Capitolo 11
.11.
TRISTAN
Il pericolo che si respirava in territorio nemico era infettato dalla tensione, avvelenando mente e polmoni. La paura, una lama metaforica che sfiorava la gola, impedendo la deglutizione. Sapevo bene che posto infernale fosse. I brividi che scuotevano la spina dorsale, i sensi in allerta, e la costante sensazione d'essere sull'orlo del baratro, pronto alla morte, mi soggiogavano all'estasi dell'adrenalina. Nulla recava il medesimo effetto. Soprattutto se la vendetta banchettava coi propri pensieri.
L'area contenitiva degli Esclusi, molto limitata, e confinante ai margini del territorio erbivoro, era la rappresentazione dell'inferno sulla Terra. Un luogo mobile, che cambiava locazione per essere irrintracciabile, ma chissà per quale oscuro motivo, si registrava una strana allenza. E questo perché le deliziose prede avevano appreso l'espediente del: “fare branco”, diventando un unico corpo armato, predatore molto più grosso e forzuto, munito di armi d'avanguardia, e tecnologia militare superiore, come ad esempio...
«In che senso vuoi rubare un elicottero?!», sbottò il rapace al mio fianco.
A volte Gavriel era proprio scemo. Celati nell'ombra, al confine delle recinzioni d'alta tensione, ponderavo e limavo il piano di salvataggio, allineandolo alla mia personale resa dei conti. «È il mezzo migliore per scappare, e quello è il più veloce su mercato, ci condurrà lontano da qui in un lampo», indicai il mezzo militare, conciso nelle delucidazioni fornitegli: «Se dovessero localizzarlo avremo comunque un margine di tempo per sparire».
La struttura cubica, strutturata di un materiale a specchio, e fin troppo lucida, risiedeva nella fauna più isolata, dove militari di ambedue le frazioni, si fronteggiavano vicendevolmente. Questo sì, che insospettisce...
In quel luogo, qualsiasi manovra evasiva sarebbe stata filmata, registrata, e memorizzata. La sorveglianza intransigente mi suggeriva che i segreti contenuti, erano materiale prezioso. «Ma Jude ha detto di non attirare l'attenzione!», mi ricordò lui, saccente e col tono arrochito dall'accusa.
«Menomale che lui non è qui a fermarmi, allora», ironizzai con scarso vigore, concentrato sulle manovre strategiche, e belliche, per mietere qualche vittima: «Avverti gli altri. Digli di stare pronti, giungerò io a prendervi», liquidai la questione con un gesto della mano. Il mio inferno personale sta per riscuotere la vendetta dal suo diavolo peggiore. Ero Lucifero nelle vesti di Satana, a ogni peccatore spettava la propria condanna.
***
Manomisi le telecamere a circuito chiuso e ammazzai indistintamente chiunque mi si parasse davanti: notturni o diurni, non aveva più importanza; ai miei occhi apparvero tutti complici dello scempio commesso. La guerra era solo un pretesto politico per finanziare sperimentazioni genetiche. Disgustoso.
Giunsi nella zona centrale con non poche difficoltà. Il laboratorio principale, da cui diramavano ordini e centri di supplizio, minori, era “il cervello” da cui partire per creare danni indigenti. L'odore nauseabondo della stanza mi rammentò torture che avevo preferito rimuovere, consapevole che avessero giostrato le mie sorti - e anche quelle degli altri prigionieri - che, ignaro di tutto, ero stato costretto a subire. Il ricordo ustionava le cervella; anche se ero evaso da lì, la mia mente mi imprigionava ancora in Savage. Perché, in fondo, nessuno poteva scappare dal proprio passato, ma nulla vietava un tentativo nel distruggerlo...
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