28 - Compagni di squadra


Il lunedì mattina continuava a essere un giorno traumatico, soprattutto se la domenica era stata psicologicamente impegnativa. Cecilia non aveva fatto altro che oscurare, tra i suoi ricordi, quel contatto che la sua pelle aveva avuto con le dita di Bruno. 

Ogni tentativo di dimenticarlo era stato vano. 

Mentre guardava la telenovela, mentre si lavava i denti, mentre mangiava, mentre si infilava sotto le coperte, quella sensazione tornava prepotente dentro di lei e il suo cuore aumentava il ritmo. Cecilia si arrabbiava per questo, per lo scarso controllo che aveva su sé stessa, per aver permesso a un ragazzo del genere di creare una qualche illusione dentro di lei. Illusione che avrebbe portato solamente lacrime.

Sull'autobus fu felice di constatare che non c'erano né Carola, né Bruno. Solamente Emma era seduta qualche fila più avanti, non si era accorta della presenza di Cecilia e lei si era curata bene di passare inosservata.

Non appena arrivarono, il grosso striscione sul cancello della scuola, le ricordò perché quel lunedì era peggiore degli altri: la giornata dello sport. E no, il freddo dell'autunno non aveva fermato l'organizzazione di questo fastidioso evento. Gareggiare davanti a una folla di studenti, mille occhi puntati addosso, non era esattamente ciò che voleva fare Cecilia ma, per sua sfortuna, la partecipazione era obbligatoria e la scusa del ciclo mensile non bastava per potersi astenere.

La ragazza si recò allo spogliatoio delle femmine e si chiuse in uno dei bagni per indossare la tuta che le era stata fornita dalla scuola. Sul retro della maglietta e anche della felpa, era segnata la sua classe e anche un colore, perché tutti gli studenti erano mischiati e divisi in sei grandi squadre.

Dovevano partecipare a qualsiasi attività presente nelle diverse parti del cortile e nella palestra interna. Non era necessario gareggiare con compagni della propria squadra, tuttavia per ogni vittoria ottenuta, si acquistavano punti per la proprio squadra e, per ogni sconfitta, si perdevano.

Quando Cecilia uscì dal bagno, si guardò intorno e subito individuò Carola vicino a uno degli armadietti. Si stava infilando la maglietta e una parte della sua schiena incontaminata, era visibile agli occhi di Cecilia, la quale provò una morsa allo stomaco. Le succedeva ogni volta che si trovava di fronte al corpo di una ragazza simile a lei, a eccezione delle macchie, si intende. Forse era gelosia, forse era invidia, sicuramente a Cecilia faceva male pensarsi, perciò si limitava sempre a distogliere lo sguardo.

Tuttavia, poco dopo, udì il saluto entusiasta della sua amica e, in un attimo, si ritrovò a braccetto con lei, intenta ad attraversare il cortile gremito di studenti. Nonostante le solite occhiate rivolte alla sua direzione, Cecilia scoprì che di fianco a Carola, era più facile ignorarle.

La professoressa di ginnastica però, costrinse entrambe a prendere parte a diversi giochi, dividendole non appena le vide dirigersi convinte verso il campo da pallamano. Credeva che mischiare tra loro gli studenti, avrebbe creato nuove amicizie, sosteneva fosse uno degli scopi di quella giornata. Ma, nel caso di Cecilia, non stava considerando che il suo equilibrio emotivo era già abbastanza precario e non era una buona idea toglierle l'unica alleata che avesse.

Così la ragazza fu umiliata a pallavolo, nonostante non fosse un disastro completo, e pure sconfitta a ping pong, anche se dovette ammettere con sé stessa che in quella disciplina non era brava per nulla.

Dopo tanta fatica, Cecilia decise che era arrivato il momento per una pausa e si mise a girovagare per le varie zone, alla ricerca di un posto tranquillo e defilato in qui passare inosservata.

Vide Carola che stava lottando per la vittoria della sua squadra a palla avvelenata. Era agile e sicura, schivava le pallonate con balzi laterali, incitava i suoi compagni, molti facevano il tifo per lei. Cecilia avrebbe tanto voluto avere il suo stesso spirito, la sua autostima.

Decise di continuare il giro e, per caso, vide il ragazzo dai capelli rossi che era innamorato di Carola. Osservandolo con attenzione, si rese conto che era proprio carino e, il costante sorriso solare che aveva sul volto, trasmetteva buon umore a chiunque gli fosse vicino. 

Stava correndo lungo il campo da calcio con il pallone che rotolava davanti a sé, lanciava sguardi concentrati per studiare la posizione degli avversari, tentava di arrivare alla porta. Uno dei suoi compagni gli fece un segno con la mano e lui, prontamente, gli passò il pallone, permettendo così all'altro di tirare in porta e segnare un punto.

La sua squadra esultò e tutti, Fabio compreso, corsero verso il compagno che aveva tirato per abbracciarlo. Quella visione, la collaborazione, l'amicizia, rattristarono Cecilia tanto che decise di andare oltre. Anche se forse, avrebbe fatto meglio a restare dov'era.

Nella palestra interna si stava svolgendo una partita di basket e Bruno era nella squadra in vantaggio. Non appena Cecilia lo vide, il suo cuore ebbe un'accelerata e lei strinse i pugni in automatico, maledicendo sé stessa.

Bruno rubò la palla dalle mani di un avversario, lo scartò di lato, tendendo una delle sue lunghe gambe, poi iniziò a correre, i capelli scomposti a causa di quel movimento, gli occhi puntati al canestro, i muscoli delle braccia tesi per lo sforzo di far rimbalzare la palla.

Alcuni avversari si posero tra lui e la meta, così il ragazzo diede una rapida occhiata attorno e passò il pallone a uno dei suoi compagni libero. Questo raggiunse il canestro in poche falcate, ma fu bloccato, così lanciò il pallone nuovamente a Bruno, il quale era riuscito ad arrivare sotto canestro.

Era pronto per la ricezione, piegò le ginocchia e fece un salto verso l'alto, estendendosi con la tutta la forze che aveva. La sua maglietta si sollevò leggermente, le braccia si allungarono verso il pallone, lo afferrarono e lo guidarono dentro il canestro.

Bruno atterrò di nuovo sul pavimento con agilità, il sudore gli colava lungo il collo, il respiro era affannoso, il sorriso sulle labbra era vittorioso. La folla di spettatori esultò, mentre i compagni corsero verso di lui per festeggiare, dandogli abbracci e pacche sulle spalle.

Cecilia, nascosta dietro ad altre persone che si erano radunate per assistere, neanche si era resa conto che aveva seguito tutta l'azione rapita da ogni suo movimento. Aveva gli occhi spalancati, le guance arrossate, le labbra dischiuse. Automaticamente si portò una mano sullo zigomo che Bruno aveva lievemente toccato.

Quando si accorse di quel gesto inconsapevole, scosse la testa convinta e si girò nella direzione opposta: doveva andarsene.


"Bene, ragazzi" esordì la professoressa di ginnastica, quando Cecilia raggiunse il campo di atletica, mezz'ora più tardi, "ora formeremo delle coppie e faremo la corsa a tre gambe. Vi assegnerò un compagno casualmente" e così dicendo prese a elencare gli studenti presenti, smistandoli.

La corsa a tre gambe era un percorso da compiere, correndo, nel tentativo di superare gli altri e giungere primi al traguardo. La difficoltà stava nel fatto che si correva affiancati al proprio compagno, con la gamba di uno, legata a quella dell'altro, in maniera tale che gli appoggi risultassero essere tre. 

Bisognava sapersi coordinare e collaborare, per evitare di cadere. Una delle attività che Cecilia odiava maggiormente tuttavia, non fece in tempo a scappare che la professoressa chiamò il suo nome e poi, il nome del suo compagno: Emma.

Cecilia spalancò gli occhi spaventata, era forse la giornata peggiore della sua vita? Non voleva assolutamente gareggiare con Emma, era sicura che le avrebbe causato qualche problema, l'avrebbe umiliata, l'avrebbe derisa.

Vide Emma lanciarle un'occhiata risentita da lontano, era evidente che nemmeno lei era contenta di stare in squadra con Cecilia. Subito dopo però, la sua espressione si fece radiosa, stava osservando qualcuno oltre le spalle di Cecilia. Con il suo solito passo deciso, si avvicinò alla ragazza, la superò e raggiunse una coppia poco distante.

"Ciao" esordì rivolta alla sua amica, una delle due arpie che la seguivano sempre come un'ape regina, la quale era vicino a un ragazzo che le era stato assegnato dalla professoressa.

"Ciao" rispose questo con tranquillità, passandosi una mano tra i capelli per sistemarli, dopo l'impegnativa partita a basket che aveva avuto.

"Che ne dite se mischiamo un po' le nostre coppie?" pronunciando quelle parole, Emma lanciò un'occhiata eloquente alla sua amica, come per farle intendere che doveva lasciarle Bruno senza tante storie.

"Ah" sussurrò lei, guardando il ragazzo delusa "va bene"

Sulle labbra di Emma spuntò un sorriso trionfante, ma a Bruno non era sfuggito quello scambio di ordini silenziosi. 

Non che Emma fosse una brutta ragazza, non che gli dispiacesse divertirsi con lei, ma era fastidiosamente insistente. Cercava di parlare con lui in ogni occasione, lo osservava da lontano, lo invitava ovunque, era soffocante per lui. Perciò decise di allontanarla, tentando di farle capire che non era poi così interessato alla sua compagnia.

"Voi ragazze" intervenne prima che Emma potesse aprire bocca "siete amiche, vorrete stare in squadra insieme"

L'espressione di Emma divenne di pietra, non si aspettava una simile reazione e non fu pronta nella risposta.

"Cosa... no, io..." tentò di dire, ma Bruno si limitò a stamparsi un sorriso accondiscendente sul viso e continuò: "Con chi facevi squadra?"

Aspettò la risposta di Emma che era ammutolita mentre la sua amica non aveva nemmeno il coraggio di sollevare lo sguardo, tanto era intimorita dalla possibile reazione della ragazza.

Emma avrebbe voluto ribattere, insistere, ma aveva capito che Bruno stava cercando una scappatoia e aveva ancora il suo orgoglio, anche se ferito. Perciò decise di ingoiare il groppo che sentiva in gola e indicò con il dito la sua compagna di squadra, la quale stava in piedi poco distante.

Non appena l'attenzione di Bruno si spostò su Cecilia, la sua espressione si fece dura e il sorriso sparì dalle sue labbra. La ragazza lo guardava con gli occhi spalancati, c'era un misto di speranza e paura in essi, tutti segnali che non andavano bene per Bruno.

Strinse i pugni arrabbiato: si era incasinato da solo.

Senza dire una parola, si girò nella direzione opposta rispetto alle ragazze e si allontanò, lasciandole confuse.

Cecilia non si aspettava una reazione tanto brusca, lui era sempre stato gentile con lei, forse anche troppo, tuttavia faceva male constatare che non voleva fare squadra con lei, tanto da andarsene irritato. 

Ma, ammettere questo dolore, era ancora più sconfortante.

La professoressa di ginnastica cominciò a radunare i primi partecipanti, per iniziare la gara. Bruno si aggirava tra la folla come un falco alla ricerca di una preda. Stava tentando di trovare Carola, così avrebbe potuto metterla in squadra con Cecilia. Non che gli dispiacesse partecipare con lei, ma non poteva continuare a illuderla, era troppo ingenua, probabilmente ingigantiva qualsiasi battuta o mossa lui facesse. 

Non era come le altre ragazze con cui era solito divertirsi, interpretava in maniera profonda ogni emozioni, era inesperta nelle questioni frivole. Poteva capire tutte queste cose dal modo in cui lo guardava, e Bruno doveva bloccare qualsiasi tipo di fraintendimento sul nascere, anche se il suo istituto agiva sempre nella maniera contraria.

La professoressa diede il via al primo gruppo di corridori e Bruno capì di aver poco tempo. Dove diavolo era sua sorella quando aveva bisogno di lei?

Avrebbe potuto chiedere a chiunque di fare cambio, era sicuro che non sarebbe stato difficile, ma voleva trovare un compagno per Cecilia che la trattasse bene durante quella gara.

Improvvisamente, una testa rossa fece capolino tra gli studenti. Fabio stava parlando amabilmente con la sua compagna di squadra, in attesa del suo turno. Bruno si avvicinò veloce e catturò la loro attenzione: "Ciao, ragazzi. Fate squadra?"

Fabio si voltò verso di lui sorpreso, ma quando realizzò chi fosse, si mostrò contento. Non era difficile capire che apprezzava la presenza del suo amico.

"Sì" esclamò "anche tu partecipi?"

Bruno annuì convinto, sentì la professoressa radunare il secondo gruppo di corridori e si affrettò a dire: "Vi piacerebbe scambiarci i compagni?"

La ragazza vicino a Fabio spalancò gli occhi sconvolta, era evidente quanto fosse attratta dall'idea e quanto volesse credere a ciò che aveva appena sentito.

Tuttavia Fabio non era un genio a cogliere i segnali, perciò ribatté ingenuamente: "Perché?"

Bruno sospirò stanco, non poteva dargli una spiegazione plausibile, non ci aveva proprio pensato.

"Così" si limitò a rispondere alzando le spalle "è divertente"

Fabio lo studiò confuso, poi i suoi occhi si illuminarono come se avesse avuto una rivelazione e si entusiasmò: "Vuoi fare squadra con me?"

Bruno corrugò le sopracciglia perplesso, non era il risvolto che si sarebbe aspettato, preferiva che Fabio facesse squadra con Cecilia, era sicuro che sarebbe stato gentile con lei.

"No" disse schiettamente "voglio fare squadra con lei" con un cenno della testa indicò la ragazza vicino a Fabio, la quale ebbe quasi un mancamento.

"Ah" sussurrò deluso Fabio, abbassando lo sguardo "chi è il tuo compagno di squadra, allora?"

Bruno si guardò intorno alla ricerca di Cecilia e finalmente la vide in disparte, lontano dalla folla nella quale si trovavano loro.

"Lei" disse , indicandola con un dito. Fabio aguzzò la vista e rispose: "L'amica di tua sorella?"

Bruno annuì deciso e, con un sussurro, ribatté: "Cecilia"

Fabio la osservò ancora un po' confuso e dispiaciuto, non tanto per la ragazza con la quale doveva fare squadra, quanto perché il suo amico l'aveva rifiutato.

Si incamminò verso di lei dicendo: "Va bene"

Mentre superava Bruno, quest'ultimo gli poggiò una mano sulla spalla, si inclinò leggermente verso di lui e, a voce bassa, concluse: "Grazie, amico. Vediamo se riesci a battermi"

Questo bastò per raccendere l'entusiasmo di Fabio, facendo riaffiorare un sorriso sulle sue labbra. Gli lanciò uno sguardo convinto e si allontanò a passo rapido.

Bruno osservò Cecilia e Fabio che parlavano e, dal sorriso gentile che lui le rivolgeva, capì di aver fatto la scelta giusta. Quasi non si rese conto che l ragazza vicino a lui gli stava dicendo qualcosa: "Sono contenta che vuoi fare squadra con me" le sue guance si tinsero di rosa e i suoi occhi si fecero civettuoli.

"Come, scusa?" domandò Bruno distratto, realizzando solo un quel momento come poteva aver interpretato lei il suo comportamento.

"Non credevo di interessarti, invece..." ripetè lei, arrossendo ancora una volta.

Bruno si portò una mano dietro al collo, in evidente difficoltà, assunse un'espressione contrariata e domandò schiettamente: "Com'è che ti chiami?" 

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