Let down your guard just a little

«Simone, ciao! - aveva evitato le chiamate di Assunta per tutta la mattinata, indirizzandole direttamente alla segreteria telefonica dopo appena due squilli. Eppure aveva spiegato a quella donna quali fossero le sue disponibilità, specificando che in orario lavorativo non avrebbe potuto prestarle le giuste attenzioni. A maggior ragione se si trattava d'un argomento di tale portata. - Scusa se oggi ho insistito, ma volevo sia confermarti l'appuntamento di sabato mattina per vedere il quadrilocale a Via Scarlatti, sia informarti del fatto che ci è appena arrivato un trilocale con una posizione ottima. So che con i metri quadri siamo un po' al di sotto di quelli che ci hai indicato nelle preferenze, ma si tratta di un appartamento di recente ristrutturazione situato in un parco privato che dispone anche di un posto auto. Con il budget rientriamo, e una buona trattativa potrebbe permetterti anche una spesa inferiore a quella prevista.» Il classico finto entusiasmo d'una venditrice, che Simone aveva imparato a conoscere e ad utilizzare a sua volta, pur mal tollerandolo. Erano passati a darsi del tu, d'altronde negli ultimi mesi aveva sentito più lei che i suoi genitori, e inevitabilmente erano arrivati a stabilire un tono confidenziale. Il che aveva portato anche ad un mancato rispetto degli accordi presi in partenza.

«Puoi girarmi la scheda dell'appartamento tramite mail, così ci do uno sguardo e in caso fissiamo un appuntamento con il proprietario. - un sospiro, mentre abbandonava la borsa da lavoro all'ingresso, per scalciare subito via le scarpe e sostituirle con le pantofole. - Anche se ti ho già spiegato che la metratura è importante. Non tentare di rifilarmi un buco di casa solo perché sai che non ho una relazione. - la sentì esitare, e un venne un po' assalito dal senso di colpa per i modi bruschi con cui le si rivolgeva sempre; ma d'altronde era pure vero che conversazioni di quel tipo andavano avanti da mesi e ancora non avevano portato a nessun risultato concreto. - Non ti sto chiedendo di farmi risparmiare, ma di trovarmi una casa con determinate caratteristiche.»

«Lo so, - s'accomodò sul divano, recuperando dal tavolino interposto tra esso e la tv il portatile che aveva lasciato lì la sera precedente e Michela subito lo raggiunse, per andarsi ad acciottolare al suo fianco e mordicchiargli il polso affinché gli prestasse le giuste attenzioni. - la troveremo. Tu magari cerca di non partire prevenuto ad ogni proposta che ti passa l'agenzia. Siamo dalla tua parte, Simone. Te l'ho già spiegato.»

«Io non... - un sospiro avvilito, nel trovare la casella della posta elettronica satura. - Okay, come dici tu. - In realtà, se l'avesse conosciuta in circostanze differenti e se non fosse stato certo che lo tollerasse solo per una questione lavorativa, Assunta gli sarebbe stata quasi simpatica con il suo modo di fare diretto e il dialetto a stento trattenuto. Non mancava mai di esprimere la propria opinione, seppur dosata da gentili sorrisi di circostanza. - Ci vediamo sabato alle dieci.» Tagliò a corto, chiudendo la telefonata con uno sbuffo. E la gatta sollevò il musetto nella sua direzione, socchiudendo teneramente gli occhi celesti e rifilandogli un lungo miagolio pretenzioso a cui Simone rispose con una carezza tra le orecchie. Si chiedeva se Assunta non avesse davvero ragione. Magari era proprio lui il problema, che con le aspettative alle stelle s'era ritrovato a disdegnare offerte che altri avrebbero ritenuto occasioni imperdibili. Quella casa al primo piano in Via Bernini, ad esempio, che pareva essere stata edificata appositamente per le sue esigenze, l'aveva scartata per via della scarsa illuminazione naturale. O almeno così aveva detto. E s'era imputato talmente tanto sulla questione che i proprietari a loro volta avevano proposto all'agente immobiliare di pattuire assieme a Simone un prezzo inferiore. Il che sarebbe stato ottimo, se la sua fosse stata una strategia d'acquisto e non un categorico rifiuto di trattativa. E col senno di poi quell'illuminazione, si rendeva conto, non aveva nulla che non andasse.

Tornò sul proprio cellulare, dando una veloce scrollata alle chat per cercare prima quella con sua madre a cui scrisse brevemente che le avrebbe fatto una chiamata dopo cena, poi a quella con Chicca, con cui s'era scambiato il contatto telefonico per farsi girare le fotografie del week-end passato insieme. Le sfogliò velocemente. Erano trascorsi appena cinque giorni, dalla grigliata serale in villa, eppure aveva compiuto quell'azione un numero imbarazzante di volte. Sembravano effettivamente un gruppo d'amici di vecchia data, catturato così, immobili e sorridenti. Ogni tanto si fossilizzava su un'immagine, la ingrandiva per studiarne i dettagli e si ritrovava a stringere le labbra con un disappunto orfano di motivazioni.

Il suo aperto nervosismo invece era giustificato, e s'autoalimentava come un cane alle prese con la propria coda. Credeva di essere riuscito a deprivare Manuel Ferro di quel potere, che oramai non avesse più quel tipo di ascendente sui suoi stati umorali.

E invece eccolo lì, con il suo numero digitato e una chiamata inoltrata alla faccia del buonsenso.

Non avrebbe dovuto interessargli l'idea che il più grande s'era fatto circa il suo conto, ormai non faceva più parte del suo quotidiano. C'erano persone che pensavano molto peggio della sua persona che era costretto a vedere ogni giorno, in fondo, e mica si dannava a quella maniera.

Manuel, invece, nella peggiore delle ipotesi non l'avrebbe rincontrato prima d'ulteriori dieci anni.

Nella migliore invece non si sarebbero mai più rivisti.

Pertanto, che senso aveva sentirsi così punto dalle sue parole? «Pronto?» la voce interrogativa eruppe tra i suoi pensieri, destandolo dall'ipnotico tum tum degli squilli di linea. Era un po' arrochita, come se la chiamata l'avesse destato nel pieno del sonno e Simone quasi assecondò il naturale impulso di scusarsi. Lo tenne a bada a stento, preoccupandosi invece di schiararsi la voce.

«Non sono un manipolatore.» Nemmeno lo salutò, fu estremamente diretto mentre tentava di dare alla propria voce un'inflessione pregna d'ironia. Non voleva ostentare platealmente il fastidio che aveva provato nel sentirlo muovergli quell'accusa, benché quella chiamata non giocasse a favore del suo orgoglio.

Era anche vero che Simone, crescendo, era sceso a patti con la consapevolezza che l'amor proprio fosse fondamentale solo se dosato con cura. Averne troppo non portava mai ai risultati sperati.

Ma in quel caso, qual era il suo auspicio?

«Simone? - era un evento tanto raro quanto peculiare che Manuel pronunciasse il suo nome per intero, almeno quando gli si rivolgeva in maniera diretta. Era così abituato a sentirlo stroncare sulla o che se ne stette zitto, neanche fosse incerto d'una risposta tanto ovvia. Certo che era lui, a chi altro poteva aver mosso un'accusa del genere nell'ultima settimana? - Come hai avuto il numero mio?»

«Mi hai accusato di essere una persona orribile, ma non ci vediamo da una vita. È un'illazione infondata.»

Lo sentì sbuffare una risata dal naso. «Te l'ha dato Chicca, certo... - seguì un lungo sbadiglio che spinse Simone a guardare l'orologio. Erano appena le sette di sera, chi diamine dormiva a quell'ora? E sì, lo aveva chiesto a Chicca perché sabato, dopo quel mezzo confronto prima di cena, non solo non avevano più avuto modo di parlare a tu per tu, ma s'erano pure salutati con una freddezza tale che scambiarsi i contatti sarebbe stato impensabile. - Mica ho detto che sei una persona orribile, n'esagerà.»

Pareva sinceramente divertito da quel confronto e dal fatto che fosse stato il più piccolo a cercarlo. E per qualche motivo, l'inflessione che diede alla propria voce mentre pronunciava quella parola, esagerà, spingendo troppo sulla g, gli assesto un colpo diretto alla bocca dello stomaco. Era... mancanza?

Si stava abituando troppo alla cadenza napoletana.

Sollevò un sopracciglio, arrestando per un attimo le carezze che stava dedicando a Michela. E questa gli assestò l'ennesimo morso d'avvertimento, affinché riprendesse immediatamente con le coccole. «Mi hai dato del manipolatore.» ripeté, cercando di dosare la voce affinché quelle parole non risultassero un'accusa.

Voleva farlo passare per uno scambio ilare.

«E non lo sei? - una domanda retorica posta in maniera tanto tranquilla da farlo rabbuiare. - Parli in modo carcolato, te movi uguale e passi dall'essere uno stronzo strafottente all'essere affabile e piacevole. Mo va bene che 'n se vedemo da 'na vita, però...»

«Quindi mi accusi di manipolare le persone solo perché ho un buon eloquio?» E il più grande a quel punto scoppiò a ridere animatamente. Avrebbe dovuto offendersi, lo stava sbeffeggiando, eppure si ritrovò coinvolto a sua volta in un sorriso inaspettato che lo spinse a rilassarsi con la schiena tra i cuscini.

Forse non sarebbe stata proprio la peggiore delle ipotesi, non vederlo più.

«Non hai veramente detto eloquio. - riuscì quasi a figurarselo e involontariamente la sua mente lo collocò disteso sul letto di quella che per un periodo era stata la loro stanza. In villa. Con la testa piegata contro la testiera e la mano non occupata dal cellulare aperta sullo stomaco. Indossava una delle sue canottiere slabbrate, che un po' s'aggrovigliava sulla schiena finendo per lasciargli il ventre scoperto, e un paio di quei calzoncini da basket che usava per dormire. L'aveva visto così tante volte in quella mise, tutto intento a sghignazzare al telefono con Nina. E quando lui entrava in camera si preoccupava di abbassare la voce, come con quell'altra si stessero confidando chissà quale oscuro segreto. - Illazioni, eloquio... ma che sei uscito, dar diciannovesimo secolo?»

«Attendo pazientemente che tu finisca, fai con comodo.» Stette al gioco, cercando di dimostrare che non fosse così orribile, come l'altro pensava.

«Ho finito, ho finito. - quei sogghigni andarono pian piano affievolendosi e per un attimo restarono entrambi in silenzio, ad ascoltare reciprocamente il respiro l'uno dell'altro. - Dovevi dirmi solo questo?» E sì, in realtà non aveva altro da dirgli. S'era lasciato prendere dall'impulsività, dalla necessità di mettere in chiaro il proprio punto di vista e un po' anche dalla voglia di sentire la sua voce.

«Oh, io sì. - annuì. - Mo tocca a te.»

«A me?»

«Attendo le tue scuse ufficiali!»

Adesso probabilmente stava scuotendo il capo, lo faceva sempre quando era divertito. «Non mi scuserò per aver detto quello che penso. - Prevedibile. - E per la cronaca, hai interrotto il
mio riposo pomeridiano, quindi me sa che sei te quello che si deve scusare.»

«Beh, io non mi scuserò per aver chiamato una persona alle diciannove.»

«Perché sei 'n coatto camuffato. - non l'aveva mai chiamato in quel modo, un tempo era lui solito appellarlo così. E Manuel s'arrabbiava. Perché lui era un coatto permaloso. - Famo che te credo, mh?»

«Mh, allora su, scusati per avermi mortalmente offeso.» Era un pretesto, il suo. Non voleva realmente che si scusasse, bensì assicurarsi, seppur indirettamente, che Manuel non lo disprezzasse.

«Nun ce penso proprio.»

«Possiamo stare qui all'infinito, lo sai?» E in fondo, si rese conto, era un po' quella la speranza. Non sapeva perché desiderasse, tutto ad un tratto, tornare ad avere un rapporto con lui. Non pretendeva di ripristinare l'amicizia che li aveva legati. In cuor suo sapeva che fossero trascorsi troppi anni e che era stato proprio lui a tracciare i confini tra la sua vita e quella di Manuel. Era stato un allontanamento ragionato e attuato di proposito.

Eppure rivederlo una singola volta gli era bastato a scivolare nuovamente in quel circolo vizioso.

«Prenditi pure tutto er tempo che te serve, tanto Vittorio è fuori per lavoro e io me so' ordinato 'n Glovo. - rimase interdetto a quell'affermazione, e in silenzio per qualche secondo di troppo. Era così facile dimenticare che Manuel avesse un compagno, che convivesse addirittura. Vittorio. Manuel aveva un Vittorio. - Sei ancora lì?»

«Sì, scusa. Stavo... - strinse le labbra e chiuse gli occhi per un istante, costringendosi poi a sorridere per dare alla voce la giusta intonazione. - Dando uno sguardo alla scheda di un appartamento che mi ha girato l'agenzia immobiliare.» Fu la prima bugia che gli venne in mente e subito si maledisse perché in realtà quella era un'informazione che non voleva condividere. Non ne aveva parlato nemmeno ai suoi.

«Ti trasferisci?» O forse si trattava d'un senso di rivalsa, vedi che sono andato avanti pure io con la mia vita? Non mi hai superato.

«Compro casa, in teoria. Mi pare inutile continuare a pagare l'affitto di un bilocale in cui non posso nemmeno cambiare i mobili perché alla proprietaria piacciono quelli ottocenteschi ereditati dalla bisnonna. - e guardò Michela. - Poi vorrei prendere un altro gatto, credo che la mia si senta sola, e ho bisogno di più spazio.»

«Wow, - esalò, ora meno giocoso. - suona molto... definitivo? Cioè, avevo capito che lo fosse, ma così è proprio ufficiale.» gli metteva i brividi, quella parola: definitivo. Come se stesse autonomamente incasellando la propria vita senza possibilità alcuna di tornare sui propri passi. Come se avesse deciso di firmare una condanna, non un acquisto.

«Qualche sera fa alla tv qualcuno ha detto che un mutuo è più ufficiale di un matrimonio, quindi immagino di sì. - s'addentò il labbro inferiore. - Anche se credo parlassero di mutui cointestati. Tu c'hai mai pensato?»

«Non è fra le nostre priorità al momento, viviamo in affitto e la proprietaria di casa è la zia di Vittorio. 'Na vera stronza, se chiedi a me, ma quantomeno ce fa pagà 'na miseria. - e su quella parola Simone si soffermò parecchio, almeno col pensiero. Nostre. La pronunciava con una tale naturalezza, sottintendendo che ormai non fosse più uno. Erano due, erano loro e tutte le decisione erano nostre. - E poi non so... cioè ho una cattedra ad Isernia e pure l'ufficio di Vittorio sta vicino Agnone, però non riesco ad immaginare di comprare casa in un posto diverso da Roma - e rise. - Anche se non so manco se ce tornerò mai a vivere.» E lo capiva, Simone, ché ogni appartamento che andava a visitare lo metteva a paragone con la casa in cui era cresciuto. Un'associazione di idee spontanea che non riusciva a tenere a bada, nonostante sapesse perfettamente di non poter ricreare l'ambiente della villa in un appartamento al sesto pieno sul Vomero. Eppure era più forte di lui.

Comunque non glielo disse. Cambiò discorso, invece. «Cos'è Agnone?»

«Er buco de culo dove abito, Simò. Sto in provincia e semo cinquemila anime è parecchio. Però se magna bene e ce stanno 'n sacco de chiese.» gli venne naturale tornare al pc, per fare una breve ricerca finalizzata a collocare da qualche parte, almeno mentalmente, il suo vecchio migliore amico. Ed era... un paesino dimenticato dal mondo, circondato dalle montagne e ad ottocentotrenta metri d'altezza.

Come c'era finito, Manuel Ferro, lì?

«Sembra affascinante.»

«Caratteristico, direi.»

...

Aveva iniziato a seguirlo su Instagram quella sera stessa, o meglio gli aveva mandato la richiesta. Manuel c'aveva messo tre giorni interi per accettarla. E fu inevitabile chiedersi se quelle tempistiche tanto dilatate fossero dipese da uno sporadico uso dei social network o da un vera e propria incertezza sul da farsi.

Comunque aprire quel profilo fu come sbirciare nella vita di uno sconosciuto.

C'erano sei post in totale e solo in tre di questi compariva anche il suo volto. Una foto un po' sfocata di Manuel seduto a tavola con gli occhi chiusi e un calice di vino bianco tra le mani, un video di Manuel in compagnia di una donna alle prese con una sessione di trekking in montagna, un carosello di Manuel con Vittorio postato per augurare a quest'ultimo un felice trentaseiesimo compleanno.

Era un architetto (oh quanto ironico sapeva essere il destino), così si capiva da alcuni indizi disseminati tra le immagini, ed era anche... assolutamente nella norma. Un individuo standard, sicuramente dall'aspetto piacevole, ma comunque per nulla paragonabile all'idea che s'era fatto Simone.

Innanzitutto aveva dato per scontato si trattasse di un loro coetaneo e invece, vista la data del post, andava per i trentasette. Poi s'era pure convinto che fosse bellissimo, tipo un modello mancato dal fascino irresistibile a cui Manuel aveva dovuto necessariamente cedere. Invece pareva uscito dalla Mulino Bianco, con quello sguardo affidabile e quelle polo di cattivo gusto. Gli teneva una mano sulla coscia, in una foto, e in quella dopo Manuel se ne stava tutto sorridente riverso sulla sua spalla. E poi una in vacanza su una spiaggia bianca che non riuscì ad identificare, un'altra nel giorno di Natale con dei ridicoli maglioni abbinati e un'altra ancora tutti eleganti e in compagnia di Anita.

Sembravano così affiatati, così... innamorati. C'era tutto quello che Simone, a sedici anni, avrebbe potuto desiderare, racchiuso in un singolo post.

Nemmeno con la verità sbandierata sotto gli occhi riusciva a farsene capace. Era semplicemente quanto di più lontano dalle sue capacità cognitive e d'assimilazione. Quasi pareva più plausibile che fosse un enorme scherzo ai suoi danni. Ci sei cascato Simone, un bel sorriso alle telecamere!

Andò a ballare all'Anatema, quel venerdì sera, assieme ad un paio di amici della sua comitiva abituale. Bevve il giusto e fece sesso nel bagno con il primo ragazzo appetibile che gli capitò a tiro. Non chiamò Manuel una seconda volta, non osò scrivergli e stette ben attento a non visualizzare mai le storie che sporadicamente pubblicava sul suo profilo. Una sorta di terapia d'urto lampo per mettere un freno ai propri pensieri. Funzionò, ovviamente. D'altronde era un esperto.

E poi, nove giorni dopo, il cellulare vibrò e il suo nome illuminò lo schermo.

Rimase a fissarlo per una manciata di secondi, in prima istanza incerto sul da farsi. Ma poi la curiosità ebbe la meglio. «Manuel?»

«Ma quanto ce metti a risponne'? - Aveva la voce un po' impastata, come se stesse masticando qualcosa, una punta d'urgenza che Simone riconobbe all'istante - Sei a casa?»

«Ancora per poco.» Diede uno sguardo prima alla propria immagine riflessa nello specchio e poi all'orario. Per pochissimo, in realtà. Era già in ritardo.

«Do' cazzo devi annà 'a domenica sera a quest'ora? - il tono sbigottito. - Ma te domani nun lavori?»

«Sono le dieci, mica le tre. E c'ho trent'anni, non ottanta. - evitò d'informarlo del fatto che avesse un appuntamento. Non che a lui dovesse interessare, solo che... - Comunque, dimmi. Ho cinque minuti.»

«Accendi la tv su Nove, movete. - occhi al cielo, attraversò la propria camera da letto per dirigersi nell'angusto salotto, dove trovò Michela a sonnecchiare con la pancia rivolta verso l'alto al centro del divano. - Daje, Simò, sennò finisce.» Lo incitò, spazientito.

«Ho capito, dammi un attimo! - Recuperò il telecomando, cambiando velocemente canale per approdare su quello indicato. - Okay, ci sono. - lo informò, tenendo gli occhi fissi sullo schermo. Era uno di quei programmi di compravendita, dove alcuni esperti restauravano vecchi oggetti per ripristinarne il valore e rivenderli ad un prezzo superiore. In un primo momento non capì, poi, quando l'inquadratura si spostò dal tizio con gli occhiali da sole e la barba incolta, si ritrovò a sgranare le palpebre. - Non stai veramente pensando...»

«Infatti non lo sto pensando, ne sono certo! - stava ridendo, ma senza la possibilità di guardarlo in faccia gli fu difficile capire se fosse gioia vera e propria oppure un modo per scaricare la tensione. - Nun ce posso crede', è lei.»

«Magari è solo lo stesso modello.» Suggerì, anche se...

«È la mia moto, Simò! Guarda l'adesivo, m'hai aiutato te a mettercelo perché dicevi che se ce pensavo da solo poi veniva tutto storto. - e lo cercò sul retro della carrozzeria, trovando la testimonianza di quel minuscolo teschio con la cresta verde che avevano acquistato in un negozio in centro, poco prima l'inizio del quarto anno. - A ben pensarci eri 'n pochetto stronzo già all'epoca.» E Simone s'accasciò ai piedi del divano, per non disturbare la gatta, con la schiena premuta contro la seduta e gli occhi incollati a quella moto, alla ricerca d'ulteriori dettagli che comprovassero l'ovvio.

«Quanto c'avevi ricavato te?» gli domandò, sentendo dall'altro capo un verso di disapprovazione.

«Lasciamo perdere va'. - lo sentì sbuffare, e portare qualcos'altro alla bocca. - Guarda come la stanno conciando. - se ne stette in silenzio, ad osservare l'opera di restauro, in attesa d'ulteriore commento. Oh, s'era così arrabbiato con lui quando l'aveva data via per assecondare la scelleratezza di una ragazzina impulsiva. - 'A trattavo meglio io.»

«Decisamente, eri più... - vide saltare un bullone e si ritrovò a trattenere una risata. - delicato.»

«Ce facevo l'amore co' quella, altro che 'sti scappati de casa. - di nuovo, non gli rispose. Mise il vivavoce per avere piena disposizione del proprio cellulare , dunque aprì il motore di ricerca. - Che stai a pensà?» Si sentì chiedere, come se l'avesse colto in flagrante.

«Sto vedendo se 'sto programma c'ha dei contatti, magari li sentiamo e capiamo a chi l'hanno venduta.» Spiegò velocemente, approdando sulla pagina ufficiale in pochi click.

«E pure se lo scopriamo? - adesso era nervoso, seppur con una punta d'eccitazione mascherata male nella voce. Gli piaceva, voleva alimentarla. - Che senso c'ha? Ormai so' dodici anni che è annata.»

«Che ne sai? Magari l'intenzione è di rivenderla, tentar non nuoce.»

«Simò, e dai... - adesso era intenerito. - Parlamose chiaro, faccio l'insegnante in un liceo. A stento me posso permette' la macchina. Do' prendo i sordi per recuperarla? - uno sbuffò. - Ma poi che me ne faccio più? Qua nevica pe' tutto l'inverno! Damme retta, sarebbero pure buttati.»

«Avevo capito non volessi rimanere lì per sempre.» Gli rispose all'istante, di getto e senza pensarci. Poi s'addentò un labbro, capendo all'istante d'aver compiuto un passo falso.

«Non è vero, non l'ho mai detto.» E invece, l'aveva fatto, seppur con parole differenti. Ma Simone non si permise d'insistere, ché in fondo che diritto c'aveva di replicare a tono e ricordargli la loro ultima conversazione?

«Ho capito male, allora. - la voce pacata, mentre portava nuovamente il cellulare all'orecchio. - Scusami.» Concluse, più accomodante.

«E de che? Anzi, famme spegne', va'. - mormorò, la voce ora bassa a carezzargli i pensieri. - L'hai vista quella casa, alla fine?» cambiò discorso e Simone per un attimo si crogiolò nell'idea che non volesse chiudere la chiamata. Si domandò distrattamente dove fosse il suo compagno e per quale motivo Manuel si fosse ritrovato a comporre il suo numero di telefono la sera dell'unico giorno festivo della settimana. Certo, quella moto se l'erano vissuta insieme. Simone l'aveva scarrozzato in giro tra gli sfasci alla ricerca dei pezzi di ricambio e sempre Simone s'era improvvisato assistente durante i lavori. Un po' era stata anche sua.

«Sì. Cioè ne ho vista una sabato scorso e martedì sera ne ho un'altra.»

«E...?»

«E secondo la mia agente immobiliare dovrei abbassare i miei standard. - sfilò le scarpe, scalciandole via e reclinando il capo contro il divano. - Come se stessi comprando un paio di jeans e non un appartamento.»

«Beh, te sei un po' un perfezionista del cazzo, eh.» Lo stava prendendo in giro, eppure in qualche riuscì ad essere incredibilmente dolce.

«Oh, perfetto, ti ci metti anche tu adesso. Da che parte stai?»

«Da quella della povera donna che ti sta dietro, naturalmente.»

«E che lo domando a fare?» Risero, risero un sacco. E senza che nemmeno se ne rendessero conto il discorso varò su qualunque cosa venisse loro in mente: un flusso di coscienza a due. Passarono dal raccontarsi dei rispettivi lavori al ricordare di quella volta che assieme avevano marinato la scuola perché faceva decisamente troppo caldo per non andare al mare. Poi gli disse delle sue pseudo relazioni e Manuel gli spiegò com'era andato il suo disastroso coming out. Eravamo in vacanza e mamma m'ha beccato a limonare con il tizio dell'animazione, avresti dovuto vedere la sua faccia. Gli aveva detto. Oh, avrei voluto vedere la tua. Era stata la risposta spontanea.

«Aspetta, ho il cellulare scarico. - lo sentì armeggiare dall'altro capo, per poi imprecare tra i denti. - Cristo, ma hai visto che ore se so fatte? - un tonfo e un'ennesima imprecazione a denti stretti. - Ma te non dovevi uscire?»

«Teoricamente sì, - allontanò il cellulare per guardare lo schermo e scorgere a sua volta l'ora, trovando ad attenderlo un quantitativo esorbitante di notifiche. Aveva dato buca a quel ragazzo che aveva conosciuto la sera prima in un locale in centro e con cui s'era dato appuntamento per cena. E non l'aveva presa bene. Per niente. E prevedibilmente, visto che nemmeno l'aveva avvertito. - due ore e mezzo fa.»

«Cazzo, scusami.» Come se avesse potuto realmente colpevolizzare Manuel. Avrebbe potuto chiudere la conversazione in qualsiasi momento, Simone, invece s'era divertito a mantenerla viva.

«Figurati, - portò le mani all'altezza della gola per sbottonare la camicia. Aveva passato la domenica sera, vestito di tutto punto, sul pavimento del salotto. - forse non ne avevo chissà quanta voglia.»

«Okay. - sussurrò e per qualche secondo Simone si beò di quel silenzio scandito dal suo respiro regolare contro l'orecchio. - Me ne vado a letto, tra cinque ore ho la sveglia.»

«Va bene.»

«Buonanotte, Simo.»

«Notte, Manu.»

...

In qualche modo, dopo tutte quelle ore passate al telefono, Manuel divenne... quotidiano.

Si ritrovava a scrivergli, nel corso della giornata, solo per fornirgli informazioni randomiche e lui di rimando faceva altrettanto. Le conversazioni non iniziavano e non finivano mai. Erano scandite da aneddoti divertenti e racconti di spaccati di vita quotidiana. Manuel non mancava di riportare gli episodi più iconici forniti gentilmente dal gruppo di quindicenni allupati a cui insegnava e Simone, dalla sua, non gli risparmiava i dettagli dei suoi battibecchi con quel collega stronzo che stava al terzo piano. Avevano imparato anche alcuni nomi delle persone che facevano parte delle rispettive giornate, come Daniele, quello studente che è una testa di cazzo, mi ricorda tanto me alla sua età, o Maddalena, la sua referente che con quei tacchi a spillo mi fa impazzire, te lo giuro.

Gli mandava un quantitativo di reel veramente imbarazzante, il più grande, che cresceva nei giorni in cui si sentivano meno tramite Whatsapp.

E poi era nata quest'abitudine delle fotografie. Se ne mandavano a bizzeffe, scattando anche le cose più irrilevanti per il semplice gusto d'avere qualcosa da condividere con l'altro. Foto del caffè preso al volo al bar prima d'andare a lavoro. Foto dei propri outfit, quando ritenevano d'aver fatto un buon accostamento. Foto di quel gattino nero che s'aggirava fuori casa di Manuel e a cui lui dava da mangiare ogni giorno ché se solo Vittorio non fosse allergico. Fin troppe foto di Michela, nelle posizioni più disparate, mentre rivendicava il possesso su ogni singolo oggetto presente in casa. Foto di Napoli. Foto di Agnone. Foto del centro storico gremito di persone, il sabato notte. Foto dei boschi che circondavano il paesino in cui viveva il più grande. Foto del tramonto che baciava l'orizzonte da Marechiaro. Foto della luce rosa che invadeva il soggiorno di Manuel all'alba. Foto della luna, ripresa dalle rispettive camere da letto.

Alle volte pareva una sorta di flirt infinito, quel modo di comunicare così visivo, altre invece sembravano due vecchi amici che s'impegnavano con tutte le loro forze a ricucire i lembi. Ogni tanto si sentivano al telefono, generalmente perché a Manuel era tornato in mente quell'episodio e te lo ricordi, Simò? E lui annuiva, gli dava manforte anche quando in realtà ricordava a stento di cosa stesse parlando. Ché tanto era scontato che l'altro lo raccontasse dall'inizio, senza omettere alcun dettaglio. Le chiamate meno brevi venivano sempre inoltrate da Manuel e duravano decisamente troppo, ma non erano così frequenti. Scoprì poi che avvenivano sempre quando era da solo in casa. Vittorio è a Milano, ha vinto un concorso per la realizzazione di un museo, oppure, Vitto torna tra un paio di giorni, è in Sardegna per una roba di restauro, me pare. Era sempre sereno, come se tutti quei viaggi e la lontananza non gli pesassero. Sono abituato. Gli aveva risposto, quando in uno slancio fin troppo confidenziale Simone gli aveva chiesto se a lui andasse veramente bene quella situazione. Erano amici e si trattavano come tali, insultandosi ogni tre per due senza alcun tipo di vergogna e cercandosi vicendevolmente per ogni minima sciocchezza. Funzionava, forse perché entrambi rispettavano in maniera ligia la regola non detta di non intavolare mai i due argomenti tabù: non mettere in discussione la mia scelta di comprare casa a Napoli e non mettere in discussione la mia relazione con Vittorio. Se uno dei due trasgrediva, l'altro tagliava a corto e si chiudeva a riccio per circa una giornata. Poi ricominciavano da capo.

Poi la chiamata.

«Simo! - Laura era allegra, sicuramente meno titubante della prima volta che s'erano sentiti al telefono, complici i loro incontri e quei messaggi sporadici che s'erano scambiati nell'ultimo mese. - Allora proposta, ti prego non dirmi di no.»

«Dipende, nulla di illegale, spero. - stava camminando a passo svelto, facendo lo slalom tra i passanti. La metropolitana sarebbe passata a minuti e non aveva alcuna voglia d'aspettare la corsa successiva, visti i tempi tristemente noti della Linea 1. - Dai spara, tra poco non mi prenderà più il cellulare.» Stava soffocando, in quel completo.

«Per il prossimo finesettimana torna Luna, con Chicca stavamo pensando di replicare. Vuoi venire? Possiamo andare in quel pub dove andavamo sempre da ragazzi, il The Sign, ti ricordi? - Il quinto anno c'aveva festeggiato i suoi diciannove anni, il quel locale. Certo che lo ricordava. Non era nemmeno troppo distante dalla villa. - Matteo ha fatto una chiamata, a quanto pare c'hanno pure delle opzioni vegane, così Manuel non ha problemi. Però c'hanno chiesto di confermare il numero, visto che il sabato fanno sempre il pienone.»

«Manuel ha già confermato?» domandò, stranito dal fatto che non gli avesse detto nulla. Insomma, non che fosse tenuto a farlo, solo che si sentivano così spesso che gli pareva... strano.

«Hanno confermato tutti, siamo in otto. Se vieni pure tu in nove.»

«Sì penso non ci siano problemi. - e la ragazza esultò dolcemente, coinvolgendolo in un sorriso. Attraversò piazza Borsa, fermandosi ad appena pochi passi dalle scale della metropolitana per permettere ad un gruppo di studenti di superarlo. Doveva necessariamente cambiare commercialista, non poteva cacciarsi ogni dannata volta in situazioni come quella, che già all'università gli creavano un fastidio indicibile. - Siamo in nove, quindi? - le chiese. - Chi altro sei riuscita a recuperare?»

«A parte Luna, nessuno. - aggrottò le sopracciglia e rimase in attesa di un'ulteriore spiegazione. - Solo che non mi andava di lasciare Sergio a casa e mi faceva piacere che lo conosceste. Chicca viene con Cecilia, ti assicuro che quella donna è un angelo. - Ora parlava a raffica, come se temesse che quel dettaglio potesse spingerlo a ritrattare. - Poi magari per dicembre riusciamo a rivedere anche Ryan e Viola, o almeno così dice Manuel. Oh e Manuel! Anche Manuel m'ha confermato che scende con Vittorio.»

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