Dietro quella porta


Sbuffo.

Attraverso la grata del cancello semiaperto e percorro lo stretto vialetto di ghiaia fino alla porta della vecchia casa di mattoni rossi. 

È sicuramente uno scherzo, non sono lì dentro.

Tra tutti i possibili posti dovevano scegliere proprio questo.

Busso tre volte, dal momento che non c'è un citofono, ma nessuno apre la porta.

Uno spiffero freddo mi provoca un brivido lungo la schiena, sotto al cappotto.

Ho davvero una brutta sensazione.

«Idioti!» borbotto a voce alta. Magari Alan e gli altri sono nascosti dietro qualche cespuglio, pronti a spaventarmi... O sono davvero all'interno della casa, al buio, a fare una specie di seduta spiritica.

Un sospiro frustrato si condensa in una nuvoletta di vapore sfuggendomi dalle labbra, mentre mi appoggio con la schiena allo stipite. Frugo con uno sguardo il giardino incolto attorno alla casa, ma non noto nessun movimento, a parte un gufo che bubbola. 

Se mi stavano osservando non gliela avrei data vinta tanto facilmente.

Mi volto verso la casa e armata di coraggio busso di nuovo.

«Toc. Toc.» dico ironica.

La mia mano, come spinta da una forza sovrannaturale, si posa sul pomello di ottone arrugginito.

«Chi è?».

Non capisco subito la vocina che mi risponde. Non fa parte della mia immaginazione, ma proviene da dietro l'anta di legno scuro.

«Sono io... Julia» rispondo stupita.

La porta cigola e faccio appena in tempo a fare un passo indietro per evitare il battente che si spalanca.

Mi aspetto di vedere il volto mascherato di Alan o Joseph. Invece nel corridoio non c'è nessuno.

Avanzo nella semioscurità, facendo luce con la torcia del cellulare. Ci sono soltanto mobili vecchi, impolverati, dallo stile barocco.

«Il vostro scherzo è finito!» urlo. 

I lampioni dalla strada illuminano ancora l'uscita aperta. Forse dovrei tornare indietro.

Tum.

Un rumore proveniente da una stanza adiacente attira la mia attenzione. Sfodero un sorriso vittorioso pronta a smascherarli quando scorgo quattro figure, ma non sono i miei amici. 

Sono uomini seduti su poltrone rovinate, hanno le gambe caprine e indossano delle giacche eleganti. Uno di loro allunga la mano dalla pelle emaciata verso un piccolo tavolino da tè e  afferra con due dita scheletriche una gelatina colorata posata su un vassoio d'argento. 

Allibita sbatto le palpebre. 

Tum.

Tum. 

Il mio fascio di luce illumina una bambina in un angolo. Sta suonando un violino da cui non proviene alcuna musica e continua a sbattere il gomito contro il muro quando tira indietro l'archetto. La sua veste candida svolazza al ritmo di un vento invisibile.

Uno degli uomini si volta verso di me. Ha gli occhi gialli. I capelli neri impomatati. Si lecca le labbra... o meglio i denti. 

Sto per urlare ma mani gelide mi tappano la bocca e qualcosa di affilato mi preme sul retro dell'orecchio. Tento di divincolarmi.

Il telefono mi cade e tutto si fa buio.

Fatico a respirare.

Una scossa di dolore. 

Un liquido caldo mi si appiccica alla pelle.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top