5. Il piacere è tutto... lasciamo perdere.
Quando pensavo a me e Jane Austen nello stesso contesto, certo non mi ero prefigurata la pioggia. Almeno non ogni singolo, maledetto giorno. E invece eccomi qui, stivalone di gomma fino al ginocchio, che a fine giornata avrà la meglio sui miei piedi; naso perennemente colante e una pioggia battente che sembra stata ordinata dalla signora Bennet in persona. Ho una giacca imbottita con un cappotto sopra e sembro la brutta copia dell'omino Michelin.
Sono qui da una settimana, ma nonostante la mia buona conoscenza dell'inglese capisco un quarto delle conversazioni, e so che almeno metà dei presenti mi considera mezza ritardata. Ma va bene, o almeno, me lo faccio andare bene. L'alternativa è la depressione totale, quindi no, grazie.
Dopo i primi due giorni in cui ho messo al lavoro ogni muscolo facciale possibile per esprimere la mia incapacità di comprendere all'istante, chi mi rivolge la parola ha imparato a parlare a un quarto della velocità e a ripetere le cose almeno tre volte. Una botta di autostima per una laureata in lingue.
Essere entrata nel meccanismo a giochi già avviati significa che la gente dà per scontato un sacco di cose di cui io sono all'oscuro e questo, oltre al sopracitato intoppo della lingua, non depone a mio favore. Devo sempre chiedere conferme all'aiuto regista, o all'assistente dell'aiuto regista, o all'assistente di produzione o all'assistente dell'assistente di vattelapesca, che mi guarda immancabilmente come se gli chiedessi come si chiama la regina, prima di sospirare, alzare gli occhi al cielo e ripetere quello che ha appena detto con espressione visibilmente annoiata.
Il giorno dopo la cena, John e Trisha mi hanno accompagnato a prendere due paia di stivali di gomma, un paio foderati e un paio semplice, più una fornitura completa di calzettoni, la giacca che indosso sotto il cappotto e una crema contro le screpolature da freddo. Ho scoperto che l'hotel non è molto distante dalla residenza e anche se John mi ha assicurato che si prenderà cura personalmente dei miei trasferimenti (insieme a Trisha e Betty), so che in caso di necessità potrei andare anche a piedi, pioggia permettendo.
Nonostante le promesse di John, non ho ancora avuto modo di incontrare il regista, il che sta iniziando a sembrare una barzelletta. Ogni volta che io arrivo sul set, lui è altrove, o è appena partito, oppure è in qualche riunione indisturbabile. Il terzo giorno mi sono arrischiata a chiedere a John se per caso mi stesse evitando.
"Sciocchezze! Perché mai dovrebbe farlo?"
Ho alzato le spalle per far vedere che non ne avevo idea. Forse perché è stato un cafone con la patente quando mi sono presentata, mi sono detta. Un atteggiamento del genere non fa che peggiorare le cose. Arriverà il giorno delle riprese, e non potrà certo volatilizzarsi.
"È la stramaledetta Lady Crawley," ha detto lui.
"Chi sarebbe Lady Crawley?"
"Una ricca vedova impicciona, amica della madre di Tom. Siccome ha messo sul tavolo una bella cifra per le riprese, si arroga il diritto di tartassarlo in qualsiasi momento, e lui è troppo gentiluomo per rifiutare."
"Ma questo influirà sui tempi di preparazione! E poi pensavo che la produzione fosse gestita dallo zio di Carol!"
"William non chiude mai la porta ai finanziatori, e Lady Crawley ha così tante conoscenze che sarebbe da pazzi rifiutare il suo contributo. Per quanto riguarda i tempi, non credo subiremo grossi ritardi. Tom ha tutto sotto controllo," ha detto John con sicurezza.
Della sua assistente sembra si siano ugualmente perse le tracce. Forse anche lei è stata risucchiata dalla fantomatica Lady Crawley.
Il copione che mi è stato consegnato si è rivelato una sequenza di scene introduttive e poco altro. Sembra che Tom farà avere il resto a riprese iniziate. Mi sono chiesta che diavolo hanno provato durante la table reading e John, come se annusasse i miei dubbi, mi ha spiegato che hanno provato degli stralci di dialoghi per vedere l'effetto generale tra gli attori, e il resto verrà poi. Non è che ci fosse molto da dire, quindi sono stata zitta e mi sono ingoiata le perplessità.
La storia è piuttosto semplice. Eloisa, una giovane donna orfana di genitori viene spedita da alcuni parenti della madre, i Davies, nella fattispecie: madre, padre e due figlie all'incirca della sua età, e inizia a incontrare i personaggi della loro cerchia. Le scene che ho in mano sono tutte abbastanza statiche e per lo più circoscritte alle stanze che ho visto con John durante il mio primo sopralluogo.
In questi giorni, insieme ad alcuni assistenti di non so chi, ho valutato alcuni complementi d'arredo, conservati in una delle case di mattoni. È tutto materiale scartato dal precedente proprietario della tenuta, il padre dello scontrosissimo Lord Kettering, che, nonostante il cipiglio perenne, li ha messi a disposizione per le riprese. Sono coperti di polvere ma in buono stato. Dopo il primo giorno passato con John e gli anatroccoli, ho scoperto che ci sono molte altre persone in giro per casa, che non avevo notato prima. Mi chiedo come farà il domestico a tenerli d'occhio tutti. L'ho intravisto mentre pedinava Trisha che cercava di coordinare il team delle pulizie e alcuni elettricisti e credo si sia guadagnato un paio di meritatissimi insulti perché riusciva a essere d'intralcio anche incollato alla parete.
"Ben ti sta!" ho pensato con una punta di piacere perverso.
Tra qualche giorno arriveranno gli attori e oggi, finalmente, iniziamo a predisporre i primi mobili. Quando io e John arriviamo alla residenza, gli anatroccoli sono radunati davanti alla porta. Almeno per ora non piove. Gli stivali fanno la differenza. Ho dovuto tenere a mollo le scarpe da ginnastica per tre giorni per farle tornare al colore originale.
Ieri, John e Trisha mi hanno assegnato tre degli stagisti per aiutarmi nelle operazioni. C'è Rose, cosa che mi ha sorpreso parecchio, visto l'occhiataccia che mi ha riservato il primo giorno; il tizio con la cresta rossa che si chiama William - per gli amici Wilby - e Happy Days, di cui non ho capito il nome, nonostante gliel'abbia chiesto quattro volte. Io continuo a chiamarlo Richard. Inizia sicuramente con la R. Credo.
Partiremo dal salottino con il tavolo moderno, sperando che l'inafferrabile Lord Kettering l'abbia rimosso. In caso contrario mi sentirò legittimata ad andare a cercarlo e a curiosare il più possibile nel tragitto, ammesso che non sia già tornato a Londra, ragion per cui potrei curiosare ancor più liberamente, in barba al domestico.
"John, devo vedere gli arredi acquistati e ho bisogno di sapere come siamo rimasti con gli oggetti di scena," gli dico mentre ci incamminiamo verso la residenza, appena smontati dalla macchina. Nel parcheggio ci sono molte altre vetture. John mi ha spiegato che a molti dei tecnici non pesa fare avanti e indietro dal set pur di rientrare a casa la sera. Alla fine in albergo ci siamo solo noi che ci siamo visti a cena e Tom con la sua assistente.
"Oh, sì. Ho sentito Tom a riguardo." John si guarda in giro come se cercasse l'ispirazione per quello che deve dirmi e non la trovasse. "La sua assistente, Natalie ti mostrerà dove sono stati stoccati gli arredi scelti dal tuo predecessore e anche gli oggetti di scena messi a disposizione da vari benefattori. Puoi occupartene tu, è ufficiale. Se ti serve altro, vieni a cercarmi e vediamo come muoverci. Sarò in casa con Trisha e i cameramen."
Faccio un cenno di conferma, ma prima che mi allontani mi trattiene per il braccio. "Loro non si devono avvicinare agli oggetti di scena," sibila, con un'occhiata non troppo discreta ai miei anatroccoli, che nel vedermi arrivare si sono fatti avanti. "Sei tu la responsabile."
"Lo so," gli dico con tanto d'occhi.
"Bene!" Scompare oltre la porta, risucchiato da Trisha che gli telegrafa una montagna di informazioni non appena oltrepassata la soglia. Lei e Betty sono venute con Tom e Natalie e stanno già lavorando da un'ora.
Mi volto verso gli anatroccoli. "Voi sapete dove trovare Natalie?"
Happy Days alza la mano. Lo guardo con gli occhi sgranati. "Non serve alzare la mano, Rich- err, Happ—err. Non serve alzare la mano."
"L'ho vista dirigersi verso i costumi," dice lui, con le guance rosse dall'imbarazzo.
"Ok, fai strada."
I costumi sono stati messi in una specie di tendone vicino ai parcheggi, in un piccolo spiazzo alle spalle delle case in mattoni, quelle davanti alle quali ho tentato di presentarmi al regista. La roulotte del trucco invece, è nel parcheggio e verrà spostata il più vicino possibile alla casa solo all'inizio delle riprese. I due spazi sono congiunti da un piccolo sentierino sterrato. Lord Kettering, stando a quanto mi ha detto John, ha assolutamente vietato di parcheggiare troppe roulotte nel parcheggio della residenza, per questo la produzione ha dovuto scegliere il bed and breakfast. Sinceramente non mi lamento. Non sono mai stata una fan delle roulotte, ma so che per gli attori, che devono aspettare anche delle ore prima di entrare in scena, potrebbe essere un problema.
Dopo l'incontro del primo giorno, non ho più incontrato Lord Kettering. L'ho intravisto un giorno, attraverso una finestra, mentre si incamminava verso una delle zone del parco a cui noi non abbiamo accesso. Stava parlando al cellulare – cosa che mi ha parecchio sorpreso visto che il mio qui prende a malapena una tacca - e aveva un binocolo al collo. Non sono riuscita a sbirciare più di tanto, perché dopo pochi passi è scomparso dietro alcune piante con la chioma bassa. Inoltre, in quel momento, John mi ha chiamato per chiedermi la misura di una stanza, e mi sono rituffata nel lavoro senza più pensare all'avvistamento.
Happy Days ci porta fino al tendone, poi si fa da parte per lasciarmi passare. Infilo la testa attraverso la porta di PVC tenuta al suo posto da robuste fettucce di velcro.
"Betty?" Una ragazza che probabilmente fa parte degli anatroccoli mi porge le solite buste di plastica. Me le infilo ai piedi saltellando, poi entro nel tendone, facendo segno agli altri di aspettarmi fuori.
"Wow," esclamo, guardando le relle piene di abiti dai tessuti croccanti e colorati.
"Ciao Alice! Hai bisogno di qualcosa?" Betty sbuca fuori da dietro un paravento con un metro in mano e quella che sembra una stola in taffetà viola.
"Sto cercando Natalie, l'assistente di Tom. Mi hanno detto che è qui."
"È appena uscita, la trovi al trucco, dall'altra parte del parcheggio," mi dice Betty.
La ringrazio, mi libero dalle borse di plastica più in fretta possibile e mi precipito fuori, prima di mancare di nuovo la sfuggente Natalie. Gli anatroccoli cercano di starmi dietro. Corro, incurante degli schizzi di fango che mi sporcano i jeans.
Arrivo trafelata alla roulotte del trucco e busso con insistenza. Prima che la porta si apra per rivelare una signora piuttosto accigliata con un kaftano blu, gli anatroccoli mi raggiungono.
"Salve, sto cercando Natalie," dico, con il fiatone. L'aria contrariata della signora mi fa pregare sottovoce che Natalie non sia lei.
"Si può sapere chi la cerca?"
"Sono Alice, la scenografa. Lei chi è?"
Chiunque sia, deve essere imparentata con il regista, perché non mi degna di risposta e si volta verso l'interno della roulotte. "Natalie, c'è qui un'Alice che ti cerca."
"Piacere mio," mormoro sottovoce alla signora kaftano, che scompare oltre la porta, per lasciare spazio all'assistente. Natalie è una ragazza con i capelli biondo cenere, due walkie talkie in mano e l'aria di una che riesce a fare almeno dieci cose contemporaneamente. Spero solo sia più affabile di Tom e della signora kaftano.
"Ciao, sono Alice, la scenografa," ripeto. "John mi ha detto che tu sai dove sono gli oggetti di scena e gli arredi acquistati da chi mi ha preceduto."
Mentre mi presento Natalie, fa un paio di spunte su un blocco che regge con l'incavo del gomito e quando finisco di parlare, annuisce, secca.
"Bene. Seguimi." Nessuna stretta di mano, niente convenevoli. Si volta verso l'interno del trailer. "Dora, ci vediamo domani, intanto prepara le bozze di trucco che le mando a Tom." Poi scende gli scalini della roulotte, si leva le protezioni agli stivali, le butta nel cestino a fianco della scaletta e mi fa strada verso la casa. Mentre cammina inizia a spiegare.
"Gli oggetti di scena sono quasi tutti prestiti di Lady Crawley o di suoi amici. So che oggi iniziate a imbastire il set nel salottino rosa, magari potete utilizzare qualcosa; Lady Crawley ci terrebbe molto. Il valore economico non è elevato, ma sono tutti oggetti che vanno trattati con la massima cura. Loro," dice, con un cenno ai tre ragazzi che ci seguono, "non si devono nemmeno avvicinare, chiaro?"
Annuisco, ma devo trattenermi per non alzare gli occhi al cielo. Butto un occhio alle mie spalle, per vedere se gli anatroccoli hanno sentito l'ennesimo accenno alla loro non affidabilità. Le loro facce non lasciano trasparire nulla. Rose e Wilby camminano fianco a fianco, Rose con le spalle un po' irrigidite dal freddo e Wilby con la testa piegata che proietta in avanti la cresta come la prua di una nave. Happy Days è indietro di qualche passo e dubito abbia sentito una sola parola. Natalie cammina svelta e ci porta nella prima delle case di mattoni rossi, quella accanto alla quale ho visto Tom per la prima volta. Infila la mano nella giacca e estrae una chiave, poi apre la porta e entra. Mi guardo in giro. I ragazzi alle mie spalle hanno la mia stessa espressione perplessa. Possibile che non ci siano buste di plastica da infilare ai piedi?
Natalie mette la testa fuori. "Allora? Che state aspettando? Non ho tutto il giorno!"
"Non mettiamo niente per gli stivali?" chiedo, perplessa.
"Ci sono i tappeti!" risponde lei dall'interno.
La seguo titubante. Striscio bene gli stivali sul tappeto all'ingresso, prima di entrare. L'interno della casa sembra un magazzino con suppellettili di ogni tipo accatastate contro le pareti. Quadri, mobili, soprammobili, sedie, un'orrenda statua di angelo che starebbe molto meglio in un cimitero. Per terra altri due pezzi di tessuto con delle orme di fango, dove passo di nuovo gli stivali con la palpabile sensazione di sporcarli.
"Che diavolo è tutta questa roba?" sbotto, posando lo sguardo sullo strato di polvere che ricopre persino le pareti. "Da quanto tempo è qui tutto questo ciarpame?"
Mi avvicino a un candelabro e passo il dito sulla base. Quando lo ritiro noto una spessa aureola di polvere. Natalie si guarda in giro senza interesse. Mi accorgo ora, nella stanza che i walkie-talkie stanno ronzando. Lei li ignora. Ritorna con lo sguardo al suo bloc-notes e continua a fare spunte. Poi si infila la mano in tasca e la allunga verso di me.
"Questa è la chiave. Tengo una copia anch'io, ma tu sarai la sola responsabile di quello che c'è qui dentro."
"Scusa, ma cosa dovrei fare di questa paccottiglia? E davvero ti aspetti che la porti avanti e indietro da sola?" chiedo, prendendo la chiave e ficcandomela in tasca senza neanche guardarla. "La polvere è vecchia di mesi," borbotto, quasi parlando con me stessa. Mi accuccio vicino a un quadro dalla cornice elaborata. Appoggiate per terra ci sono delle candele che forse qualche anno fa erano bianche.
"Appena arriva Tom, vediamo cosa funziona per le scene," mi risponde Natalie, che è tornata con gli occhi al bloc notes. "Per il resto ci pensano quelli degli allestimenti," spiega senza neanche alzare gli occhi. "Intanto puoi iniziare a pulire."
Mi volto verso di lei, prima di rialzarmi. "Prego?"
"Pulisci quello che ti serve, così è pronto per le riprese," ripete lei, alzando gli occhi al cielo. Gli anatroccoli seguono lo scambio con il fiato sospeso.
Inspiro dal naso. "Scusa, ma per chi diavolo mi hai preso?"
"Per la responsabile degli oggetti di scena." Una voce maschile ci fa sobbalzare entrambe.
Mi giro con calma.
"Tom, pensavo fossi via per l'intera giornata," cinguetta Natalie. La sua postura è cambiata all'istante. Sembra un chiodo che ha appena annusato la presenza di una calamita.
Ecco l'inafferrabile Tom.
"Sono riuscito a sganciarmi presto. Ti spiace controllare a che punto è John con i cameramen? Ti raggiungo tra un minuto. E voi," dice, rivolgendosi agli anatroccoli che sono spalmati contro il muro. "Andate a cercare quelli degli allestimenti. Avrete bisogno di aiuto."
Natalie si eclissa senza una parola, e senza nemmeno salutare. I ragazzi non si preoccupano di aspettare il mio consenso e la seguono. Partiamo male. Alzo le sopracciglia nell'espressione più arcigna che mi riesce e incrocio le braccia, ferma al mio posto. È inutile fingere che non mi abbia ignorato quando mi sono presentata, quindi niente giri di parole. Tanto vale mettere subito le cose in chiaro.
"Anche se il materiale qui dentro non è prezioso, forse sarebbe meglio farlo pulire da qualcuno di più esperto. Io monto i set, non faccio la donna delle pulizie."
"John mi ha detto che sei piuttosto decisa," dice lui, dondolando sui talloni. Mi guarda con quegli occhi color cioccolato e gli zigomi alti che gli danno un'aria esotica e così seria. Mi rendo conto ora che è davvero un bell'uomo, e la barba sfatta gli dona, ma se pensa di averla vinta solo per la sua bella faccia, si sbaglia di grosso. Faccio un giro lungo le pareti per esaminare gli altri tesori. Se fosse per me, chiuderei la porta a tripla mandata e butterei la chiave nel primo stagno disponibile.
Tom è ancora fermo sulla porta. "Volevo scusarmi per l'altro giorno," dice, dopo un lungo silenzio.
"Per cosa?" chiedo, genuinamente sorpresa. La mia mente sta frullando per valutare oggetti di scena alternativi che non comprendano nessuna delle cianfrusaglie rinchiuse qui dentro. Non sentendo risposta, mi volto.
"Qualche giorno fa. Quando ti sei presentata. Mi hai colto di sorpresa," dice lui, piegando leggermente la testa di lato.
Stringo le labbra. "E ti sembra una buona ragione per ignorare la gente e andartene?"
"No, direi di no. Ti chiedo scusa." Stende la mano. "Io sono Tom, piacere di averti sul mio set."
Sul mio set? Ma questo si sente quando parla? Sforzandomi di non sbuffare, gliela stringo. "Alice. E tecnicamente il set sarà il mio," gli dico, con un sorriso zuccheroso. "Allora possiamo parlare delle prime scene che vuoi girare?"
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