Saturnalia
Attenzione: questa storia è il continuo di Ichnusa e Volersi Male, trovate entrambe sul mio profilo. Buona lettura!
...
«Te la devi piantà di rifiutarmi.» Manuel se ne stava seduto a tavola con le braccia incrociate, a osservare imbronciato Simone che gli versava il caffè nella tazza piena solo per metà di latte scremato. E lo sapeva che le sue lamentele erano un po' sterili, che Simone l'aveva accolto nel proprio letto solo poche ore prima e s'era lasciato avvolgere dalle sue braccia fin quando l'infernale sveglia non li aveva costretti ad abbandonare il torpore di quella stretta. Faceva caldo, ormai, con la fine del quarto anno alle porte, eppure era stato faticoso lasciare il giaciglio. S'erano costretti, ché se avessero tardato di anche soli cinque minuti rispetto al solito, qualcuno sarebbe entrato in camera per constatare che a tutti gli effetti fossero svegli. E li avrebbero trovati avvinghiati, con le gambe intrecciate e Manuel riverso quasi per intero sul corpo di Simone ad incastrarlo contro il materasso.
«Abbassa la voce.» lo sgridò, prendendogli posto di fianco, per poi allungarsi ad afferrare l'ultima Nastrina dal pacco abbandonato sulla tovaglia blu a costine. Gliela sottrasse immediatamente, Manuel, allontanandola dalla sua portata prima che potesse effettivamente appropriarsene.
«Non abbasso un cazzo, a me 'sta cosa nun me scende.» in pieno contrasto con quanto appena affermato si ritrovò a sussurrare, facendo aggrottare le sopracciglia all'altro. Gli aveva chiesto un bacio, perché la sala da pranzo era deserta e quindi che problema c'era? E invece il suo no in risposta era stato lapidario, categorico tanto da fargli prudere le mani per la stizza.
«Ma chi ti sta rifiutando! - esclamò esasperato, e Manuel fece finta di restituirgli la merendina,
per poi allontanarla una seconda volta quando le dita di Simone sfiorarono la plastica trasparente. - La smetti?» che s'innervosisse pure quanto si sentiva su di giri lui.
«No. - asserì, sporgendosi nella sua direzione solo con il viso. - Dammi un bacio.» lo sfidò, mantenendo il tono controllato. Ed era anche un po' infantile come richiesta, se ne rendeva conto, solo che un bacio di Simone l'avrebbe tranquillizzato. Perché rientravano a scuola come una coppia, quella mattina, solo che nessuno lo sapeva. E lo agitava. Non lo avrebbe ammesso, ma il solo pensiero gli mandava in pappa il cervello. Perché a scuola c'era ancora Mimmo, che girava tra i corridoi. Non un pericolo reale, visto che Simone gli aveva raccontato della festa, ma comunque una mina pronta ad esplodere, magari per senso di rivalsa nei confronti del rivale. Manuel voleva solamente essere certo che il compagno fosse dalla sua parte a prescindere dalla portata dell'onda d'urto che presto o tardi li avrebbe investiti.
«No, tu dammi quella cazzo di Nastrina! - e di
tutta risposta, Manuel la aprì, infilandosela dispettoso tra le labbra e buttandogli l'incarto addosso. - Quanto puoi essere stronzo?» s'incollerì, versandosi poi una tazzina di caffè con rassegnazione.
«Te sei stronzo. - le guance piene del boccone appena addentato, che si premurò di masticare con lentezza per dargli ancor più fastidio. - Se vede che nun te piaccio così tanto se riesci a stamme lontano dopo manco un week-end assieme.» Simone appoggiò un gomito al tavolo e una tempia contro il pugno chiuso, il volto nella sua direzione.
Prese un sorso di caffè e «Vuoi che tua madre e mio padre lo vengano a sapere?» ed era incredibile che la risposta naturale, quella che nacque spontaneamente al centro del suo petto fu un sì. Non aveva nemmeno realmente pensato a cosa significasse dire ad Anita cosa fosse, chi fosse. Nemmeno se la immaginava una conversazione del genere con sua madre. Sapeva soltanto che voleva baciarlo ancora e ancora, coprendo con le sue labbra ogni singolo centimetro di pelle che quell'altro aveva osato sfiorare.
«Non me ne frega un cazzo de mi' madre e de tu' padre, Simò, tanto ce stavamo comunque prima noi.» lo sputò fuori con stizza, ma un po' gli sti strinse la gola a quell'affermazione. Era abbastanza certo che fossero andati a letto, loro due, prima che iniziasse la storia tra Dante e Anita. Se in un primo momento (mille cazzi per la testa), non aveva dato peso alla cosa, adesso gli pareva insopportabile. Non per la relazione in sé, quanto più per la consapevolezza che uno dei due - o magari entrambi - avrebbe potuto sparare sentenze al riguardo, arrogandosi il diritto di metter bocca su qualcosa nata ben prima di loro.
Inevitabilmente Manuel se ne sarebbe fatto colpevole, perché se solo c'avesse messo meno a rimuginare su se stesso... non vivrebbe nel terrore di essere giudicato male per la sua scelta finale.
Era arrivato troppo tardi? Quali erano per davvero i tempi giusti? E soprattutto: per quale motivo gli pareva che ogni singolo passo compiuto a fatica potesse ritorcerglisi contro da un momento all'altro? Aveva fatto la stessa domanda a Simone, quando la sera prima, quando s'era infilato tra le sue lenzuola. E lui l'aveva baciato, l'aveva rassicurato che non c'è un tempo giusto, non hai sbagliato nulla. È una scelta tua, Manu. Parole che l'avevano rincuorato, nonostante sapesse d'averne sbagliate così tante, da quel bacio mancato al museo, da non poterle contare sulle dita di due mani.
Quasi gli stesse leggendo nel pensiero, Simone, si sporse e veloce gli baciò uno zigomo, lasciandolo interdetto. C'aveva le ciglia lunghissime, scure quanto i ricci, che incorniciavano ogni micro-espressione degli occhi. E lo mandavano al creatore.
Non che ci fosse qualcosa in Simone o di Simone che non lo facesse impazzire. Ammetterlo diventava giorno dopo giorno più facile.
«E se poi ci costringono a dormire in camere separate? - gli domandò, la voce più dolce e una mano ora a concedergli una carezza lungo la nuca. - Poi come faccio a guardarti, mh? Lo sai che guardarti dormire è una delle cose che preferisco in assoluto? Lo faccio da un sacco di tempo.» Manuel si calmò all'istante, fermandosi ad osservarlo a lungo per studiarne l'effettiva sincerità. E in realtà non fu certo che Simone gli stesse dicendo la verità. Nel senso, era sicuro che lo guardasse dormire più che altro perché lo guardava continuamente. Però che quella fosse la motivazione che l'aveva spinto a chiedergli di tenere la cosa segreta... Non era convinto. Per niente.
Era però certo che l'altro non avrebbe potuto fargli uno sgarro neppur volendolo con tutte le proprie forze, dunque se la fece andar bene, pur tenendosi stretto quel dubbio: non gli stava dicendo qualcosa.
Alla fine gli cedette la metà Nastrina che il più giovane agguantò come se avesse vinto un premio.
«Sei 'n paraculo e me pare pure che c'hai sempre la scusa pronta. Non è che in realtà te stai a tirà indietro e me vuoi indorà 'a pillola, no? - e Simone rise, come se quella fosse la battuta del secolo, e suo malgrado rise anche Manuel, appena più sereno. - Coglione.» un colpo alla mano che lo stava accarezzando e ottenne in cambio uno spintone sulla spalla.
«'Mbè? Ancora state a discute' voi due? - Anita s'affacciò giusto il tempo di recuperare la borsa abbandonata su una delle sedie, i capelli arruffati dalla fretta. Manuel e Simone tornarono parzialmente seri, allontanando le mani dai rispettivi corpi e scambiandosi uno sguardo con il riso trattenuto male. - Guardate che a me nun me piace pe' niente sto comportamento. - li redarguì la donna, puntando un dito prima verso l'uno e poi verso l'altro. - Vedete de fa 'e persone civili, che ce mancate solo solo voi, ce mancate. - poi affilò lo sguardo, tenendolo fisso solo sul figlio. - Te come
ce vai a scola?» gli domandò, proprio come aveva fatto per tutta la settima durante la quale non s'era rivolto la parola con il compagno, il tono inquisitorio.
«Co' Simone, mà.» e finse anche un po' di dispiacere, che la donna interpretò immediatamente come una presa in giro.
«Eh, co' Simone, bravo. - occhi di nuovo sul più alto che si raddrizzò all'istante, le scapole contro lo schienale della sedia. Manuel dovette mordersi la lingua per non scoppiare in una risata e il minore lo capì al volo, perché gli rifilò un calcio alla caviglia. - State avvisati.»
Scoppiarono entrambi in uno sbuffo quando Anita non fu più a portata d'orecchio, l'euforia di due bambini che erano riusciti a farla franca dopo averne combinata una grossa. Poi Manuel s'alzò, sporgendosi per schiacciargli un bacio tra i capelli profumati.
«Movete Balè, che c'avemo er compito de matematica e se nun me passi tutto te puoi ritenè single pure nel privato.»
...
«Antonio ti cercava, prima. - sua sorella lo accolse in aula, quel lunedì mattina, con un sorriso smaliziato. Ché lo sapeva perfettamente cosa lui e Simone avessero fatto per tutto il week-end, come sapeva della decisione di tenere il tutto nascosto, almeno per i primi tempi. A lei non aveva potuto mentire, però. - Bazzicava qui fuori.» e Manuel avvertì la collera di Simone materializzarsi in un lamento basso proveniente direttamente dalle proprie spalle, quanto il fastidio nel suo sguardo quando lo superò per andarsi a sedere al posto in fondo alla classe.
«Ce sei uscito assieme? - gli domandò Matteo, sedendosi direttamente sul suo banco con un sorriso da finto intenditore stampato sul volto. - Ce sei uscito, ve'? Guarda quanto stai appaciato, sei un fiore, sei!»
«No comment, so' un signore io.» si limitò a dire Manuel, non riuscendo ad evitare di ridere in risposta all'eccessiva euforia dell'amico. Non poteva dirgli che Antonio, c'aveva pensato Simone a farglielo dimenticare, preoccupandosi di marchiarlo con cura affinché chiunque sapesse che la sua pelle e la sua anima fossero già la proprietà di qualcuno.
«E allora se vuoi tenerte i segreti te devi pure mette' na sciarpetta, Manuelì! Che er bello tuo mica s'è fatto tanti scrupoli.» e Manuel portò una mano alla gola, tentando di celare quei segni alla vista, nonostante in cuor suo ne fosse orgoglioso, nonostante li avrebbe tranquillamente sbandierati come medaglie, manco avesse vinto per davvero un premio.
È stato Simone. Hai visto che bravo, Simone? Il mio Simone.
E sempre il suo Simone lo stava portando alla pazzia, se davvero si ritrovava a pensare cose del genere con tanta serietà. Lui. Manuel Ferro. Assurdo.
Si voltò con la sedia in direzione di Viola, solo per poter avere facile accesso all'artista che aveva deciso di ridisegnare parti del suo corpo a proprio piacimento. E lo trovò teso, ché tutte quelle allusioni a lui e ad Antonio probabilmente le mal tollerava, pur essendo consapevole che si trattasse unicamente di illazioni senza fondamenta.
Nel profondo gli fece un piacere che a parole non avrebbe potuto esprimere: Simone lo guardava. Di nuovo, più di prima. Simone guardava lui e nessun altro. Ed era geloso, nonostante sapesse di non dover temere nulla, perché Manuel aveva rimarcato il concetto in maniera chiara, concisa: se tu sei mio, io sono tuo.
Nessun Antonio avrebbe potuto reggere il confronto con quella sensazione di pienezza e appagamento. E per l'amor del cielo, nessun Mimmo avrebbe potuto competere con quello che avevano loro due, con quello che erano loro due quando stavano insieme. Voleva urlarlo al mondo intero quanto era felice, e al diavolo se una reazione del genere sarebbe stata così poco in stile Manuel Ferro. Che lo prendessero per pazzo.
Gli fece una linguaccia, quando fu certo che nessuno stesse prestando loro attenzione e Simone, suo malgrado, alzò gli occhi al cielo divertito. Eppure a Viola non passò inosservato, che subito lo incalzò, dandogli un ceffone giocoso sulla coscia, che lo prese alla sprovvista.
«Allora? Ce lo dici o no dove ti ha portato questo Antonio? Dev'essere stato proprio un bel posto!» e Manuel le rivolse un ghigno, sornione all'inverosimile, con tanto di terzo dito in bella mostra.
Simone l'aveva supplicato di mantenere il segreto, giusto il tempo di capire come muoversi con Dante e Anita, allora si sarebbe appropriato di tutte le gioie che quella condizione avrebbe potuto offrirgli.
...
«Wow! - sentì l'ormai familiare risata di Antonio riecheggiargli contro l'orecchio e a quel punto Manuel diede per scontato che il ragazzo s'allungasse nel corridoio della sua classe a prendere il caffè, solo per vederlo. Che ci trovasse in lui, dopo che era stato così chiaro circa il rapporto che lo legava a Simone, sarebbe rimasto un mistero. Avvertì il tocco delle sue dita sfiorargli la giugulare, là dove Simone aveva lasciato uno dei suoi marchi e istintivamente si scansò, facendolo ridere. - Direi che ha funzionato. - constatò da solo a voce alta, anticipandolo nell'inserire una moneta nella foro della macchinetta. - Quindi che faccio io? Lascio perdere?» gli domandò, un po' troppo goliardico vista la natura della domanda.
E fu proprio in quel momento che intercettò Simone: stava camminando nella sua direzione, sereno, ma quando s'accorse del ragazzo che gli stava facendo compagnia s'immobilizzò, restandosene impalato a fissarli con il fuoco nelle iridi. Manuel non riuscì a non pensare che fosse estremamente carino così accigliato.
E se voleva davvero mantenere il segreto, nonostante Manuel gli avesse esplicitamente detto che per lui avrebbero potuto tranquillamente raccontarlo a tutti, allora si sarebbe beccato pure le conseguenze di quella scelta.
«C'hai veramente così poca fiducia in te stesso? - gli domandò allora, eppure i suoi occhi erano incastonati in quelli aperti e guardinghi di Simone. Pareva un animale pronto a scattare per rivendicare il proprio territorio, eppure per qualche motivo non si muoveva d'un millimetro. - Mica te facevo così arrendevole.» e Antonio si voltò, un'occhiata brevissima e furtiva alle proprie spalle, prima di recuperare il caffè dalla macchinetta e spingerlo tra le dita di Manuel con una risata appena accennata.
«L'ho già detto che sembrate due pazzi, vero? - lasciò andare Simone solo per sorridergli, un po' compiaciuto. Antonio gli puntellò l'indice contro il petto. - Non mettermi in mezzo ai tuoi giochetti con lui. - e Manuel alzò gli occhi al cielo, quando questi piegò il capo di lato. - Comunque siete carucci insieme. - non erano carucci e basta, erano bellissimi. Perfetti. Complementari. - Puoi dirgli che te l'ho detto, se vuoi. - un passo indietro. - Anche se ho il sospetto che non lo farai. - sollevò una mano in cenno di saluto. - Divertiti!» lo osservò allontanarsi, per poi rivolgere di nuovo lo sguardo a Simone, ancora impietrito. Sollevò le spalle, trattenendo a stento una risata e camuffando il tutto con un'espressione innocente.
Forse fu proprio quella che spinse Simone a riprendere la marcia, per poterlo finalmente raggiungere. E non ebbe il tempo di dire nulla, Manuel, che «Vieni con me.» si sentì impartire, con la sua mano che lo teneva già per il braccio. Si lasciò trascinare, fingendo anche sorpresa a quella reazione. Se lo tirò nel bagno, quello che tutti usavano per andare a fumare nelle ore di lezione e che durante la ricreazione generalmente era deserto per un tacito accordo tra gli studenti.
«C'hai proprio 'na passione pe' i cessi, te.» si permise di sfotterlo, ma Simone non rideva e Manuel sospirò, cercando di reprimere quel moto nascente di tenerezza.
«Che voleva?» gli domandò, chiudendosi la porta alle spalle: occhi ovunque per accertarsi che fossero effettivamente da soli.
«M'ha offerto un caffè.» spiegò Manuel, neanche fosse la cosa più naturale del mondo. Come se lui a parti inverse non sarebbe impazzito di gelosia. Come se il suo scopo non fosse quello di farlo impazzire a sua volta. Non gli importava di Antonio, non davvero, ma quanto gli piaceva l'effetto che quel ragazzo faceva sul suo ragazzo.
«Ti stava toccando, ci stava provando. - era così agitato che Manuel quasi si pentì d'essersi spinto fino a quel punto, la voglia di dirgli la verità. - L'ho visto.» E lui ha visto te.
«E che vuoi, Simò? Sei stato tu a dire di tenercelo per noi. - fece un passo nella sua direzione, ignorando le dita strette ancora all'incavo del proprio gomito. - De che te stai a lamentà?» gli domandò poi, poggiando le labbra sul suo mento per baciarne delicatamente la pelle nivea.
«Non significa che devi lasciarlo fare...» la voce ora più roca, mentre Manuel scendeva nella curva della gola ad appropriarsi di un altro scorcio di pelle.
«E che glie dico? - lo sentì rabbrividire, il fiato trattenuto lo fece ghignare di soddisfazione. - Guarda che pe' colpa tua quello è diventato er nostro alibi.» gli ricordò, ancora un bacio e poi risalì verso l'orecchio con una lenta lappata.
«Non è che hai bisogno per forza di un alibi. - tentennò. - Gli dici che non ti piace e te lo levi di torno.» aveva gli occhi socchiusi, Simone, in palese conflitto con se stesso, ché quelle non erano né le condizioni né il luogo eppure era così evidente quanto volesse cedere a quei vezzeggiamenti.
«Ma sarebbe una bugia.» mormorò Manuel, cattivo, e Simone spalancò le palpebre, lasciando che ogni dubbio si dissipasse per dar spazio ad un moto di rabbia. Un attimo prima lo teneva per il braccio, quello dopo le dita erano artigliate al colletto della t-shirt e la schiena di Manuel era incollata ad una delle porte d'accesso ai cubicoli dei servizi. Era incredibile quanto riuscisse a manipolare il suo corpo e con quanto poco sforzo riuscisse ad alzarlo da terra. Gli sorrise, ancor più maligno, e Simone si fiondò ad addentargli il labbro inferiore fino a farlo mugugnare, senza donargli il sollievo di un bacio.
«Non ho capito. - abbassò la maniglia alle sue spalle, spingendolo nell'antro claustrofobico, con la fronte incollata alla sua. - Ripeti. - lo incitò, sbattendolo alla parete sulla destra, i polsi fermi contro le mattonelle e una coscia tre le sue. Rise, Manuel, e assieme si ritrovò a sospirare sulla sua bocca vicina. - Cos'è che hai detto? - tentò di divincolarsi, riuscendo a spingersi in avanti solo con il viso nel tentativo di reclamare un bacio che Simone gli negò. Lo sguardo affilato, mentre si schiacciava sul suo corpo, lo mandò ai matti. - Chi è che te piace a te? - infilò la mano tra i loro corpi per scovare con le dita la crescente eccitazione di Manuel, e questi sospirò estasiato, febbricitante, abbandonandosi con il capo contro il muro e cercando attrito con il bacino. - Per chi è questa?» gli ringhiò contro la mascella, un morso punitivo per strappargli l'ennesimo lamento. E avrebbe ceduto anche, portando a compimento quel gioco prima del tempo che s'era mentalmente stabilito, se solo la campanella non avesse suonato per indicare la fine della pausa. E con la medesima velocità con cui se l'era trascinato dietro, Simone allentò la presa fino a lasciarlo andare. Un attimo prima erano così vicini che pareva potessero fondersi l'uno con l'altro, quello dopo non si toccavano più.
«No, dai. - si sentì dire, allungandosi per agguantarlo di nuovo, nel tentativo di trattenerlo lì con lui. - Resta.» lo supplicò quasi, ma fu irremovibile Simone nell'abbandonarlo alla sua insoddisfazione, quanto abile nel divincolarsi dal suo tocco.
«T'arrangi.» Stronzo. Quasi fu tentato di restarsene lì, con le braccia incrociate al petto in segno di protesta, ma quando capì che Simone per davvero non gli avrebbe fatto compagnia, si ritrovò a seguirlo.
...
La vendetta è un piatto che va servito freddo.
Proprio con quel detto, così anacronistico, a dondolargli tra i pensieri, aveva passato l'intera giornata. Era stato bravo a non rivolgergli più lo sguardo, durante il resto delle lezioni, nonostante più volte la sua risata - mentre chiacchierava con Laura - l'avesse chiamato come il canto di una sirena.
Non era arrabbiato, non sul serio. Desiderava solo piegarlo, esattamente come aveva fatto lui quella mattina e con la medesima naturalezza.
Non lo raggiunse in camera quando rientrò a casa dagli allenamenti, quel pomeriggio. Rimase in soggiorno, con il libro di biologia aperto sulla tavola e la presenza altalenante di nonna Virginia che di tanto di tanto attraversava la stanza per andare in giardino e poi in cucina e poi di nuovo in giardino. A tutti gli effetti una zona rossa, dove avrebbero dovuto fingere che il loro rapporto fosse sempre il medesimo. Simone, dalla sua, preferì non presentarsi proprio, restandosene rintanato nella zona verde della loro camera.
In cuor suo Manuel sperò, poi si convinse, che lo stesse attendendo.
Anche perché quel perfettone aveva finito con le interrogazioni da un pezzo e non aveva nessuna materia da recuperare, ligio com'era stato per tutto l'anno scolastico. Pertanto a che pro starsene chiuso lì dentro?
L'ora di cena arrivò con una lentezza estenuante e Simone comparve in sala solo per dare una mano ad apparecchiare, con Dante e Anita ormai rientrati da un pezzo e che ora si destreggiavano tra la cucina e baci rubati. A Manuel fecero storcere il naso per il disappunto, ché ormai tollerava poco quell'atteggiamento adolescenziale che privava lui di poter fare altrettanto con il proprio ragazzo. Non ce l'aveva con loro, solo che se loro non fossero stati una coppia, avrebbe avuto molti meno problemi a parlare di Simone con sua madre. E di se stesso. Già, perché era arrivato alla convinzione che il vero motivo per cui temesse tanto il coming-out con la prima donna della sua vita, fosse proprio la sua relazione con il padre di Simone. Ché lo faceva sentire tradito, un po' come se gli avessero sottratto qualcosa.
Fu dunque per assecondare il senso di ribellione che gli stava solleticando la mente, più che per una vera e propria vendetta ai danni di Simone, che a tavola s'accomodò per ultimo, stando ben attendo ad aprire una mano dietro la schiena del più alto mentre prendeva posto. Nessuno ci fece caso, eccetto Simone il cui irrigidirsi di rimando fu immediato.
Si sfilò la pantofola, Manuel, sorridendo alle prese in giro di Nonna Virginia ai danni di suo figlio, circa la cena parzialmente bruciata che lei era riuscita a salvare in calcio d'angolo. Simone era distratto, lo guardava poco, concentrato com'era a ridere delle giustificazioni di suo padre circa l'increscioso incidente ai fornelli.
Proprio per quel motivo sobbalzò nel sentire il dorso del piede del più grande carezzargli la caviglia nuda e scendere poi lungo il piede infilato in una delle infradito.
Con la vista periferica lo intercettò a fissarlo, ma non riuscì a cogliere a pieno la sua espressione. Eppure se lo poteva figurare il suo sguardo imbambolato e forse anche un po' avvilito, con le labbra schiuse, ché mai riusciva a serrarla quella bocca così bella. Così sua. Agguantò la forchetta con la mano destra. «Secondo me nun è così terribile. - sentenziò, più per dire qualcosa e rendersi presente alla conversazione che per vero interesse. E infatti s'imbocco quel pezzetto di pollo al forno, con gli occhi carichi di aspettativa di Dante Balestra puntati sul suo volto. Masticò lentamente e la mano libera vagò sulla coscia di Simone. Avvertì il suo respiro mozzarsi e poi le sue dita svelte nascondersi sotto la tovaglia per stringergli il polso e impedirgli di andare oltre. - Infatti è bono.» sentenziò, i polpastrelli a conficcarsi nell'interno coscia del compagno, affondando sotto la stoffa di quel pantaloncino indecente che aveva deciso di indossare con una cattiveria fuori da ogni logica. E tossì, Simone, per dissimulare un respiro pesante, mandando in allarme sua madre che subito gli versò un bicchiere d'acqua.
«Tutto bene, tesoro?» gli domandò, la voce dolce e la preoccupazione che spariva nel constatare che lui non avesse ancora toccato nulla di quanto presente nel suo piatto. Annuì, Simone, un po' rosso in volto e con una mano a coprirsi le labbra. E approfittò di quell'attimo di distrazione, Manuel, che fece allentare la presa al più piccolo, per infilarsi felino sotto la stoffa leggera e dirigersi languido verso l'inguine. Simone si agitò contro lo schienale. Ad occhi esterni poteva passare per un ragazzone troppo alto costretto su una sedia troppo scomoda, che non riusciva a trovare la corretta posizione. Si sentì graffiare un braccio, quando le dita trovarono l'elastico dei boxer, e solo a quel punto Manuel si azzardò a voltare il viso nella sua direzione, trovandolo rosso e furente a fissare il piatto ancora intonso.
«Nun mangi niente? - gli domandò, e fu tanto innocente quanto limpido nel porre quel quesito, che costrinse Simone a voltarsi e a fulminarlo. Ed era così bello con le pupille dilatate da lasciare poco respiro alle iridi scure per natura, adirato tanto da sembrare pronto a prenderlo a ceffoni. Manuel sorrise. Si sarebbe fatto prendere volentieri a schiaffi, se solo avesse continuato a guardarlo così. Ancora un pezzo di carne tra le labbra, questa volta intinta nel purea, di cui si sporcò volontariamente. Un mugugno di apprezzamento accompagnò la lingua a che passò sul perimetro delle labbra, e i muscoli di Simone gli tremarono sotto il palmo, irrigidendosi tanto da farlo sorridere. - Guarda che è bono pe' davero.» lo rassicurò, permettendosi di stringere tra le dita il membro parzialmente eretto e fastidiosamente coperto dall'intimo. Sobbalzò di nuovo, Simone, e questa volta batté anche contro la tavola. I bicchieri trillarono per l'impatto e Manuel calò gli occhi sul suo piatto, prendendo un ennesimo boccone per camuffare la risata. Anche perché adesso sua mamma guardava preoccupata il suo ragazzo, così come la nonna. Dante s'alternava, con quegli occhi fin troppo attenti, tra il viso suo e quello rosso del figlio.
«Che c'hai Simone?» e Simone, il suo Simone che a dire le bugie era così bravo da fargli quasi paura, ebbe il coraggio di reggerla, l'occhiata inquisitoria dell'uomo. Quasi fosse una sfida. E a Manuel, che di smettere di carezzarlo non aveva alcuna intenzione, scappò uno sbuffo divertito dal naso che gli costò un calcio al polpaccio da Anita.
«Niente, mal di stomaco. - guardò le sue mani stringersi, le dita affondare nei palmi e chiudersi a pugno. E Dio, Manuel che desiderava essere stretto al medesimo modo tentò di farglielo capire con quelle attenzioni: non donavano un sollievo concreto ma esplicavano alla perfezione le sue intenzioni. E Simone, languido e con un movimento quasi impercettibile, si spinse tra le sue dita, in segno di resa. Questa volta fu lui a doversi schiarire la gola. - Non ho fame.» disse infine, proprio quando Dante dichiarò. «Questi due ci nascondono qualcosa. Non me la contano giusta.» vide lo spavento colorare i lineamenti di sua mamma, che si sporse in avanti.
«Oddio che avete combinato questa volta?» e allora Manuel si ritrovò costretto a lasciarlo andare, consapevole che non avrebbe potuto mandare avanti quella tortura ancora per molto. Sollevò entrambe le mani in segno di resa.
«Niente!» rispose e la voce di Simone ne fece subito eco, inducendolo a mordersi il labbro inferiore e a fissargli i palmi, ora aperti sulla tavola come a voler dimostrare la propria innocenza.
Poi s'alzò, il più piccolo e «Non ho fame, magari mangio più tardi.» per poi indirizzare a Manuel un'occhiata veloce per chiedergli in silenzio di seguirlo. Lo capì subito e proprio per quel motivo il diretto interessato rimase immobile, con un sorriso sardonico stampato sul volto. Non gli sarebbe andato dietro, non dopo quello che aveva osato fargli nel bagno della scuola.
Che s'arrangiasse.
Lo guardò allontanarsi, gli occhi fissi sulla sua schiena mentre attraversava l'arco, e poi sulle sue gambe, mentre girava sulla destra per salire le scale e dirigersi al piano superiore.
«Comunque mi piacciono i ragazzi. - annunciò, la voce abbastanza alta affinché pure Simone potesse sentirlo. E infatti s'immobilizzò con un piede sul primo scalino, e gli occhi spalancati nella sua direzione. - Continuano a piacermi pure le ragazze. - precisò, fendendo nuovamente il silenzio che era calato attorno al convivio. Sua madre che lo fissava con le labbra schiuse e poi cercava Dante, come a volere una conferma esterna d'aver sentito bene. - Mi piacciono sia i ragazzi che le ragazze. - si rese conto solo in quel momento d'avere una coscia tremante e di nuovo cercò Simone, trovando adesso un accenno di sorriso ad accoglierlo. Ed era... fiero di lui? Un po' gli sembrava orgoglio quello che gli stava colorando il volto. - Non che ve debba fregà qualcosa, eh. Volevo solo che lo sapeste.»
E pure Simone, realizzò in quel momento, voleva che i loro genitori lo sapessero. E che fosse lui a dirlo. Con i tuoi tempi, Manu.
«Tesoro mio-»
«No, te prego, mà, nun comincià!» Non voleva sentirsi dire che andava tutto bene, non voleva che la sua famiglia avvertisse il bisogno di rassicurarlo circa quella cosa. Essere rassicurato significava che effettivamente ci fosse qualcosa di sbagliato, e lui, per quanto si sentisse contorto così costretto in quel pensiero, voleva che almeno le persone a lui care la prendessero come la normalità che effettivamente era.
«Ho cresciuto 'na bestia, ho cresciuto. - sbuffò Anita, per poi premere le labbra in una smorfia intenerita. - Te posso dì perlomeno che nun me ne frega niente e che nun me cambia niente, o me linci? - domandò, e Manuel si ritrovò ad annuire, con gli occhi di Dante a scrutarlo ancora come a voler analizzare ogni sua mossa e ogni sua parola per... incastrarlo? Per incastrare lui e Simone? Forse già lo sapeva. Sapeva sempre tutto quello lì. - 'E regole so' le stesse, maschio o femmina che sia, se se droga, se spaccia o se ha commesso reati, in casa mia nun c'entra. Che me basta un figlio fori de testa.» si lasciò andare ad una risata e vide con la coda dell'occhio Simone fare dietrofront, indicando il portoncino d'ingresso alle sue spalle con in pollice, per poi sgattaiolare via, silenzioso come un ninja. Scostò lo sguardo troppo in ritardo e Dante si voltò per seguirne la traiettoria. Simone già era scomparso, ma a lui per una volta non fregava davvero niente.
Sentì Nonna Virginia accarezzargli la mano e il suo professore, finalmente, abbassò la guardia e si lasciò andare ad un sorriso d'incoraggiamento.
«Sei un bravo ragazzo, per questo mio nipote ti vuole bene.» gli sussurrò la donna e inevitabilmente si ritrovò a sorridere, con il viso un po' caldo.
«Grazie.» riuscì a dire, scoprendo una voce arrochita e rendendosi conto solo in quel momento d'avere un groppo all'altezza della gola, che tentò di mandare giù ingoiando aria a vuoto.
...
«Dobbiamo fa qualcosa pe' 'sta piscina, non esiste che passa n'altra stagione a prende' er sole.» Simone se ne stava seduto lì, con le cosce penzoloni e una sigaretta tra le labbra. Sollevò lo sguardo e Manuel gli sorrise, dandogli un colpetto al braccio con il piede, per poi prendere posto al suo fianco.
«Stai bene?»
«Seh... - annuì, allungando le dita nella sua direzione per farsi passare lo stick di tabacco girato a mano. - Nun te potevo venì dietro subito, tu' padre me sa che qualcosa l'ha capito, quindi so stato co' loro finché non hanno preso a sparecchià. 'Na cauzione in pratica. - spiegò al più piccolo, che annuiva con gli occhi puntati sulle sue labbra. - Ma te m'hai aspettato.» affermò, con il cuore che batteva un po' più veloce, mentre prendeva consapevolezza di cosa realmente significassero quelle parole.
«Io t'aspetto sempre.» Annuì infatti, discostando lo sguardo. Non era un'accusa la sua, quanto più una rassicurazione che a Manuel scaldò il petto.
«Per questo nun hai voluto dì niente, ve'? - Domandò, ancora un tiro e gli passò nuovamente la sigaretta. - Nun te ne fregava niente de mi' madre e de tu' padre, - lasciò la frase in sospeso per qualche istante, ma Simone non rispose, limitando a stringersi nelle spalle larghe, come un ragazzino troppo cresciuto. - stavi solo aspettando me.» sbuffò il fumo dalle labbra e dal naso, e Manuel gli diede una leggera spallata.
«Volevo che lo dicessi con i tuoi tempi e a prescindere da me e da noi. Per quanto possibile.»sussurrò impacciato.
«L'hai fatto per amore?»
«Sì. - nessun dubbio. - Scusa.» concluse con quella giustificazione che Manuel trovò così inopportuna.
«Sempre a preoccuparte più del dovuto, stai. - lo sbeffeggiò, per farlo sorridere. - Grazie. - aprì entrambe le mani a terra e reclinò il capo all'indietro. - Smetterò mai di ringraziarti?» domandò pensoso, più a se stesso che a Simone, e questi infatti sì limitò a sbuffare dal naso.
Poi prese fiato, il corvino, e: «Ci pensi mai agli universi paralleli?» Manuel si voltò di scatto a quella domanda, perdendosi per qualche istante ad osservare il suo profilo, con il naso all'insù, la sigaretta girata male tra le labbra e gli occhi specchi del cielo stellato. Era stato lui a porgli quel quesito, qualche mese prima, quando era arrabbiato con sua madre per avergli nascosto di Nicola e per averlo privato di una vita diversa e forse più semplice. A Simone l'aveva chiesto perché un po' s'aspettava che gli desse ragione, che condividesse con lui il desiderio di un'esistenza differente dove i loro padri si comportavano come tali e a loro due era concesso il lusso d'essere i fratelli, rispettivamente di Viola e Jacopo. Eppure era stata chiara, la risposta del minore, e Manuel in un primo momento aveva dato per scontato che Simone non c'avesse pensato bene. Che quel no così frettoloso avesse abbandonato le sue labbra solo per mandare avanti la conversazione.
Adesso, a distanza di tutto quel tempo, si ritrovava posto dinanzi al medesimo dilemma, con una sola risposta possibile a fior di labbra.
«No. - e Simone tornò a guardarlo. - Non rischio pe' 'n universo in cui potresti non esserci pure te. - ammise, con una serenità che nemmeno credeva davvero di poter raggiungere. - Te con me.» precisò, avvicinandosi fino a far combaciare le loro fronti.
«E te con me.»
Si spogliarono con calma, sollevandosi placidi da terra, con Manuel che spingeva Simone verso la dependance sulla piscina, e Simone che rubava a Manuel baci a fior di labbra per ogni passo compiuto. Li lasciarono in terra i vestiti, alcuni appena fuori la porta, incuranti del fatto che presto o tardi qualcuno sarebbe potuto scendere a cercarli. O magari lo fecero di proposito, speranzosi d'essere lasciati in pace. Perché erano pace la braccia di Simone che lo stringevano, quiete il suono dei suoi sospiri contro la pelle. Riusciva a figurarsela con una semplicità disarmante, una vita intera così. Per una volta non gli fregava niente, ed era così soddisfacente.
«Fai l'amore con me. - gli mormorò, e al buio a malapena distingueva i contorni del suo volto, che restava il più bello del mondo pure celato dalle ombre. - Fai l'amore con me, Simo.» ripeté, un po' scontato, ora che le loro pelli, così come i cuori, erano prive di barriere divisorie.
«Fai tu l'amore con me.» gli colò addosso come il miele, quella richiesta, e rabbrividì. Portò le mani a circondargli le guance e Simone che annuiva, come se già sapesse cosa Manuel stesse pensando. Sei sicuro? Non dovette nemmeno chiederglielo perché il più piccolo se lo stava già tirando nella camera da letto di quel minuscolo abitacolo.
Si lasciò guidare da Simone, che prima gli bagnò le dita con la saliva e poi schiuse le gambe. S'ingoiò i suoi respiri e sempre da essi estorse conforto, le falangi che affondavano con delicatezza nel suo corpo. Lo aprì con attenzione, prendendosi tutto il tempo che entrambi sapevano di meritarsi. Cercò di emulare i movimenti che Simone aveva già compiuto su di lui, perseverando in quella determinata angolazione che riusciva a strappargli la voce.
Non gli disse d'essere pronto e Manuel non si permise di rompere quella bolla di silenzio, pregna unicamente dei loro respiri uniti, per chiedergli il consenso. Arrivò muta, con un cenno del capo e una stretta di Simone sulla sua natica, nel tentativo d'avvicinarlo ancora. E aveva fatto sesso così tante volte, Manuel, che quella volta avrebbe dovuto venirgli naturale. Invece si sentiva morire, con il corpo di Simone sotto il proprio, così aperto e arrendevole. Avrebbe potuto distruggerlo, se solo avesse voluto, e in passato l'aveva anche fatto. Ma lui era rimasto e l'aveva aspettato. Io t'aspetto sempre.
Allacciò lo sguardo al suo, carezzandogli delicatamente la fronte e buttandogli indietro i ricci. Poi lo penetrò proprio così, con gli occhi fissi nei suoi e il respiro trattenuto.
«Simo...» Ebbe appena la forza di mormorare quando fu completamente dentro di lui, il petto tonico che si alzava ed abbassava ad un ritmo spasmodico mentre con le mani si sorreggeva ai lati di quel volto che aveva imparato ad amare come nemmeno credeva d'essere capace. Simone lo attirò completamente a sé non appena cominciò a muoversi, intrecciò le caviglie intorno alla sua vita e Manuel affondò piano, lentamente, una, due, tre volte. Il terrore di sbagliare qualcosa a fargli tremare le cosce, e i sospiri spezzati del minore ad incoraggiarlo.
Simone se lo teneva stretto, un po' come se potessero davvero rimanere incastrati così a vita, e gli sussurrava fra i capelli, contro l'orecchio e sulle guance calde, quanto lo amasse. Davvero, Manu, da sempre, e lo baciava come se la bocca di Manuel fosse l'unica cosa in grado di tenerlo in vita. Non smettere, Manu. E assecondava le sue spinte, andandogli incontro con i fianchi, come se fossero in balia della marea e potessero trovar salvezza solo nei reciproci corpi.
Non chiudeva le palpebre, uno sforzo che gli fece salire le lacrime. Lo guardava con quelle iridi grandi d'amore che lo annientavano e l'espressione contratta di piacere. Invocava il suo nome ad ogni affondo, Manu, s'arricciava con il labbro trattenuto fra i denti ad ogni colpo sulla prostata, Ti prego...!
«Dentro...!» ebbe la forza di chiedergli, quando Manuel rabbrividì. E fu perfetto il modo in cui vennero, simultaneamente, con il membro di Simone stretto tra i loro ventri e quello di Manuel soffocato dalle strette spasmodiche dei suoi muscoli.
Occhi negli occhi, cuore contro cuore, e lo stesso sollievo a piegare le loro bocche in un sorriso.
...
«Quindi? - Antonio gli si sedette di fianco, sul davanzale largo appena sotto alla finestra del corridoio ovest della scuola. Stava ripassando, Manuel, che rischiava di portarsi biologia a settembre e doveva assolutamente recuperare il voto con un'interrogazione di fortuna. Anche perché non aveva alcuna intenzione di passare l'estate a studiare, quando poteva avere Simone Balestra tutto per sé almeno il doppio del tempo. Voleva andare al mare con lui tutte le mattine e a ballare tutte le sere, fare l'alba in macchina a parlargli e a fare l'amore. - È ufficiale o no?»
«Seh, - Manuel ormai si era abituato al suo comparire dal nulla, quasi se lo aspettava. E parlargli nemmeno gli dispiaceva, visto che a parte Viola era l'unico ad essere a conoscenza della sua relazione con Simone. - Solo che ce stanno mi' madre e su' padre che stanno insieme, quindi è un po' un casino.»
«Secondo me la fate più complicata del dovuto. - Manuel sollevò le spalle, incerto se dargli ragione. - Quindi Mimmo è libero?» Manuel aggrottò le sopracciglia, voltandosi a guardarlo, un po' storto.
«Me dite che ce trovate tutti in quer Napoli der cazzo? Veramente nun me ce fate dormì la notte.» Antonio rise, cristallino e Manuel sbuffò.
«Boh, è carino. E la cadenza napoletana, si sa, è sexy. - una smorfia poco convinta e i suoi occhi tornarono sulle pagine del libro che aveva sottratto a Simone, già sottolineato e pieno di appunti. - Chiedilo ad un romano qualsiasi e ti direbbe lo stesso.»
«Io non lo direi mai.»
«Perché sei troppo impegnato ad essere geloso. - la voce di Antonio acquisì una nota di divertimento e - Ciao!» Manuel di nuovo sollevò il volto, e adesso Simone era lì, che fulminava l'altro con lo sguardo, senza ricambiare il saluto. S'avvicino, sfilandogli il volume dalle mani.
«Andiamo in classe, ti aiuto a ripetere.» E a quel punto fu il terzo in comodo a sollevare entrambe le mani in segno di resa.
«Restate, vado io che dovevo comunque recuperare un libro in biblioteca. - a Manuel scappò una risata, che s'accentuò quando Simone lo guardò male. - Balestra, vero? - domandò Antonio. - Guarda che sono san Tommaso, finché non vedo non credo. - un'ultima occhiata a Manuel. - E finché non credo non mi arrendo.» Avvertì Simone spingersi in avanti e frappose un palmo aperto tra lui e il ragazzo.
«Stai bono. - gli intimò, lasciando che i suoi muscoli si rilassassero lentamente contro di lui. E intravide anche Dante, poco lontano, che senza alcuna vergogna si fermò ad osservare la scena. Voleva bene al suo insegnante, un bene che a parole non avrebbe saputo descrivere, ma era incredibile quanto non riuscisse a farsi gli affari propri. - E te vedi de annatene.» disse ad Antonio, lasciandosi prendere per la mano da Simone. Non si rese pienamente conto del gesto, fin quando l'altro ragazzo non sollevò le mani in segno di resa.
«Ma è serio?» borbottò imbruttito, ora proteso con tutto il corpo nella sua direzione. Manuel ancora fissava le loro dita intrecciate e si premurò di rafforzare la stretta, quando un paio di ragazza passarono loro davanti.
«Sono irresistibile, lo sai. - lo prese in giro. Gli occhi di Dante erano ancora insistentemente fissi su entrambi, ma Simone era talmente proiettato su di lui da non essersi nemmeno reso conto della sua presenza. - Amò, tuo padre comincia ad essere inquietante.» gli bisbigliò poi, un po' più vicino, e il minore si voltò solo per un istante a cercare il docente, prima di tornare con uno scatto sul suo viso.
«Che hai detto?»
«Che ce fissa, Simò! - sbuffò nervoso. - E che cazzo de ansia.»
«No, come mi hai chiamato?»
«Amò? - chiese, per poi aprirsi in un sorriso enorme nel vedere le gote del corvino imporporarsi di compiacimento. - Vattene, va'! - gli diede uno spintone, per poi strappargli di nuovo il libro. - Che se continui a fa quella faccia poi me tocca baciarte contro la tua volontà e finisce che te 'ncazzi co' me e sinceramente nun c'ho proprio voglia de-» Simone lo zittì, prendendolo per le guance con entrambe le mani e posando la bocca sulla sua. E a Manuel sembrò di baciarlo di nuovo per la prima volta, con i tuffi al petto e gli occhi spalancati.
Quando si voltò, Dante non era più lì. «Adesso è sicuro che lo sa, - si morse il labbro inferiore, scoppiando a ridere. - Tempo zero e lo dice a mia madre.»
...
Uscì per ultimo dall'istituto, che la Girolami aveva voluto fermarlo per complimentarsi circa l'ultimo e salvifico compito in classe che aveva svolto, riuscendo a salvare in calcio d'angolo la materia. Simone gli dava le spalle, seduto sul muretto che costeggiava la salita di dirmpetto all'edificio e intento a discutere con Laura e Matteo. O meglio, Laura e Matteo parlavano, lui si limitava a sorseggiare acqua da una bottiglietta, annuendo di tanto in tanto. Li raggiunse, attraversando di corsa la strada, il casco allacciato alle dita e il cuore appena più veloce.
Ai ragazzi arrivò di spalle, colpendo giocosamente Matteo sulla nuca, prima di superarlo. «'Mbè, che dite?» domandò, sedendosi sul muretto di fianco a Simone, i palmi aperti sulle centinaia di scritte che ne imbrattavano la pietra e lo zaino abbandonando ai piedi.
«Stavamo cercando di convincere Simone a venire con noi al cinema, stasera. - Laura lo guardò con il broncio, lasciandosi baciare su una guancia da Matteo. - Non è che se Mimmo non ci sta allora tu non ti puoi muovere da casa.»
«Nun ce sta Mimmo tuo? Pe' questo non vuoi annà?» gli domandò, la voce tranquilla e gli occhi fissi sul suo volto. Simone sospirò, sollevando le iridi per intercettarlo e rimproverarlo in silenzio. Fece scivolare una mano dietro la sua schiena, dissimulando il tutto come se fosse volesse semplicemente mettersi comodo.
«Ce volete venì tu e Antonio?» domandò a quel punto Matteo, e Simone sorrise con cattiveria
«Sì, perché non ci vai te con Antonio?» fece delle proprie labbra lo specchio di quelle di Simone, poi sollevò una gamba per appoggiarla coscia penzolante del compagno. Intravide il sorriso di Matteo vacillare, che poteva essere uno stupido, ma non così tanto, e Laura farsi tutta seria e un po' rossiccia in volto.
«Perché nun c'andiamo io e te, co' loro?»
«Al cinema?» domandò il minore, sollevando un sopracciglio, la mano ora a carezzargli pigramente il ginocchio.
«Non vuoi?»
«Oh, dio!» sospirò Laura e Matteo al contempo strabuzzò gli occhi, indicandoli come un idiota e spingendo entrambi a ridere, un po' colpevoli. «Scopate! - lo disse come se avesse avuto un'illuminazione, come se ci fosse arrivato tutto da solo e non grazie a loro. Che non si nascondevano più. Si guardarono negli occhi, e Simone sospirò sconfitto, avvolgendogli un braccio attorno alle spalle per attirarlo a sé e posargli un bacio tra i capelli. - E che aspettavate a dircelo?»
«Scopiamo?» gli domandò Manuel, le labbra vicine alle sue e gli occhi fissi su di esse. Simone parve pensarci su.
«Facciamo l'amore?» ed esplose in una risata,
Manuel, spingendolo via con un ceffone al centro del petto. Ma Simone lo riacciuffò subito, questa volta per il collo. E si lasciò baciare, con mezza scuola a fare da testimone ad una piccolissima parte del loro amore. E poi entrambi, quasi si fossero preparati, si rivolsero ai loro amici, in attesa di un responso.
«Vabbè, quindi? Sushi e filmetto come i vecchi?» Matteo si sfregò le mani, facendo ridere la fidanzata che poi rivolse gli occhi celesti direttamente a Manuel.
«Non proprio il più etero della scuola, eh.»
«Che vor dì? - guardò Simone scuotere il capo, il petto che s'alzava è abbassava per il riso. - Oh, - lo richiamò Manuel, assestandogli un ceffone innocente sulla spalla. - Che vor dì?» insistette, ma Laura non gli diede retta, limitandosi a portare una mano alle labbra per celare il divertimento. E il suo ragazzo, dio, il mio ragazzo, lo ignorò.
«Che danno stasera?»
...
Il profumo dei libri vecchi invadeva l'aria, gli era sempre piaciuto particolarmente l'odore delle pagine vissute, un po' pungente. Gli ricordava casa di suo nonno.
«Ti serve qualcosa?» Si sentì dire, mentre passeggiava per l'enorme aula con gli occhi rivolti alle mensole più alte.
«Ciao! - sorrise, sollevando una mano nella direzione del proprietario di quella voce. - I Fiori del Male, - si passò la lingua sul labbro inferiore per umettarselo e - Les Fleurs du Mal, - continuò, attingendo a quel minimo di pronuncia che aveva appreso durante il corso delle scuole medie. - di Baudelaire.» lo vide annuire, camminare tra gli scaffali e poi allungarsi, mettendosi sulle punte dei piedi, per cercare di recuperare il volume interessato. Lo affiancò immediatamente. Era più alto e fu facile afferrarlo al posto suo.
«Alla fine te lo sei preso da solo.» sollevò gli occhi nei suoi, chiarissimi e contornati da un po' di stanchezza che ne risaltava il colore ceruleo.
«Alla fine sì.» annuì, restandosene a guardarlo, con il volume tra le dita, che si passò da una mano all'altra.
«Io sono Mimmo, comunque.» forse lo disse per smorzare il silenzio, magari l'aveva capito che non sarebbe andato via tanto facilmente. Allungò una mano e gliela strinse, lasciando che le dita restassero in contatto più tempo del dovuto.
«Antonio.»
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