Capitolo 22
.22.
SILENE
Sognai d'esser sospesa al di sopra delle nuvole, beandomi del chiarore del giorno e dell'azzurro cielo. All'orizzonte, una luce accecante, e che sfavillava più di tutte quelle presenti. Astri celesti mi guidavano verso l'ignoto. Brillii effimeri che contornavano il manto di tenebra. La notte non era mai apparsa tanto bella. Appesa nel vuoto, fuori dal tempo, e dallo spazio, abbassai le palpebre godendomi pace e quiete. Sospirai, finalmente al sicuro.
«Silene».
La voce di Seth, come un fulmine a ciel sereno, mi ridestò di colpo. Spalancai le palpebre, sobbalzando sulle coperte su cui ero stata adagiata, impaurita dal ricordo del predatore acquatico, e da ciò che avrebbe potuto farmi. Alzai il musetto, fissando l'arredamento circostante, smarrita nel costatare che non fossi più all'aperto. Incolume, e fuori dalla foresta, non ero diventata il pasto infelice di un mostro. A causa del terrore provato avevo assunto l'altra forma. Il mio nasino vibrò, annusando l'aria, in agguato di qualche possibile pericolo nelle vicinanze.
Mi ritrovai nella camera degli ospiti, schiarita dalle ombre della notte, e dal baluginio lunare, col leone al mio fianco, mezzo nudo e sporco di sangue. Le nocche delle mani, squarciate da tagli e lividi, la chioma dorata, spenta, e la postura, un tempo fiera, fiacca e sconfitta. Non riuscivo a scorgerne il volto, ma preoccupata per lui, provai ad alzarmi dal letto... e non avrei dovuto farlo. La zampa anteriore sinistra mi cedette per il dolore. Ero ferita. Accidenti! Strizzai gli occhi e appiattii le orecchie, soffocando un lamento, e tentando di farmi forza, zoppicai accanto alla sua figura ombrosa. Più mi avvicinavo, più comprendevo, e notavo, le condizioni fisiche in cui riversava: i muscoli delle spalle, e dell'addome, erano rigidi, le braccia stanche, ricurvo in un angolo del letto, volse appena lo sguardo. Era spento, e privo di alcun luccichio vivace che lo ravvivasse. Non reagiva a niente e questo mi gettò nell'angoscia. Cosa gli era successo?!
Preda dei miei timori tornai bipede: «Seth, Seth, parlami, ti prego, dimmi qualcosa!», lo implorai con voce spezzata dall'ansia, provando a squoterlo per le spalle. Gli accarezzerai il viso sperando di cogliere un'emozione, un qualsiasi sentimento che lo svegliasse dallo stato catatonico in cui era. Non ci fu nulla da fare. Sembrava non vedermi.
Disperata, tentai un bacio. All'inizio mi parve di non sortire nessun effetto. Una, due, tre volte, ma in seguito lo sentii animarsi contro di me. Rispose al bacio con altrettanta disperazione, accogliendomi fra le sue braccia, e stringendomi a sé. Alla fine affossò il capo nell'incavo del mio collo, cercandovi rifugio: «Ho ucciso lo squalo», esalò a fatica.
«Cosa?!», sbottai.
«L'ho ucciso a mani nude, capisci? Uno della mia specie», chiarì, come se non fosse stato abbastanza chiaro già prima, scatenando un mio sussulto. Reato.
Aveva commesso un crimine contro i suoi simili. Mi portai le mani alla bocca: «Per la maledetta Legge Naturale», imprecai.
«Non riuscivo a fermarmi. Non volevo farlo. Lui doveva pagare per ciò che stava per farti», ammise. A quel punto ci guardammo, contesi dalle nostre pulsioni, e io cedetti per prima. Lo baciai, che la Legge Naturale mi perdonasse, lo baciai come se ne valesse della mia vita. Avevo fame di lui. Entrambi l'avevamo. Fame di baci, di morsi, e di assaporarci. Fame di sesso, d'amore, di desiderio, e di parole non dette; anche se non c'era bisogno di parlare. Senza dire nulla, mi afferrò per i fianchi, sollevandomi dal materasso, e reggendomi per le cosce. Lo abbracciai, per aggrapparmi meglio, ascoltando il suo ringhio soddisfatto. Un suono gutturale, basso e roco, invitandomi a continuare il nostro bacio. Mi condusse in bagno, non c'era alcuna porta d'aprire e chiudere, ricordai con un lieve sorriso, mentre le mie gote, scottavano quanto la mia femminilità per lui.
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