48 - T

Rimasero stretti l'uno all'altro per diverso tempo. Cecilia non si era mai sentita così al sicuro e Sergio non si era mai sentito così sereno come in quel momento.

Non provava tanta pace da molto tempo.

Lentamente si separarono e si guardarono con attenzione, quel muto contatto stava a significare che il muro tra loro era finalmente caduto e non ci sarebbero più stati segreti.

Sergio poi fece per tornare alla sua torta, mentre Cecilia si avviò verso la sua camera quando, improvvisamente, si rese conto che c'era qualcosa che non gli aveva detto.

Si fermò e girò su sé stessa, ritrovandosi a guardare la figura indaffarata del padre che aveva ripreso il mestolo e il suo intruglio indefinito.

"Papà" esordì con un poco di esitazione, quello che stava per dire avrebbe potuto farlo arrabbiare.

Sergio si voltò verso di lei con un'espressione a metà tra il curioso e l'affettuoso.

"C'è qualcosa che non ti ho detto" la voce le tremava leggermente, ma non poteva tirarsi indietro proprio ora.

Sergio rimase fermo a guardarla, in attesa che continuasse.

"Ho trovato una cosa... no anzi... ho preso una cosa" balbettò lei, nel disperato tentativo di cercare le parole giuste.

"Cosa?" domandò ingenuamente Sergio, che cominciava a domandarsi il perché dell'agitazione della figlia. Credeva che il peggio fosse passato, ma forse si sbagliava.

"Ecco" riprese lei, portandosi i bordi della felpa oltre i polsi, come era abituata a fare quando era nervosa "un diario della mamma"

Sergio tentò di elaborare quanto sentito, poi ripeté: "Un diario?"

Cecilia notò l'espressione sul suo viso farsi sempre più sorpresa, stava realizzando.

Decise di non lasciarlo parlare, volevo spiegarsi, voleva giustificarsi prima di essere sgridata ma, soprattutto, voleva tenersi il diario.

"Io l'ho trovato per caso, lo giuro. Però aveva il profumo della mamma, come quel suo vestito che tieni nella scatola. Era così buono e mi ha riportato alla mente il suo viso sorridente e il modo in cui camminava sicura tra la gente. Come indossava quel vestito senza paura. Ho provato il desiderio di essere come lei, non volevo dimenticarla e volevo somigliarle. Volevo conoscerla meglio. Tu non parli spesso di lei quindi i suoi ricordi nella mia testa stavano cominciando a svanire e io..."

La ragazza prese fiato, aveva parlato velocemente per non essere interrotta, il viso di Sergio era tornato a essere serio e il mestolo era di nuovo stretto nella sua mano sinistra, a mezz'aria.

"Tu..." cercò di capire Sergio "hai preso uno dei suoi diari..." la sua voce non sembrava arrabbiata, solamente sorpresa.

Cecilia annuì timidamente e sussurrò: "Volevo solo la mia mamma..."

Sentendo quelle parole, il cuore di Sergio ebbe un sussulto.

Lui aveva perso sua moglie, ma Cecilia aveva perso la sua mamma. Sergio era stato tanto impegnato a curare le sue ferite che si era scordato di fasciare quelle della figlia, almeno riguardo questa parte della sua vita.

Aveva pensato che nascondere ogni parte di lei avrebbe aiutato entrambi a superare la perdita, ma non aveva considerato che Cecilia aveva già oltrepassato quella fase e voleva solamente ricordare sua madre.

Il suo sguardo si addolcì e la sua voce si fece tenera: "Hai ragione, tesoro. Puoi tenerlo, è tuo quanto mio"

Cecilia gli rivolse un sorriso radioso e quasi saltellò sul posto, non pensava che lui sarebbe stato tanto accondiscendete, era sempre suscettibile sull'argomento, per questo lei evitata di chiedere. Per questo gli aveva tenuto nascosto il diario.

"Grazie, papà" disse Cecilia prima di voltarsi per tornare in camera sua tuttavia, la voce del padre la costrinse a rivoltarsi nella sua direzione.

"Ti prometto" disse lui, il mestolo ancora a mezz'aria "che parleremo più di lei. Dammi solo tempo"

Cecilia sorrise comprensiva e annuì lievemente, era sicura che sarebbe stato così, era disposta a dargli tutto il tempo di cui lui aveva bisogno.

Cecilia oltrepassò la porta di camera sua e la chiuse alle sue spalle. Si sentiva la testa piena di pensieri, il cuore pieno di emozioni, ma allo stesso tempo provava una leggerezza che non aveva mai sperimentato.

Con una giravolta su sé stessa si lasciò cadere sul letto a braccia aperte e atterrò con la schiena sul materasso. Fissò il soffitto per qualche secondo, rielaborando la conversazione appena avuta.

Era felice di essersi chiarita con suo padre, era felice di aver parlato del diario ed era felice anche di aver tirato i capelli di Guenda.

Era felice di come stava diventando o forse, di come era sempre stata e finalmente si stava lasciando andare.

Con un agile movimento di voltò sulla pancia e allungò una mano per aprire il cassetto del comodino dal quale estrasse il diario e una penna.

Il profumo di vaniglia le invase le narici non appena aprì le pagine di quel libro tanto prezioso. Scorse le pagine fino alla lista e la studiò con attenzione. Mancavano ancora diversi punti per completarla, ma Cecilia si sentiva sempre più vicina a sua madre.

Un pensiero le attraversò la mente, certo, era il diario di sua madre, ma poteva lei aggiungere un tocco personale?

Poteva fare ancora parte della sua vita come in passato?

Decise che sì, poteva. Con la mano un po' tremante, aggiunse una punto alla fine della lista. Quando finì di scrivere, osservò con attenzione le lettere che si susseguivano una dopo l'altra e si sentì fiera di sé stessa.

Si rese anche conto che la sua scrittura somigliava tremendamente a quella della madre e ciò la rese ancora più felice.

Prima di chiudere quelle pagine con delicatezza, spuntò la frase che aveva appena scritto. Tra le tante cose che sua madre aveva ritenuto di dover portare a termine, si era dimenticata forse della più importante.

Per questo Cecilia aveva deciso di aggiungerla: difendersi da sola.

Bruno sbuffò mentre attraversava le porte dell'ascensore e imboccava il corridoio che conduceva al portone principale.

Non era accettabile che toccasse ancora lui portare fuori la spazzatura. Carola inventava sempre una scusa, la maggior parte delle volte stupida. Bruno aveva evitato di discutere con lei, perché sapeva quanto fosse abbattuta nell'ultimo periodo ma sperava davvero di non incontrare nuovamente quella vecchia davanti ai bidoni.

Era stato divertente zittirla ma non sopportava sentirsi rivolgere certi insulti, per quanto innocenti fossero. Gli ricordavano troppo le frasi sprezzanti che pronunciava suo padre, soprattutto riferite al suo daltonismo.

Aprì il portone e seguì il perimetro dell'edificio per raggiungere la zona dei bidoni. Il cielo era già scuro e la via era scarsamente illuminata dai lampioni. Bruno sperava di ricordare l'ordine dei bidoni così da non sbagliare ma, quando giunse sul posto, si bloccò, sorpreso.

Non c'era nessuno, per fortuna ma, su ogni bidone prima spoglio, c'era attaccata un'etichetta con scritto sopra la sua destinazione: umido, plastica, carta, indifferenziata, vetro.

Bruno piegò la testa di lato come ogni volta che qualcosa lo incuriosiva, si avvicinò con un lieve sorriso sulle labbra e buttò ogni sacchetto nel bidone giusto.

Prima di andare via si soffermò ancora su quelle etichette. Qualcuno aveva pensato di aiutarlo e, la conclusione più ovvia, sarebbe stata che fosse la vecchia signora, forse sentendosi in colpa per come l'aveva trattato.

Tuttavia, un piccolo dettaglio attirò la sua attenzione e un ricordo improvviso, un ricordo che credeva di aver rimosso, affiorò dalla sua memoria.

Era stato quando stavano preparando la festa a sorpresa per Carola. Fabio, con la sua solita agitazione, aveva sgridato Bruno per non aver ricordato le cose che doveva fare e gli aveva consegnato una lista per aiutarlo a non sbagliare.

Bruno aveva studiato la lista con poca attenzione, consapevole che l'avrebbe dimenticata della tasca della giacca di pelle ma, per il semplice gusto di prendere in giro Fabio, aveva notato un buffo modo di scrivere una lettera.

"Perché la T sembra una croce?" aveva chiesto con tono ironico.

Fabio aveva dato un'occhiata veloce al foglio e poi aveva risposto: "Non l'ho scritto io quello. È stata Cecilia"

Bruno aveva osservato ancora quella strana T e aveva pensato che non era buffo solo il modo in cui si comportava quella ragazza, ma anche la sua scrittura.

In quel momento, sotto la luce fioca dei lampione e con il fiato condensato davanti alla bocca per il freddo invernale, Bruno notò che sopra quelle etichette, la T era scritta esattamente allo stesso modo. Esattamente come una croce.

Non sapeva come lei avesse scoperto del piccolo incidente che lui aveva avuto qualche sera prima e non sapeva per quale motivo si era presa il disturbo di aiutarlo senza nessun tornaconto.

Ma, rientrando verso il suo appartamento con le mani infilate nelle tasche della tuta grigia, non potè evitare di stamparsi uno stupido sorriso dalle labbra. 

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