7. Detour
"No, no, le devo chiedere scusa!"
"Ma avevi ragione!"
"Non fa niente. Non posso andare in giro a inimicarmi la gente. Soprattutto l'assistente del regista!"
Carol mi ha chiamato questa mattina presto per farmi l'in bocca al lupo per l'inizio delle riprese e ho finito per chiederle un parere su come rimediare al mio passo falso con Natalie. Lei ha preso subito le mie difese, cosa di cui le sono grata, ma che non cancellano l'erroneità della mia azione.
"Non mi sembra che tu ti sia fatta problema con Stratford!" osserva lei.
Ridacchio. "Ti ricordo che il maleducato è stato lui! Ma almeno si è scusato e da allora è tutto a posto! Ieri mi ha addirittura fatto i complementi!" dico, pensando allo sguardo di apprezzamento di Tom quando ha visto la disposizione dei mobili nella stanza. Ripenso al modo in cui ha fatto il giro attorno al divano e non riesco a trattenere un sorriso.
"Come se non facessi il tuo lavoro da quasi dieci anni?" dice lei, con scherno.
"Carol, sono a malapena sei!" la correggo.
"Com'è lavorare con lui? Sai che qui da noi è l'astro nascente della regia?"
"Potevi anche dirmelo! Almeno mi sarei preparata!"
Scoppia a ridere. "Ma io l'ho saputo da te che il regista della serie era lui!"
"Dovrò trovare il modo per metterci una pezza con Natalie!" ripeto, tornando al cuore della mia preoccupazione.
"Metterci una pezza?" chiede Carol, incerta.
"Vuol dire risolvere le cose. Devo trovare un modo per scusarmi per il modo in cui le ho detto di non mettermi i bastoni tra le ruote, ma non per averglielo detto. Come faccio?"
"Vuoi davvero saperlo?"
"Certo, spara!"
"Non scusarti! Lei è un'assistente e non è accettabile che ti ostacoli. Avete ruoli diversi, ma tu sei il capo del tuo settore. È lei che dovrebbe scusarsi, non tu."
Lascio cadere l'argomento, ma non sono convinta. "Come vanno le cose da te?"
Carol mi racconta della produzione che sta seguendo, della frenesia durante i cambi tra le scene e che finora non ci sono stati grossi incidenti di sorta. Non ho capito molto della trama, ma credo sia una storia romantica con un tizio che ha dei disturbi della personalità e che quindi deve entrare in scena con dei costumi strani alla Donnie Darko. Carol mi ha mandato delle foto che mi hanno fatto venire gli incubi. Le ho detto di non mandarmene più perché tengo più al mio benessere mentale che alla soddisfazione di una semplice curiosità.
"E con il padrone di casa invece? Sei riuscita a pestargli ancora i piedi?"
Alzo gli occhi al soffitto anche se Carol non mi può vedere. "Perché avete tutti questa idea che io me ne vada a zonzo a bighellonare? John alla fine di ogni giornata mi chiede il resoconto dei miei movimenti."
"Perché lo fai sempre. Vai a ficcare il naso ovunque! Guarda che mi ricordo ancora i tour de force che mi hai fatto fare l'anno che sono stata in Italia, per andare a controllare sai solo tu cosa!"
Alzo le spalle. "Fa parte del mio lavoro. Comunque, per tornare a Lord Kettering, non l'ho più visto. Immagino sia rientrato a Londra!"
"Peccato!"
"Oh no, molto meglio così! Almeno non rischio di incontrarlo di nuovo!"
"Non hai detto che è una bella presenza?" Carol sghignazza di gusto.
"Posso guardarlo anche in foto!" ribatto nel tono più secco che mi riesce. "Ora vado. Non vorrei arrivare in ritardo proprio il primo giorno di riprese."
Scendo di sotto, ma dopo dieci minuti di attesa John non è ancora comparso. Chiedo alla signora alla reception, una versione invecchiata male della signora Fletcher con i capelli giallo pannocchia, se l'ha visto.
"È partito dieci minuti fa. Credo sia salito a bussare alla porta della sua stanza, ma non ha avuto risposta e ha pensato che lei fosse già andata con gli altri."
"Ma l'avrei avvertito!" protesto io.
La signora Fletcher curva le spalle in un gesto tra la scusa e il E io che ci posso fare?
La ringrazio e mi incammino. A quanto pare arriverò tardi il primo giorno di riprese. Mi incammino di lena lungo la strada che percorro ogni giorno in macchina. Per fortuna ho sempre avuto un buon passo, ma non credo di poterci impiegare meno di mezz'ora. Stringo le labbra contro il freddo, cercando di soffiare aria calda verso il naso che dopo pochi passi si è già mezzo congelato. La mattina è fredda e c'è uno strato di nebbia che aleggia sui campi come un fazzoletto di carta sospeso nel nulla. Cammino con le mani che scavano le tasche e il fiato che mi si addensa davanti alla bocca. La strada è deserta. Dopo poco riesco a prendere il ritmo e anche la sensazione di freddo non è più così intensa, anzi, sotto i mille strati che indosso, sento un certo tepore che vorrei mi rimanesse addosso per l'intera giornata.
A un certo punto l'asfalto curva dietro una macchia di alberi non molto alti, ma piuttosto fitti. Appena li supero, intravedo il cancello della proprietà. John fa sempre il giro lungo per andare sul retro, dove ci sono i parcheggi, ma vedendo che il cancello è aperto, decido di passare dall'ingresso principale per guadagnare tempo. Sembra che non ci sia nessuno a fare la guardia, quindi dovrei riuscire a passare inosservata. Allungo il passo. Sono già le sette e trentacinque.
Appena sorpasso i pilastri mi fermo per raccogliere con lo sguardo la villa nella sua interezza. Circondata dal verde, nell'atmosfera lattiginosa del mattino, sembra la terraferma che compare all'improvviso dopo un lungo viaggio in mare. Mi domando se il regista farà qualche ripresa dall'esterno, perché davvero ne vale la pena. Oggi il cielo è piuttosto uggioso, ma in una bella giornata dovrebbe essere un colpo d'occhio spettacolare inquadrarla da lontano con quei muri di pietra calcarea che svettano nel verde. Mi incammino, ora con il passo più tranquillo. Il colpo d'occhio sull'intera residenza mi ha in qualche modo rilassato. Ritardo per ritardo tanto vale dare un'occhiata in giro. Per fortuna il tempo regge.
Il viale che porta alla casa è costeggiato da cespugli bassi che portano al prato all'inglese. Di tanto in tanto ci sono delle aperture per avere accesso alle aiuole laterali. Non avevo notato la struttura del giardino quando abbiamo fatto il sopralluogo il primo giorno; forse ero troppo agitata all'idea di essere rimandata a casa a calci nel sedere.
Mi infilo in una delle aiuole più vicine alla casa, che ha delle strutture ad arco in un gioco di forme davvero incantevole. Le supero perché voglio vedere l'effetto di un'inquadratura laterale da un punto più lontano di quello valutato da John. Una volta infilatami nell'aiuola, però – gli archi sono alti, mi arrivano quasi alle spalle, e sono ricoperti da una pianta con mille rami e dalle foglie molto simili alla passiflora - noto un sentierino che prosegue oltre verso un piccolo boschetto. Se non sbaglio, dovrei essere, grosso modo, sulla diagonale di uno degli angoli della casa e continuando a camminare dovrei ricongiungermi con lo spiazzo dove c'è la roulotte del trucco. Credo. Proseguo curiosa, accarezzando le foglie con le punte delle dita che raccolgono l'umidità del mattino. Avanzo piano e mi trovo in una sorta di gazebo naturale, ricavato da piante rampicanti che sono state intrecciate a regola d'arte. Forse in passato c'era una struttura di sostegno, altrimenti non mi spiego la perfetta armonia degli spazi, ora che lo scheletro è completamente coperto dalla vegetazione. Appoggio la mano a uno dei pilastri portanti, ma trovo solo un tronco nodoso dalla corteggia screpolata. Faccio un passo avanti, fino ad trovarmi in piedi proprio al centro del gazebo e mi sembra di essere improvvisamente separata da tutto il resto del mondo. Anche la casa non è più visibile nonostante non sia distante che poche decine di metri. Sono in una piccola bolla verde. E non piove. Faccio un giro su me stessa quasi rapita dalla perfezione. Questo spazio ha appena scalzato la panchina dalla vetta dei miei preferiti.
"Miss? Miss può uscire per favore?" Una voce baritonale mi raggiunge dall'esterno. Mi giro verso il punto da cui sono entrata, la bocca ancora leggermente aperta per lo stupore, gli occhi che cercano di assorbire il più possibile di tutto quello che vedono. Il mio sguardo si ferma su un tizio sui cinquanta in abiti scuri e con una certa rigidità nella colonna vertebrale. Mi guarda con un'espressione perplessa. Almeno non è quell'antipatico del domestico, penso.
"Salve! Scusi, sono stata rapita da questo gazebo meraviglioso," dico, indicando stupidamente con la mano la struttura che mi avvolge.
"Lei fa parte della crew?" mi chiede, cortesemente.
"Eh, sì, ma sono venuta a piedi," gli spiego, gesticolando.
"Italiana?"
Sgrano gli occhi. "Sì, perché?"
Indica le mie mani. "Siete inconfondibili. Venga con me per favore, prima che Lionel o Lord Kettering la vedano."
"Immagino di essere dove non dovrei. Ancora."
"Già. E qualcosa mi dice che non sarà l'ultima volta." Lo guardo con un'aria innocente che lo fa scoppiare a ridere. "Le voci corrono," mi dice.
"Lord Kettering ha già messo un taglia sulla mia testa?"
"Direi Lionel piuttosto! È molto territoriale. Pensi che non fa entrare in casa nemmeno me, che sono il giardiniere e lavoro qui da cinque anni."
"Lionel è il domestico che richiama sempre tutti?"
"Lionel è il maggiordomo, il braccio destro di Lord Kettering. È lui che si occupa della residenza quando Lord Kettering è a Londra. Ma se è stata richiamata da qualcuno, sicuramente era lui!" mi dice con un sorriso storto che mi fa capire cosa ne pensa di Lionel senza dover usare le parole. Mi guida per un sentiero che non avevo ancora visto. Le case di mattoni si avvicinano sempre più.
Indico con il pollice il gazebo che ci siamo lasciati da qualche parte alle nostre spalle. "Immagino che quello sia super off limits, vero?"
"Il gazebo? Assolutamente sì. Mi dispiace."
Annuisco sovrappensiero. "Come mai Lord Kettering è così restio a mettere a disposizione la residenza e il parco per le riprese? Così sembra di avere a disposizione una trapunta e poter usare solo un fazzoletto!"
"Scherza? Sa quanto ci vuole per sistemare tutto dopo che è passata un'intera troupe cinematografica?"
Siamo quasi arrivati all'imbocco del viale sul retro della villa, le case in mattoni ora sono a due passi. Alle nostre spalle c'è lo spiazzo con il camper del trucco, intravedo la parte superiore oltre i cespugli. Prima che io riesca a rispondere, un'altra voce, stavolta più famigliare, ci sorprende entrambi.
"Lei ha di nuovo sconfinato, sbaglio?" Lord Kettering spunta dal sentiero alla nostra destra e dopo un breve cenno al mio accompagnatore, sposta il suo sguardo accigliato su di me.
Il giardiniere prende le mie difese. "Lord Kettering, la signorina è arrivata a piedi. La stavo accompagnando dai suoi colleghi."
"Ti ringrazio, George, ma non devi difenderla. Con te nei paraggi potrebbe pensare di avere il via libera per andare dove le pare."
"Se così fosse, l'avrei lasciata gironzolare," ribatte il giardiniere.
Sorrido a George. Poi mi giro verso Lord Kettering. "Visto? Non ha bisogno di chiamare la cavalleria ogni volta! E anche se non vuole ammetterlo, la mia dritta sui fregi particolari, l'ha incuriosita! Sappia che la considero in debito."
Il giardiniere mi guarda con gli occhi sgranati, mentre l'altro strizza ancora di più gli occhi.
"Non credo proprio."
Piego la testa. George cerca di fare qualche passo all'indietro per lasciarci spazio, ma una sbirciata alla sua faccia mi dice che sta morendo dalla curiosità.
"Mi dica la verità. Ha fatto delle ricerche sulle piantine della casa?"
"I-io... Lei come diavolo fa a saperlo?" sputacchia Lord Kettering.
Alzo le spalle. "Semplice. È quello che avrei fatto io. Mi dica anche questo. Nessuno aveva mai notato quei fregi, vero?"
Il nobile sbuffa. Si passa la mano tra i capelli in un moto di stizza, prima di rispondere. "No."
"Vede. È in debito con me!"
"E come potrei sdebitarmi?" chiede lui, sardonico.
"Ci sto ancora pensando, ma le farò sapere presto. Intanto, buona giornata! Grazie George!"
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