27 - Appuntamento a quattro


Il ristornate che aveva scelto Bruno per quell'appuntamento a quattro, era un posto carino situato vicino alla piazza principale, offriva piatti tipici ma anche pizze e dolci vari. Non ricordava chi glielo aveva consigliato, ma era stato un parere positivo quindi aveva deciso di sceglierlo come opzione. E poi non conosceva ancora bene la zona.

Le ragazze che erano con loro, una rossa e una mora, si erano impegnate per attirare l'attenzione, indossando abiti provocanti e cospargendosi il viso con quintali di make up. La rossa, in particolare, aveva dipinto le labbra di una tonalità più accesa dei suoi capelli e sbatteva continuamente le lunghe ciglia in direzione di Bruno, sperando di catturare i suoi occhi.

Questo atteggiamento non era sfuggito al ragazzo, ma sapeva che, più l'avrebbe ignorata, più lei avrebbe cercato la sua approvazione e, quando lui avrebbe decido di concedergliela, allora sarebbe stata tutta una strada in discesa.

La mora invece, pareva soddisfatta di Fabio, mentre parlavano, seduti al tavolo al centro della sala, circolanti da altri clienti, lei toccava casualmente la sua mano o il suo braccio, segnali che erano inequivocabili. Per tutti, eccetto che per Fabio, lui sembrava distratto, come perso nei suoi pensieri, ascoltava ciò che la ragazza gli stava dicendo, ma non la guadava quasi. A che diavolo stava pensando?

Bruno l'aveva osservato per tutto il tempo che erano stati seduti, quindi dieci minuti, e si era reso conto che aveva il viso spento, come se fosse stato costretto a partecipare a quella serata.  Probabilmente non era con quella ragazza che voleva stare in quel momento, ma quella che voleva davvero lui, era complicata. E come poteva Bruno fargli capire che non c'era futuro con lei?

"Quindi siamo rimaste senza macchina a un'ora da casa" stava raccontando la rossa con tono allegro, tentando di rendere partecipi tutti gli occupanti del tavolo, ma nessuno le stava prestando davvero attenzione, persino Bruno dovette ammettere che la stava ignorando un po' troppo.

"Un vero disastro" commentò allora, corrugando poi le sopracciglia confuso.

Un vero disastro? Ma che accidenti rispondeva? Scosse leggermente la testa come per ritrovare la concentrazione e posò i suoi occhi sul viso della rossa, la quale arrossì un poco.

Bruno nascose un sorriso tra le labbra: i giochi erano cominciati.


Cecilia non era sicura che fosse una buona idea, non lo era stata la prima volta che aveva accettato e neanche la seconda, ma questa era addirittura la terza. Cosa stava succedendo? Stava forse diventando una modaiola? Lei che era rimasta chiusa in camera sua per anni, improvvisamente usciva spesso e con un'amica, per di più.

Suo padre la guardava confuso ogni volta che lei lo salutava per uscire, soprattuto se era già calata la sera, ma dietro la sua aria preoccupata, nascondeva un velo di felicità, perché la vedeva sul viso di sua figlia.

Cecilia non l'aveva ancora capito, non si era resa conto che, ogni volta che prendeva quell'ascensore per scendere, il peso sul suo cuore si alleggeriva, si sentiva normale. Non l'aveva capito che non le causava più tanta pressione essere in pubblico, non l'aveva capito che non stava tutto il tempo a coprirsi il polso con la felpa, ad abbassare lo sguardo verso il basso, a sforzarsi di ignorare le occhiate delle persone.

Durante quelle uscite con Carola, non per tutto il tempo, ovvio, ma per qualche breve intervallo, ignorava davvero quegli sguardi, neanche si accorgeva che si posavano su lei, tanto era concentrata sul suo divertimento.

Divertimento... che parola facile, intuitiva, semplice. Era la prima volta che Cecilia poteva dire di provarlo sul serio.

Sul diario di sua madre, aveva segnato la voce che diceva andare a casa di un'amica, ricordava ancora con un sorriso e un po' di imbarazzo quel pranzo improvviso al quale aveva partecipato, ma la voce successiva recitava: ballare in mezzo a una folla.

Era una follia.

Non ci sarebbe mai riuscita, richiamare su se stessa, volontariamente, l'attenzione della gente.

Era una follia vera.

"Cosa è una follia?" chiese Carola, fermandosi davanti al ristorante nel quale avevano deciso di cenare.

Cecilia trasalì, era talmente immersa nei suoi pensieri che non si era resa conto di aver parlato a voce alta. Arrossì e abbassò gli occhi verso il marciapiede, incapace di dare una spiegazione plausibile.

La sua inettitudine nell'improvvisazione la stupiva ogni volta.

"Non importa" la salvò Carola "entriamo" aggiunse poi spingendo la porta.

Cecilia la seguì timidamente e, prima di immergersi nella sala d'ingresso del ristornate, fece un profondo respiro. Carola aveva parlato tanto di quel posto che non era stata in grado di rifiutare quando aveva ricevuto l'invito, ma era sempre difficile essere socievole in un mondo tanto ostile.

La ragazza buttò fuori l'aria dai polmoni, alzò gli occhi verso l'amica e la seguì all'interno.

Fabio ci stava davvero provando a mostrarsi simpatico e disponibile, ma la sua testa era occupata da un solo pensiero, ovvero la reazione di Carola una volta scoperto quell'appuntamento.

Sarebbe stata arrabbiata, gelosa, indifferente o peggio, contenta per lui?

"Non avevo idea che ci fosse un'aula lì" stava commentando la mora, ridendo per quella storia diventerete che aveva appena raccontato, ma che Fabio non aveva capito.

Forse perché non aveva seguito.

Bruno gli lanciò un'occhiataccia, lo vedeva che non ci stava nemmeno provando e Fabio ne era consapevole, ma non era bravo quanto lui a ignorare i sentimenti che provava. Bruno si sentiva quasi frustrato, aveva provato a parlare con Fabio, a farlo ragionare, l'aveva avvertito, gli aveva organizzato una scappatoia, eppure lui non faceva che pensare a Carola.

Era stupido forse? Era masochista?

Bruno lo osservò ancora qualche secondo di nascosto, quando improvvisamente notò un cambiamento nei suoi occhi, fu come se una luce si fosse accesa, persino la sua postura migliorò, la schiena si raddrizzò, le spalle si ampliarono e un sorriso spuntò sulle sue labbra.

"Come hai fatto?" domandò estasiato, facendo attenzione a non farsi sentire dalla due ragazze di fronte a loro che stavano discutendo su cosa ordinare dal menù.

"A fare cosa?" domandò confuso Bruno ma, seguendo la direzione del suo sguardo, trovò la risposta da solo.

Carola era seduta al tavolo vicino al loro, poco distante e ben visibile, era immersa in una conversazione con quella ragazza, la ballerina. 

Tra Carola e Fabio, Bruno non riusciva a capire chi fosse più idiota. Era tanto complicato comprendere che si stavano buttando in relazioni suicide?

"Hai portato qua Carola!" esclamò Fabio al settimo cielo, sempre mantenendo un tono di voce basso.

"Non l'ho portata qua io" si lamentò Bruno con un certo nervoso nella voce, nulla stava andando come aveva programmato. Improvvisamente un ricordo balenò nella sua testa, fissò i suoi occhi sulla sorella e poi li chiuse lentamente. Ecco chi gli aveva parlato di quel ristorante.

"Dannazione" disse, questa volta senza preoccuparsi di non farsi sentire, tanto che la rossa abissò il menu e chiese: "Come?"

Bruno la guardò sorpreso, come se solo in quel momento si fosse ricordato della sua presenza di fronte a lui.

"Ah" continuò poi con tono calmo "non hanno i gamberi qua" blaterò a caso.

La rosse corrugò le sopracciglia, indicò con il dito un punto del menù e disse: "Sì, invece, qua"

"Fantastico" concluse Bruno, sbirciando con la coda dell'occhio Fabio, che stava tentando con tutte le sue forze di agire nella maniera più naturale possibile.

"Prenderai quelli?" chiese la rossa, ma Bruno non le prestò attenzione perché Fabio aveva ricominciato a parlare sottovoce con lui: "Io credevo che le avresti fatto sapere che eravamo usciti in quattro, per farla ingelosire, non pensavo che saresti riuscito addirittura a portarla nello stesso ristornate..."

"Non era intenzionale, fidati" tentò di convincerlo Bruno, ma Fabio non lo ascoltava proprio.

"... la stessa sera" continuò l'amico, sempre più entusiasta.

"Quando la sfiga si intromette" parlò praticamente da solo Bruno, sospirando.

"Questa è proprio una fortuna" concluse Fabio, tornando a sorridere.

Il ragazzo tentava di essere discreto, ma la voglia di osservare le reazioni di Carola era troppo forte perciò si ritrovava continuamente a lanciarle occhiate fugaci.

All'altro tavolo invece, Carola non aveva alcuna attenzione per gli altri, il sorriso timido sulle labbra di Cecilia catturava ogni sua emozione.

Cecilia però, si era accorta non appena era entrata nel ristorare, della presenza del ragazzo che le scombussolava sempre il respiro. Aveva visto Bruno seduto al tavolo vicino al loro e si era affrettata a nascondere il suo viso, per evitare di farsi vedere da lui. 

Non voleva ammetterlo, non voleva cedere a quella vocina sottile nella sua testa, che le suggeriva di alzare lo sguardo per controllare come stesse andando l'appuntamento di Bruno. Non era sicura se il timore che provava fosse legato all'ansia di scoprire quanto si stesse divertendo, oppure constatare che nel suo cuore stava nascendo un sentimento che non doveva permettersi di provare.

Non voleva soffrire e quel ragazzo pareva portare solamente problemi. E ragazze.

Cecilia chiuse gli occhi e si impose di non pensarci. Uno come lui, attraente, simpatico, socievole, non avrebbe mai mostrato interesse per lei. Era meglio lasciare che occupasse solamente i suoi sogni e non anche il suo cuore, come era sempre stato per ogni cotta fugace che aveva avuto.

"Vado un attimo al bagno" disse Cecilia, alzandosi al contempo. Aveva bisogno di stare da sola per qualche secondo. Sentiva la pressione su di sé e, gli occhi della gente che fino a quel momento aveva ignorato, tornarono a pesare sulla sua pelle.

Carola annuì tranquilla mentre addentava un pezzo di pane, vagò con lo sguardo sugli altri clienti e, poco dopo, vide anche lei i due ragazzi. I suoi occhi si assottigliarono, estrasse il cellulare, digitò un messaggio e lo schermo di Bruno si illuminò: non basta averti in giro per casa, pure al ristorante devo trovarti.

Sul viso del ragazzo spuntò un sorriso divertito non appena i suoi occhi incontrarono quelle parole.

Non riesco a stare lontano dalla mia sorellina, scrisse ironico, poi ripose il cellulare in tasca e tornò a parlare con la sua accompagnatrice, non prima di aver rifilato un calcio sotto al tavolo a Fabio, seduto di fianco a lui.

Stava facendo finta si ascoltare la ragazza di fronte, ma si intuiva che era perso nei suoi pensieri.

Cecilia, chiusa nel bagno, fece dei profondi respiri, tentando di riacquistare il controllo di sé. Quell'uscita al ristornate si stava rivelando più difficile delle altre. Rimase qualche secondo immobile, abbassò le maniche della felpa oltre i polsi e uscì, ritrovando il suo riflesso davanti al grande specchio, sopra i lavandini. Lo fissò sconfortata, il viso sparso di macchie, quel giorno più visibili che mai ai suoi occhi.

Chi voleva illudere? Chi voleva sognare? Doveva dimenticare ogni sensazione, prima di cadere da un precipizio pericoloso e farsi male. Si scostò un riccio dal viso, fece un ultimo profondo respiro e si avviò alla porta, proprio mentre questa si apriva.

Due ragazze giovani apparvero davanti a lei, bloccandole l'uscita. La fissarono sorprese per qualche secondo, nei loro occhi Cecilia vi lesse stupore misto a confusione. Era questo il motivo per il quale evitava di guardare il viso delle persone, non voleva scoprire le reazioni che suscitava.

Si affrettò ad abbassare lo sguardo, le superò e uscì dal bagno, chiudendosi la porta alle spalle. Vi si appoggiò un attimo, le serviva ancora un po' di tempo per recuperare un minimo di sicurezza necessaria per attraversare la sala piena di persone.

Sfortunatamente non fu una buona idea. Nonostante la porta che la separava dal bagno, Cecilia potè udire fin troppo bene la conversazione al suo interno.

"Hai visto la sua pelle? Che strana!" commentò la prima ragazza con voce squillante.

"Sì" esclamò la seconda "era piena di macchie, persino sul viso!"

"Io non potrei mai andare in giro così" dichiarò la prima quasi con sdegno.

"Nemmeno io" concordò l'altra "ma non lo sa che esiste il fondotinta?"

Cecilia abbassò il viso, i suoi occhi si puntarono sulle sue scarpe. Lo sapeva del fondotinta, aveva provato a usarlo, ma era stato difficile fare un buon lavoro e coprire ogni macchia. Aveva avuto paura di risultare ancora più strana e aveva lasciato perdere.

"Che imbarazzo mostrarsi così" concluse la prima con un sospiro. La seconda si limitò a ridere brevemente, poi Cecilia udì delle porte chiudersi e immaginò che, di lì a poco, sarebbero uscite.

Doveva spostarsi, tuttavia, le sue gambe non volevano ascoltarla e, la sua testa, non accennava a risollevarsi. Era sconfitta come la sua flebile autostima. Perché doveva sempre dare così tanto peso alle parole degli sconosciuti?

Un groppo in gola le bloccò il respiro e Cecilia rimpianse di non essere a casa sua, per potersi sfogare con una buona sessione di ballo. 

Le lacrime si stavano facendo strada dentro di lei, quando un paio di scarpe da ginnastica fecero capolino nel suo campo visivo. Cecilia sbarrò gli occhi, constatando che qualcuno si era fermato proprio di fronte a lei.

"A me piace la tua pelle" commentò la voce profonda di un ragazzo. Il suo profumo avvolse prepotentemente Cecilia, confondendo ogni suo senso. Senza pensarci, alzò la testa e i suoi occhi ludici incontrarono quelli decisi di Bruno.

Il respiro della ragazza si fece ancora più flebile quando notò il braccio di Bruno muoversi. Con tranquillità, la mano di quest'ultimo si sollevò, le sue dita lunghe si tesero e i suoi polpastrelli si andarono a posare sullo zigomo destro di Cecilia.

"Soprattutto questa macchia qua" indugiò qualche secondo sulla pelle di Cecilia, mostrandole un sorriso rassicurante. Quel semplice tocco, così lieve, scatenò un uragano di sensazione nel cuore della ragazza. Una serie di brividi lungo la schiena, un cortocircuito nella sua testa. Nessuno l'aveva mai toccata con tanta delicatezza, nessuno aveva mai fatto apprezzamenti sui suoi difetti, nessuno l'aveva mai guardata con occhi tanto comprensivi.

Con la stessa sicurezza di un attimo prima, Bruno interruppe quel contatto, riportò le mani nella tasche dei jeans, voltò le spalle a Cecilia e tornò al suo tavolo.

Bruno si sedette al suo posto, portandosi una mano tra i capelli scuri per sistemarseli. Ripensò alle sue dita poggiate su quella pelle morbida e, istintivamente, contrasse la mascella. 

Aveva sbagliato.

Era stato un idiota e aveva sbagliato.

Non avrebbe dovuto intervenire, non avrebbe dovuto toccarla, non avrebbe dovuto creare in lei false speranze. Tuttavia, quando si era recato al bagno degli uomini, attraverso i muri aveva sentito la conversazione tra le due ragazze e, quando era uscito nel corridoio, aveva notato Cecilia afflitta, abbandonata contro la porta di legno.

Si era detto nella testa di non avere alcuna responsabilità nei suoi confronti, probabilmente lei era abituata a questa situazioni, doveva imparare a superarle da sola.

Ma le sue esili spalle ricurve, i ricci rivolti verso il basso, le maniche della felpa tirate oltre le la punta delle dita, l'avevano distratto dai suoi propositi. E, il vecchio Bruno, quel ragazzino insicuro che avrebbe tanto voluto un incoraggiamento, una parola di conforto, un po' di sicurezza, aveva preso il sopravvento sulle sue azioni.

Non avrebbe dovuto, ma ormai era successo. 

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