mai di chiederti una cosa del genere, soprattutto in un momento come questo. So cosa è successo con Percy e, davvero, credimi quando ti dico che mi dispiace immensamente. E so anche che la mia presenza non è facile da sopportare dopo tutto quello che ti ho fatto, davvero ancora mi chiedo come mai tu non mi abbia pestato di botte, ma sono stanco."
E mentre gli occhi neri del più grande avevano incontrati i suoi altrettanto neri, Nico aveva pensato che aveva davvero l' aria di una persona stanca. Ma non del tipo di stanchezza che si prova dopo aver fatto una maratona, ma di quel tipo di stanchezza che si prova nel profondo, quella accumulata negli anni. Rixon era stanco dentro.
"davvero sono stanco di portarmi dietro questa cosa da anni. Da decenni in realtà."
Quelle parole non avevano fatto altro che confondere Nico ulteriormente "che vuoi dire"
"noi due ci conosciamo da tempo, Nico. Conoscevo te, tua sorella Bianca e tua madre Maria."
E sentendo nominare non solo sua sorella ma addirittura sua madre il figlio di Ade era trasalito e aveva aggrottato le sopracciglia ancora di più
"spiegati" gli aveva detto in tono brusco. E così il figlio di Ares aveva fatto.
Nico non avrebbe dimenticato tanto facilmente quella sera. Il ponte e il fiume davanti a loro, il riflesso del tramonto sull' acqua, il venticello di tarda estate che soffiava facendo muovere in modo ipnotico i capelli lunghi del figlio di Ares e l' espressione di Rixon mentre gli raccontava tutto quanto.
Lui e Rixon abitavano nello stesso paesino nell' Italia degli anni '40 e andavano a scuola insieme. Poi la madre di Nico era morta e lui e sua sorella erano stati portati da Ade al Casinò Lotus.
Nello stesso periodo però la mamma di Rixon si era ammalata gravemente e rischiava la morte. Ares, innamorato di lei aveva fatto di tutto per salvarla e alla fine c' era riuscito. Quello che il dio della guerra aveva ignorato però era che a tutto c' è un prezzo e se da una parte il rimedio di Ares era riuscito a ridarle la salute fisica, dall' altra questo le aveva tolto quella mentale.
Ormai mentalmente instabile, la mamma del figlio di Ares minacciava sempre di più di rivelare alla società l' esistenza degli dei, senza contare i vari abusi che il figlio aveva dovuto subire a causa della folle collera della madre. Non avendo altra scelta Ares aveva deciso di imitare Ade e aveva portato il figlio al Casinò Lotus, dove si trovavano gli stessi Nico e Bianca, per poi liberarlo nello stesso periodo in cui Ade aveva portato via i suoi. A differenza del dio dei morti però, Ares non aveva nulla da nascondere e di conseguenza aveva portato Rixon al Campo Mezzo-Sangue.
Per tutto quel tempo però, mentre Nico non si era accorto minimamente della presenza dell' altro semidio, Rixon aveva sempre guardato il figlio di Ade da lontano coltivando un misto di amore e odio per esso.
Ritrovarselo, poi, dopo tanto tempo al Campo insieme al figlio di Poseidone non era stato altro che la goccia che fa traboccare il vaso, dando via libera a tutta la rabbia e la sofferenza repressa fino ad allora.
Le urla di un bambino che gli corse accanto lo strapparono violentemente via dai suoi pensieri. Nico non sapeva se essere grato o meno a quel bambino. Ricordare quella sera, tra i pensieri su Percy e le sue promesse infrante e il racconto di Rixon, non gli avrebbe fatto certo bene.
Per cercare di pensare ad altro, si alzò dalla panchina su cui si trovava e iniziò a vagare per il parco. A quell' ora della mattina e con una bella giornata come quella, il parco era pieno di gente: persone che portavano a spasso i cani, nonni con i nipoti e tante, tante coppiette. Per poco non alzò gli occhi al cielo. Stava camminando distrattamente quando si accorse che le sue gambe, neanche avessero una propria mente sadica, lo avevano portato, indovinate un po'? Sullo stesso ponte maledetto.
Alzò le spalle e sospirò. Anche il suo corpo ora si ribellava contro di lui.
Fu proprio quando si girò per fare dietrofront e tornarsene a casa di Andy, che lo vide.
Percy Jackson in tutta la sua bellezza mozzafiato era lì, a qualche metro da lui, che lo guardava.
Poter guardare di nuovo in quegli occhi verde-mare così profondi gli faceva venir voglia di sorridere e allo stesso tempo gli procurava un dolore immenso. Si chiese se anche le sue gambe lo avessero portato involontariamente davanti a quel ponte. Lo sguardo gli cadde sul braccio di quello che una volta poteva chiamare il suo ragazzo. Il tatuaggio era lì, in bella vista, in modo che chiunque fosse in grado di vedere le bugie che erano tatuate sulla pelle del semidio. Chissà se anche lui in quel momento stava pensando al giorno del suo compleanno. Nico lo stava facendo e non sapeva se sarebbe riuscito a non crollare ora, quando ai ricordi si accompagnava anche la presenza del figlio di Poseidone davanti ai suoi occhi.
Decise che non ci sarebbe riuscito. Non riusciva a sopportare di vederlo, almeno non ora, non ancora.
Così, al posto di dargli le spalle, si girò di nuovo in direzione del ponte e lo attraversò.
E questa volta il ponte non univa più lui e Percy ma, ad ogni passo che Nico faceva, li divideva sempre di più.
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spero che l' attesa ne sia valsa la pena e che vi sia piaciuto.
VOTATE se vi è piaciuto
&
COMMENTATE.
alla prossima
Peace, Love & Empathy
-Aliz
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