1. Strozzare o non strozzare, questo è il dilemma
Serata libera, bicchiere di rosso e Orgoglio e pregiudizio. C'è qualcosa di meglio? Non credo proprio. Mi sposto i capelli dagli occhi. Non importa con quanti elastici li leghi, qualche ciocca riesce sempre a sfuggire e a cadermi in faccia, rendendomi una degna esponente della Scapigliatura. Faccio un respiro profondo e mi passo una mano sul collo. I muscoli sembrano stecche di marmo sotto le dita. Deve essere la tensione. O l'istinto omicida.
Quell'idiota di Claudio è riuscito a farmi imbufalire anche oggi. Lui e i maledetti candelabri Luigi XVI. Avevo trovato delle repliche fatte a regola d'arte. Una cosa che avrebbe fatto venire il dubbio a una casa d'aste. E lui che fa? Spiffera al cliente che sono delle copie. Ma che ha in testa? In realtà, un'idea ce l'avrei, ma non mi esprimo perché non voglio essere volgare. Troppo.
Comunque, come risultato mi sono dovuta sorbire una chiamata fumantina della regista che per cinquanta minuti ininterrotti ha blaterato in ogni possibile declinazione che non avrebbe tollerato falsi sul suo set perché il suo più grande orgoglio sul lavoro é l'indiscutibile autenticità che da sempre pretende. Ho dovuto sfoderare tutta la mia diplomazia per spiegarle che no, non le volevo rifilare una fregatura, ma avevo preso le copie per portarle sul set e valutare l'effetto d'insieme, chiarire con i tecnici le inquadrature migliori e, solo in un secondo momento, procedere con il prestito dei pezzi autentici. Poi ho aggiunto che è stato necessario procedere in questo modo per via dell'assicurazione. Le prove pesanti vanno fatte con suppellettili non delicate. Se avessimo usato i veri Luigi XVI avremmo dovuto chiedere autorizzazioni su autorizzazioni solo per muoverli di quindici centimetri sullo stesso piano d'appoggio e avremmo finito col perdere giorni. Le copie servono per verificare le inquadrature migliori, sveltire i tempi e fare un buon lavoro, altrimenti si rischia di rimanere impantanati nelle procedure burocratiche per oggetti che avrebbero potuto anche finire per rivelarsi un incubo da inquadrare.
"Le assicuro che avere l'idea generale dell'aspetto degli oggetti sveltirà il processo," ho concluso cercando di mantenere la calma, nonostante i miei denti scricchiolassero per il nervoso.
"Ma io ho già deciso! Voglio i Luigi XVI e non accetterò nulla di meno."
"I Luigi XVI sono in viaggio," ho mentito spudoratamente. Chi diavolo pretende dei veri Luigi XVI per una fiction low cost? Forse i costumi sono d'epoca? Non mi sembra proprio. I tessuti sono del più bieco poliestere, valore totale cinquanta euro a capo, comprati su una bancarella in una piazza polverosa. Ho dovuto tacere per non infilarmi in una polemica senza speranza e mi sono dovuta impegnare per tranquillizzarla e uscire dal ginepraio creato da Claudio. Devo solo portare a termine il mio lavoro e poi incassare il compenso.
"Ma è necessario fare delle verifiche preliminari con le luci e gli altri arredi di scena. E si fidi di me, in queste circostanze non si va molto per il sottile. Meglio maneggiare un articolo da poche decine di euro che un candelabro autentico che vale più delle nostre case messe insieme," ho detto con preoccupata convinzione. Sapevo di toccare un tasto dolente anche per lei, che guadagna abbastanza da pagare l'affitto e poco più, nonostante le sue manie di grandezza e la sua decantata venerazione per l'autenticità.
Sono riuscita a convincerla, alla fine. Ma è stata una sudata.
Poi ho chiamato Claudio e gli ho detto che gli avrei saldato il dovuto e da quel giorno non avrei più collaborato con lui, visto che non riesce a essere professionale. Non ho bisogno che mi mette i bastoni tra le ruote a ogni passo. Soprattutto se è un mio stretto collaboratore. Ci pensano già i committenti, i registi, cameramen, la produzione.
Ho chiuso un occhio quando sono cadute le tende mentre stavamo girando in teatro a Roma e per poco non prendeva fuoco l'intero set. Ho pensato che fosse stato un incidente, anche quando ho trovato un taglierino nella tasca della sua giacca. Un taglierino serve sempre, mi sono detta. Che idiota! Ci sono state tante piccole cose storte, che però, per un motivo o per l'altro, avevano sempre a portata di mano una scusa alternativa e plausibile. Contrattempi noiosi, rallentamenti nel montaggio, articoli che dovevano arrivare e non c'erano. Ordini che aspettavo con urgenza, cancellati strada facendo. Ho iniziato a perdere il mio solito sangue freddo.
Lavoro da sola. La mia azienda è un one-woman-show che si avvale di tanto in tanto di collaboratori esterni. Ho conosciuto Claudio quando ero al primo anno di specialistica e da qualche mese avevo iniziato a lavorare per una cooperativa che si occupava di allestimenti di set. Era il tuttofare degli allestimenti, con un ottimo senso pratico e una buona visione d'insieme. In più era carino, divertente, disponibile. Mi sono sentita subito a mio agio con lui, mi faceva ridere e aveva sempre un sacco di aneddoti divertenti. Abbiamo iniziato a uscire e poco dopo ci siamo messi insieme.
Ci sarei dovuta arrivare prima, ma fino ai Luigi mi sembrava inconcepibile che Claudio potesse caduto tanto in basso. Ha i suoi difetti, tra cui l'essere fin troppo istintivo, ma non avrei mai pensato fosse anche stupido.
Ripenso ai manufatti preziosi lasciati in giro, quando avrebbero dovuto essere riposti lontano dal caos con ogni crisma. Gente che mi portava sul set materiale che non serviva, tipo quella volta che degli operai polacchi che non parlavano una parola di italiano, né inglese o tedesco, hanno scaricato un biliardo da dodici in mezzo alla scena che sarebbe servita di lì a mezz'ora e si sono rifiutati di rimuoverlo se non li avessi pagati. Mi sono costati cinquecento euro e ho dovuto rimandare il tagliando della macchina. Sto ancora pensando se mandare una fattura a Claudio, a dire il vero. E infine i Luigi, i dannati Luigi. A un certo punto, non so se è stato qualcosa che la regista ha detto, una frase pigra, tipo: Ci ha pensato Claudio, o qualcosa che ho visto con i miei occhi. Il fatto è che tutti i tasselli sono andati al loro posto, in un momento di allineamento cosmico, e finalmente ho capito. Il cerchio si è chiuso implacabile attorno al collo di Claudio. Mi stava sabotando. E ci stava riuscendo, perché io ho iniziato a mettere in dubbio la mia professionalità. A rimuginare sulle mie azioni per cercare di capire se avrei potuto far meglio. A tentennare. Invece era solo quello stupido Claudio. E mi ripeto: quell'uomo ha tanti difetti, ma non pensavo fosse stupido.
So perché l'ha fatto. Tre mesi fa l'ho mollato. Non ci sono dietrologie, tradimenti o drammoni shakespeariani. Semplicemente non lo amo più. Quando mi sono laureata, l'anno scorso, ho deciso di fare il grande salto e mettermi in proprio. E lavorando insieme giorno dopo giorno, le cose sono diventate più pesanti, gli aneddoti hanno iniziato a sapere di stantio e ho notato che la sua disponibilità arrivava solo dopo averlo pregato in almeno tre lingue. Ho iniziato a fantasticare su qualche esperienza all'estero, ma per lui era impensabile trasferirsi, cosa che ha portato a discussioni su discussioni. Non voglio andarmene per forza. Volevo solo considerare la possibilità. Per lui non lo è mai stata. L'unica cosa da considerare era quando andare a vivere insieme, visto che ormai avevo finito la scuola ed era il momento di passare al livello successivo. Così l'ha chiamato. Come se la nostra relazione fosse un videogioco.
Ricordo ancora la sensazione di freddo alla proposta.
Un giorno, poco tempo dopo la sua uscita sulla convivenza, mi sono fermata a guardarlo mentre scaricava un cassettone e ho sentito lo stesso trasporto che sento per un asparago. Mi sono detta, meglio single che parcheggiata come un carrello al supermercato. E così è stato. Ma eravamo già in ballo con il progetto di Miss Autenticità e quindi è andata a finire che abbiamo continuato a vederci regolarmente e lui ha sfogato così il suo orgoglio ferito. Un supplizio. Ho dovuto sorbirmi monologhi chilometrici in cui continuava a sostenere che fossi stata pazza a lasciarlo, o le domande a bruciapelo se ci fosse un altro, mentre io di giorno in giorno mi chiedevo con insistenza crescente come avessi fatto a starci insieme così a lungo.
Tre anni. Tre anni della mia vita spesi con un pirla. Non saprei come altro definirlo. Però pensavo che almeno sul lavoro avesse delle qualità. Invece si è rivelato il genere di persona che non riesce a separare il lavoro dalla vita privata e se ha un conto in sospeso con te, te la deve far pagare. Piccolo dettaglio, non ha pensato che la buona riuscita del lavoro, avrebbe fatto comodo anche a lui. Ma a quanto pare l'orgoglio fa fare cose stupide. Forse tra qualche mese lo perdonerò. Non lo so. Non voglio nemmeno pensarci.
Arrivata a casa mi sono versata subito un bicchiere di vino rosso e ho attaccato Orgoglio e Pregiudizio. Quello con Colin Firth, ovviamente. I riccioli di Jane Bennet mi fanno sempre morire dal ridere, cosa di cui ho estremo bisogno. Poi mi sono stesa sul divano e ho pensato che dopo quattro anni sballottata tra università e set di ogni genere, forse era giunta l'ora di una vacanza. Forse avrei potuto considerare sul serio anche quell'esperienza all'estero che Claudio aveva sempre bocciato. È stato allora che mi ha chiamato Carol. Ho messo in pausa Colin Firth, con fermo immagine sull'espressione piccata che ha per tutta la durata dello sceneggiato. È sempre un bel vedere, va detto.
Carol è inglese, ci conosciamo dai tempi dell'università. Io ero al terzo anno di lingue e lei è venuta in Italia per l'Erasmus. Abbiamo legato subito. In realtà, io mi sono attaccata come una cozza perché adoro parlare inglese e non mi sarei persa per nulla al mondo l'opportunità di spremere una madrelingua. Lei era divertita dal mio entusiasmo ed è stata al gioco. Poi le ho presentato mio cugino Emilio e dal lì ha iniziato ad adorarmi. Stanno insieme da allora, e lei ogni tanto mi chiama ancora Cupido.
"Ho una sorpresa per te!" mi dice.
"Grazie al cielo!" rispondo.
Carol ridacchia. "So che capito sempre di fagiolo"
"A fagiolo" la correggo, sorridendo. L'italiano di Carol è molto buono, ma continua a fare a pugni con le preposizioni, e non posso darle torto.
"Sì, sì, dai, non fare la maestrina," taglia corto lei.
Sospiro. Sono stanca anche per controbattere, una cosa che si solito non riesco a frenare. Chiudo gli occhi. Sono contenta che Carol sia euforica, ma io vorrei essere in una vasca da bagno piena di acqua bollente e petali di rosa o in alternativa su un lettino imbottito a farmi massaggiare la schiena. O entrambe le cose.
"Alice?"
"Mmm?" dico, mentre mi massaggio la fronte con la mano libera, cercando di coccolare il mio cervello in fiamme. Fuori dalla mia finestra c'è un tizio che ha iniziato un concerto per clacson e insulti che non mi aiuta. Mi trovo a desiderare la caduta di un meteorite proprio su di lui. Dubito dell'efficacia di qualsiasi altra cosa.
"Hai sentito quello che ti ho detto?" La voce di Carol è piatta. Percepisco il suo fastidio per la mia scarsa partecipazione, e cerco di rimediare.
"Hai una sorpresa per me," ripeto.
"E non sei curiosa? Devi aver avuto proprio una giornata di merda!"
"Puoi dirlo forte," sospiro. "Allora questa sorpresa?"
"Jane Austen."
Apro gli occhi. Non mi sono neanche resa conto di averli chiusi. Mi raddrizzo. Il concerto di clacson e insulti passa in secondo piano.
"L'hai resuscitata?" le chiedo.
"Anche meglio!"
Mi metto in posizione seduta. Vorrei saltare dall'altra parte del telefono per vedere Carol faccia a faccia. Non è da lei fare scherzi di cattivo gusto, ma non si sa mai. "Che intendi dire?"
"Se dico Eloisa che ti viene in mente?"
"Mi prendi in giro?"
"No, ma ho bisogno che tu risponda." La voce della mia amica ha quella sfumatura canzonatoria che trovo divertente solo quando sono di buon umore. Cioè non ora.
"È il titolo dell'ultima opera incompiuta di Jane Austen. È stata autenticata tre anni fa, se non erro."
Carol ignora le mie nozioni wikipediane per sganciare la bomba. "Indovina chi sta facendo una serie basata sui capitoli di quel libro?"
"Scherzi?"
"No!"
"E me lo dici così?" Mi metto a ballare e a urlare per il soggiorno. In realtà sono più mosse scomposte tra il salto e l'ondeggiamento, che hanno come unico risultato quello di farmi finire senza fiato.
"Non so in che altro modo dirtelo!" mi dice Carol, mettendosi a ridere.
"Da quanto lo sai?" le chiedo, ributtandomi in poltrona e concentrandomi sui dettagli che voglio subito, tutti insieme, adesso.
"Mio zio mi ha appena chiamato!"
Mi fermo. "Che c'entra tuo zio?"
Carol interrompe la risata. "Ha una casa di produzione, Alice. E hanno deciso di puntare sulla tua amica Jane. Chi diavolo pensavi lo mettesse in scena?" Il suo tono è piatto. Forse pensa che la stia prendendo in giro. In realtà, ho proprio capito male. Carol lavora come costumista nei teatri del West End. Certo non è l'ambiente ideale per la mia amica Jane, come la chiama lei, ma si prende quello che arriva. E comunque la messa in scena di uno spettacolo di Jane Austen è sempre una bella notizia, a prescindere da chi la metta in atto.
"Tu!"
"E cosa centro io?" La mia bolla di euforia si è sgonfiata. Mi è sembrato anche di sentire un pop abbastanza deciso. È che se Carol è coinvolta, sgattaiolare dietro le quinte sarebbe molto più semplice. "Alice, ho detto a mio zio di assumerti come scenografa. La persona scelta in origine li ha piantati in asso da un giorno all'altro perché è stata chiamata oltreoceano da una grande produzione e ora sono con il culo per terra dopo che sono già state fatte le letture dagli attori in studio e i primi sopralluoghi alle location. C'è bisogno di qualcuno che arrivi con scarso preavviso e ho pensato a te. Mi sono sbagliata?" mi chiede lei. Ora la voce è scocciata.
"Scherzi?" le chiedo per la seconda volta.
"Assolutamente no! Se accetti, la produzione ti invierà i biglietti entro la fine della prossima settimana. E io cercherò di racimolare qualche informazione sugli incontri già avvenuti, anche se non ti prometto nulla. Di solito sono registrati, ma la qualità potrebbe essere pessima!"
"Che domande! Certo che accetto!"
"Allora prepararti a vivere nella fredda Inghilterra per i prossimi quattro mesi!" Carol si è già ripresa. La voce cresce man mano espone i dettagli e dal modo in cui va e viene potrei giurare che stia saltellando anche lei.
Inizio a assaltarla con le mie domande, ma lei le smorza sul nascere. "Non so ancora nulla di certo. Ti chiamerò nei prossimi giorni con i dettagli, e ovviamente appena arrivi usciamo a pranzo."
Quando concludiamo la conversazione mi sembra di essere leggera come una bollicina di gas.
Quattro mesi in Inghilterra su un set con Jane Austen. Mi sembra di sognare.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top