47 - Impasto
Avevano chiamato suo padre. Avevano davvero chiamato suo padre. Cecilia non poteva credere che stesse succedendo nuovamente, aveva agito d'impulso e questo era il risultato.
Non solo aveva deluso la persona più importante della sua vita, ma l'avrebbe anche fatta piangere. Ancora.
Non poteva sopportare la vista della sua figura abbattuta a bordo letto con la testa tra le mani, quindi scosse la testa con decisione e fece un sospiro di sollievo.
Era seduta sull'autobus che la stava riportando a casa, dopo una ramanzina di quindici minuti che il preside aveva rifilato a lei, Emma e Guenda, nonostante non fosse una studentessa della sua scuola.
Quando poi erano finalmente uscite dal cortile della scuola, Guenda aveva lanciato un'occhiata di fuoco a entrambe le ragazze senza aggiungere una parola. Cecilia e Emma invece si erano avviate alla fermata dell'autobus.
In silenzio.
Cecilia sollevò lo sguardo e lo rivolse alla persona seduta davanti a lei, una fila di posti più distante, ma a quell'ora il mezzo era quasi vuoto quindi Emma le restituì un'espressione annoiata, le braccia incrociate al petto e i capelli ancora spettinati.
La bionda alzò gli occhi al cielo sotto l'insistenza del contatto visivo di Cecilia e sbuffò: "Non aspettarti un grazie"
Cecilia rimase un attimo sorpreso dal tono sprezzante che la ragazza continuava a usare, ma non poteva aspettarsi un comportamento migliore da una persona tanto orgogliosa, che era appena stata ferita. Tuttavia, dentro di lei, riemerse un poco del coraggio che aveva avuto prima e, con voce più sicura del solito, rispose: "Non l'ho fatto per te"
Emma piantò le sue pupille in quelle di Cecilia e la studiò per qualche secondo, evidentemente non era in grado di spiegarsi lo strano comportamento della sua compagna. Così Cecilia aggiunse, fissandola con decisione: "È che odio i bulli"
Sul volto di Emma si dipinse una smorfia ma non replicò oltre, distolse lo sguardo e lo puntò fuori dal finestrino, mentre con una mano tornava a massaggiarsi la testa dolente.
Sulle labbra di Cecilia emerse un lieve sorriso vittorioso, era la prima volta che riusciva a mettere a tacere la sua aguzzina, era un piccolo passo per qualcuno ma un grande traguardo per lei.
L'autobus si fermò vicino al marciapiede e mentre le sue porte si aprivano, Emma si alzò in piedi per scendere ma, poco prima di lasciare il mezzo, si voltò verso la sua compagna, le rivolse un'espressione quasi riconoscente e disse: "Ciao Cecilia".
Cecilia rimase sbalordita. Non aveva detto ciao sfigata o ciao mucca, dalla sua bocca era uscito ciao Cecilia.
Cecilia.
La ragazza ancora non poteva saperlo, ma quella piccola mossa che aveva compiuto in favore della sua aguzzina, aveva decretato la fine della guerra che Emma conduceva da tempo contro di lei. Cecilia non poteva ancora saperlo ma da quel giorno, Emma non l'avrebbe più infastidita.
Perché qualche volta anche un piccolo gesto poteva scatenare grandi conseguenze.
Davanti alla porta di casa, Cecilia esitò. Sapeva che suo padre era dentro, la stava aspettando. Sperava di non trovarlo abbattuto, depresso o peggio ancora in lacrime. Il senso di colpa che aveva nel petto non le permetteva quasi di respirare.
Volevo solamente girarsi e scappare. Voleva solamente correre senza una meta, rifugiarsi in qualche luogo sicuro dove nessuno l'avrebbe mai trovata. Tuttavia, non poteva lasciarlo solo con il suo dolore.
Perciò, nonostante il groppo in gola e il respiro pesante, la ragazza girò le chiavi nella serratura e oltrepassò l'uscio.
Sergio era lì, in cucina. Stava impastando qualcosa in un grande recipiente e c'era farina sparsa per tutto il tavolo. Quando sentì dei rumori alle sue spalle, si voltò e guardò la figlia con occhi severi. Cecilia si sentì sprofondare.
Lanciò uno sguardo veloce alla sua camera, tentò di capire se correndo avrebbe potuto raggiungerla prima che lui dicesse qualcosa, ma si sentì più codarda del solito.
Non era la stessa ragazzina del passato che si nascondeva dietro una porta chiusa, che ignorava il dolore del padre, che lo lasciava soffrire nel buio.
Deglutì con forza e si avvicinò al tavolo, abbassando però la sua attenzione sul mestolo sporco di una sostanza gialla, stretto nella mano sinistra del padre.
"Cecilia" esordì lui con tono duro "siediti un momento"
Lei non osò disobbedire e fece come le era stato ordinato. Spostò una sedia dal lato opposto rispetto a lui e prese posto. Sergio fece altrettanto.
Un poco di farina che era sparsa sopra al tavolo si sollevò con quello spostamento e aleggiò tra di loro per qualche secondo. Il silenzio calò nella stanza, ma la tensione aumentò notevolmente.
Sergio si schiarì la voce e, solo in quel momento si rese conto che aveva ancora nella mano il mestolo. Si guardò intorno e decise di poggiarlo sul tavolo, ormai sporco.
"Raccontami cos'è successo" dichiarò con serietà, tornando a guardare la figlia.
Cecilia si sentì sotto esame. Aveva mentito al padre per tanto tempo. Gli aveva fatto credere che a scuola andava tutto bene, che aveva della amiche, che nessuno la infastidiva. Poteva continuare con questa menzogna oppure doveva finalmente rivelargli ogni cosa?
Rimase in silenzio per diverso tempo, valutando le diverse opzioni. Studiò con attenzione l'uomo seduto davanti a lei: i capelli ormai grigi un po' spettinati sulla testa, gli occhi all'apparenza severi che nascondevano tanta preoccupazione, le guance sporche di impasto, finito sul suo viso chissà come.
La camicia elegante sotto al grembiule bianco anch'esso sporco di vari ingredienti, le mani chiuse a pugno come a trattenere le tante emozioni che stava provando in quel momento.
Fu proprio quel contrasto, la camicia elegante che indossava al lavoro, la sicurezza che mostrava, contro il grembiule sporco che portava solamente quando era in casa, la sua fragilità. Era Cecilia l'unica alla quale la mostrava, anche se forse lui nemmeno se ne rendeva conto.
Cecilia fu pervasa da un grande tenerezza nei suoi confronti e si rese conto che no, non poteva mentire ancora a quell'uomo che le aveva dedicato tutta la sua vita. Anche se avrebbe fatto male a entrambi, doveva dire la verità.
Fece un profondo respiro e gli raccontò cos'era successo veramente. Gli spiegò anche che Emma la infastidiva da tanto tempo e che lei gli aveva sempre mentito.
Gli spiegò che la sua unica amica era Carola e che non era più nemmeno così, gli confessò che ovunque andava la gente la fissava e lei si sentiva a disagio.
Gli confessò ogni cosa e lui rimase in silenzio ad ascoltare. Ogni tanto apriva di più gli occhi, ogni tanto stringeva maggiormente i pugni, ogni tanto contraeva la mascella, ma non intervenne in nessuno modo. Lasciò che la figlia finisse di sfogarsi e, dentro di sé, si rese conto che sapeva già tutte queste cose.
Non nel dettaglio, certo, ma si rendeva conto che Cecilia quando rientrava a casa aveva un luce triste negli occhi, celata da un sorriso finto.
Si rendeva conto che le raccontava storie inventate sulle sue amiche, ma in realtà era sempre rinchiusa in quella stanza.
Si rendeva conto che non voleva essere vista dalle persona, notava le felpe larghe e i vestiti lunghi che indossava.
Nel profondo, aveva sempre saputo queste cose ma, per proteggere sé stesso dal dolore, aveva sempre creduto a tutto quello che lei le raccontava. Aveva sempre scelto di guardare all'apparenza e non a ciò che si celava dietro essa.
Non era stata una scelta volontaria. L'aveva fatto inconsapevolmente. Il suo cuore aveva deciso di proteggerlo da ulteriore sofferenza, ma così facendo, aveva finito per far soffrire sua figlia.
Cecilia aveva ormai smesso di parlare e il silenzio era nuovamente calato tra loro. La ragazza non sapeva cosa fare, lui non sembrava aver avuto nessuna reazione, era fermo che la fissava e sembrava perso nei suoi pensieri.
Forse aveva sbagliato a svelare la verità, forse...
Improvvisamente, una lacrima fuoriuscì dall'occhio destro di Sergio e cadde sulla sua guancia, scontrandosi con un grumo di impasto che si trovava sulla sua traiettoria.
Cecilia si congelò, stava succedendo proprio quello che più temeva: suo padre stava piangendo.
Colta dal panico, si alzò dalla sedia e portò entrambe le mani davanti a sé, in direzione del padre, come a voler arginare quella reazione.
"Mi dispiace" balbettò "dimentica tutto, non era la verità" mentì, non sapendo che altro fare.
Sergio scosse la testa mentre le lacrime continuavano a scendere. "No" disse con voce tremante "a me dispiace"
Cecilia rimase ferma, in piedi dall'altra parte del tavolo, le mani ancora allungate davanti a sé.
"Avrei dovuto vederlo, avrei dovuto capirlo" sollevò il suo sguardo verso quello di Cecilia e le rivolse un'espressione colpevole.
"No" replicò Cecilia, il groppo che aveva in gola sempre più opprimente "non potevi saperlo... io non volevo fartelo sapere perché..." un singhiozzo impedì a Cecilia di continuare ma, dopo un profondo respiro, riprese "... perché mi vergognavo"
Sergio, sentendo quelle parole, si alzò dalla sedia, fece il giro del tavolo e si portò di fronte a Cecilia. Le prese le mani tra le sue e, con voce decisa, le disse: "Tesoro, tu non hai nulla di cui vergognati. Mi dispiace se non sono stato il padre che avrei voluto essere, ma ci ho provato con tutto me stesso"
Sergio assunse un'espressione abbattuta, ma Cecilia ricambiò con un sorriso sincero. "Sei il padre migliore che potessi desiderare. Solo vorrei fossi più bravo in cucina" scherzò la ragazza, pulendolo con il dito da un poco di impasto che si trovava sul suo mento.
Sergio sollevò le sue labbra in un sorriso affettuoso e strinse più forte le mani della figlia, tuttavia lei riprese a dire: "Mi dispiace se non sono la figlia che pensavi io fossi. Ma ci ho davvero provato."
Un lampo di tristezza attraverso gli occhi di Cecilia, si era rivelata totalmente al padre e aveva il terrore di averlo deluso.
Sergio portò una mano sulla guancia della figlia e la accarezzò teneramente, per poi sentenziare: "Non potrei essere più fiero di quello che sei, così come sei"
Il groppo che aveva in gola Cecilia, si sciolse lentamente sentendo quelle parola. Tutte le emozioni che stava provando in quel momento defluirono fino ai suoi occhi e calde lacrime presero a scorrere sul suo viso.
Il padre allora la attirò a sé e la avvolse in un abbraccio stretto, silenzioso, ma più significativo di tutte le parole che si erano detti.
Non importava se la cucina era un disastro e non mangiavano mai un pasto completo.
Non importava se le persone per strada lanciavano continui sguardi alla pelle di Cecilia.
Non importava se Sergio stava ancora tentando di superare il dolore per la perdita della moglie.
Non importava se Cecilia stava tentando di ricordare le sensazioni che trasmetteva la madre.
Non importava nemmeno se il grembiule di Sergio era completamente impastato e stava sporcando tutti vestiti di Cecilia.
Padre e figlia erano stretti in un abbraccio che significava ogni cosa. Lui ci sarebbe sempre stato per lei. E lei ci sarebbe sempre stata per lui.
Erano loro due, così com'erano.
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