Un'insegnante (parte 2)
Sofia si era intrecciata i capelli almeno per la terza volta prima di iniziare la lezione. Soltanto il giorno prima, aveva tenuto la lezione ad un gruppo di ragazzini di dodici anni che tutto volevano fare meno che ascoltare lei a blaterare cose in latino.
Tenere sotto controllo i più grandi era stato più facile anche perché Perseo ed il suo sguardo da lupo si erano preoccupati di far ritornare tremanti sulla loro panca qualsiasi semidio avesse voglia di creare un po' di zizzania.
Sanità mentale a rischio a parte,aveva scoperto che insegnare, almeno basandosi sul giorno prima, non fosse poi così difficile ma, purtroppo, ancora non era riuscita ad origliare conversazioni che avrebbero potuto suggerirle come abbattere le difese del Campo e permettere alle schiave di fuggire prima della Krypteia.
Guardò davanti a sé. Perseo era inangolo del padiglione della mensa -che avevano deciso di attribuire ad aula- assieme a Giasone. Chiacchieravano incuranti sia dei quattordicenni che Sofia aveva davanti che di lei che finì di intrecciarsi i capelli per battere le mani un paio di volte.
Bastò una sola occhiata per far acquietare gli spartani in qualche modo e catturare l'attenzione di Perseo dal fondo della stanza.
- Oggi non facciamo latino, vero? – domandò un figlio di Apollo con i capelli talmente biondi che, colpiti dal sole in quel momento, sembravano brillare della stessa potenza dei suoi raggi.
Sofia trattenne un sorriso.
Gli occhi azzurri del ragazzo non si preoccuparono di trattenere il terrore al pensiero di dover nuovamente affrontare la prima declinazione e mentre lo guardava, battendo agitato una gamba, scosse la testa. Era un semidio. Non riusciva a stare fermo. Nessuno di loro ce la faceva.
Era una delle poche cose che non condividevano con i mortali. Assieme all'odore attira mostri ed alla naturale propensione nel mettersi nei guai. Ed era quella tendenza a non poter stare fermi che permetteva a tutti loro, nessuno escluso, di salvarsi la pellaccia in battaglia.
Ecco perché i guerrieri migliori erano semidei. Perché dai loro genitori divini, dopo essere stati abbandonati per crescere come carne da macello ed usati poi a loro olimpico piacimento, avevano anche ereditato dei riflessi che gli permettevano di sopravvivere o di vincere le battaglie a fianco di mortali che venivano arruolati per pura formalità.
Sofia avrebbe davvero dovuto nuovamente affrontare la prima declinazione con quei ragazzi ma, guardandosi attorno e notando l'espressione scoraggiata di una figlia di Afrodite seduta al tavolo della sua Casa ed un altro di Ecate in procinto di piangere, si disse che erano spartani ma neanche lei sarebbe stata così crudele.
- Sapete come siamo nati? – domandò, portandosi la lunga treccia sulla schiena.
Improvvisamente gli occhi dei ragazzi si fecero più attenti e qualche gamba irrequieta smise anche di battere al pavimento. Sentì gli occhi di Perseo e Giasone sul suo volto mentre iniziava a camminare davanti ai ragazzi. – Si, come siamo nati noi. Come siamo arrivati a.. – continuò, allargando le braccia quasi nel tentativo di abbracciare il Campo Mezzosangue attorno a sé. – A tutto questo.
Un figlio di Efesto sollevò le mano. Aveva le spalle larghe quanto quelle di un diciassettenne ben sviluppato ed anche alla distanza di tre tavoli, Sofia riuscì a vedere delle mani enormi che promettevano perfettamente all'interno di una fucina. – Grazie agli dei – rispose un po' incerto, facendo suonare la sua affermazione più come una domanda.
-Zeus – intervenne un figlio di Afrodite, – ha deciso di creare l'umanità dopo essersi spartito la terra con Poseidone ed Ade, giusto?
Quando Sofia provò a rispondere, una figlia di Demetra con delle margherite tra i capelli nocciola, intervenne. – è giusto ma prima ci sono stati i Titani.
Sofia sorrise, annuendo mentre guardava la ragazzina che non trattenne un sorriso compiaciuto. – E prima dei Titani, c'era il caos –. Negli occhi dei ragazzi lesse il loro tentativo di immaginarsi di cosa stesse parlando. – Caos esattamente come pensate che sia. Ed esattamente con la forma che più preferite. Non c'è un concetto giusto o sbagliato per definirlo. Era tutto e niente allo stesso tempo. Era Caos, semplicemente. Fino a che, un giorno – disse, osservando con un sorriso un confuso figlio di Morfeo che aveva tutta l'aria, mentre si guardava attorno, battendo un piede a terra, di starsi chiedendo quanto fosse effettivamente precario il mondo in cui viveva. – Non decise di creare – continuò Sofia, – la terra, Gea. Ed è da qui che nascono i Titani.
I ragazzi si erano trattenuti a farle domande anche dopo che la lezione era finita. "Davvero mia madre è nata dai testicoli di Crono?" e "Eros quindi è figlio di mio padre ed Afrodite o è figlio di Gea?"
E Sofia, rispondendo ai ragazzi, non aveva fatto a meno di sorridere. Non vedeva l'ora di raccontare degli dei ad uno ad uno ed arrivare al meraviglioso episodio in cui Ares ed Afrodite erano stati legati nudi al letto da Efesto.
Chissà come l'avrebbero presa i loro figli.
Da qualche parte, comunque, doveva pur partire prima di iniziare a parlare degli Eroi greci e dei mostri che avevano affrontato. E poi, il latino annoiava un po' anche lei.
Si ricordava di quanto lei e Paralo avessero amato la parte della creazione della terra che gli aveva raccontato loro zio quando avevano appena otto e sei anni e si ricordava anche che, una volta finita la lezione, avevano iniziato a correre per l'Acropoli di Atene, facendo finta di essere gli dei che combattevano i Titani.
Per anni era cresciuta nella convinzione che gli dei fossero perfetti. Esseri onnipotenti che vivevano per il bene del mondo e dell'umanità che avevano creato male era bastato crescere un po' e continuare a studiare assieme a suo zio e suo fratello per capire che, in realtà, fossero molto più simili agli umani di quanto a nessuno sarebbe mai piaciuto ammettere.Forse, degli uomini erano anche peggio.
Quando i quattordicenni se n'erano andati, richiamati da Giasone che avrebbe dovuto fargli lezione, lei era rimasta da sola con Perseo e lui le si era avvicinato con il solito sorriso malandrino che gli decorava il volto e gli occhi luminosi.
Portò con sé il profumo del mare e Sofia lo respirò a pieni polmoni attenta a non farsi cogliere in flagrante mentre lo faceva.
Perseo dentro al Campo, aveva imparato Sofia, non indossasse mai l'armatura ma solo un chitone che quel giorno era blu. Nemmeno quando l'aveva visto recarsi dentro le Arene per poter allenare gli altri semidei ne portava una il che l'aveva fatta riflettere su quanto fosse strano che un soldato non indossasse sempre l'armatura anche solo per pura forza dell'abitudine.
Kyros era uno dei capi dell'esercito ateniese e persino quando Pericle lo invitava ad uno dei suoi simposi, lui aveva sempre la sua armatura dorata con il caduceo di Ermes inciso sopra.
Perseo invece, esattamente come suo padre, pareva non amare indossarne una.
- Hai un talento naturale – le disse e Sofia trattenne il sorriso che minacciò di spuntarle sulle labbra, puntando gli occhi verso il Campo fuori dal padiglione della mensa.
Il segugio infernale che aveva giustamente umiliato Pono il primo giorno che Sofia aveva avuto il piacere di conoscerlo, stava ricorrendo una povera di ninfa che, mentre fuggiva dalle allegre grinfie della creatura, si lasciava dietro una scia di fiori rosa.
Il cane fece un salto micidiale ed avrebbe sicuramente schiacciato la ninfa al suolo trasformandola in un bel prato fiorito se quella, fin troppo abituata a scappare dai satiri, non si fosse trasformata in un rigoglioso albero esattamente al centro del piazzale del Campo Mezzosangue, facendo sì che il segugio, in un guaito, potesse schiantarsi contro i suoi rami, facendole perdere qualche foglia.
Le onde si disfecero sulla battigia mentre Perseo rideva, portandosi due dita alle labbra per poter fischiare in direzione del cane che, ripresosi l'attimo dopo, si voltò verso il padrone, scodinzolando e superando a grandi falcate il terreno che li divideva. Quando entrò nel padiglione, Sofia fece appena in tempo a spostarsi mentre quella buttava giù con un colpo di coda quattro tavoli e rispettive panche, atterrando Perseo al suolo con una zampata.
- No! Signorina Licari, ferma! – protestò il ragazzo, tentando di portarsi le mani al volto per potersi proteggere dall'attacco del segugio.
Sofia corrugò la fronte in un sorriso che permise di stirarle le labbra osservando la scena che aveva davanti agli occhi. Decise di godersela per ancora un istante prima che decidesse di intervenire in soccorso del figlio di Poseidone, acchiappando il segugio per il collare e tirandola via.
- Seduta! – ordinò, sollevando un dito davanti al muso dell'animale che, con la lingua fuori e l'aria di chi si stava divertendo un modo, si sedette capottando il tavolo grande della mensa col suo deretano.
Perseo dietro di lei, sbuffò e quando si voltò, Sofia si portò una mano al volto, trattenendo una risata. I capelli del figlio di Poseidone non erano mai ordinati ma, in quel momento, reduci dall'assalto del segugio infernale, erano più disordinati che mai. Dritti sulla testa come se Talia avesse deciso di dargli una scossa e con una spallina del chitone che si era disintegrata sotto le zampate euforiche della Signorina Licari, Perseo sembrava reduce da una lotta con un tornado e sull'orlo di una crisi isterica.
- Miei dei. Se continui così, ti darò in pasto a Tartaro in persona, capito? – la minacciò, sollevando un dito davanti al cane anche se, ridotto in quel modo, non era per niente spaventoso. E la Signorina Licari dovette pensarla allo stesso modo perché decise di allungare il muso abbastanza per dare un'altra bella slinguazzata al volto di Perseo. – Ah! All'Ade! – recuperò una panca di legno da terra, staccandone uno dei piedi ed agitandolo davanti alla Signorina Licari che si alzò di scatto, scodinzolando felice ed abbaiando in direzione del suo futuro giocattolo. Abbaiò talmente forte che per poco non fece indietreggiare Sofia di un paio di passi. – Forza! – esclamò Perseo, – corri bella! – e poi lanciò la gamba della panca il più lontano possibile, spostandosi appena in tempo per lasciar passare la Signorina Licari tra loro due, lanciandosi all'inseguimento del suo nuovo gioco senza che travolgesse nessuno.
Sofia la guardò correre via, acchiappando il bastone al volo prima che toccasse terra. Sorprendentemente però, non tornò indietro da Perseo ma iniziò a rotolare sul lastricato, capottando un paio di malcapitati figli di Ermes che passavano di lì in quel momento.
- Un regalo di un vecchio insegnante – spiegò Perseo a beneficio di Sofia, spingendola a spostare lo sguardo su di lui. – Ci siamo salvati la vita un paio di volte in battaglia e da quel giorno è diventata la mia migliore amica.
Si vede, avrebbe normalmente detto Sofia ma decise di non rispondere, continuando ad osservare il cane che riduceva in pezzi la gamba della panca.
Il sole splendeva alto su Sparta anche quel giorno. I semidei continuavano ad allenarsi in volo sui pegasi, con gli archi e con le spade da allenamento. C'era chi tentava la sorte con i satiri sulle pareti di arrampicata mentre alcune schiave lavoravano lungo le distese di fragole ed ulivi sulla campagna circostante.
E poi c'era lei, accanto a Perseo che profumava di casa e che, per qualche assurdo motivo, non le aveva ancora ordinato di tornare a lavorare.
Gli zoccoli che battevano lenti sul lastricato precedettero l'arrivo di Chirone che, dalle spalle di Sofia, la spinse a voltarsi per poterlo guardare.
Il manto candido riluceva sotto la luce del sole ed attorno al busto nudo portava sempre l'arco e la faretra. Gli occhi antichi si fermarono su lei e Perseo che sentì distintamente fare un passo in avanti sollevando poi un braccio per poter salutare il centauro. – Ciao, Chirone!
Quello sorrise, fermandosi a pochi passi da loro nel padiglione della mensa. Alle sue spalle, Sofia vide la coda agitarsi.
- Ciao a voi –. Gli occhi scuri ed antichi si fermarono su di lei e Sofia dovette trattenersi dal corrugare la fronte. – Annabeth, facciamo due passi, ti va?
Al suo fianco, Perseo guardò il centauro con la stessa confusione che Sofia si preoccupò di nascondere, raggiungendo poi il fianco di Chirone che, pur avendole porto una domanda, sicuramente si aspettava e pretendeva un solo tipo di risposta.
Nel suo volto aveva solo letto tanta tristezza ma per poter gestire una mandria di spartani impazziti doveva sicuramente avere un'invidiabile dose di polso e di pazienza.
- Ci vediamo dopo, Percy – salutò il centauro, iniziando a camminare verso l'esterno con Sofia al suo seguito.
- A dopo – rispose il ragazzo, seguendoli con lo sguardo per qualche secondo ancora prima di potersi dirigere verso l'Arena.
Sofia scrollò le spalle, lasciando dietro di sé il profumo di Perseo mentre iniziava a camminare con Chirone sotto al sole, socchiudendo gli occhi per la luce improvvisa.
Il Campo Mezzosangue a quell'ora era più vivo che mai. Sofia riusciva distintamente a sentire le spade che si scontravano tra loro, gli sbuffi dei ragazzi che si allenavano, le frecce che si conficcavano nei bersagli mentre, sopra la sua testa, una mandria di pegasi cavalcati dagli spartani si lanciava in una corsa tra i cieli. Fu costretta a trattenere un sorriso mentre li guardava, seguendoli con lo sguardo fino a che, veloci come il vento, non sparirono oltre la linea dell'orizzonte.
Non aveva idea del perché Chirone volesse parlare con lei né dove la stesse portando ed in aggiunta, quando la sera prima aveva provato a chiedere ad Aphia informazioni, lei si era limitata a sollevare le spalle senza essere in grado di dirle nulla.
Le uniche informazioni che aveva reperito su di lui erano episodi che già conosceva grazie a suo zio ed ai cantori ateniesi. Si chiese se i ragazzi al Campo, che tanto rispettavano quel centauro, conoscessero l'oscuro passato che aveva alle spalle.
Lo guardò con la coda dell'occhio, portandosi istintivamente una mano allo stomaco e sfiorando con le dita la sagoma del suo coltello nascosta sotto due veli.
L'avrebbe ucciso se avesse dovuto. E senza pensarci due volte.
Si avvicinarono al limitare del bosco, traendo beneficio dall'ombra dell'alberi mentre i rumori degli spartani che si allenavano si affievolivano davanti al quieto ruggire dei mostri sparsi tra i tronchi.
Lo guardò ancora.
Chirone non l'avrebbe uccisa o almeno non in quel momento.
Aveva passato la vita a studiare le persone. Capiva quando qualcuno voleva farle del male secondi prima che questo potesse fare anche una sola mossa e Chirone, nonostante l'irrequieto movimento della sua coda equina, non aveva intenzione di farle nulla.
- Come stanno andando le lezioni? – le domandò, rompendo il silenzio che c'era stato tra loro due in quel momento, sorprendendola.
Sofia continuò a guardare dritta davanti a sé. Si avvicinavano verso il retro delle Case. Poteva vedere il profilo di quella di Ade. – Bene.
- Oggi non hai insegnato latino – constatò, guardandola di sbieco e con un sorriso curioso sulle labbra.
Sofia scosse la testa. – No.
-E perché?
Scollò di dosso l'irritazione muovendo le spalle, roteando poi i polsi. – Perché mi annoio anche io e prima o poi avrei dovuto parlargli di queste cose.
Chirone non perse il sorriso che gli stendeva le labbra, annuendo. – Ho conosciuto tuo padre anni fa – esordì poi, strappandole un brivido mentre camminavano.
Sofia si portò una mano allo stomaco, calmando i battiti improvvisamente accelerati del cuore mentre sfiorava il coltello. C'era qualcuno che non avesse conosciuto suo padre da qualche parte nel Peloponneso?
O qualcuno che avesse la decenza di non ricordarle con così tanta costanza che non l'avrebbe più rivisto?
- Non mi ha mai parlato di te ma non stento a credere tu sia sua figlia – continuò. Perseo le aveva detto la stessa cosa; aveva conosciuto suo padre ma non aveva la benché minima idea della sua esistenza e lo stomaco le si attorcigliò mentre chiudeva il pugno, conficcando le unghie nel palmo. – L'ho osservato a lungo ed avete la stessa espressione quando siete concentrati. Anche se è evidente tu abbia preso più da tua madre.
Il cuore di Sofia saltò un battito mentre camminavano. – Era una figlia di Afrodite, non è vero?
Sofia annuì ed il volto di Aspasia le apparve dolorosamente nella mente. Contrasse ancora di più il pugno, pregando di poter sentire quello e non rischiare di piangere davanti al centauro.
Era così bella, Aspasia. Così bella e buona e paziente mentre allevava instancabilmente lei ed i suoi fratelli, prendendoli a carico pur non essendo la loro madre naturale.
Strinse anche il pugno sinistro nella speranza di sentire qualcosa mentre continuava a camminare, evitando attentamente di sbattere le palpebre.
- Tu sei diversa, Annabeth, dalle altre schiave – disse poi Chirone e Sofia non riuscì a fare a meno di voltarsi verso di lui, osservandone il profilo. – La voce di un'ateniese e l'attitudine di una spartana –. Poi scosse il capo. – I miei ragazzi sono impavidi, inarrestabili ed alle volte, non si rendono conto del potenziale quando ce l'hanno davanti.
Sofia non riusciva a capire dove volesse arrivare ma aprì i pugni, continuando a tenere una mano sul coltello. Forse voleva in qualche modo offenderla dicendole avesse l'attitudine di uno spartano. Aspasia aveva passato anni nel tentativo di raffinarla almeno un po' e Chirone la paragonava ad una di quelle bestie degli inferi.
Con tutto il rispetto per le bestie degli inferi che, come la Signorina Licari, parevano avere un cuore ed un cervello decisamente più grande di quello degli spartani.
- Ed io so riconoscere una guerriera quando ne vedo una. Ami la conoscenza, è evidente quello. Non fai altro che ascoltare, studiare ma il primo istinto, quando qualcosa di turba, è quello di raggiungere il coltello che porti sotto al velo.
Sofia imprecò nella testa in modi talmente coloriti che ad Aspasia sarebbe venuto un infarto eppure Chirone non sembrava intenzionato né a punirla né a portarle via la sua arma.
Forse, in fin dei conti era vero ciò che dicevano su di lui. Era il più grande allenatore di eroi di tutti i tempi. Grande abbastanza da individuare l'istinto di un guerriero e persino le loro armi nascoste.
Se avesse voluto, Sofia avrebbe potuto pugnarlo al fianco ed osservarlo diventare cenere davanti ai suoi stessi occhi eppure -ed era ben convinta Chirone si fosse accorto di quella possibilità- continuò a camminare al fianco del centauro.
- Le cose sono cambiate da un paio d'anni ormai e continueranno a cambiare. Non sono l'unico che ha notato il tuo potenziale ma per quanto il Campo continui ad evolversi, certi spartani sono sempre..
- spartani – intervenne Sofia, perché non c'era un'altra definizione che avrebbe potuto dargli.
Chirone sorrise, annuendo un paio di volte. – Per questo vorrei tu continuassi ad allenarti.
Sofia a quel punto si voltò di scatto, spingendo il centauro a fare la stessa cosa che, con gli occhi perfettamente neutri in quel momento, la guardava.
Sofia era una stratega. Era la figlia della dea della strategia stessa. Riconosceva uno schema quando ne vedeva uno, tanto facilmente quando Chirone riconosceva un guerriero.
- N.. – ma poi si fermò, rilassando le spalle ed aprendo i polsi.
Riconosceva uno schema quando ne vedeva uno ed era anche perfettamente in grado di modellarlo a suo piacimento.
Inghiottì il fatale orgoglio che stava per impedirle di vincere quella partita sul nascere ed annuì una sola volta. – Sarebbe un onore per me – rispose.
Chirone era abile e con secoli di esperienza alle spalle ma lei era la figlia della sapienza e della strategia militare ed il suo migliore maestro era un figlio di Ermes ed il centauro, di quello, non ne aveva la più pallida idea.
***
Sofia lasciò che Euleia potesse intrecciarle i capelli mentre, sedute sul letto di quest'ultima, si preparavano a dormire.
Quella sera a cena tutto era proseguito regolare. Nessuno aveva provato a fare del male a nessuno, a parte qualche spartano che aveva deciso di sparire ad un certo punto,seguito da qualche schiava o schiavo.
Loro avevano continuato a servire i tavoli fino a che gli spartani non si erano alzati, attirati dai balli e dalla musica attorno al falò.
Sofia e le altre schiave avevano mangiato mentre sparecchiavano, rubando i pezzi di carne avanzata dai piatti ed approfittando della sorprendentemente ottima cucina delle Arpie per potersi riempire le stomaco quanto volevano, nascoste in cucina.
C'era stata una sola cosa fuori posto durante tutta la cena ed era stata lei, che non riusciva a fare ameno di pensare alla proposta di Chirone e del risvolto che avrebbe potuto avere.
Era ovvio che Chirone le stesse riservando quel trattamento di favore nella speranza che lei potesse poi unirsi ai ranghi spartani ed era altrettanto ovvio che Sofia si sarebbe volentieri conficcata la lama del suo coltello dritta nello stomaco pur di non far parte delle file degli uomini che avevano invaso la sua città ed ucciso la sua famiglia.
Ma se quello era uno dei pochi modi che aveva per infilarsi nei meccanismi spartani ancora più profondamente, non si sarebbe ritirata per nessun motivo al mondo.Anche a costo di doversi allenare con Pono, che poi, niente quella era una così brutta prospettiva perché avrebbe avuto la scusa per infilargli accidentalmente la spada nel suo stomaco da spartano.
Guardò le schiave attorno a lei.
Lei ed Euleia non erano le uniche a starsi aiutando vicendevolmente. C'era chi tentava di pulirsi i chitoni logori dallo sporco accumulato nella speranza di dargli una parvenza un po' più dignitosa. Chi, dal bagno che condividevano con gli schiavi, aveva recuperato delle ciotole ed un po' d'acqua con la quale si lavano il viso e le punte dei capelli.
Erano tutte così coraggiose. Così coraggiose e bellissime sotto tutto quello sporco che lo stomaco di Sofia le si contrasse per il dolore.
Non avrebbe mai potuto permettere che quelle donne morissero per le mani spartane. Non per quel rito di iniziazione infernale al quale sottoponevano degli schiavi troppo deboli per avere anche la minima possibilità di potersi difendere.
Si era accorta che le cose al Campo fossero cambiate nonostante i soli tre giorni che vi aveva passato.Era ovvio dall'architettura che la circondava. Colonne doriche per gli dei maggiori, colonne corinzie per gli dei minori, segno che fossero stati aggiunti dopo. Segno che qualcuno avesse voluto aggiungerli dopo.
Perseo divideva il potere con Pono esattamente come i due re di Sparta si dividevano il trono con quella città-stato e Sofia non stentava a credere che quelle stesse novità fossero avvenute grazie a lui.
- Però circolano voci – disse Aphia, pettinando abilmente con le dita i capelli scuri di una schiava seduta davanti a lei. – Che Perseo abbia fatto vincere Pono, due anni fa.
Sofia corrugò la fronte mentre Euleia finiva di intrecciarle i capelli. – Mi aiuti? – le chiese poi la ragazza e Sofia si alzò dal letto solo per poterle passare alle spalle, iniziando ad dividerle i capelli per poterli intrecciare anche a lei.
- Non si sa bene perché. Sono solo speculazioni ma i capi del Campo vengono scelti dopo una serie di giochi e poi, gli ultimi due che rimangono, si sfidano con la spada. Se hanno uguale forza e nessuno riesce a battere l'altro, allora significa che possono gestire il Campo assieme – le spiegò Aphia.
Sofia si sporse oltre la spalla di Euleia per guardarla ed assicurarle stesse ascoltando ed Aphia continuò. – Ma girano voci che due anni fa, Perseo abbia fatto vincere Pono. Cioè, che gli abbia permesso di essere forte quanto lui.
Sofia diede un paio di colpi alla spalla di Euleia quando finì di intrecciarle i capelli e la ragazza le sorrise, sistemandosi per potersi sdraiare con la testa sulle gambe di Sofia. Lei nascose un sorriso mentre sollevava il capo verso Aphia, accarezzando però i capelli di Euleia.
- Io non so se tu hai mai visto Perseo combattere – esordì Aphia e Sofia corrugò la fronte perché, era vero, ancora non l'aveva visto combattere ma l'aveva visto controllare i suoi poteri con incredibile forza. – Ma fa paura. Mette terrore, Annabeth. Nessuno vuole essere nel lato cattivo di quel ragazzo e deve ancora arrivare il guerriero che sia in grado di batterlo.
Sofia si trattenne dal corrugare la fronte. L'aveva visto usare i suoi poteri ma l'aveva anche visto mentre si lasciava atterrare dalla Signorina Licari o prendere in giro dai suoi amici.
Era evidente fosse forte, era uno dei figli dei Tre Grandi ma paura? Perseo non faceva paura era solo un ragazzo.
Eppure Aphia ne parlava come se fosse un dio.
- Be', Pono ovviamente non l'ha battuto ma, due anni fa a quanto pare, è riuscito comunque ad essere un suo pari. Il che è assurdo perché tutti li vedevano agli allenamenti e Perseo batteva Pono ogni volta, Annabeth. Ogni volta. Ed il giorno della gara, in cui Perseo avrebbe dovuto dare il massimo di sé ed eventualmente non farsi battere -perché c'è anche quell'opzione, se degli ultimi due, rimane in piedi solo uno, allora è solo quell'uno a governare- Perseo lascia che Pono sia un suo pari. – Poi Aphia scrollò le spalle. – Quest'estate ci saranno i nuovi giochi e le nuove sfide per i nuovi capi del Campo ed ovviamente, nessuno spera che Pono riesca a farcela quest'anno. Hai visto quanto i rapporti siano tesi tra lui e Perseo e Pono ha una paura marcia.
Quando Aphia finì di pettinare i capelli alla schiava davanti a lei, quella si alzò dal suo letto, dandole un bacio sulla guancia mentre tornava nel proprio ed Aphia si poteva finalmente sdraiare. Quando stese le gambe, il volto era una maschera di piacere puro. – Perseo non lo farà sicuramente vincere quest'anno e Pono lo sa. Ogni giorno è più sgradevole ed io non vedo l'ora che arrivi il momento in cui, finalmente, qualcuno prenderà quell'idiota a caldi nel culo.
***
Sofia era abituata al caldo della Grecia.
La stagione più fresca che avevano era l'autunno e, comunque, a parte che coprirsi con un velo in più sulle spalle, neanche la mancanza della dea Persefone al fianco di sua madre avrebbe mai potuto portare il freddo che, come suo padre le aveva raccontato una volta, regnasse più a nord di Roma.
Oltre quell'impero, le persone giravano avvolte da pellicce di animale, tentando in ogni modo di proteggersi da quello che Pericle le aveva definito gelo.
Sofia non lo conosceva.
Non era mai andata oltre i confini di Atene. Era sempre rimasta protetta tra le vie della città in cui era cresciuta almeno fino al momento in cui Santippo non aveva deciso di tradirli tutti e lei era stata portata a Sparta.
Era per quel motivo che all'afa dei mesi estivi, Sofia era ben avvezza. Ed era normale per lei non riuscire ad addormentarsi subito, concedendosi di affacciarsi alla finestra della sua stanza, lasciando che la brezza del mare potesse accarezzarle il volto ed i capelli.
A Sofia non era mai piaciuto addormentarsi subito.
Un po' per il caldo che,appiccicatolesi sulla pelle, le impediva sempre di crollare tra le braccia del dio Morfeo subito ed un po' perché non sognava altro se non la voce della madre e della sua figura in controluce a recitarle una profezia che, a quel punto, sapeva a memoria.
Sofia era abituata al caldo.
Era abituata a non addormentarsi subito ed a rimanere per momenti interminabili col volto puntato verso il mare, sotto al più bel manto di stelle. Ascoltava il suono delle onde, ne respirava il loro profumo, rimandando il più possibile l'angosciante momento in cui, per l'ennesima notte della sua vita,avrebbe dovuto sentire le parole della profezia.
Ma in quel dormitorio, nascosta oltre la Collina Mezzosangue a Sparta, Sofia si sentiva soffocare.
Non riusciva a capire come fosse stato possibile, per il resto delle schiave, cadere così facilmente tra le braccia di Morfeo. Era circondata dai loro respiri più rilassati,avvolta da un'afa che non le permetteva di respirare come avrebbe voluto e dovuto.
Rotolò sul letto scomodo e troppo sottile, cercando una posizione più piacevole col capo sul cuscino bollente. Gocce di sudore le corsero lungo il collo e sollevò la gonna del chitone logoro, spostando le spalle contro al muro fresco.
Pensò alla brezza di Atene che sapeva sempre di onde e salsedine ed il calore parve bruciarle la schiena,stringendole lo stomaco in una morsa di rabbia. Chiuse i pugni in un impeto di furia, riaprendoli l'istante dopo quando si rese conto non stesse facendo altro che incrementare il caldo che già sentiva.
Spostò i capelli oltre il collo,lasciandoli cadere fuori dal cuscino e dal materasso. Quel sollievo però durò per un solo istante prima che tornasse a sentire la stessa insopportabile afa.
Sollevò il busto di scatto. Le gambe bollenti ancora poggiate sul materasso e contro il muro.
I capelli le si appiccicarono fastidiosamente al collo ed alla schiena sudati mentre vi passava le mani in mezzo. Si asciugò il sudore dalla fronte con i palmi tentando di dilatare il petto mentre puntava le mani sul materasso dietro di sé.
Si passò la lingua sulle labbra secche, sbattendo le palpebre nel buio pesto del dormitorio nell'inutile tentativo di mettere a fuoco l'ambiente circostante.Aprì la bocca ed ansimò ancora.
Sofia era nata e cresciuta ad Atene.Aveva passato il suo tempo sulla spiaggia e più volte, sopratutto quando era bambina, si era ritrovata sulla sabbia a giocare con Paralo e Kyros. Una volta, mentre rincorreva il suo migliore amico,era inciampata come una stupida sulla battigia nel bel mezzo di un urlo. Persino una volta cresciuta, non riusciva a spiegarsi come fosse riuscita a cadere in modo così ridicolo ma ciò che l'aveva colpita, non era stato tanto la caduta, quando la sabbia che le era finita in bocca. Era rotolata in acqua l'istante dopo ma non era stato abbastanza l'acqua salata che aveva bevuto o le volte che aveva tentato di accumulare saliva nel tentativo di sputare via della sabbia, la bocca ne era completamente piena e mentre, sdraiata sulla riva, beveva e sputava in balia della paura, per attimi interminabili si era persino convinta che non sarebbe più stata in grado di produrre saliva o di liberarsi completamente della sabbia. Non era stato importante quanto intensamente tentasse di accumulare saliva sul fondo della bocca. Ovunque passasse le lingua, lei riusciva a sentire solo sabbia.
Ed in quel momento, sdraiata su un materasso scomodo in una stanza troppo buia e bollente, lei si sentiva esattamente così. Senza speranze e terrorizzata, con la bocca arida e la lingua gonfia ricoperte di sabbia.
Si passò la lingua sulle labbra, si raschiò le guance. Tentò di accumulare saliva come aveva fatto decenni prima, rendendosi conto poco istanti dopo che si, era in grado di accumulare saliva e non sarebbe morta per un po' di sabbia.Ma, in quei momenti, nel presente, bloccata a Sparta, capì che non avrebbe avuto l'acqua del mare a rinfrescarle e pulirle la bocca e quando tentò di respirare, gettando il capo all'indietro, l'aria bollente che inalò le graffiò la gola secca.
Gemé, ansimò mentre si portava le mani tra i capelli sollevandosi la traccia e, avvolta nel buio della stanza, si chiese se non fosse in grado di vedere perché stesse tenendo le palpebre serrate. Quando poi la spada del guerriero spartano trafisse la schiena del padre, trapassandolo da parte a parte ed una macchia di sangue si allargò orribilmente sul tessuto del chitone candido, Sofia non riuscì a trattenere un urlo strozzato, strizzando le palpebre con forza fino a farsi male nel tentativo di sentirle.
Ma non importava quanto forte stesse serrando le palpebre. Quanto intensamente stesse tentando discacciare via l'immagine del padre che veniva assassinato davanti ai suoi occhi. Quella scena non scompariva. Era sempre lì davanti ai suoi occhi, nitida, ripetendosi all'infinito.
Vide Aspasia conficcarsi la lama dritta nello stomaco, gli occhi distrutti e colpevoli che la guardavano nel tentativo di chiederle scusa per averla abbandonata.
Sofia scosse la testa mentre Paralo cadeva a terra. Il tonfo del suo corpo buttato sul pavimento le riecheggiò nelle orecchie persino in quel momento.
Il cuore le scalpitò nella cassa toracica.
Faceva troppo caldo e lei aveva troppa paura per poter essere in grado di gestire almeno una delle due cose.
Sbatté le palpebre nel tentativo dimettere a fuoco la stanza anche solo di poco. Le sarebbe bastato vedere la sagoma di anche solo una delle sue compagne per poter riuscire a respirare ma poi la lama di uno spartano graffiò il volto di Kyros troppo velocemente perché persino lui, uno dei guerrieri più valorosi di Atene, potesse prevederlo. E quando la lama gli si conficcò nello stomaco, ancora ed ancora, Sofia non riuscì a trattenere un singhiozzo ed il conato di vomito che le risalirono lungo la gola.
Vide le labbra del suo migliore amico macchiate di sangue che si articolavano in parole che non avrebbe mai potuto conoscere. Il corpo che, inerme, cadeva a terra e poi si vide infilare la lama nel collo di quel giovane spartano mentre il sangue le schizzava dritto in volto.
Ne sentì il sapore ferroso sulle labbra persino in quel momento e quando aprì la bocca, si rese conto di avervi conficcato i denti fino a ferirsi.
Vide gli occhi scuri di quello spartano spegnersi. Perdere la crudele vitalità che li aveva animati fino a quel momento con la bocca aperta e gli occhi impauriti di chi non è ancora pronto ad affrontare l'Ade.
Troppo giovane. Troppo crudele.
Si chiese se avesse una famiglia,Sofia. Si chiese se quel ragazzo avesse una famiglia dalla quale avrebbe desiderato tornare prima o poi. Una madre che gli avrebbe preparato la cena, accogliendolo con un sorriso.
Si chiese se quel ragazzo nei propri di occhi, vi avesse visto la stessa crudeltà che, per contro, aveva visto Sofia. Se in piedi di fronte a lei, non si fosse poi chiesto il perché lei fosse così crudele e cattiva.
Vide il coltello conficcarsi nel volto del soldato che aveva ucciso Kyros, dritto negli occhi e poi cadere a terra.
Lui pareva più grande. Forse aveva una moglie, persino un figlio.
Ma tu ti stavi proteggendo. Te ed il popolo le suggerì una parte di lei.
Il sapore del sangue nella sua bocca,in quel momento, le parve ancora più intenso.
Ma quei soldati non stavano poi facendola stessa cosa?
Non stavano forse proteggendo il loro popolo esattamente come stava tentando di fare lei?
Quei soldati non erano forse mossi dai suoi stessi principi, dalla sua stessa paura, dal suo stesso amore.
E cosa rendeva lei migliore di loro?
Cosa rendeva lei una dei buoni e loro i cattivi quando, con disarmante facilità, li aveva privati della loro stessa vita?
Sofia si rese conto di essere caduta a terra solo quando batté le ginocchia sul pavimento, mordendosi nuovamente la labbra per l'impatto ed il sapore del sangue le invase la bocca per l'ennesima volta.
Era cattiva, Sofia, crudele tanto quanto i soldati che aveva ucciso a sangue freddo.
Crudele e perfida tanto quanto Pono.
Quello spartano che aveva ucciso aveva due anni in più di Paralo. Lei gli aveva ficcato il suo stesso gladio nel collo.
Si passò la lingua sulla labbra,gattonò a terra mentre le lacrime salate le facevano pizzicare gli occhi e le guance.
Forse il pavimento era più fresco rispetto al resto della stanza ma lei non riusciva a sentire niente se non il petto che le esplodeva per il dolore od il cuore stretto inuna morsa.
Erano gli obbiettivi, le ragioni per cui le persone prendevano una scelta ed agivano che decretavano chi fosse il buono ed il cattivo? Ma quando le ragioni erano le stesse?
Non aveva mai ucciso prima di quel momento. Non era mai stata in una battaglia.
La figlia protetta di Pericle di cui nessuno conosceva l'esistenza.
La figlia della sapienza che andava custodita.
La figlia di Atene che aveva ucciso con talmente tanta facilità da spaventare Sofia più di un esercito di mille spartani.
Sbatté un braccio contro alla gamba di un letto. Pestò i suoi stessi capelli sotto ai palmi sudati delle mani e quando la sua spada trapassò per l'ennesima volta il collo dello spartano, si sbatté ad una superficie di legno.
Era la porta d'ingresso ma era chiusa dall'esterno e, comunque, era certa che anche se avesse dichiarato stesse per morire, nessuno spartano le avrebbe mai aperto.
Vi strisciò contro. Forse qualche scheggia le si conficcò persino nella pelle ma non riuscì a sentirla.
Sbatté le palpebre tra le lacrime prima di vedere, davanti a lei, una scia di leggerissima luce.
Si passò le mani sul viso.
La porta del bagno.
Quando si mise in piedi e mosse il primo passo, le gambe cedettero sotto il suo stesso peso e lei rovinò a terra per l'ennesima volta.
Sentì una schiena muoversi,infastidita, sul materasso ed incespicò sul pavimento.
Nessuno l'avrebbe mai dovuta vedere così.
Nemmeno le ateniesi.
Si gettò sulla porta del bagno ed il fascio di luce delle torce la accecò per qualche istante mentre si affrettava nel richiudersela alle spalle.
Crollò contro il legno rovinato della porta, sbattendo le palpebre mentre si abituava alla luce.
Davanti a lei, la porta del dormitorio degli schiavi.
Quella stanza le parve più fresca.Come se l'afa spartana non l'avesse ancora raggiunta e, tra la luce delle torce, lei smise di vedere la spada che si conficcava ripetutamente nel collo dello spartano e di sentire il sapore del sangue.
Si asciugò le lacrime via dalle guance, rotolando contro il muro, respirando stentatamente per il sollievo quando ne sentì il fresco sulle spalle.
Non si rese poi conto quando, stremata,riuscì finalmente ad addormentarsi.
Angolo Autrice:
Ciao fanciulli miei!
Come promesso, adesso che è finito Harry Potter, torno ad aggiornare il lunedì. In più, il pianeta sembra essersi riassestato visto che è Pasquetta e c'è un tempo di merda quindi, pandemia a parte, un po' di normalità c'è ancora.
Come state?
Spero ieri siate comunque riusciti a festeggiare la pasqua e mangiare un sacco di cioccolato. Io l'ho fatto ed sento il Tapis Roulant dall'altra stanza che mi guarda torvo ahahah
Tornando a noi, ecco qui il nuovo capitolo! Sofia sta ancora cercando il modo di sopravvivere e quando Chirone le propone di continuare ad allenarsi, lei va contro i suoi stessi principi perché deve trovare una soluzione per potercela fare.
La Signorina Licari, ovviamente è la Signora O'Leary ahahahh Licari ed O'Leary sono nomi che hanno suonato abbastanza simili alle mie orecchie e Licari, tra l'altro, è un cognome di origine greca che significa Lupo, cosa che ho trovato molto interessante e che mi ha spinto a scegliere questo nome per il segugio di questa storia.
Annabeth è sempre più unita con le schiave ed Aphia cerca di spiegarle ancora meglio ciò che succede anche se lei stessa ha notato degli effettivi cambiamenti ed ovviamente attribuiti a Percy che avrà per sempre il mio cuore che prima è dei miei figli e subito dopo suo.
Scherzo, non ho figli ed anche se gli avessi, il mio cuore andrebbe comunque prima a Percy, chi vogliamo prendere in giro.
Per quanto riguarda la parte finale del capitolo, c'è una ragione. Se c'è una cosa che odio sono le storie od i libri che non approfondiscono le debolezze mentali di una persona. Passa tutto in secondo piano in nome di una macro trama più importante ma questo con me non funziona. è impossibile che quello che ha vissuto Annabeth non si ripercuota dentro di lei in qualche modo motivo per il quale, a costo di diventare pesante, la notte, quando pensa che nessuno la senta, le sue debolezze tornano a galla e lei deve ancora capirle come farle diventare una forza.
Sono puttanate i personaggi che non crollano. Che vivono un evento drammatico e neanche ci riflettono su. Annabeth lo fa, io lo faccio e lo facciamo tutti, ecco la parte più angst del capitolo dove lei è dilaniata perché si sente un mostro.
Comunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto e, se vi va, fatemi sapere il perché eheheheh anche se non vi è piaciuto fatemi sapere che le critiche costruttive sono sempre ben accette.
Vi auguro una buona giornata e spero siate il più felici ed al sicuro possibile. Non esitate a scrivere se avete anche solo voglia di parlare, dico davvero! So quanto ci sia bisogno di supporto in periodi come questi e so anche che, alla volte, parlare con chi non ha neanche idea di come siamo fatti, sia più facile.
Vi voglio bene,
Eli:)
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