Un'insegnante (parte 3)

Percy poggiò una mano sul bordo fresco della fontana al centro della sua casa. Il gorgogliare rassicurante dell'acqua alleggerì la tensione dei muscoli mentre respirava il profumo del mare. Vi immerse poi le dita, sfiorando le dracme che,sul fondo, disegnavano delle ombre dorate sulla superficie.

Quella fontana era stata un regalo di suo padre per le volte in cui il mare gli sarebbe sembrato troppo lontano. Per quanto dal balcone del suo alloggio avesse una vista migliore, quella fontana profumava di casa ed era per quello che sfiorarla riusciva sempre a calmarlo. Era un regalo di suo padre.Tutte le volte che si sarebbe sentito solo, gli sarebbe bastato avvicinarsi per ricordarsi lui sarebbe per sempre stato lì.

Quella notte aveva dormito persino peggio della precedente. Non che, comunque, il suo sonno costellato da incubi fosse poi una novità.

Era un semidio.
Era un semidio figlio di Poseidone.
Era già tanto non essere nato Minotauro.
O per metà pesce.
Rabbrividì al pensiero.

Gli piaceva avere due gambe e vivere sulla terra. Per quanto poi l'umanità riuscisse a dimostrarsi deplorevole la maggior parte delle volte, non era completamente da buttare.

E lui, comunque, di quella stessa umanità vi faceva parte. Meglio cercare di pulirne l'onore che buttarla inutilmente giù negli abissi del Tartaro.

Aveva sognato la civetta dagli occhi grigi anche quella notte. Sbatteva le ali all'impazzata dentro la gabbia, gridando al punto da trapanargli i timpani. Non c'era un avvoltoio ad attaccarlo quella volta, il che aveva reso quella scena, per Percy, ancora più straziante.

La civetta era in terribile agonia pur senza che nessuno lo stesse attaccando. Era chiuso in una gabbia dalla quale tentava disperatamente ed inutilmente di uscire.

Si era svegliato osservando il soffitto buio della sua stanza col petto che premeva per il dolore del gufo e si era deciso ad alzarsi prima dell'alba.

Era inutile riprendere sonno a quel punto e, comunque, sarebbe dovuto andare da Annabeth.

Era stato Chirone a dirgli, il giorno prima, che avrebbe dovuto allenarla e lui si era dovuto sforzare per non fare i salti di gioia. Era doloroso vedere tutto quel talento sprecato ed era più doloroso non tenere d'occhio come avrebbe meritato un nemico della sua portata.

Annabeth era forte e scaltra, persino troppo. Ed una parte di lui era tremendamente curiosa di vedere fino a che punto si potesse spingere prima di tirare fuori la sua vera natura o farle estrarre quel coltello che tanto attentamente teneva contro lo stomaco. Quando l'aveva notato per la prima volta sull'Acropoli di Atene, il suo istinto da soldato gli aveva detto la cosa migliore sarebbe stata strapparglielo via di dosso ma poi, una curiosità del tutto diversa l'aveva invece fatto desistere fino ache lo stesso Chirone non aveva inconsapevolmente preso la sua stessa decisione.

Mentre usciva dalla sua casa, corrugò la fronte.

Annabeth andava studiata, non fermata.

L'aria fuori dall'alloggio era fresca ma Percy sapeva fosse solo questione di tempo prima che Apollo si svegliasse ed iniziasse a scaldare l'intero Peloponneso.

Solo la casa di Ade, illuminata dal fuoco eterno, quella di Efesto e di Artemide brillavano sotto le stelle ed i raggi della luna.

Viveva dentro quei confini da quando aveva dodici anni. Il Campo era stato la sua casa da più a lungo di quanto gli piacesse ammettere. Ne conosceva centimetro per centimetro e persino la foresta non aveva segreti per lui, né lei né i mostri che vi vivevano all'interno eppure gli era facile concedersi sempre qualche secondo per poterne apprezzare la bellezza.

Passò tra le case di Dionisio ed Ecate, costeggiando il limitare della foresta e raggiungendo il dormitorio degli schiavi.

Scosse la testa, sospirando davanti all'intonaco scrostato del muro ed all'erba incolta lì attorno.

Era da due anni che tentava di migliorare la condizione degli schiavi e dei ragazzi al Campo mac'era sempre un insetto fastidiosissimo che bloccava quotidianamente le sue scelte.

Spostò il legno che bloccava la porta e lasciò che un raggio di luna potesse parzialmente illuminare i letti delle spartane. Quando si accorse poi, dopo una veloce occhiata, che un letto fosse vuoto e di Annabeth non c'era neanche l'ombra, corrugò la fronte stranito, guardandosi attorno ancora una volta, incerto se avesse visto bene  o se il buio gli stesse giocando brutti scherzi. Mosse un paio di passi all'interno dell'alloggio, avvicinandosi un po' di più al letto che, a giudicare dall'assenza di Annabeth, doveva essere il suo. A parte un paio di lenzuola logore ed il cuscino sottile, non c'era assolutamente nessuno.

La luce delle torce in bagno filtrava da sotto la porta in legno e vi camminò incontro lentamente,accostandovi l'orecchio. Quando non sentì nessun rumore, la spinse delicatamente con la punta delle dita. Vide Annabeth solo quando abbassò lo sguardo sulla sua sinistra, ignorando il cuore che gli si strinse in una morsa gelida.

Era raggomitolata su sé stessa in una posizione che chiunque avrebbe trovato come scomoda. La testa era nascosta tra le ginocchia, la schiena poggiata alla parete. Sapeva di sudore ed il chitone, che un tempo doveva essere candido, era sporco di terra, sabbia e sangue.

Forse, si disse, non avrebbe dovuto allenarla quella mattina. Avrebbe soltanto dovuto prenderla in braccio e metterla a letto assicurandosi che, per almeno qualche tempo -seppur breve- potesse godersi un materasso comunque più comodo del pavimento.

In quel momento, Annabeth non gli sembrava affatto la guerriera che aveva visto in quei due giorni.Dimostrava semplicemente la sua età. Era una ragazzina di neanche diciotto anni, vulnerabile e forse persino spaventata ma si disse che se solo si fosse svegliata mentre lui la portava a letto o una volta resasi conto di cosa fosse successo, non ne sarebbe stata esattamente felice.

Era in grado di potersi proteggere da sola e che qualcuno lo facesse al posto suo, l'avrebbe soltanto fatta indispettire.

Fu per quello che si accucciò accanto a lei. – Annabeth – la chiamò. – Annabeth – gli bastò farlo due volte perché la ragazza potesse sollevare la testa di scatto dalle ginocchia, raddrizzando velocemente la schiena prima di scattare in piedi in un solo e nervoso attimo. Barcollò e Percy,istintivamente, allungò una mano per afferrarla ma gli bastò una sola e lapidaria occhiata per lasciarlo cadere lungo il fianco.

Annabeth lo guardò ancora e sembrò vederlo per la prima volta solo in quel momento, raddrizzando la spalle e sollevando il mento. – Quindi sei tu – disse soltanto.

Percy annuì, allungando poi la ciotola riempita di orzo ed un tozzo di pane. – Colazione! – annunciò in un sussurro per evitare di svegliare le altre schiave che dormivano e, incredibilmente, lo sguardo di Annabeth si addolcì. Si addolcì sul serio, perdendo la durezza che l'aveva sempre contraddistinto in quei giorni per lasciare spazio ad un luccichio che quasi fece corrugare la fronte di Percy per la sorpresa. Un angolo delle labbra tremò persino nel tentativo di sollevarsi verso l'alto mentre le spalle si rilassavano e si passava i pugni sugli occhi, scacciando via gli ultimi residui di sonno, in un gesto così delicato ed infantile che a Percy strappò un sorriso.

Poi tornò in sé ma gli occhi non avevano ancora perso quella sfumatura di dolcissima sorpresa.

- Lo sanno tutti che non ci si può allenare a stomaco vuoto.

- E chi lo dice?

- Io. Forza, prendi il pane e l'orzo.

E nel giro di pochissimo tempo, un angolo delle labbra di Annabeth tremò nel tentativo di sollevarsi. Poi prese l'orzo ed il pane dalla sua mano, stringendoseli al petto. – Grazie – si limitò solo a dire, guardandolo con gli occhi    grigi di civetta che per quegli istanti però, Percy si azzardò addirittura a pensare non si sentisse in gabbia.

Puzzava di sudore e sangue e l'unica cosa che avrebbe voluto fare Percy sarebbe stata far esplodere il bagno di quegli orribili alloggi e regalarle il bagno che si sarebbe meritata ma si limitò solo a guardarla ed a chiedersi come fosse possibile che persino così, fosse comunque bellissima.

- Andiamo allora – le sorrise allora, facendole strada fuori dal dormitorio osservandola quando, prima di arrivare alla porta, arrivò accanto al letto di una schiava con i capelli castani, lasciandole l'intero tozzo di pane    accanto sul materasso.

Quando misero un piede all'esterno, Percy sentì distintamente Annabeth prendere una generosa boccata d'aria come se fino a quel momento, non avesse respirato affatto.    Lasciò andare un respiro tremante prima di riprendere a camminare un paio di passi dietro di lui.

Erano ancora immersi nel buio se non fosse stato per il bagliore in lontananza delle case provviste di torce od illuminazione divina.

Percy rallentò discretamente fino a che non ebbe Annabeth al suo fianco, osservandola con la coda dell'occhio. Teneva la testa alta, le spalle dritte mentre beveva lentamente dalla ciotola e l'unica cosa che tradiva veramente la    sicurezza che ostentava, erano i passi trascinati sul lastricato. Era come se non avesse la forza di sollevare i piedi abbastanza.

Non poteva farla combattere. Non quando non era neanche evidentemente in grado di parare un solo affondo.

Non poteva farle fare un bagno nel lago però poteva regalarle una prospettiva diversa.

Vide Annabeth, istintivamente, girare    lievemente a sinistra per andare verso l'Arena fino a che non si scontrò sulla sua spalla, facendo un salto all'indietro l'istante dopo.

Percy le sorrise. Lo fece comunque seppur non fosse certo riuscisse a vederlo avvolti com'erano nel buio. – Oggi non combattiamo – e maledisse la mancanza di illuminazione che gli impedì di vedere la sua espressione.

Annabeth lo seguì mentre passavano tra le case, sbucando poi davanti al laghetto, muovendo qualche altro passo fino a che non arrivarono alla parete delle arrampicate.    Ovviamente le mura in quel momento, non si stavano né sbattendo tra loro ogni venti secondi né perdevano lava dall'alto (una difficoltà ulteriore che aggiungevano solitamente i satiri). Erano perfettamente immobili nella notte che era in procinto di lasciare spazio alla luce del giorno, fiocamente illuminate da torce di fuoco eterno sistemate lungo i bordi.

- Perseo – fece Annabeth al suo fianco. La voce così incredibilmente tesa che il ragazzo si voltò    di scatto verso di lei, trattenendo uno sbuffo quando, ovviamente a causa del buio, non riuscì a leggere la sua espressione.

- Scaleremo uno al fianco dell'altra – non era la cosa migliore da fare quella soprattutto quando, a giudicare dalla reazione che stava avendo Annabeth, lei non aveva mai scalato in vita sua. In una questione di vita o di morte, lo    scalatore inesperto sarebbe stato dietro a quello esperto così che, se fosse caduto, non avrebbe ammazzato nessuno nel frattempo ma    quella non era una questione di vita o di morte. Lo sarebbe diventata se Annabeth avesse fatto un passo falso, cadendo da chissà quanti metri di altezza avendo, come unica immagine, le grazie di Percy lasciate ovviamente scoperte dal chitone.

Nessuno meritava di morire con un'immagine così pietosa.

Annabeth non se la stava passando troppo bene fino a quel momento. Non era il caso di peggiorarle la situazione.

Non era certo lei ci avesse fatto caso ma, istintivamente, mosse un passo indietro.

– Sarà impossibile cadere. Ti terrò d'occhio e, in più, il lago è vicino. Se perdi l'equilibrio e    scivoli, ti faccio portare in cima da un'onda.

Scalare non era facile.

Per ovvio motivi, quella parete era la zona del Campo preferita dai satiri ma nel corso dei secoli erano morti talmente tanti semidei lì che Percy aveva ormai perso il conto. Non era facile scalare e non bisognava mai farlo da soli.

Era una delle regole d'oro del Campo quella di scalare in due e, possibilmente, con qualcuno di fidato se non c'era un satiro a disposizione.

Percy stava chiedendo ad una schiava    ateniese di fidarsi di lui -capo spartano- mentre si arrampicava per la prima volta.

Quando aveva pensato a farla arrampicare non aveva preso in considerazione quanto, per Annabeth, sarebbe stato difficile.

La osservò mentre guardava la parete da scalata, piegando innaturalmente il collo all'indietro. Le torce che ardevano di fuoco greco illuminavano la parete abbastanza perché appigli e pietre varie potessero essere visibili ma con la notte che non aveva ancora lasciato spazio al giorno, forse poteva essere un    po' tetro.

Forse.

Annabeth lanciò uno sguardo al suo chitone già logoro prima di estrarre il coltello da sotto al velo che teneva legato attorno alla vita. Percy raddrizzò istintivamente la schiena, irrigidendo i muscoli ma Annabeth non lo degnò neanche    di uno sguardo mentre si chinava, tagliando con la lama ricurva i lembi di stoffa che riteneva ingombranti. Strappò il chitone fino a    che non arrivò a metà polpaccio e poi si rinfilò il coltello sotto il velo, sistemando il piede destro contro la parete prima di issarvisi.

Percy si concesse un solo secondo per    guardarla mentre non sembrava neanche troppo intenzionata ad aspettarlo prima di iniziare ad arrampicarsi sulla parete,    raggiungendo facilmente il suo fianco.

Conosceva le insenature, le pietre mobili e quelle rigide, gli appigli di quella parete a menadito, ormai. Non che gli piacesse scalare ma quando aveva voglia di fuggire momentaneamente via, prima che ottenesse le libertà di capo del Campo, la parete era stata a lungo la sua opzione migliore.

Nessun semidio poteva allontanarsi dal    Campo a meno che questo non fosse per recarsi a Delfi dall'oracolo di Apollo. Lui e Creekos, il suo pegaso nero, avevano però sorvolato un'incredibile parte del Peloponneso più o meno indisturbati. Era costretto a trovare sempre una scusa ma Chirone era troppo intelligente per berne mezza. Forse era per quel motivo che si limitava a sorridergli soltanto, con una scintilla divertita nello sguardo.

Osservò Annabeth al suo fianco con la coda dell'occhio. Le braccia le tremavano per lo sforzo ed un paio di volte il piede le era scivolato nel vuoto per qualche secondo    prima che potesse recuperare l'equilibrio. Lui era pronto ad acchiapparla con un'onda in qualsiasi istante ma era certo Annabeth non volesse aiuto. Che ne avesse poi bisogno, per la ragazza doveva essere irrilevante.

Era stupido lasciarle un'arma ad un soldato addestrato come lei, indipendentemente dal volerla studiare o meno, lasciare un'arma a chi sapeva usarla ed era persino un tuo nemico, era stupido ma, nel suo sogno, il cavallo proteggeva la civetta in trappola dall'avvoltoio. Non si attaccavano loro. Collaboravano, invece e quello doveva pur stare a significare    qualcosa.

Erano ormai arrivati a metà della parete. Le case del Campo erano piccole abbastanza da essere difficoltoso riuscire a distinguerne propriamente le sagome e le braccia e le gambe, se si fosse concesso un solo secondo per riflettervi, si sarebbe reso conto di quanto bruciassero per la fatica e lo sforzo. Si era graffiato le dita mentre cercava un appiglio su una sporgenza in alto, dimenticandosi fosse pietra mobile. Il braccio gli era caduto nel vuoto, colpendo persino Annabeth al suo fianco che aveva imprecato in modi talmente coloriti che in una situazione normale, sarebbe scoppiato a ridere.

Il cielo iniziava a rischiarsi e lanciò uno sguardo alle sue spalle, osservando i colori che    venivano lentamente dipinti davanti ai suoi occhi.

Sentì Annabeth continuare ad issarsi sulla parete e si concesse altri istanti per poter osservare il cielo. Erano avvolti nel silenzio, interrotto soltanto dal cantare dei primi uccelli e dallo svolazzare delle arpie che controllavano i  confini del Campo e da Annabeth che cadeva.

Annabeth che cadeva?!

Si voltò nel momento in cui sentì una roccia staccarsi dalla parete e lei gridare mentre una gamba perdeva terreno, attirando automaticamente tutto il resto di lei verso il vuoto. Il corpo strisciò orribilmente contro la parete prima di staccarvisi.

- No!

Percy allungò un braccio verso il lago. Sentì lo stomaco chiudersi in un familiare nodo mentre    attingeva ai suoi poteri. Sentì il lago stesso esplodergli nelle orecchie mentre lo chiamava a sé, ordinando di rispondergli, di salvare Annabeth, di proteggerla.

Ma con un grido, la ragazza piantò la lama del suo coltello nella parete, sbattendovisi poi contro violentemente, stabilizzandosi. Rimase appesa, sospesa nel vuoto, con entrambe le mani attaccate all'elsa della sua lama prima di    staccarne una, trovando un appiglio.

Percy sbarrò gli occhi, la mano ancora aperta sulla superficie del lago e l'acqua, a poca distanza sotto di Annabeth che si arrestò nel momento in cui lui, stupefatto, osservava quel momento.

Annabeth puntò i piedi sulla parete cercando una base solida, prendendosi un solo istante per respirare, prima di riprendere.

L'acqua tornò nel lago in un boato. Sentì la maledizione di un paio di Naiadi e sorrise mentre continuava a scalare al fianco di Annabeth, poco più in basso di lei.

Un dolore lancinante gli corse lungo la gamba, irradiandosi dal polpaccio una volta che si furono issati sulla cima ampia della barriera.

Percy imprecò, voltandosi di scatto verso Annabeth che, barcollante ma in piedi, non lo guardava come se stesse cercando il modo migliore per mandarlo al tappeto ma stesse cercando il modo migliore per ucciderlo senza sporcare troppo la lama del suo coltello.

Il sole iniziava ad illuminare il cielo e la ragazza, con i capelli sfuggiti alla treccia e che sembravano avere ormai vita propria, in piedi ed in controluce, era talmente spaventosa che Percy strisciò all'indietro.

- Mi dispiace! Non ti avrei mai lasciato cadere! – provò a difendersi. Quando Annabeth lanciò la lama contro di lui, fece appena in tempo a spalancare le gambe mentre il coltello trapassava il tessuto del suo chitone a    millimetri di distanza dalle sue semidivine grazie. – Annabeth!

- Annabeth?! – strillò lei, stringendo i pugni lungo i fianchi prima di lanciarsi su di lui,    riprendendosi il coltello conficcato nel terreno nel frattempo. – Tu volevi uccidermi! – lo accusò, calando la lama dritta sul suo volto.

Con enorme sorpresa di Percy però, non ebbe bisogno di deviarla. Annabeth lo fece da sola, piantandola nel terreno, ringhiando infastidita prima di rialzarsi da sopra di lui come se scottasse.

Lo osservò circospetta prima di infilare il coltello sotto al velo rapidamente, come se temesse lui potesse portargliela via.

Percy si sedette, guardandola mentre si passava due mani sul volto feritosi quando aveva rischiato di cadere, affondando poi le dita tra i capelli, lasciando solo dopo che gli occhi si fermassero sull'alba davanti a lei.

Il cielo brillava con talmente tanta intensità che a Percy sembrò riuscire a respirare più    profondamente, senza osare chiudere gli occhi.

Si rese conto Annabeth si fosse seduta al suo fianco solo per il rumore dei calzari sul terreno e la guardò con la coda dell'occhio mentre si abbracciava le ginocchia con le braccia.

- È per questo che siamo qui? – domandò, la voce incredibilmente flebile mentre parlava, come se avesse paura di distruggere lo spettacolo che avevano davanti ai loro occhi.

La cima della parete delle arrampicate era il punto più alto del Campo intero. L'alba ed il tramonto erano i momenti migliori per salirvici e, da lassù, la Grecia era illuminata dai colori più belli. C'era sempre più silenzio lassù ed alla volte, riusciva anche a convincersi potesse persino a vedere il mare.

Ma la Grecia, davanti a lui che si svegliava o si addormentava era uno spettacolo quasi altrettanto bello.

Una volta che si fermava od osservare la vastità che aveva difronte, qualsiasi altra cosa sembrava improvvisamente più piccola. Lui, i suoi problemi, le sue paure. Persino gli dei.

Lì sopra riusciva persino a dimenticarsi esistessero. Riusciva persino a dimenticarsi fosse una pedina nelle mani di chi aveva dimenticato cosa significasse vivere.

A volte, quando anche a lui pareva non    riuscire a ricordarselo più, saliva sulla parete delle scalate perché era uno dei pochi modi in cui la ruota di Issione si sarebbe finalmente arrestata.

Ed a lui sembrava quasi di essere felice.

- Si – rispose, osservandola sottilmente. Non riuscì a capire se lei stesse facendo lo stesso ma    la vide scuotere la testa.

- Testa d'Alghe – mormorò poi in un    sussurro, forse convinta lui non sarebbe riuscito a sentirla.

La guardò solo in quell'istante, con la schiena rilassata e piegata in avanti e le mani scorticate posate    sulle gambe senza che sembrassero farle male. Il volto era illuminato d'oro e Percy mentre la guardava, con gli occhi socchiusi    davanti al sole, sorrise.

Forse anche la ruota di Issione di Annabeth si era finalmente fermata.

***

Sofia si asciugò la fronte dal sudore con la mano, piegando poi il capo verso l'alto ed assottigliando lo sguardo verso al sole. Non aveva idea da quanto tempo ormai, lei e le altre schiave stessero raccogliendo e piantando fragole ma aveva impressione che si sarebbe sciolta da un momento all'altro.

Dall'altezza della collina, riusciva a vedere il Campo Mezzosangue quasi per intero, riuscendo persino a notare il baluginare leggero della magia che ne proteggeva i confini e che riverberava sotto ai raggi del sole.

Erano controllate a vista da un paio di semidei che non dovevano avere più di sedici anni e non sembravano granché interessati a loro od a qualsiasi cosa stessero facendo.

Aphia, a pochi passi da lei, continuava a raccogliere e piantare germogli di fragole senza sosta.

- Tu non riesci a dormire – disse, cogliendola di sorpresa senza guardarla in volto mentre parlava. – E stamattina sono venuti a prenderti.

Sofia corrugò la fronte, osservandola.

Non le avrebbe mai detto di Perseo o dei suoi incubi. Neanche se, a quel punto, dopo l'alba che avevano condiviso quella mattina, non avesse avuto un segreto da custodire solo con lui.

- Ti vengono a prendere – continuò Aphia, sollevando la schiena e voltando il capo per poterla guardare con gli occhi socchiusi per i raggi del sole. Si schermò con una mano. – Stai bene? – le domandò, senza nascondere la leggera  apprensione nel noto di voce altrimenti tranquillo.

Sofia per un attimo, venne colta in    contropiede. Certo, non si aspettava Aphia si sarebbe preoccupata per lei. Non dopo tutto quello che aveva dovuto passare e che    passava.

- Si. Va tutto bene – rispose, corrugando la fronte quando si accorse non stesse affatto mentendo.

Non sarebbe servito a nulla parlare dei suoi incubi. Parlarne non li avrebbe certo fermati e tanto valeva non caricare qualcun altro anche dei propri problemi.

Aphia sorrise. – Alcuni possono essere gentili – le confessò. – Ti trattano come donna e non    come schiava. Ma non va sempre bene –. Con la mano a schermarle il volto dal sole, Sofia non riuscì a leggere la sua espressione. – Ad altri non importa cosa tu stia facendo o se voglia farlo. Ti prendono e basta e fanno di te ciò che vogliono –. Un brivido gelido corse lungo la schiena di Sofia. – Dopo cena, un figlio di Dionisio ha trattenuto Daphne – Aphia spostò lo sguardo più in basso rispetto a loro dove la ragazza, che era una delle più giovani, raccoglieva le fragole con incredibile lentezza, tenendo gli occhi sbarrati e fissi davanti a sé. Sofia aveva sentito qualcuno rientrare nel mezzo del suo delirio notturno ma non si era    preoccupata di capire chi fosse. – Abbiamo tutte avuto quell'espressione la prima volta.

Sofia sentì un conato di vomito risalirle lungo la gola e si portò una mano alla bocca, premendovi contro il palmo. – Dobbiamo andarcene da qui.

Aphia fece un verso di scherno. Quando Sofia la guardò, vide avesse già ripreso a staccare fragole. – Credi che non ci abbiamo provato? – le domandò ironica. Indicò poi il baluginare delicato attorno ai confini del Campo. – Quelle    barriere tengono lontani i mortali da dentro e da fuori. Non possiamo avvicinarci senza sbatterci contro un muro invisibile. – Poi sbuffò, passandosi una mano sulla fronte e voltandosi verso Sofia. – Senti, non è così male qui in fondo. I ragazzi hanno tutti più o meno la nostra età. Devi solo farci l'abitudine. È    meglio così che essere venduta a chissà quale spartiato. Neanche dobbiamo combattere tra noi per farli divertire. I romani lo fanno.

Sofia diede un colpo ad un traliccio al suo fianco, sbattendo poi un piede a terra. Attirò l'attenzione di uno degli spartani ma decise di non darci affatto peso. – Non è così male? Che mi dici della krypteia, allora? Veniamo    lanciati in una foresta piena di mostri senza neanche la possibilità di fuggire per le barriere del Campo che ci tengono bloccati qui e..

- Senti, ragazzina – la interruppe Aphia con voce ferma. C'era solo una fila di fragole a dividerle. Sofia si allenava da tutta la vita ma guardando l'espressione decisa della donna davanti a lei non era certa di chi tra le due, in un eventuale combattimento, avrebbe vinto. – Non so come funzioni dalle tue parti. Non so se il posto dove vivevi tu era una bella    canzoncina ricca di pegasi ma questa è la vita vera. Tu sei un ilota e se sei un ilota, muori. È il destino di tutti. Fattene una ragione prima che sia troppo tardi. Nel frattempo, cerca di guardare il lato positivo, ovvero che la tua permanenza qui dentro non è terrificante tanto quanto quella degli schiavi a Roma    – rise ma non c'era traccia di divertimento. – Arrivano anche su ad Atene le storia di Roma, eh, principessa? Gli schiavi vengono marchiati come bestie e poi costretti a combattere dentro le arene per il divertimento di un pubblico annoiato. Nella krypteia almeno, noi moriamo per uno scopo. È il rito di passaggio per gli    spartiati. Ancora abbiamo dignità. A Roma, se sei uno schiavo, non importa a nessuno.

Sofia guardò Aphia dritta negli occhi prima che la donna potesse ricominciare a raccogliere fragole. Si chiese se anche lei, anni prima ed appena arrivata, avesse avuto lo stesso spirito guerrigliero che aveva Sofia, convinta di essere    abbastanza speciale per cambiare le regole del gioco prima di rendersi conto che non sarebbe mai valsa niente.

Forse si era arresa alla morte, ai soprusi, persino alla rabbia ed al dolore. Accettare era l'unico modo per continuare a vivere senza morire prima del tempo.

Ma lei poteva farcela. Doveva farcela. Non sarebbe morta lì dentro. Non per colpa di quella stupida kryptheia. Non per mano di uno spartano mentre cercava di fuggire.

- Combattiamo – disse, continuando a    guardare Aphia che ebbe un solo istante d'esitazione prima di continuare col suo lavoro. – Combattiamo – ripeté Sofia, forse in modo più convincente perché Aphia sollevò il capo.

- Ma hai preso dell'oppio per caso? È questo che hai fatto stamattina? Hai preso dell'oppio?

In lontananza, Sofia osservò gli arcieri che scagliavano frecce contro ai bersagli mentre un ragazzo passava tra di loro per controllarli. Due pagasi presero il volo, cavalcati da dei ragazzi che a quella distanza non riuscì a vedere.    Quando passarono sopra il Campo di fragole, la loro ombra la schermò dal sole per un brevissimo istante. – Siamo donne, Annabeth.    Nessuna di noi sa combattere.

E fu a quel punto che Sofia sorrise. – Io so farlo.

- Ti hanno insegnato a combattere?!

- Vi insegnerò almeno a sopravvivere. Se dobbiamo morire durante la kryptheia – continuò, puntando lo sguardo verso la distesa verde di foresta dal lato opposto al suo, sulla valle della collina, – almeno lo faremo combattendo.


Angolo Autrice:

Ciao fanciulli miei!

Eccoci qui con un nuovo capitolo che correggere non vi dico quanto mi sia costato ahahah è stato un periodo un po' duro che ha messo alla prova anche me ed il mio solito ottimismo. Infatti non sono riuscita a scrivere niente di nuovo e mi sono rifugiata in Vikings e tra gli occhi di ghiaccio di Travis Fimmel (aka Ragnar Lothbrok). Tra l'altro, funny enough, sto scrivendo la tesi per la triennale sul periodo storico che comprende anche i vichinghi e, niente, mi sono praticamente spoilerata la seria studiando storia.

Fa già ridere così.

Comunque, tornando a noi ed al capitolo eheheh Chirone ha chiesto a Percy (inaspettato, vero?) di allenare Annabeth ma l'ha vista talmente provata che ha deciso di regalargli un po' del suo infinito, portandola a vedere le cose dall'alto. Tendenza che io condivido con Percy per i motivi spiegati sopra. Niente raga, capitolo un po' di passaggio per costruire Percy ed Annabeth ma brace yourself perché fra poco arriva Caccia alla Bandiera e, con lei, un grande, enorme, mostruoso casino.

Ah, tra l'altro, Creekos è ovviamente Blackjack ma visto che il Blackjack non poteva ancora esistere nell'avanti Cristo, Creekos è un gioco di carte al quale giocavano i greci ahahahha

A prestissimo e vi voglio tanto bene e vi ringrazio per tutto l'amore che mi trasmettete attraverso i commenti.

Un bacio enorme,

Eli:)

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