INCOMPLETA


Una pioggia di vetri mi graffia la pelle e trafigge il cuore.
Il mio sguardo è rivolto verso la porta da cui è lui appena uscito.
Non tornerà più, ha scoperto che era tutto un gioco, che per me lui era solo un'altra conquista.
Un desiderio irraggiungibile a cui dovevo assolutamente arrivare, perché più di tutti ho sempre sentito il bisogno di dimostrare che sono superiore alle altre ragazze, perché tutti i maschi cadono ai miei piedi. Ma lui no, mi guardava con sufficienza, sembrava che per lui io non esistessi e ciò mi irritava non poco.

Quindi scommisi con le mie compagne che entro tre mesi sarei riuscita a farlo cedere alla mia bellezza, come tutti gli altri ragazzi.
I giorni passavano e nonostante mi vestissi in modo appariscente e provocne, lui sembrava immune alla mia bellezza.
Ricordo il giorno in cui provai a tenere una prima conversazione con lui, interrompendo quella che stava avendo con la sua amica.

È stata una delle poche volte in cui mi sono sentita a disagio, la sua espressione scocciata mi aveva destabilizzato, nessuno si era mai comportato così nei miei confronti.
Me ne andai con i nervi alle stelle, dovevo cambiare strategia, ormai quella scommessa era diventata una sfida personale: non potevo perdere.

Iniziai ad osservarlo più attentamente, cercando di capire quali fossero i suoi interessi e scoprii che era un appassionato di fumetti.
Quindi un giorno durante la ricreazione, mentre era intento a leggere, mi avvicinai a lui e per dispetto gli dissi il finale del fumetto.

Lui alzò la testa di scatto, mi rivolse uno sguardo truce, che mi fece pentire di ciò che avevo appena detto. «Che cosa vuoi?» sbottò irritato, io per tutta risposta risposi che cercavo di fare un po' di amicizia con lui. Lui affermò con estrema naturalezza: «Io non voglio avere a che fare con te».

Quelle parole ferirono il mio ego, nessuno aveva mai rifiutato la mia presenza, per alcuni era addirittura un onore poter parlare con me, era palese che provasse del disprezzo nei miei confronti, ma non ne capivo il motivo.
Gli chiesi spiegazioni e lui replicò affermando che provava ribrezzo per le persone come me: superficiali.
Io ribattei dicendo che non si può giudicare un libro dalla copertina: non poteva giudicarmi senza conoscermi.
«Peccato tu che sia solo copertina» affermò con estrema crudeltà.
In pochi secondi la sua guancia sinistra divenne rossa, i suoi occhi sgranati e la sua bocca mugugnò di dolore.
Nessuno poteva permettersi di trattarmi così, tanto meno un pezzente come lui, con cui non volevo avere a che fare.
Nonostante tutti avessero assistito alla scenetta dove lui mi aveva umiliata, ripresi in mano la mia dignità, non mi scomposi e sfilai davanti a tutti per andare in bagno.
Non piansi, sebbene lui con quelle spregevoli parole mi avesse distrutta, mi guardai allo specchio e sistemai il trucco.
Se secondo lui ero solo copertina, volevo che fosse impeccabile.
Le lacrime scesero solo quando rientrai nella mia camera e piansi come non mai.
Provai per la prima quanto facesse male essere umiliati, iniziai a pensare a quante persone avessi del male umiliandole, deridendo i loro difetti, per innalzarmi ad un livello superiore, perché io credevo di non aver nessun difetto.

Non mi ero mai preoccupata delle parole che uscivano dalla mia bocca, sono sempre esistita io e nessun altro.
Da quel giorno, non l'ho più degnato di uno sguardo, non mi sarei mai più abbassata a quel livello per una stupida scommessa del cazzo, sebbene nutrivo una grande delusione per non essere riuscita a farmi piacere da lui.
Per mettermi l'anima in pace trassi una conclusione avventata: doveva essere gay, non c'era altra spiegazione.

Finché mi si presentò davanti nel momento sbagliato, nel giorno sbagliato, porgendomi le sue scuse.

Non ero in vena di sentirle, volevo soltanto starmene in pace ecco perché ero seduta in un angolo del cortile, con una sigaretta fra le labbra.
Era una delle giornate in cui ero triste, arrabbiata e insoddisfatta.
Lui continuò a fissarmi con un'espressione dispiaciuta, dopo vari minuti stufo della mia indifferenza, mi volse le spalle e ritornò su sui passi.

Non so che cosa mi spinse a far il gesto che compii pochi secondi dopo, qualcuno potrebbe definirlo "dettato dall'amore", ma io non provavo nulla di tutto ciò nei suoi confronti, dopotutto eravamo estranei.
Lo baciai con foga e lui ricambiò, forse spinto anch'esso da quel senso di vuoto e insoddisfazione oppure perché non era del tutto immune alla mia bellezza.
In seguito ci voltammo le spalle e non ci parlammo più per circa un mese.
Quello che successe dopo fu una successione di sentimenti stravolgenti e sconvolgenti allo stesso tempo.
Ci eravamo spogliati delle nostre paure e pregiudizi, ci eravamo scoperti a vicenda, per poi amarci poiché rappresentavamo per entrambi tutto ciò che desideravamo, ferirci perché troppo orgogliosi per ammettere i nostri errori e ritrovarci, perché nonostante tutto non potevamo fare a meno di noi, delle nostre anime intrecciate.

Ed ora che mi ritrovo in una stanza distrutta, vittima della mia rabbia, piena di rimpianti e delusioni, credo di provare piacere a farmi del male, a sentirmi incompleta, a distruggere tutto ciò di buono che con fatica creo intorno a me.

La parola fine alla nostra avventura è segnata e non so se questo corrisponde alla realtà o se è solo un incubo, da cui mi risveglierò e magari aprendo gli occhi lo vedrò accanto a me, con un sorriso smagliante e due occhi color nocciola che prestano attenzione solo a me, e nel mio animo proverò un immenso sollievo.


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