25 - Questione di come
Bruno si cambiò velocemente allo spogliatoio, mise una fascia sui capelli per impedire che gli finissero negli occhi durante l'allenamento, infilò una maglietta nera e dei pantaloncini bianchi, con scarpe dello stesso colore. Mise delle fasce bianche sulle mani per proteggerle maggiormente, durante il suo scontro con il sacco.
Uscì dallo spogliatoio e raggiunse la sua postazione, attirando lo sguardo di qualche ragazza nella stanza a fianco, dove si trovano gli attrezzi.
Si infilò i guantoni e puntò i suoi occhi sul suo bersaglio, respirando profondamente per caricarsi di energia. Come sempre lo sguardo beffardo del padre apparve davanti a lui e, ogni motivazione per prendere a pugni il sacco nella maniera più brutale possibile, fu improvvisamente chiara.
Sferrò il primo colpo con rabbia, poi il secondo e il terzo, sentendo i muscoli della braccia e delle spalle tendersi, la mascella contrarsi, la fronte imperlarsi.
Lo odiava. Odiava il modo in cui l'aveva sempre fatto sentire e, ancora di più, odiava il fatto che lui gli permetteva di avere tutto quel controllo sul suo umore.
Ma non sapeva come uscirne, anche se lui non era presente, la rabbia che provava verso suo padre era fin troppo opprimente.
"Ciao" un saluto malinconico giunse al suo orecchio e, per poco, Bruno non provò l'istinto di prendere a pugni anche il malcapitato. Quando era così immerso nello stato d'animo attuale, era come se ogni cosa intorno a lui scomparisse.
Con un grande sforzo riuscì a reprimere quell'istinto, smise di prendere a pugni il sacco e si voltò verso Fabio che era sopraggiunto al suo fianco.
"Non lo sai che non si arriva di soppiatto?" gli domandò contrariato, asciugandosi il sudore dal viso con una salvietta che aveva poggiato poco distante.
"Se vuoi" continuò Fabio, con aria depressa "puoi anche prendermi a pugni"
Bruno corrugò le sopracciglia e lo osservò confuso. I capelli rossi erano arruffati, gli occhi stanchi e lo sguardo spento, la sua solita allegria sembrava essere sparita.
"È successo qualcosa?" domandò allora Bruno, non che fosse davvero interessato, insomma non capiva nemmeno per quale motivo fosse venuto a parlare proprio con lui, tuttavia non provava certo antipatia verso quel ragazzo.
"Tua sorella mi ha rifiutato" spiegò Fabio con voce addolorata, passandosi una mano sul viso.
"Ah" mormorò Bruno, non poteva certo definirsi sorpreso "quindi ti sei dichiarato alla fine"
Fabio sollevò gli occhi su di lui, poi verso il cielo e, debolmente, replicò: "No"
"No?" ripetè scettico Bruno, sollevando un solo sopracciglio, questa volta, e rivolgendo maggiore attenzione al compagno.
"Mi ha rifiutato prima ancora che mi dichiarassi" un sussurro uscì dalla bocca di Fabio, si rendeva conto da solo che era una situazione patetica, ma aveva comunque bisogno di parlarne con qualcuno.
"Però" esclamò Bruno, un po' divertito "bella mossa"
Fabio gli lanciò un'occhiataccia, ma quel commento, sembrò smuovere qualcosa in lui, una scintilla si accese nel suo sguardo: "Credi forse che mi arrenda così facilmente?"
"Come, scusa?" ribatté Bruno, stavolta davvero confuso, non voleva certo aumentare le convinzioni di quel ragazzo, non se erano rivolte a sua sorella.
Era una battaglia più che persa. Era un suicidio emotivo.
"Non ho certo rinunciato a lei" dichiarò convinto Fabio, acquistando sicurezza man mano che pronunciava quella frasi.
"Ma ti ha rifiutato" commentò Bruno, come se quel singolo fatto fosse un'ovvia motivazione per rinunciare a qualcuno. Per lui era sicuramente così.
"Sì" confermò Fabio, stavolta senza un velo di tristezza nella voce "ma io non ho rifiutato lei"
Bruno lo fissò come se fosse impazzito, era come se quel ragazzo parlasse una lingua diversa dalla sua, non solo si era puntato su una singola ragazza, che già era follia per Bruno, ma era pure stato rifiutato. E nonostante questo ancora ci credeva.
"Questa cosa non ha senso" disse il moro, portandosi una mano dietro al collo per alleviare la tensione che provava.
"Uno deve forse dimenticare una ragazza solamente perché lei ancora non prova lo stesso?" domandò in maniera retorica Fabio, scuotendo al contempo la testa per darsi una risposta da solo.
"Cosa intendi con ancora?" chiese Bruno, sempre più confuso dai vaneggiamenti che stava ascoltando.
"Uno deve forse arrendersi dal principio?" continuò il rosso, ignorando totalmente le repliche confuse dell'altro "non è giusto provarci fino alla fine?"
Bruno sospirò stanco: "Non è questione di prima o dopo, è questione di come"
Non poteva dire chiaramente quale fosse il problema di una relazione tra Fabio e Carola, non poteva svelare l'intoppo di base, il loro differente orientamento sessuale, era Carola a doverlo fare e, se ancora non era riuscita, era perché non si sentiva pronta per farlo. E lui non l'avrebbe di certo esposta.
"Come?" ripetè Fabio che evidentemente, oltre a vaneggiare, lo stava anche ascoltando "Mi deve solo conoscere meglio, in questo modo magari le cose cambieranno. Per questo ho accettato di essere suo amico, per ora"
"È un piano pericoloso" dichiarò Bruno, tornando a posizionarsi davanti al sacco, era chiaro che la determinazione di Fabio non si sarebbe affievolita, per quanto lui avesse provato a farlo ragionare.
"Ti prometto che non farò nulla per far soffrire tua sorella" lo rassicurò Fabio, alzando un po' la voce per raggiungere Bruno che aveva ricominciato a tirare pugni.
"Non intendo pericoloso per lei" continuò lui, tra un respiro pesante e l'altro "intendo per te"
Fabio corrugò le sopracciglia confuso, Carola non poteva essere tanto cattiva come voleva fargli credere Bruno, anche quando l'aveva rifiutato, era stata delicata e visibilmente dispiaciuta. Aveva letto nel suoi occhi la speranza di restare amici. Qualcosa doveva pur voler dire.
"Ho un'idea" esordì Bruno, assestando un gancio al sacco "usciamo in quattro"
"Cosa?" replicò confuso Fabio "quattro chi?"
"Io" ribatté Bruno, tirando un pugno "te" continuò tirando un altro pugno "e due mie amiche" concluse, colpendo il sacco per l'ultima volta. Sperava così di farlo allontanare un po' dall'idea di conquistare Carola.
"Ma io voglio uscire con Carola" disse con ovvietà Fabio, mostrando tutta la sua ingenuità.
Bruno tornò ad asciugarsi il sudore con la sua salvietta, mentre il suo petto si alzava e abbassava velocemente per recuperare il fiato.
"Lo so, ma uscire con qualche altra ragazza ti farà bene, pensaci" provò Bruno, non capiva bene per quale motivo si stesse impegnando tanto per lui, forse era semplicemente per aiutare la sorella.
Lo sguardo di Fabio si fece pensieroso poi, improvvisamente, si illuminò: "Per farla ingelosire?"
Bruno spalancò gli occhi, era davvero così scemo questo ragazzo?
Tuttavia, qualsiasi fosse stata la motivazione, farlo uscire con qualcuna era la soluzione migliore.
"Sì" replicò con un'espressione piatta sul volto, poteva funzionare anche in questa maniera.
"È una buona idea" commentò Fabio, il suo cervello stava già macchiando maniere per comunicare con casualità l'informazione a Carola, nella speranza di una qualche reazione positiva da parte di lei "ma niente di serio"
Un sorriso istintivo spuntò sulle labbra di Bruno: "Ovviamente"
Intanto dalla sala pesi vicino a loro, una ragazza bionda continuava a cercare scuse per recarsi nella zona dei sacchi.
Una volta aveva bisogno di una bottiglietta d'acqua alla macchinetta, una volta doveva usare il bagno, un'altra volta ancora aveva perso il suo asciugamano e doveva trovarlo.
Lo sapeva lei, lo sapevano le sue amiche e lo sapevano pure i ragazzi che la scorgevano fare avanti indietro, Emma voleva solamente osservare l'allenamento dei maschi e sì, anche farsi notare da loro. Ma nell'ultimo periodo, non le importava più tanto dello sguardo di ogni ragazzo su di sé, voleva attirare l'attenzione di una singola persona là dentro, l'unica che sembrava non vederla mai.
Quando Bruno prendeva a pugni quel sacco, non si accorgeva più di nulla, nemmeno del suo fiato corto, del sudore che gli colava lungo la schiena o di quello stupido ragazzo che andava continuamente a parlargli, rischiando un colpo sul viso.
E Emma non lo sopportava, lui le rubava ogni momento per stare sola con Bruno, anche in quel momento stavano scherzando come se fossero grandi amici, Bruno rideva addirittura.
Emma contrasse la mascella per il nervoso, non era abituata a essere ignorata, non era abituata a fare tanta fatica per ricevere le attenzioni di un ragazzo e, un appuntamento, non era mai stato tanto difficile da ottenere.
Perché accidenti Bruno non la considerava? Certo, flirtava quando parlavano insieme, le sorrideva e la osservava con quel suo sguardo magnetico, ma non avanzava mai un qualche invito e Emma era troppo orgogliosa per fare la prima mossa.
Girò su sé stessa per tornare verso gli spogliatoi, era stufa di pensare a lui, lo voleva e questa cosa la faceva arrabbiare più di quanto avesse mai immaginato.
Si lavò velocemente e si cambiò, legò o capelli in una coda alta disordinata e uscì dalla palestra con lo zaino sulle spalle e il vento freddo sul viso.
Abbottonò il cappotto fin sotto al collo, sbuffò sonoramente e si incamminò a piedi verso casa, poco desiderosa di tornarci.
Quando varcò la porta della villetta nella quale abitava, un ambiente moderno e asettico la accolse, suo padre aveva sempre amato questo stile, minimale, poco confortevole, poco funzionale. Tuttavia Emma non si era mai lamentata, erano sempre stati lei e il padre e questo le bastava.
Finché non si era innamorato e nella loro vita era apparsa la sua attuale matrigna. Non che Emma la odiasse, lei andava anche bene, era gentile e tentava di instaurare un qualche tipo di rapporto, ma soprattutto, faceva felice suo padre. Purtroppo, insieme a lei, era arrivata anche sua figlia, Guenda, di un anno più grande di Emma. E da qua, era cominciato l'inferno.
Emma aprì la porta della sua camera, desiderando di buttarsi sul suo letto e aspettare la cena, ma quando mise piede al suo interno, trovò il suo materasso già occupato.
"Ciao, sfigata" la salutò con disprezzo Guenda che era comodamente sdraiata su esso, una rivista aperta tra le mani, i corti capelli neri a caschetto abbandonati sul cuscino.
"Cosa ci fai qua?" le domandò scocciata Emma, poggiando il suo zaino da palestra vicino alla scrivania.
"Io sto dove mi pare" ribatté acida Guenda, portandosi in piedi, dopo aver chiuso la rivista.
"Vai via" provò ancora Emma, era stanca, non voleva discutere con lei.
"Va bene" rispose secca Guenda, ma prima di allontanarsi, si avvicinò alla sorellastra "ma entro domani, dovrai farmi i compiti di matematica" indicò con il dito un quaderno che giaceva sulla scrivania.
"I tuoi compiti? No" tentò di liberarsi Emma, facendo un passo indietro.
Gli occhi di Guenda si accesero, si poteva leggere la rabbia dentro essi, con una falcata annullò qualsiasi distanza che la sperava da Emma e le afferrò una ciocca di capelli, tirandole la testa indietro.
Una smorfia di dolore si dipinse sul viso della bionda mentre deglutiva dalla paura e dalla frustrazione, non osava ribellarsi o controbattere, era stata picchiata fin troppe volte e conosceva bene la forza di Guenda.
"Come hai detto?" le mormorò all'orecchio la sorellastra, caricando la sua voce di disprezzo.
"Li farò" sussurrò con un lamento Emma, restando immobile.
"Brava, sorella" la derise Guenda, mollando la presa, fece qualche passo verso la porta, ma prima di andarsene, si bloccò sulla soglia, si voltò verso Emma e riprese: "E, ricorda, ti conviene non fare la spia"
Uscì con il sorriso sulle labbra e gridò rivolta verso la cucina: "Mamma, quando si mangia?"
Emma rimase ferma vicino alla sua scrivania, strinse la mani a pugno per trattenere lacrime di frustrazione, si morse il labbro inferiore fino a sentire male, poi si sedette alla scrivania, prese la penna, aprì il quaderno di matematica e cominciò a scrivere.
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