Capitolo 6

.6.

GEMMA

Il salone della graziosa villetta a schiera, in mezzo al bosco, era assediato da un mostro. Bizzarro, papà sosteneva che sarei stata al sicuro in compagnia del mio Alfa. Chissà se mamma avrebbe ritenuto un buon esperimento sociale tutto ciò.

«Helia... Sei fuori di testa?!» gli bisbigliai all'orecchio, sull'orlo di una crisi di nervi. Una fottuta pantera nera mi inchiodava al muro con lo sguardo. Possedeva occhi affilati, ambrati, carnagione olivastra e una lunga treccia d'ebano. La  divisa nemica le fasciava i fianchi, svelando un corpo sinuoso e due pugnali letali, degni del peggior incubo sanguinoso. Doveva essere un'allucinazione, non c'erano altre spiegazioni possibili.

«Non ti farà alcun male», mi confortò con gesta e carezze gentili. «Fidati di me».

Io mi fidavo. Mi fidavo ciecamente. Al punto di confessare i sentimenti che provavo per lui, se non avessi visto con quanto ardore, e devozione, ammirasse la pantera nera - ch'era pronta a uccidermi a giudicare dalla vicinanza che avevo nei confronti del mio interlocutore.

Sfarfallai le palpebre, ritornando alla realtà. Il suono di dardi robusti, che fendevano l'aria, e dei proiettili, centrati nella carrozzeria della vettura, divennero ben presto un'orchestra dell'orrore per le mie orecchie. E l'odore del sangue, riempì l'abitacolo. Il cervo, ferito gravemente, stentava a rimanere cosciente mentre guidavo con furia la Jeep militare. Cos'era andato storto?! Stringevo il volente e i denti al punto da provare dolore, tesa e vigile, seguendo alla cieca gli ordini della carnivora, intenta a mirare i nostri inseguitori. Ci intercambiammo poco dopo, e senza preavviso, fuggendo il più lontano possibile...

Ad un tratto frenò lei. «Helia, resta con me... svegliati!», lo scuoteva Laila, nel panico almeno quanto lo ero io. Pregavamo in silenzio che si salvasse. La radura avvolta dalla boscaglia incolta sembrava disabitata da anni, solo una vecchia magione sostava a guardia della radura, stagliata contro un cielo plumbeo e grigio. «Corri dentro alla casa, chiama aiuto!», mi ordinò, ed io, come una stupida, ubbidii.

Credevo d'essere al sicuro.

Il prato, spruzzato di neve fresca, mi congelò i piedi, anestetizzando le dita arrossate. Il freddo non lo sentivo più. Mi precipitai dentro: «Vi prego, aiutateci!», esalai, ormai senza fiato.

Credevo che non l'avrei più rivisto. Invece me lo trovai davanti. Alto, a torso nudo, e lo sguardo spiritato, puntato nel mio. Arricciò le labbra in un ghigno lento e sadico, snudando canini scintillanti. «Sssei tu», bisbigliò, estasiato.

Sbiancai in volto dalla paura e il cuore, precipitò nello stomaco. La sensazione che si liquacesse fra i succhi gastrici, mi diede la nausea... o forse fù tutta l'adrenalina in corpo a darmi alla testa. Di fatto, il terrore agì sulla metamorfosi, e lo scoiattolo ch'era in me, scappò via.

Non andai molto lontano. Spire nere e lisce, mi accolsero come un cappio, imprigionandomi col suo corpo. Da Cobra, era enorme... a tratti bestiale. «Sssei così ssssoffice», sibilò con la lingua, mentre stringeva di più.

Scquitii spaventa, dimenandomi come  un ossesso. Più mi agitavo, e più lui stringeva. Annaspavo e crepitavo quanto una flebile fiamma rossa, alla ricerca della salvezza. Non voglio morire, aiuto, io non voglio morire in questo modo! Ripetevo come un mantra, pregando che un'anima pia mi soccorresse.

Non venne nessuno.

Tristan mi trascinò via, lontano dal duo radunato attorno alla Jeep, addentrandosi nel bosco. Voleva mangiarmi con tutta tranquillità, temetti, pronta a piangere e strillare.

In un impeto di volontà, mi costrinsi a ritornare bipede e correre, liberandomi della morsa letale. Il velo di lacrime mi appannava la vista, impedendomi la visuale nitida, e dove stessi andando. Non conoscevo la via, ma qualunque altro posto sarebbe stato migliore delle grinfie del carnivoro.

Ferita, lesa, e singhiozzante, compii a malapena qualche metro prima d'essere placcata contro un tronco spesso. Mi spinse con violenza, al punto da percepire le ossa scricchiolare... o forse fù il legno contro di me, a protestare. Non distinguevo la differenza mentre il dolore si irradiava per tutto il corpo. «Fuggire non ti condurrà da nesssuna parte, cosina», mi ringhiò contro l'orecchio destro.

Nuda, tremante, e lacrimosa, me lo trovai addosso. Il gelo mi mordeva la pelle e l'unica fonte di calore, non era altri che la sua vicinanza: «P-Preferisco q-qua... qualunque a-altro po-posto, piuttosto che... s-stare qui...», ebbi il coraggio di balbettare. Mi sentivo la febbre alta e scottavo al punto d'essere incandescente.

Lui, essendo un animale a sangue freddo, si addossò di più contro di me: «Sssono quasi tentato a lasciarti morire di freddo», confidò, crudele e sadico. Lacrime di umiliazione mi bagnarono le guance mentre strattonava i miei capelli nel pugno e mi stringeva a sé, costringendomi a doverlo guardare negli occhi. Occhi che popolavano i miei peggiori incubi da settimane: «Ma quesssto equivarrebbe a una liberazione, per te».

Corrugai la fronte, confusa: «E quindi non mi divorerai?», domandai incredula, affannata, e munita di tutta la forza che mi restava.

Sogghignò, palpandomi un seno fino a pizzicarmi il capezzolo sinistro, turgido dal freddo. «Quesssto è tutto da decidere, Gemma», e lo addentò.

*Angolino dell'Autrice*

Lo so, sono una pessima autrice. Scusate l'assenza, ma per farmi perdonare, ad Halloween vedrò di postare il capitolo numero 7 T.T

Raga, siete riusciti a collocare gli eventi temporali col secondo libro? Grazie a chiunque di voi sia rimasto <3

Il prossimo capitolo sarà peggiore di questo. Io ho avvisato...

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