50 - Silenzio
Carmela girava per la piccola stanza di camera sua, toccandosi il viso con le mani in preda all'ansia. Sua figlia, Felipa, dormiva beata nella sua culla, ignara del dramma che stava vivendo la madre.
La donna controllò un'ultima volta che la figlia fosse serena, poi uscì dalla stanza e si chiuse la porta alle spalle.
Non fece in tempo a riprendere fiato che José apparve sulla soglia con passo deciso.
"Carmela" esordì perentorio facendola sobbalzare "prima o poi dovrai ammettere la verità"
La donna si portò una mano sul cuore e puntò l'altra verso l'uomo con fare minaccioso "Vattene, José. Le tue sono solo menzogne"
Il viso dell'uomo si rabbuiò: "Come puoi? Come puoi dimenticare la nostra notte di passione?"
"Tu sei pazzo" sentenziò lei, spalancando gli occhi con stupore.
"Sì" sospirò lui, avvicinandosi "sono pazzo di te, mio amore"
"Io amo Gonzalo" gridò frustrata lei, allontanandosi di un passo e ritrovandosi con le spalle al muro.
"Lui neanche si ricorda di te" sottolineò José, supplicandola con gli occhi.
Carmela rimase in silenzio, era troppo doloroso ripensare la situazione, così si limitò ad abbassare lo sguardo.
"Quella notte di passione, c'era il chiaro di luna che si rispecchiava sull'oceano, lo scrociare delle onde sulla sabbia" prese a raccontare José con occhi sognanti "io e te al buio di uno scoglio ci siamo amanti senza vergogna. Come puoi rinnegarlo?"
Carmela sollevò gli occhi su di lui e notò speranza dello sguardo di lui, tuttavia non poteva dargli la risposta che lui voleva sentire.
"Io non so di cosa stai parlando..." iniziò a dire, quando una voce femminile interruppe quella conversazione.
"Quella non era Carmela, José. Quella ero io" Pualina fece il suo ingresso con il mento alto e le spalle dritte.
Sia Carmela che José rivolsero la loro attenzione alla nuova arrivata con un'espressione di stupore.
La gemella di Carmela era tornata.
La pubblicità dei nuovi assorbenti con le ali a incastro perfetto interruppero quella nuova rivelazione che lasciò Cecilia, come sempre, con il fiato sospeso.
"Accidenti" mormorò tra sé e sé, mentre spegnava lo schermo del televisore con il telecomando, cominciava a perdere il senso della trama di quella telenovelas.
Con un sospiro si spostò verso il comodino e prese il diario della madre, tornando a guardare la lista e studiando quello che ancora doveva spuntare.
C'era una voce che inizialmente la spaventava ma, dopo gli avvenimenti delle ultime settimane, credeva che avrebbe potuto aiutarla a liberarsi della miriade di sensazioni che provava.
Scorse con il dito su quella parole che le rimbombavano nella testa: urlare al vento.
Era domenica quindi non aveva scuola, faceva freddo, quindi non c'era molta gente in giro, era una giornata nuvolosa, quindi sarebbe stato tranquillo fuori.
Infilò un maglione pesante, prese il cappotto, salutò suo padre che guardava la televisione e uscì di casa con la convinzione che avrebbe portato a termine la sua missione.
Attraversò diverse vie della città, senza però allontanarsi troppo da casa, percorse un marciapiede in salita e raggiunse un piccolo parco che si trovava sulla cima di una collinetta.
Quel breve tratto di strada le aveva comunque procurato una certa fatica, così si sedette un attimo su una delle altalene mentre nuvolette di condensa si formavano davanti alla sua bocca.
Osservò l'ambiente circostante, c'erano diversi giochi dismessi per bambini, poco prato e tanta terra. Qualche panchina che si affacciava su un discreto panorama della città, ma non si vedeva anima viva.
Meglio così, pensò Cecilia, mentre si aiutava con le mani a rialzarsi per avvicinarsi a una delle panchine. Raggiunse il limite di quel triste parco e osservò la miriade di costruzioni ai piedi di quel piccolo pendio. Raccolse aria nei polmoni, chiuse gli occhi e poi... rilasciò l'aria e abbassò le spalle.
Si sentiva stupida a gridare da sola su una collina, ma non voleva ancora tornare a casa, così raggiunse sull'altalena e si sedette, in attesa che il coraggio che le serviva trovasse spazio dentro di lei.
Proprio mentre tentava di raccogliere le sue intenzioni, una telefono squillò nel silenzio, spaventandola.
Cecilia di guardò intorno cercando di identificare la fonte di quel rumore ma si rese conto che proveniva al di là del muro che delimitava il parco.
Stava per alzarsi abbandonando la sua missione, quando la sua voce profonda fece breccia nelle sue orecchie.
"Pronto?" sentì dire da Bruno, con tono brusco.
Cecilia trattenne il fiato pero lo stupore. Cosa ci faceva lui in quel posto sperduto?
Cosa doveva fare lei adesso?
"Cosa vuoi?" stava chiedendo il ragazzo al suo interlocutore telefonico, non sembrava felice di quella conversazione.
Ci fu un momento di silenzio durante il quale Cecilia si chiese se fosse il caso di andarsene, stava origliando una conversione privata. Tuttavia, il desiderio di conoscere meglio Bruno prevalse e i suoi piedi decisero di restare inchiodati al terreno, le mani avvolte intorno alle catene fredde dell'altalena e le orecchie tese in direzione di Bruno.
"No" disse il ragazzo perentorio "devi smetterla di chiamarmi, papà. Non mi interessa quello che hai da dire"
Silenzio ancora.
"Basta" quasi gridò Bruno "sono stufo dei tuoi commenti, delle critiche, delle apparenze, delle decisioni che prendi per me"
Nuovo silenzio. Cecilia quasi poteva percepire il fiato corto di Bruno, nonostante lo spazio che sperava le loro posizioni.
"Sei mio padre" sentenziò freddo Bruno, cambiando totalmente approccio "ma non ti considero più tale"
Cecilia spalancò gli occhi e si rese conto che stava trattenendo il respiro. Decisamente non avrebbe dovuto ascoltare oltre.
Si alzò dall'altalena e mosse qualche passo per raggiungere la strada dalla quale era venuta, quando Bruno fece la sua comparsa quasi davanti a lei.
Non era più al cellulare, aveva le mani infilate nelle tasche della giacca di pelle, i capelli arruffati e un'espressine cupa sul volto che quasi fece spaventare la ragazza.
O forse era il senso di colpa a spaventarla.
"Cecilia?" domandò perplesso Bruno, quando la vide camminare furtiva tra la terra di quel posto sempre vuoto.
Lei puntò i suoi occhi per terra e deglutì alla ricerca di una qualche giustificazione plausibile ma, non trovandola, rispose semplicemente: "Ciao"
Bruno la studiò in silenzio e, quando lei gli lanciò un'occhiata furtiva piena di sensi di colpa, capì che aveva sentito tutto quello che aveva detto al padre.
Sospirò infastidito e tentò di mantenere il controllo. Avrebbe tanto voluto prendere a pugni il sacco da boxe, ma la palestra era troppo lontana. Estrasse dalla tasca il pacchetto di sigarette, ne prese una e la portò alla bocca.
Poi si avvicinò alle altalene, si sedette sopra quella di destra, recuperò l'accendino e lo avvicinò alla sigaretta, inspirando.
Almeno quella l'avrebbe aiutato un minimo a calmare i nervi, anche se non bastava mai dopo aver sentito la voce del padre.
Cecilia intanto era rimasta ferma sul posto, temeva di averlo fatto arrabbiare e non aveva idea di quale fosse la mossa successiva. Decise che doveva andarsene, prima di peggiorare ulteriormente la situazione.
Doveca scappare, come faceva sempre.
Eppure, i suoi stupidi piedi, agirono da soli e la riportano indietro, vicino a Bruno. Senza nemmeno rendersene conto, si sedette sull'altalena di sinistra e cominciò a dondolarsi leggermente.
In silenzio.
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