Capitolo 14
.14.
TRISTAN
La luna celava la faccia più luminosa, svelandosi oscura e dominante in un cielo di tenebra spolverato di stelle. La notte ideale, per me.
Strisciai sul tronco di un albero, evitando i primi germogli intimiditi dall'ultimo freddo di stagione. Fiorivano dalle crepe della corteccia, mascherando un triste epilogo con un nuovo inizio. Ogni primavera era una rinascita. Invidiavo la natura che perversava dalla cruda terra. Qualsiasi gambo spezzato, anche il più misero, tornava a germogliare, alla fine. Persino il fuoco non fermava la crescita della foresta.
Confondendomi fra i cespugli, e nascosto tra le fronde, attendevo l'arrivo – e le novità che portava – della mia prigioniera.
I giardini del nemico si dimostravano troppo facili da sconfinare, alle volte. Quasi mi divertivo a entrarvi – e uscirvi – a mio piacimento nelle rare occasioni richieste; ma non c'era tempo da perdere. La faida tra i clan era peggiorata in una manciata di mesi, e adesso, era solo questioni di quante vittime sacrificabili avrebbero colorato l'asfalto. I civili erano all'oscuro del complotto fra il senato diurno e il presidente notturno. La vera domanda era sapere il perché; conoscerne la risposta sarebbe stato un primo passo per fermare tutto ciò. Nonostante sarebbe stato divertente vedere il come, Seth aveva ben altre intenzioni. Le previsioni funeree vedevano un massacro di innocenti – da parte di ambedue le fazioni – perversare nella città Di Mezzo. E noi, i ribelli, impedire tutto questo.
Una figura circospetta sfarfallò fra la fauna oscura, celata dal buio della notte e i gli alti arbusti. Avanzò una giovane dal passo leggero e un buffo vestito rosato. I lunghi boccoli rossi danzavano nella brezza di primavera, incuranti del gelo e del tremolio delle fragili spalle diafane.
Era lei.
Puntai la scoiattolina rossa, seguendone le movenze con lo sguardo. Comparve nella sua versione bipede, soffermandosi a ispezionare la zona. «Tristan, sei qui?», bisbigliò infreddolita. Si portò le mani alle labbra, alitando sulle dita per donare del calore corporeo: «Maledizione, rispondi...», sussurrò ancora al vuoto, guardandosi attorno come un'ossesso impaurita.
Cauto, assunsi anch'io l'altra forma, appostandomi alle sue spalle.
«Tristan, non è divertente?», balbettò poco più forte, fissandosi intorno e tergiversando sui suoi stessi passi.
Oh sì, lo era.
La tensione cresceva in lei, aumentando il panico che le percepivo dentro. Quando si voltò, trovandomi davanti, per poco non le sfuggì un urlo.
«Buonasssera», la salutai con un ghigno inquietante, incurvandomi un poco per parlarle.
«Vuoi farmi morire d'infarto?!», si protese verso di me, inviperita.
Ci pensai su prima di risponderle, fingendo una misericordia che non possedevo: «Non ti donerei mai una morte tanto dolce».
Sconcertata dalla dentatura che esibivo, domandò: «Questo sarebbe "dolce" per te?», quando accennai un consenso col capo, le sfuggì un sospiro. «Lo immaginavo...», borbottò con riluttanza, cedendo i convenevoli alle informazioni utili: «Per farla breve: è da quando sono stata soccorsa che vengo sballottata in sgabuzzini angusti e tuguri bui per essere interrogata con le solite domande. Alla fine avevate ragione, chiedono in continuazione notizie di Silene, e...», si bloccò all'improvviso, osservando non solo il mio sguardo, ma anche il mio corpo: «Sei nudo», costatò infine.
Piegai il capo da un lato: «Un'ottima ossservazione, la tua. Ora concludi e fai in fretta», conclusi sbrigativo, liquidando l'ironia iniziale.
«È pieno di militari armati fino ai denti. Non puoi andartene a zonzo in questo modo!», protestò, ignorando tutto il resto.
«Sssei preoccupata per me?», la derisi, abbassandomi ancora, circuendola contro il tronco dell'albero.
Lei tentò di schiacciarvi la schiena contro e mettere altro spazio fra noi – come se fosse stato possibile: «Affatto, spero che ti trovino!».
«Allora devi sssolo urlare perché accada», sibilai divertito, «Coraggio, urla. Avvertili piccola ssspia», la incitai ancora.
«Piantala e non sfidarmi», minacciò ad un soffio da me.
«Altrimenti, che fffarai?», poggiai le mani sul tulle della gonna, trovando il tessuto quasi impalpabile. Sarebbe bastato poco per strapparlo di dosso
Il cuore triplicò i battiti, il respiro le divenne concitato e irregolare, le gote le si arrossarono, e le pupille si dilatarono: «Altrimenti griderò e sarai costretto a spezzarmi il collo per ammutolirmi», mi avvertì.
La strattonai contro di me, affermandole in seguito i polsi e contorcendole le braccia dietro la schiena per immobilizzarla. Se avessi implicato maggior forza, le avrei lussato entrambe le spalle. «Ritengo anche quesssta una morte troppo dolce. Ossserei qualcosa di più...», insinuai, «Potrei sssempre morderti», snudai i denti in un sorriso crudele.
«Certo, è lo stupro che vuoi», mi accusò, infervorata dalla mia minaccia.
A tale affermazione mi irrigidii. Contorsi i suoi polsi per punirla e strappandole un mugolio di dolore: «Ti sssbagli».
«Veramente? Perché non fai altro che mordermi, attentando alla mia vita, e donarmi sangue contro la mia volontà. Come lo chiameresti, tu? Se ti ho fatto del male, e questa è la tua personale vendetta, sappi che è stato involontario, ed è stata tua, la causa. Perciò smettila di accanirti su di me per una colpa che non mi appartiene», sbottò, dimenandosi contro di me.
«E ti dispiace, vero?», allusi. Non mi importava che fosse stata indotta o meno. Rivivere i propri traumi, ancora e ancora, nella propria mente, e non solo, mi logorava.
«Sì, è così», continuò tra una smorfia sofferente e l'altra, «Anche se sei un mostro, ed ero sotto l'effetto del tuo sangue velenoso, mi dispiace».
«Sssai esssere dolce quando vuoi, ma ammetto che è diffficile crederti», continuai con perfidia.
Tremò ancora e stavolta fu per la paura: «L'ho detto solo perché mi sentivo in colpa!».
«Non mi interessa. Io non ti perdono, e adessso continua la confessione. Cos'altro è accaduto in questi giorni?», domandai.
Allentai la presa fino a lasciarla andare. Entrambi indietreggiammo di qualche passo, scottati dalla vicinanza altrui. «Non c'è molto altro da dire. Sono guardinghi nei miei riguardi e non svelano nulla che sia aldilà della mera superficialità», concluse in un'alzata di spalle.
La vidi massaggiarsi i polsi indolenziti prima di procedere: «Quindi ti pongono delle domande e nient'altro?», tornai a guardarla negli occhi, scorgendovi una risposta affermativa. «Capisssco», distolsi lo sguardo, «Adopera vesti con maniche lunghe. In questo modo non si vedranno i lividi».
Lei scrollò il capo, e la lunga chioma fluttuò in un breve lasso di tempo: «Se anche li notassero non porrebbero domande. A loro importa di sopprimere la ribellione, non di qualche ematoma causato presumibilmente da qualche soldato».
«Non è stato un loro soldato», obbiettai l'ovvio.
«Per la mia razza non ha importanza. Le uniche attenzioni che ricevo sono le tue», ammisi con amarezza.
Le diedi la schiena pronto a sparire nell'oscurità della selva: «Peccato che tu non le voglia», le rivolsi un ghigno, «Sssai, non sssono venuto da sssolo, Gavriel mi ha accompagnato», indicai il cielo, «E, ssse te lo ssstesssi chiedendo, sssi è occupato lui delle quattro guardie del corpo che avevi assoldato per la mia cattura, bimba cattiva».
*Angolo dell'Autrice*
Credo di aver sviluppato un fetish per il suo: "bimba cattiva". Io mi sono sciolta come burro fuso per Tristan in questo capitolo: 🫠
Lui >>>> tutti gli altri
Ah, io vi avviso, il prossimo capitolo sarà una vera bomba 💣
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