Exit

«Prova a sbattere le palpebre cinque volte con l'indice infilato nella narice destra. Ah e dovresti trattenere anche il respiro».

«Mmmh no, non credo che lo farò, nonna». 

«Perché no? Qui lo fanno tutti, magari funziona e ti riporta a casa». 

Sospiro affranto. Sono ore che cammino con mia nonna per il tunnel di fronde e radici che mi ha condotto nel regno dei defunti. 

Non mi sembrava ancora vero di poterla vedere e sentire. Sembrava sempre lei, nonna Romualda, come se il tempo si fosse fermato. Effettivamente per lei si era fermato.

Avevamo preso un caffè con dei pasticcini al miele spettrale, parlando del più e del meno, dopo che si era data una calmata e aveva capito che ero ancora vivo. Forse era stato il caffè, non avrei dovuto berne così tanto. 

Mi tasto il polso, premendo con il pollice e la mia espressione tirata si distende quando mi accorgo che c'è ancora battito cardiaco. 

Nonna si sta picchiettando un dito sulla guancia. «Ci sono! Avrai detto qualche formula magica per venire fin qui. Ripetila ma al contrario!». 

«Ho detto: "Vattene via, brutto cagnaccio" al pastore tedesco che mi stava inseguendo» le racconto per la quinta volta.

«E poi che cosa è successo?». 

«La strada si è trasformata e mi sono ritrovato qui nel bosco».

«Brutto cagnaccio? Davvero? Non ti facevo così educato...» mi da una pacca affettuosa sulla spalla, sorridendo incoraggiante. «Dai prova la mia teoria».

«Oiccagnan...» tento, ma è davvero difficile parlare al contrario. 

Nonna mi osserva scettica. 

«Per quanto vorrei che tu stessi qui ancora un po' devi tornare a casa, prima di mezzanotte. Il velo tra questi mondi è così sottile solo ad Halloween» mi rivela. «Sicuro di non aver fatto nessuna seduta spiritica?». 

«Sicuro». 

«Va bene. Tieni questo». Mi rifila tra le mani un piccolo centrino di merletto apparso dal nulla. «Devi darlo a tua madre, le servirà presto». 

«Ok». Lo piego in due e lo infilo nella tasca dei jeans. «Se le racconto come l'ho avuto non mi crederà mai». 

«Puoi dirle che lo hai trovato dentro casa mia».

«Nonna, non c'è più. Nemmeno la tua casetta sull'albero...».

«Se avessi un cuore farei un infarto». Nonna si porta una mano al petto con fare melodrammatico. «Oh! Oh!» si agita all'improvviso. «Ti vedo più sfocato. Lo sapevo che bastava darti una missione, come con i fantasmi» sorride trionfante: «Vieni a trovarmi ancora, d'accordo?». 

Non faccio in tempo a risponderle che mi sento strattonare via da qualcosa. Sbatto le palpebre e al posto di nonna e della nebbia evanescente del bosco vedo due ragazzini; uno di loro ha una maschera da Frankenstein tirata sui capelli e mi sta punzecchiando il piede scalzo con un rametto.

«La mia scar-pa?» biascico, confuso. 

Loro scappano impauriti, risalendo il pendio del fossato.

Mi sollevo con calma. La mezzanotte rintocca lontana. Mi pulisco le mani sporche di terra sui pantaloni e mi accorgo del centrino ripiegato. Profuma di pino e pasta fresca, l'odore di nonna. Che strana esperienza premorte!

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