Sei morto?
È Halloween. Dovrei pensare a premunirmi di caramelle e dolcetti ma continuo a pensare a domani. A quando partirò per il torneo. L'allenatore mi ha severamente vietato di andare a dormire tardi per presentarmi ben riposata agli sponsor della squadra.
Daniel, da buon compagno di squadra, mi ha chiesto di trovarci al parco per allenarci un po' fra di noi e scaricare l'ansia, ma mi ritrovo ad aspettarlo da ben mezz'ora seduta sulla panchina, sotto al gazebo di pietra.
Comincio a preoccuparmi. Non è mai arrivato in ritardo. Sto per prendere il cellulare e chiamarlo quando finalmente lo vedo. Corre trafelato sul viale del parco, con la sacca caricata su una spalla, da cui spuntano le impugnature delle armi.
«Credevo fossi morto» scherzo, alzandomi per salutarlo: «Non arrivavi più».
«Perdonami. Sono stato trattenuto» risponde, piegandosi sulle ginocchia per riprendere fiato.
«Da uno zombie?».
«Quelli non escono col sole, o almeno non dovrebbero».
«Dai, non battiamo la fiacca» gli sorrido: «Sciabola, fioretto o spada?».
«Iniziamo col fioretto».
Daniel si beve un sorso d'acqua, mentre vado a raccogliere la mia arma rimasta sulla panchina. Senza l'imbragatura a proteggerci il volto e il corpo fingiamo di colpirci, senza mai arrivare davvero all'obiettivo.
Mi bastano poche stoccate per batterlo e capire che ha la testa da un'altra parte.
«Guarda che con il fioretto il bersaglio valido è solo il busto, stai facendo soltanto dei falli» lo rimprovero: «Non è mica una sciabola».
«Scusami, Myra».
«Sei troppo ansioso, che ti prende?».
«Vedi, io...».
Non fa in tempo a completare la frase che un pallone lo sfiora proprio davanti al naso, schizzando via.
«Scusa, amico» grida un ragazzino rivolto verso di noi. Sta giocando con un altro gruppetto di suoi coetanei sul prato.
«Sta più attento!» gli risponde Daniel, trattenendo a stento il nervoso, mentre vado a recuperare la palla per rilanciarla ai suoi proprietari.
«Allora?» insisto, inarcando un sopracciglio: «È per domani?».
Daniel si spazzola a disagio la manica del giubbotto imbottito. «Finiamo e poi te lo racconterò».
Riprendiamo ad allenarci, quando veniamo di nuovo interrotti dal gruppetto di ragazzini. Questa volta ci chiedono un aiuto per ritrovare il pallone finito nel boschetto che circonda quell'angolo di parco. Sto per rifiutare ma Daniel accetta per entrambi.
Il sole sta scendendo e una leggera nebbiolina abbraccia gli alberi. Abbiamo deciso di dividerci per fare prima.
Non so da quanto tempo sto frugando fra i cespugli alla ricerca di quella dannata palla ma sento freddo ai piedi.
Una mano mi afferra per il braccio, facendomi sussultare.
«Il tuo amico si è fatto male» mi dice il ragazzino che ha perso il pallone. Ha le mani sporche di rosso, un rosso che ha sporcato anche me.
Mi agito e gli chiedo di portarmi da lui.
Le foglie scricchiolano sotto ai nostri piedi.
«Eccolo. È lì!» mi indica. Per terra c'è un suo amico, svenuto. Daniel è inchiodato al tronco di un albero con una sciabola che gli perfora il petto.
Oh Dio.
Deglutisco, riconoscendo la mia arma.
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