3 - Pezzo da museo
Fabio si curvò leggermente sulla sinistra per affrontare l'ultima curva che lo sperava dal cancello d'ingresso della scuola e la sua moto da cross verde assecondò i suoi movimenti, rallentando nel momento esatto in cui il ragazzo faceva il suo ingresso nel cortile interno dell'edificio dove erano parcheggiate molte altre moto.
Con un movimento agile delle braccia che fece flettere i muscoli della schiena nascosti dalla maglietta bianca, Fabio si sfilò il casco integrale dalla testa e la scosse leggermente per ravvivare i corti capelli rossi.
Diversi sguardi furono catturati da questa sua mossa, ma lui non se ne rese nemmeno conto, tanto impegnato com'era a scendere dal sellino e assicurare la motocicletta.
Agganciò il casco e lo fece pendere lungo il braccio, si sistemò lo zaino sulle spalle e infine sollevò gli occhi, giusto in tempo da notare una serie di mormorii curiosi ed espressioni sorprese apparire sul viso dei presenti.
La maggior parte degli studenti, maschi o femmine che fossero, si erano concentrarti sul cancello d'ingresso, dal quale stavano avanzando due sconosciuti. Camminavano con sicurezza nonostante lo scalpore che involontariamente stavano creando. Fabio conosceva quella sensazione, essere lo studente nuovo non era un'esperienza che avrebbe ripetuto volentieri. Era felice che l'anno precedente fosse passato e ormai nessuno lo considerasse più una novità, soprattutto adesso che due nuovi visi erano spuntati in quel cortile.
Forse poteva sembrare strano un tale comportamento per qualcuno abituato a vivere in una grande metropoli dove nessuno faceva caso nemmeno al proprio vicino di banco, ma in una città piccola come quella dove si trovavano loro, ogni avvenimento veniva ricordato, analizzato, spettegolato.
In particolare in una scuola dove le chiacchiere erano il centro di ogni giornata. Una scuola dove persino la preside voleva restare aggiornata sulle storie degli studenti, di qualsiasi ambito fossero, e si divertiva ad assoldare spie per i corridoio. Una scuola dove ogni occasione era buona per festeggiare qualche ricorrenza, per organizzare qualche evento, per invogliare gli studenti a conoscersi, condividere avventure e intraprendere nuovi interessi.
Come se non fosse già abbastanza facile per gli studenti sapere tutto di tutti.
Eppure, nonostante la notizie corressero alla velocità della luce, ancora nessuno sapeva chi fossero quei due ragazzi che camminavano fianco a fianco verso il portone che conduceva alle varie aule.
La luce del sole illuminava i loro capelli scuri, creando riflessi lucenti su di essi a ogni loro movimento. I loro visi mostravano dei tratti accattivanti e simili tra loro, perciò Fabio ipotizzò che fossero parenti e si prese qualche secondo per studiarli, come stavano facendo tutti gli altri nel cortile.
Il ragazzo aveva un portamento sicuro ma allo stesso tempo rilassato, camminava con una mano infilata nella tasca dei jeans e l'altra sulla spalla a tenere fermo il gancio dello zaino che gli penzolava dalla spalla. Aveva gli occhi verdi puntati verso il portone, come se non gli importasse nulla di ciò che pensavano gli altri di lui, ma sulle sue labbra c'era un sorriso divertito che dimostrava il contrario. Era ben consapevole dell'effetto che faceva sulle altre persone, in particolare sulle ragazze, e la cosa gli piaceva parecchio.
Per tutti i diversi secondi che Fabio si era preso a osservarlo, aveva percepito una certa familiarità, ma non riusciva a collocare quel viso a un lungo preciso che gli riportasse alla mente qualche ricordo, finché improvvisamente, gli occhi gli caddero sulle nocche ferite della sua mano.
Fu allora che riconobbe il ragazzo che colpiva con foga il sacco di boxe alla palestra. Lo stesso ragazzo che aveva invidiato, lo stesso ragazzo che l'aveva incuriosito, lo stesso ragazzo che aveva catturato il suo interesse.
Ma, di qualsiasi interesse si fosse trattato, fu subito oscurato dalla studentesse che gli camminava di fianco. Non appena Fabio posò la sua attenzione su di lei, ne fu rapito. Non era solamente per la sua bellezza, i suoi lunghi capelli scuri, il taglio degli occhi che le conferiva uno sguardo magnetico, l'anello all'angolo del naso che lo intrigava, le labbra carnose che lo attraevano.
Era per il modo in cui cercava di non guardarsi intorno per evitare di scoprire qualcosa nelle pupille di chi la osservava. Teneva la testa dritta e andava spedita ma, ogni tanto, faceva un piccolo movimento con gli occhi, come a voler catturare qualche parere dalle persone che la circondavano. Voleva mostrarsi sicura come il fratello al suo fianco, ma non lo era veramente.
Fu questa sua fragilità celata ad attirare l'interesse di Fabio. Perché lui provava la stessa cosa.
Carola sentì una strana sensazione adesso a sé e, senza volerlo, posò la sua attenzione su Fabio che la stava ancora osservando rapito. Quella luce che riconobbe nei suoi occhi, interesse, la costrinse ad aumentare il passo e allontanarsi dal percorso il più velocemente possibile.
Varcò la porta d'ingresso e imboccò il corridoio che portava all'ufficio dell'amministrazione, seguita da Bruno che non riusciva ad afferrare il motivo di quell'improvvisa fretta.
Ma Carola non voleva rischiare di ritrovarsi in situazioni simili a quelle dell'anno precedente, non voleva rivivere la sofferenza, l'isolamento, l'umiliazione. Erano diversi i motivi per i quali la scoperta del suo orientamento sessuale le aveva creato problemi, sia in abito scolastico che in ambito familiare. Non aveva intenzione di nascondersi, tuttavia voleva evitare che la notizia creasse un tale scalpore come era accaduto precedentemente.
Insomma, era una ragazza alla quale piacevano le ragazze. Fine.
Eppure non era mai così semplice, tranne quando aveva confessato il suo segreto al fratello. Era stato il primo al quale l'aveva detto ad alta voce, e lui, per tutta risposta, con la sua solita voce profonda e il suo sguardo tranquillo, le aveva detto: "Che bisogno c'è di puntualizzarlo? Stai con chi ti piace"
Era stato l'unico che non l'aveva fatta sentire strana, diversa, sbagliata. L'unico che aveva reso questa rivelazione veramente normale. Come non era riuscita a fare nemmeno lei. Ripensando a quella farse, Carola automaticamente lanciò un'occhiata al fratello che si guardava intorno curioso, e un sorriso d'affetto spuntò sulle sue labbra.
Arrivati a destinazione, sbrigarono le pratiche del primo giorno di scuola e poi si divisero per andare nelle rispettive classi, Carola al secondo anno, mente Bruno al terzo.
La ragazza seguì le indicazioni che aveva ricevuto dalla preside e trovò la sua aula con facilità prima del suono della campanella che annunciava l'inizio della lezione. Numerosi occhi si volsero verso di lei non appena fece il suo ingresso, nonostante avesse cercato di essere il più discreta possibile, il suo viso sconosciuto aveva comunque attirato l'attenzione.
Senza dare troppa importanza a nessuno, fece scorrere le pupille sui banchi vuoti e, quando notò che uno delle ultime file era libero, si fiondò su di esso, prendendovi posto. Sentiva che la stavano ancora guardando, anche mentre poggiava lo zaino per terra di fianco a sé, quando lo aprire e estraeva astuccio e quaderno. Anche quando sospirava di sollievo per il suono della campanella.
Le sembrava di essere un pezzo da museo. Era una sensazione spiacevolmente familiare.
Il professore di una non ben identificata materia, fece il suo ingresso trascinando stancamente i piedi e si sedette alla cattedra, richiamando l'attenzione degli studenti che ancora non avevano preso posto.
Mentre tutti si recavano alle rispettive postazioni e cominciavano a prendere l'occorrente per iniziare un nuovo noioso anno di scuola, Carola si concesse il tempo per guardarsi intorno e capire almeno chi fossero i suoi vicini di banco, che erano staccati gli uno dagli altri, ma abbastanza vicini tra di loro.
Davanti aveva una ragazza dal folti capelli ricci biondi, perfetta per restare un po' nascosta dalle occhiate dei professori, alla sua destra c'era un ragazzo dall'aria annoiata, stravaccato sulla sua sedia, con una postura scomposta. Ma, quando Carola si voltò alla sua sinistra per scoprire chi avesse di fianco, rimase folgorata nel constatare che era la stessa ragazza dell'autobus, quella dalla pelle imperfetta, quella dai tratti accattivanti, quella dallo sguardo malinconico.
Carola si sorprese felice di averla vicina, di poterla osservare, magari di poterci parlare in futuro, poterla conoscere meglio. Ma proprio mentre nella sua mente si formavano questi pensieri, si accorse di un bigliettino che stava volando verso il banco della ragazza, il quale atterrò proprio davanti a essa, sul suo quaderno.
La sua compagna di classe lo osservò titubante, poi allungò una mano, parzialmente coperta dalla felpa che indossava e aprì il foglietto, con movimenti lenti.
Carola sapeva che poteva considerasi invasione della privacy, ma era davvero curiosa di scoprire cosa si cevala dietro l'espressione afflitta della ragazza, così si chinò leggermente verso di lei per captare la scritta che campeggiava sul foglio bianco.
Anche quest'anno nella stessa classe, mucca.
La mascella della ragazza si tese e, con un movimento rapido della mano, accartocciò il foglio all'interno del suo pungo, mantenendo lo sguardo fisso sul quaderno dove poco prima c'era quella frase poco carina.
Carola capì che il messaggio non arrivava da una sua amica e quel vezzeggiativo, mucca, non era un soprannome amichevole, ma derisorio. E infatti poco dopo, spostando la sua attenzione per la classe, notò una ragazza bionda girata verso di loro che ridacchiava, spalleggiata da altre due ragazze sedute vicino a lei.
Carola la riconobbe all'istante, era la stessa ragazza dell'autobus, la stessa ragazza che ci provava con suo fratello, la stessa ragazza che le aveva lasciato una sgradevole sensazione sulla pelle. Era Emma.
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