1 - Solo la televisione
"Io ti amo" esclamò con tormento la donna alla televisione, stringendo il suo amato in un abbraccio disperato, mentre lui assumeva un'espressione afflitta.
"Anch'io, Carmela" la strinse più forte in quella stretta emotivamente dolorosa, poi la allontanò aggiungendo "Ma non possiamo stare insieme"
La baciò sulla fronte con delicatezza, poi le diede le spalle e si spostò verso la porta, lentamente ma inesorabilmente. "Ti prego" pianse Carmela, lasciandosi cadere a terra con le lacrime agli occhi "non andartene, Gonzalo!"
Allungò una mano verso di lui, ma come risposta ricevette solo il suono della porta che si chiudeva, lasciandola sola in una stanza vuota.
"Non andartene, Gonzalo!" gridò Cecilia, che dalla sua camera stava seguendo quella telenovela con tanta passione da non rendersi nemmeno conto di aver parlato a voce alta.
"Stai bene, tesoro?" dal salotto giunse preoccupata la voce di suo padre, così lei si affrettò a rispondere: "Sì, va tutto bene. È solo la televisione"
Quello stupido dramma spagnolo la coinvolgeva più di quanto avrebbe mai voluto ammettere. Come ogni altra storia d'amore, quelle a lieto fine, quelle strazianti, quelle impossibili, quelle frivole, quelle serie. Le piaceva vederle alla televisione, nei film o nelle serie, ma anche nei libri, nelle canzoni, nelle pubblicità, per strada.
Forse questo suo interesse nasceva dal fatto che, ne era consapevole, la vita per lei aveva riservato una piccola porzione di questo sentimento che la attraeva tanto. Con il tempo si era resa conto che nessuno la guardava come lei avrebbe voluto, nessuno era in grado di passare oltre al suo aspetto, nessuno eccetto suo padre, l'unico genitore che le era rimasto.
Ma lui non contava.
"Carmela" un nuovo personaggio fece la sua comparsa sullo schermo della televisione, facendo voltare la protagonista verso la sua direzione.
"Almunda" sibilò quest'ultima, assottigliando gli occhi "ti credevo morta"
"No!" esclamò Cecilia, dall'altra parte dello sceneggiato, spalancando la bocca incredula.
L'attrice che interpretava Almunda, si portò i capelli dietro la spalla con un movimento teatrale del braccio e allargò le sue labbra in un sorriso soddisfatto: "E invece, sono tornata per riprendermi Gonzalo"
La telecamera inquadrò un primo piano molto drammatico del volto sconvolto di Carmela, poi ci fu uno stacco e partì la pubblicità, lasciando Cecilia piena di curiosità.
Sullo schermo mostrarono una nuova crema per il viso contro le impurità. Una modella dalla pelle già perfetta, teneva un barattolo sul palmo di una mano e con l'altra si massaggiava una guancia, sorridendo contenta.
Cecilia non potè fare a meno di lasciarsi sfuggire uno sbuffo irritato e, d'istinto, spense la televisione, ritrovandosi a fissare il suo profilo sul riflesso nero. I ribelli capelli ricci le arrivavano a metà collo, castani come i suoi occhi, le lunghe ciglia contornavano quest'ultimi, accompagnate poi dal naso dritto e le labbra carnose.
La ragazza si alzò e si avvicinò allo specchio che campeggiava vicino al suo armadio e osservò il suo corpo, le gambe lunghe e magre, il ventre piatto, il seno abbondante, le spalle larghe, il collo lungo.
Qualsiasi altra ragazza si sarebbe vantata di un fisico del genere, avrebbe cercato di metterlo in mostra in ogni occasione, si sarebbe pavoneggiata davanti ai ragazzi. Anche Cecilia avrebbe voluto farlo, ma non era nel suo carattere questo tipo di comportamento e, forse, non era solamente a causa del suo problema.
Lentamente sollevò una mano verso il viso e si accarezzò lo zigomo sinistro, sul quale campeggiava una grande macchia chiara, così come sulla palpebra destra, sull'attaccatura dei capelli, sotto al labbro inferiore, sul collo e per tutto il resto del suo corpo.
Esattamente come la sua defunta madre, Cecilia era nata con la vitiligine, una malattia genetica della pelle, che colpiva i melanociti, cioè le cellule che producevano il pigmento da cui dipendeva il naturale colore della pelle.
Non era possibile nasconderla totalmente, avrebbe dovuto girare completamente ricoperta dalla testa ai piedi, perciò aveva cominciato a ignorare gli sguardi della gente su di sé, ma le prese in giro a scuola, quelle facevano ancora parecchio male.
Così come la sua autostima.
"Cecilia" la voce di suo padre la fece sobbalzare e subito si affrettò a fiondarsi sul letto, poco prima che l'uomo aprisse la porta della sua stanza con un mestolo tra le mani. Non voleva che lui capisse quanto sofferiva per la sua condizione.
"Potresti andare a recuperare la posta? Anche se è domenica, ieri me ne sono scordato. Intanto continuo a cucinare" si passò una mano tra i radi capelli bianchi e rimase in attesa di una risposta della figlia.
"Va bene" rispose con accondiscendenza lei, alzandosi dal materasso e dirigendosi verso di lui per uscire dalla stanza, dopo aver afferrato la felpa che giaceva sulla testata della sua sedia.
Mentre prendeva l'ascensore per scendere al piano inferiore del grande condominio, si infilò l'indumento che teneva tra le mani, in maniera tale da coprire quanta più superficie di pelle possibile.
Nonostante fosse settembre, faceva ancora parecchio caldo e la ragazza si ritrovò a pensare che, una volta ricominciata la scuola, sarebbe stato difficile sopportare quel calore con tutti i vestiti che solitamente indossava. Ma non aveva altra scelta, dal suo punto di vista.
Svogliatamente arrivò fino alla casetta delle lettere, vicino all'ingresso e girò la chiave in corrispondenza del loro cognome. Afferrò un plico di lettere e tornò verso l'ascensore, ma questa era occupata in discesa. Doveva fare solamente quattro piani a piedi, così decise di non aspettare e imboccò le scale, con calma e tranquillità.
Proprio mentre Cecilia scompariva al piano superiore, al piano terra le porte dell'ascensore si aprirono e apparve una ragazza della sua stessa età, lunghi capelli neri, pelle chiara, labbra rosa. Si guardò intorno con i suoi occhi scuri, rivolgendo all'atrio uno sguardo annoiato, mentre si grattava la punta del naso, bucato da un orecchino ad anello.
Con il suo corpo atletico e slanciato si spostò verso l'ingresso e aprì lo sportello della posta con un movimento brusco, scuotendo poi la testa per sposare i capelli dalla fronte. Su una delle buste campeggiava il suo nome: Carola.
Tornò sui suoi passi e riprese l'ascensore, tamburellando con le dita sullo specchio di fronte a sé, annoiata. Lei e la sua famiglia si erano trasferiti in quella città da qualche settimana, subito dopo il divorzio dei suoi genitori.
Perciò cerchia familiare era rimasta composta da lei, sua madre e suo fratello. Suo padre si faceva sentire ancora ogni tanto, ma come era stato assente durante il matrimonio, continuava a esserlo anche dopo il divorzio. Non che le importasse molto, non ne aveva mai avuto bisogno e sicuramente non stimava una persona come lui.
Attraversò le porte dell'ascensore e percorse il corridoio che portava al suo appartamento, proprio mentre il suo cellulare le comunicava l'arrivo di un messaggio da parte di Chiara.
Mi mancano i tuoi baci.
Un sorriso spuntò sulle labbra della ragazza ripensando ai quei dolci ricordi, ma sapeva bene che sarebbe stato difficile rivedere la sua, come si poteva definire... fidanzata?
No, Carola non era pronta per quel genere di etichetta, perciò era un bene essersi trasferiti tanto lontano, non aveva dovuto esprimere i suoi sentimenti, se n'era semplicemente andata.
"Cos'hai da sorridere come una scema?" chiese una voce maschile, facendo sollevare la testa della ragazza dallo schermo del cellulare.
"Non sono affari tuoi" sentenziò acida, lanciando un'occhiataccia al fratello che era apparso di fronte a lei. In realtà si volevano bene, ma non erano mai stati capaci di parlarsi in maniera dolce o fraterna, anche se Bruno era più grande di lei solamente di un anno e mezzo.
Bruno sollevò il borsone che penzolava dalla sua mano e, con un movimento agile, se lo portò dietro la spalla, mettendo in mostra il bicipite sotto la maglietta bianca a maniche corte.
Si spostò verso la porta d'ingresso, superando la sorella ma, un attimo prima di passare oltre, si fermò e poggiò il palmo della mano libera sulla sua testa. Incurvò la schiena per raggiungere la sua altezza e la prese in giro dicendo: "Fai la brava"
Lei gli restituì uno sguardo scocciato e scacciò la sua mano, facendo spuntare un sorrisetto divertito sulle labbra del fratello.
Senza aggiungere altro, Bruno uscì in corridoio e imboccò l'ascensore, ritrovandosi solo con il suo riflesso. Era un ragazzo alto, le spalle larghe, fisico scolpito, gambe lunghe muscolose, con un tale aspetto, era facile essere popolare tra le ragazze.
Eppure, non era questo a colpirle, ma il suo viso angelico: la pelle chiare, in contrasto con i capelli scuri un po' mossi che gli ricadevano sulla fronte, gli occhi verdi che sembravano illuminarsi al sole, il naso dritto, la mascella squadrata. Quel viso così puro, si scontrava violentemente con il suo carattere ribelle, frivolo, impertinente.
Aveva sempre la riposta pronta per qualsiasi battuta, la mossa giusta per qualsiasi situazione, la scappatoia perfetta per qualsiasi impegno. Non voleva legami, non voleva problemi, non voleva emozioni.
Attraversò le porte dell'ascensore che si erano aperte e si diresse verso l'ingresso del condominio, uscendo poi sul marciapiede e dirigendosi verso il palazzo di fianco, dove si trovava la palestra che aveva iniziato a frequentare da poco.
Quando entrò, si passò una mano tra i capelli e fece l'occhiolino alla ragazza alla reception, provocando in lei un leggero rossore sulle guance e un timido sorriso sulle labbra. Poi si cambiò agli spogliatoi e fece per riporre il suo borsone nell'apposito sportello, quando il suo cellulare prese a squillare.
Lo afferrò velocemente, ma appena notò il nome sullo schermo, il suo buonumore scomparve: papà.
I muscoli della sua mascella si tesero mentre stringeva i denti e le vene sulle sue braccia si accentuarono a causa delle mani che aveva serrato a pugno.
Con un gesto nervoso annullò la chiamata in entrate e ripose il cellulare nel borsone. Dopo aver chiuso lo sportello, afferrò i guantoni da boxe che aveva lasciato sulla panca e si avviò all'interno della sala dove c'erano i sacchi per l'allentamento.
Unicamente vedendo il nome di suo padre su quello stupido schermo, aveva cominciato a provare una rabbia tale, che solamente una scarica di pugni su quel sacco indifeso avrebbe potuto dissolvere. Non ricordava a che età aveva iniziato a soffrire di questi attacchi, ma una cosa la sapeva chiaramente, dipendevano da quell'uomo.
E proprio pensando al suo dannato viso, Bruno cominciò a prendere a pugno il sacco con i guantoni alle mani, scaricando tutta la tensione che sentiva accumulata dentro al suo corpo. Il sudore presto cominciò a colare lungo il suo collo e la sua schiena, i capelli si appicciarono alla fronte, la maglietta bagnata aderì ai suoi addominali, ma lui non si fermò. Era l'unico modo che conosceva per buttare fuori tutto l'odio che provava verso di lui.
La palestra era piccola, perciò tutti avevano notato il nuovo ragazzo che si allenava con tanto furore e, la maggior parte dei presenti, era anche piuttosto intimorita dalla scarica di colpi che Bruno era in grado di sferrare, ma non Fabio.
Lui ne era affascinato, e sì, un po' invidioso. Erano ormai un paio di anni che si allenava, ma non riusciva a dosare così bene la sua forza, o forse proprio non aveva tutta quella forza.
Si era impegnato per raggiungere alcuni traguardi, come un corpo atletico e slanciato, gambe muscolose e scattanti, addominali definiti e bicipiti potenti, ma forse, tutto quell'esercizio a cui aveva sottoposto il suo fisico, serviva a colmare un vuoto emotivo che non riusciva a superare.
Con un sospiro si sfilò i guantoni dalle mani e si passò un asciugamano sul collo e sul viso, pulendo la pelle chiara, chiazzata con alcune lentiggini, dal sudore che la ricopriva. Dopo aver dato un'ultima occhiata al ragazzo nuovo della palestra, che continuava imperterrito a colpire il suo sacco, si ritirò negli spogliatoi e si gettò sotto la doccia, lasciando scorrere l'acqua calda su di sé.
Chiuse gli occhi scuri pensieroso, si passò entrambe le mani sulla testa, ricoperta da corti capelli rossi, poi si insaponò e sciacquò prima di uscire.
Si rivestì con calma e recuperò le sue cose, ripose i vestiti sporchi nello zaino che aveva con sé, lo infilò sulle spalle e uscii dalla palestra, salutando il personale. Il suo appartamento non distava molto, doveva semplicemente attraversare la strada e percorrere un paio di vie desolante, salire qualche rampa di scale e girare la chiave di casa.
Quando la spalancò, ad accoglierlo ci fu solamente il buio e il silenzio e, improvvisamente, la malinconia avvolse il cuore di Fabio, che decise di accendere la televisione per sentirsi meno solo.
Senza prestare particolare attenzione a ciò che stava succedendo sullo schermo, sistemò gli abiti sportivi e cominciò a sbirciare nel frigorifero per prepararsi qualcosa da mangiare, quando il suo cellulare cominciò a squillare. Subito lo afferrò e rispose contento alla chiamata: "Ciao, mamma"
Chiacchierò con lei con entusiasmo, ritrovando un po' di serenità e passeggiando per la stanza senza una meta precisa, finché si spostò verso la sua camera e scomparve dentro essa, lasciando la televisione accesa sulla puntata di una telenovela spagnola.
"Gonzalo, devi ascoltami" stava dicendo una ragazza, aggrappata al suo braccio per evitare di farlo allontanare.
"Non voglio stare con te, Almunda" rispose lui, cercando di cacciarla, inutilmente.
"Perché non puoi amarmi?" domandò disperata quest'ultima, lasciando che calde lacrime iniziassero a scorrere sulle sue guance.
"Perché amo Carmela" sentenziò lui, liberandosi finalmente da quella presa infernale e fissando la sua interlocutrice con astio. Dopodiché girò su sé stesso e lasciò la stanza, e anche la ragazza, che si accasciò a terra disperata.
Come nella serie televisive, dove gli sceneggiatori intrecciano storie e personaggi tra loro, così anche il destino avrebbe incrociato le strade di questi quattro ragazzi.
Ma loro ancora non lo sapevano.
Ben ritrovati cari lettori, mi sono fatta desiderare con questa nuova storia ma, nonostante il tempo passato, spero di ritrovarvi ancora su queste pagine digitali con tanti commenti (come sempre <3).
Sono super curiosa di leggere i vostri pareri su questa storia che, diciamolo, si distacca leggermente dal mio solito stile, ma ho voluto provare (spero senza troppi disastri!)
Nella pagina seguenti vi lascio gli aesthetic dei personaggi principali, inoltre vi informo che la pubblicazione avverrà una volta a settimana (perché sono ancora in fase di scrittura), perciò attendetemi con ansia fino al prossimo mercoledì.
Sempre con tanto amore, la vostra ZiaYetta
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