23 - Come aghi sulla pelle
Cecilia aveva aspettato su quella panchina, nonostante avesse la sensazione di mille occhi su di sé, nonostante la sua mente cercasse di convincerla a tornare a casa, nonostante quello che stava facendo fosse anni luce distante dalla sua solita routine confrontante. Era rimasta seduta in attesa, gli occhi concentrati sulle sue scarpe da ginnastica, il cuore che batteva più veloce del solito per l'agitazione, la speranza che Carola tornasse presto.
Si sentiva un po' immatura, restare lì in attesa di qualcuno che la supportasse, non essere in grado nemmeno di badare a sé stessa. A parte il suo difetto genetico che la rendeva a macchie, tutto il resto nel suo copro funzionava bene, ogni muscolo, ogni nervo, ogni senso, ogni percezione.
Eppure, quando si trovare in situazioni di disagio, era come se la sua ansia arrivasse a livelli tali, da bloccarle ogni singola terminazione, da bloccarle ogni pensiero razionale, da bloccarle ogni tipo di interazione umana.
Era per questo che tentava sempre di prevedere ogni circostanza, non voleva trovarsi impreparata in nessuna occasione, in maniera tale da poterla gestire senza queste difficoltà. Ma l'imprevisto era sempre dietro l'angolo e, quando accedeva, ecco che Cecilia si bloccava. E finiva per comportarsi nel modo sbagliato, oppure scappava.
Quando la prima goccia di pioggia cadde sulla sua testa riccia, lo stadio di ansia nel quale si trovava, aveva già superato i normali livelli di controllo. Era uscita di casa senza sapere bene cosa aspettarsi, aveva camminato tra la gente ignorando i loro sguardi, solamente perché Carola era rimasta vicino a lei, comportandosi in maniera tranquilla, amichevole, gioiosa. E questa sua normalità, l'aveva trasmessa un po' anche a lei.
Ma ora Cecilia era sola e la pioggia cadeva sempre più fitta, le persone si erano diradate e le poche che erano rimaste si erano radunate sotto pensiline e tendoni, osservando il cielo grigio e la zona intorno.
Cecilia in questa maniera si sentiva esposta, infreddolita e, mai, si sarebbe avvicinata tanto a un gruppo di persone solamente per evitare la pioggia. Quindi, nonostante fosse dispiaciuta di lasciare Carola senza una parola, decise di tornare a casa. I suoi capelli gonfi e ricci, piano piano si erano attenuati, schiacciati dal peso dell'acqua che era caduta su di loro.
Senza quel folto riparo, Cecilia credeva che la sua pelle fosse maggiormente in vista, quindi affrettò il passo verso casa, portandosi entrambe le mani sopra la testa come riparo. Indossava spesso felpe con il cappuccio, perché quella sera aveva deciso di optare per uno stupido maglioncino?
Si maledì mentalmente e, quando finalmente giunse davanti al portone di casa, era completamente fradicia. I jeans rigidi sfregavano contro le sue gambe magre, i piedi navigavano nelle scarpe, il maglione e, pure la maglietta sotto, erano bagnati tanto che aderivano perfettamente al suo corpo, sottolineando il suo seno abbondante.
Non le piaceva, mostrare tanto di sé, voleva oltrepassare la porta di casa il prima possibile. Fortunatamente con tutta quella pioggia, nessuno passava vicino a lei in quel momento.
Frugò tra le tasche della giacca alla ricerca delle chiavi del portone d'ingresso, mentre la pioggia, inesorabile, batteva sulla sua testa.
Sbuffò frustrata, perché proprio quel giorno aveva deciso di indossare una giacca con tante tasche?
Stava per infilare la mano all'interno della giacca per controllare gli scompartimenti interni quando, improvvisamente, smise di piovere.
Cecilia, sorpresa, sollevò la testa, ma non era pronta a ciò che i suoi occhi incontrarono, perciò il suo livello di ansia scese in picchiata sotto lo zero per la sorpresa, per poi salire a mille.
Pelle chiara, occhi verdi, ricci scuri. Bruno la sovrastava con la sua altezza, la spalle leggermente ricurve, la testa rivolta verso di lei, un braccio allungato dietro la schiena di Cecilia, la mano che teneva saldamente un lembo della sua giacca di pelle, in maniera tale da tenderla sopra la testa della ragazza, creandole un riparo.
Il respiro di Cecilia le morì in gola, mai nella vita si era trovata tanto vicino a un ragazzo, quasi da poter sentire il battito del suo cuore, tanto da percepire il suo profumo ambrato.
Rimase a fissarlo nel panico, ogni muscolo del suo corpo si era come paralizzato. I capelli bagnati di Bruno aderivano alla sua fronte, conferendogli un'aria sensuale, gocce di pioggia colavano dalla punta di essi, percorrendo la sua pelle perfetta, fino a raggiungere la linea marcata della sua mascella. Poi cadeva verso il basso e atterravano sulla guancia macchiata di Cecilia.
Poteva sentirle come aghi, che pungevano la sua pelle inerme.
Era troppo per Cecilia: era troppo bello, era troppo bagnato, era troppo vicino.
Bruno rimase in silenzio per tutto il tempo, osservando quella curiosa reazione, gli era capitato spesso di provocare un certo scalpore nel cuore delle ragazze e, nonostante loro cercassero di celarlo, nascondendo le loro espressioni o il tremolio della loro voce, lui lo percepiva sempre.
Questa ragazza, invece, non lo celava per nulla, poteva leggerlo chiaramente sul suo viso, lo stupore, anche il panico forse, l'imbarazzo, il disagio. Erano un miscuglio di sensazioni che si concretizzavano in un'espressione buffa su quel viso ingenuo.
I grandi occhi spalancati che lo fissavano, contornati da lunghe ciglia scure, le sopracciglia leggermente inarcate, la bocca carnosa un po' aperta, le spalle tese, entrambe le mani infilate nelle tasche della giacca.
Era un'espressione buffa, sì, ma allo stesso tempo gli trasmetteva tenerezza.
Il ragazzo estrasse qualcosa dalla tasca della giacca e allungò la mano libera verso Cecilia che sostava ancora davanti al portone d'ingresso.
"Tieni" disse con voce profonda, mostrando sul palmo aperto il suo mazzo di chiavi.
Cecilia rimase ancora immobile, il suo corpo non le rispondeva più, era in blocco totale, poteva sembrare più stupida di quanto già non fosse?
Bruno corrugò le sopracciglia confuso, per poter aprire da solo la porta, avrebbe dovuto avvicinarsi troppo a Cecilia e, notando la situazione in cui già versava, non gli pareva una buona idea. Tuttavia decise comunque di provocarla un poco, incurvò ancora un po' la schiena, avvicinò il suo viso a quello di lei e le sussurrò all'orecchio: "Per quanto sia piacevole stare qua sotto la pioggia con te" fece una breve pausa, notando gli occhi di Cecilia dilatarsi ulteriormente "mi sto bagnando pure i boxer"
Quando quella parola, sussurrata da quelle labbra così vicine a lei, raggiunsero il cervello di Cecilia, qualcosa scattò, immaginare le sue mutande fu come ricevere una sberla in pieno viso.
Sentì le sue guance arrossarsi, il suo cuore fermo, battere all'improvviso e il respiro farsi affannoso. Abbassò velocemente lo sguardo, senza dire una parola, prese le chiavi della mano di Bruno e tentò di aprire il portone il più velocemente possibile. A causa di tutta l'acqua che aveva preso, la presa sulle chiavi le scappò più volte e, ogni volta, la sua agitazione crebbe e, ogni volta, il sorriso divertito sul volto di Bruno si fece sempre più marcato.
Quando finalmente quel piccolo pezzo di metallo si inserì nell'apposito spazio, facendo scattare la porta d'ingresso, il viso di Cecilia scottava come se ci fosse stato il sole alto nel cielo.
Non osava guadare nuovamente Bruno in volto, non aveva il coraggio di rivolgergli alcuna parola senza celare il tremolio che sicuramente sarebbe fuoriuscito dalla sua bocca. Perciò esitò ancora qualche secondo sulla porta, poi la oltrepassò in silenzio ma con passo svelto, allontanandosi da quel corpo che le creava fin troppo disagio.
Bruno aveva notato da subito la sua agitazione e, sapeva per certo di esserne la principale causa, così non disse nulla, infilò le mani nella tasche umide dei jeans e la seguì con tranquillità, un suo sorriso stampato sulle labbra. Un po' divertito, un po' incuriosito.
Il cervello di Cecilia era ancora in blocco, come le capitava in ogni situazione imprevista, ma ciò che era in grado di capire, era che non doveva assolutamente salire sull'ascensore insieme a lui. Rinchiusi in una scatola di metallo, con il silenzio a circondarli e l'imbarazzo a guidarli. Lui avrebbe sentito per certo il battito frenetico del cuore di lei.
Senza voltarsi indietro, Cecilia imboccò la prima rampa di scale, il fiato corto già al primo gradino, ma sapeva di essersi resa abbastanza ridicola di fronte a lui, non voleva peggiorare la situazione.
Tuttavia, inconsapevolmente, lo fece.
"Ehi" la apostrofò lui, dal fondo delle scale, bloccandola così sul quarto scalino "ballerina" continuò, lasciando trapelare una nota di divertimento nella sua voce "aspetta" concluse poi, restando in attesa che lei si voltasse nella sua direzione.
Cecilia si sentiva come pietrificata, il cuore, se possibile, batteva sempre più forte. Perché quel ragazzo non voleva porre fine al suo supplizio?
Lentamente si voltò verso di lui, non avendo altra scelta, e gli rivolse uno sguardo un po' confuso e piuttosto spaventato.
Bruno piegò la testa di lato e una fossetta si accentuò all'angolo della sua bocca, i suoi occhi si fissarono in quelli di lei, poi lentamente percorsero il suo corpo e si fermarono all'altezza delle sue mani.
Cecilia era rimasta immobile, su quel quarto gradino che la rendeva più alta ma allo stesso tempo la faceva sentire tanto piccola.
Bruno compì un rapido cenno con la testa in direzione delle sue mani e le disse con calma: "Hai le mia chiavi"
Solo in quel momento, Cecilia si rese conto di stringere ancora tra le mani qualcosa che non le apparteneva e, in un breve secondo, il suo viso tornò a bruciare come poco prima. Le guancia si arrossarono, gli occhi si spostarono velocemente verso il pavimento e, con un sussurro, rispose: "ah"
Come poteva essere tanto stupida? Come poteva il suo cervello abbandonarla in questo modo? Dove accidenti era andata la sua razionalità?
Con una velocità che non pensava di possedere, Cecilia percorse la breve distanza che la separava da Bruno, gli porse le chiavi che il ragazzo prontamente prese e si girò nella direzione opposta a quegli occhi pietrificanti.
Salì con rapidità la rampa di scale con il desiderio di scomparire e, proprio mentre girava l'angolo e credeva di aver raggiunto la salvezza, lo sentì gridare dal fondo delle scale: "Grazie, Cecilia"
Quella voce sicura e profonda era spaventosa, destabilizzante e totalmente al di fuori della sua zona sicura, ma era ancora così attraente.
Mentre raggiungeva il suo appartamento, un gradino dopo l'altro, Cecilia si ritrovò a richiamare dalla sua memoria il suono del suo nome pronunciato da quelle labbra. Non sapeva nemmeno come lui ne fosse a conoscenza, ma ciò che la stupiva maggiormente, era che lui se ne fosse ricordato.
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