Senza veli (Parte 2)
Il buio fu il suo migliore alleato. La luna illuminava a giorno il Campo, anche dove le torce di fuoco eterno non erano presenti, ma quando si lanciò nel bosco, le fronde degli alberi fecero il lavoro che, in quel momento preziosissimo, i lsuo velo non poteva fare.
Corse, illuminandosi la strada con il bronzo celeste del suo coltello, seguendo le urla, gli scalpicci idegli spartani e degli schiavi, evitando rami e radici all'ultimo secondo. I rumori della kryptheia le arrivarono chiaramente alle orecchie mentre correva, ignorando i tagli alle braccia sollevate per proteggersi il viso od il dolore alle ginocchia ed alla schiena perle cadute dentro la Casa Grande.
Un urlo acuto la spinse a correre ancora più velocemente, lanciandosi verso lo scontro che le sembrava più vicino. Gli occhi riuscirono a mettere fuoco solo due sagome che, nel buio, parevano fondersi tra loro e si affidò alla luce leggera del suo bronzo celeste e di quello che indossava lo spartano per decidere chi attaccare.
In un grido, si lanciò alle spalle di quella che scoprì essere una ragazza, cogliendola impreparata e riuscendo a farla cadere a terra. Non le diede il tempo di difendersi, la colpì con l'elsa del suo coltello dritta alla testa,tramortendola prima di voltarsi di scatto verso lo schiavo che aveva appena salvato. Sollevò il coltello davanti a sé, illuminando i tratti rigidi e le guance scavate di Aphia. Aveva gli occhi scuri sbarrati ed il corpo teso sotto al chitone logoro ma Sofia non aveva tempo. Nessuno schiavo pareva essere ancora riuscito ad arrivare alla fine del Campo e, possibilità ancora più spaventosa, il suo folle piano poteva anche essere stato un enorme fallimento.
- Vai! – ordinò. – Corri verso il fondo del bosco e non ti fermare, Aphia! – esclamò, facendo per andarle aggressivamente contro ma limitandosi soltanto a sbattere un piede a terra.
La donna davanti a lei sussultò e le rivolse un ultimo sguardo duro prima di sparire tra gli alberi.
Quella sarebbe stata l'ultima volta che Sofia avrebbe mai visto Aphia e la realizzazione la colpì in pieno petto con la forza di un pugno, stritolandole il cuore e lo stomaco in una morsa gelida. Appena arrivata, lei ed Aphia chiacchieravano spesso. Era stata proprio Aphia a spiegarle come stessero le cose al Campo e, alla volte, prendeva anche il posto di Euleia alle sue spalle per intrecciarle i capelli, condividendo un momento talmente intimo che se ci pensava in quel momento, Sofia, in piedi nel bosco del Campo Mezzosangue, le sembrava un sogno. Un sogno, per altro, fatto secoli prima.
Quanto tempo è passato?
La voce sibilante di quella bambola, nella stanza dei bottini di guerra, le corse lungo la spina dorsale, facendola rabbrividire mentre si voltava di scatto, guardandosi spasmodicamente attorno, col coltello chiuso nel palmo dolorante.
Quanto tempo è passato?
Si aggrappò al suo coltello mentre si guardava attorno senza vedere niente.
Non ne aveva idea. Non aveva idea di quanto tempo fosse passato.
Deglutì l'ansia, cercando lo scontro più vicino con orecchie attente prima di iniziare a correre verso la sua sinistra. Sperò che in quella direzione riuscisse a trovare qualcuno da difendere e che le sue orecchie non l'avessero poi miseramente tradita.
Le urla, i grugniti, il sibilare delle armi erano le uniche cose che riusciva a sentire mentre correva nel buio, troppo velocemente perché il lieve baluginare del suo coltello potesse esserle di alcun aiuto. Poi inciampò con violenza, urlando per la sorpresa mentre rotolava a terra, scorticandosi i gomiti e le ginocchia già feriti. Imprecò, rafforzando la presa attorno all'elsa prima che un gemito sofferente alle sue spalle potesse farla voltare di scatto. Sollevò la sua lama davanti al volto, sussultando quando riuscì a vedere il viso pallido, sudato e sofferente di un giovane spartano. Mosse il braccio, facendosi luce col coltello ed il cuore saltò un battito quando vide che dallo stomaco del ragazzo stesse spuntando una lancia.
- Oh miei dei! – esclamò, lanciandosi su di lui, illuminando sulla ferita con il suo coltello.
La lancia aveva orribilmente distrutto l'armatura del ragazzo quindi, sotto il bronzo celeste che indossava come inutile protezione, Sofia non riusciva a vedere la ferita. Si chiese quali fossero i motivi che avessero spinto qualcuno ad attaccare quel ragazzo con talmente tanta forza da trapassare due strati di armatura e poi, osservò la punta della lancia che gli sbucava dallo stomaco, digrignando i denti. Si chiese quali fossero i motivi che avessero spinto qualcuno ad attaccare quel ragazzo con talmente tanta forza da trapassare due strati di armatura, abbandonando ogni codice d'onore e colpendolo alle spalle.
- Chiamo aiuto, va bene? – fece Sofia, illuminando il volto del ragazzo con il coltello. Non aveva idea di come facesse ad essere ancora vivo ma si disse che, fino a che avrebbe continuato a rantolare, poteva stare tranquilla. – Hai dell'ambrosia con te? – domandò.
I semidei se ne portavano sempre un po' dietro e quando il ragazzo rantolò con un po' più di forza, Sofia decise di prenderlo per un si. Illuminò all'altezza della vita del ragazzo, cercando febbrilmente con dita tremanti, tenendo il coltello in bocca prima di strappare via un sacchetto appeso assieme alla fodera della spada, aprendolo velocemente e svuotandosi il contenuto su un palmo.
Infilò un quadratino di ambrosia tra le labbra secche del ragazzo, sollevandogli lievemente il capo per aiutarlo a masticare, dandogliene poi un altro quando riuscì a deglutire.
La lancia che gli trapassava il corpo da parte a parte aveva bucato il simbolo della casa di Efesto e Sofia scosse il capo, inginocchiandosi più vicino a lui. Si infilò il coltello tra i denti una seconda volta mentre avvicinava le mani al volto del ragazzo, slegandogli delicatamente l'elmo da sotto al mento, costringendosi a non tremare mentre glielo sfilava delicatamente.
- Vado a chiamare aiuto, va bene? Tu devi rimanere sveglio, però – gli intimò, guardandolo dall'alto. – Mi devi promettere che rimarrai sveglio, d'accordo?
Quando ritenne di potersi fidare abbastanza, fece per alzarsi ma il ragazzo sollevò faticosamente un braccio dal suolo verso la sua direzione, gemendo. Rantolò profondamente e Sofia gli illuminò il volto col coltello. – Dimmi – fece, cercando in qualche modo di capire cosa volesse dirle. – Dimmi, sono qui.
Il ragazzo rantolò ancora prima che, con immane fatica, una parola strozzata non riuscì a lasciargli le labbra. – Non.. – prese un profondo respiro, gemendo per il dolore e Sofia gli posò una mano sul capo, scuotendo il capo.
- Sssh. Va tutto bene. Non parlare. Vado a chiamare aiuto, va bene? Andrà tutto bene.
Il ragazzo rantolò ancora ed il corpo di Sofia si strinse in una morsa di dolore mentre gli accarezzava il volto. – Non.. non.. – prese un profondo respiro. – Solo – riuscì a dire e Sofia chiuse gli occhi per un solo istante prima di riaprirli, osservando il volto pallido e sudato del ragazzo con gli occhi socchiusi che però, era certa che, se fossero stati aperti, avrebbero indossato la loro migliore determinazione.
Sofia lasciò andare un sospiro, annuendo. – Va bene. Non ti lascio solo. Non ti lascio solo.
Si inginocchiò dietro di lui, portandosi la sua testa sulle gambe, continuando ad accarezzargli il volto con le mani, asciugandoglielo dal sudore e dalle lacrime con un lembo del chitone. – La città di Efira era un tempo governata dal re Galuco e da sua moglie Eurimede. Era un buon regno, prospero e con un buon esercito ma, alla città, mancava un eroe. Atene aveva Teseo, Argo aveva Perseo ma la città di Efira non aveva nessuno come simbolo del loro prestigio. Il re avrebbe voluto che fosse uno suo figlio l'eroe della città ma, purtroppo, non era in grado di avere eredi maschi. Era disperato e senza speranza fino a che, un giorno, sua moglie non decide di andare sulla spiaggia e pregare il dio Poseidone che, aiutato dall'incredibile bellezza della donna, decide di premiarla, regalandole un figlio –. Passò le dita tra i capelli del ragazzo che sospirò, smettendo di gemere per il dolore per almeno un secondo. – Bellerofonte, diciamo che.. era un ottimo guerriero ma era incredibilmente sbadato! Voglio dire, una volta era seduto sul porto di Efira a pensare e, in qualche modo, è riuscito a tagliere la corda che teneva legata un'intera flotta, liberandola in mare aperto senza equipaggio. Un'altra volta, durante il sacrificio di un bue, chissà come, ha rotto l'altare sacrificale ed il bue è scappato via senza che venisse fatto alcun sacrificio. Insomma, Bellerofonte era un guerriero formidabile ma combinava guai dal momento stesso in cui apriva gli occhi! – come te, avrebbe detto normalmente ma si trattenne, mordendosi la lingua e continuando ad accarezzare i capelli ed il volto del ragazzo che sorrise mentre la ascoltava. – E pensa che quando Glauco ed Eurimede sono finalmente riusciti ad avere un figlio maschio, Deliade, mentre lui e Bellerofonte si allenavano assieme con la spada, Bellerofonte lo uccide per errore.
No, tu non lo puoi uccidere il nostro.
Ma come? Ma perché no?
Perché no.
Sicura?
- A quel punto, Glauco ed Eurimede decidono di parlare con Bellerofonte, inviandolo presso la città di Tirinto per poter purificare la sua anima dall'atroce omicidio appena commesso. Arrivato a Tirinto la moglie del re Preto, Stenebea, si invaghisce di lui e quando Bellerofonte la rifiuta, lei lo accusa di averla aggredita.
Ma che razza di put..
Ma insomma!
Lo spartano sotto di lei corrugò la fronte, tentando di muovere il capo, forse per poterla guardare in volto ma poi grugnì per il dolore.
- Stai fermo – sussurrò Sofia, accarezzandogli i capelli. – Lo so. Una gran puttana –. Lo spartano le regalò un minuscolo affaticato sorriso e lei continuò a parlare, col cuore un po' più leggero. – Questo, ovviamente violava tutte le regole della xenia ed il re Preto decide di inviarlo presso la città di Licio per poter consegnare una lettera al re Iobate che, in realtà, conteneva scritta al suo interno, la condanna a morte di Bellerofonte stesso. Quando arriva a Licio ed il re Iobate legge il contenuto della lettera, proprio per le regole della xenia, invece che ucciderlo direttamente, decide di assegnargli il compito di uccidere la Chimera. L'unico modo che Bellerofonte aveva per poter uccidere la Chimera era quello di farsi aiutare da Pegaso, quindi si reca in un tempio della dea Atena che, in sogno, gli consegna delle redini d'oro che sarebbero state in grado di fargli cavalcare Pegaso. Bellerofonte riesce ad usare le redini su Pegaso mentre lui stava bevendo e, assieme, vanno a combattere la Chimera. Adesso, la Chimera è davvero spaventosa, con una testa di capra sulla schiena, il corpo ed il capo di un leone che sputa fuoco e la coda da serpente ma Bellerofonte, grazie all'aiuto di Pegaso, riesce a sconfiggerla. – Lo spartano sorrise e Sofia continuò. – Il re Iobate tenta comunque di rispettare la volontà del re Preto e lo invia a combattere i Solimi e le Amazzoni ma quando Bellerofonte torna ancora una volta vincitore, Iobate non solo gli mostra il contenuto della lettera ma gli da in sposa anche sua Fillinoe e..
Basta! Non voglio sentire altro!
Ma come? Non è ancora finita!
Non mi importa. Bellerofonte ce l'ha fatta, maledetto ed eterno incompreso. Voglio pensare che sia felice a cavalcare Pegaso con sua moglie e tantissimi figli fino alla vecchiaia.
Ma..
Lo so che a te non piace tanto la storia di Bellerofonte perché non usa l'intelligenza ma solo aiuto, fortuna e muscoli ma piace a me perché Bellerofonte non era un tipo sveglio o furbo. Era un enorme sfortunato, in realtà, senza chissà quale dote ma ce l'ha fatta comunque. Non possiamo essere tutti intelligenti, giusto? Però meritiamo comunque il nostro lieto fine.
-E vissero assieme per sempre. Ebbero tre figli e Bellerofonte continuò a solcare i cieli assieme al suo amico Pegaso fino alla vecchiaia.
Il ragazzo sorrise e Sofia scacciò via le lacrime quando le rigarono le guance con un palmo, riportando la mano tra i capelli del ragazzo.
Poi, dal fondo del bosco, suonò un corno. Il suono si propagò tra gli alberi scuotendole le ossa prima che un secondo corno potesse suonare e poi un terzo fino a che, dai confini del Campo, non iniziarono a rispondere allo stesso modo.
Sofia corrugò la fronte, spostando per un solo istante lo sguardo via dal volto del ragazzo, guardandosi attorno, prestando più attenzione. Mentre raccontava la storia di Bellerofonte, non si era accorta che i rumori della battaglia avevano iniziato lentamente a scemare, sostituiti da passi affrettati che solcavano il bosco, spezzando rami e calpestando foglie.
- Le difese! – sentì urlare qualcuno ed ogni muscolo del suo corpo si tese per la tensione. – Le difese! Gli schiavi stanno scappando!
I passi attorno a lei si fecero ancora più veloci, i corni ripresero a suonare ed il Campo iniziò a riempirsi di mille luci. Sentì i pegasi nitrire, le urla concitate degli spartani mentre si affrettavano nel bosco e Sofia sorrise mentre continuava ad accarezzare i capelli castani del ragazzo. Era mingherlino per essere un figlio di Efesto e quando pensò a Leo, sorrise. – Tutti i figli di Efesto che ho conosciuto erano sempre enormi, prima che venissi qua al Campo e conoscessi te e Leo – lo canzonò bonariamente ed il ragazzo grugnì, sbuffando e mettendo su un minuscolo sorriso. In condizioni normali, Sofia era certa lui sarebbe stato al gioco. Sentì dei passi avvicinarsi nella loro direzione e si voltò di scatto, senza smettere di coccolare il figlio di Efesto mentre uno spartano li raggiungeva con la spada sguainata.
- Che sta succeden.. Terensios! – esclamò, gettandosi al fianco del ragazzo, illuminando con la spada la sua drammatica condizione, imprecando rumorosamente.
- È stato colpito alle spalle. Gli ho dato del nettare. Stavo per chiamare aiuto ma per fortuna sei arrivato tu – disse Sofia, omettendo la parte in cui il figlio di Efesto le chiedeva di non lasciarlo morire da solo.
Lo spartano appena arrivato imprecò ancora, liberandosi rabbiosamente dell'elmo e lanciandolo a terra. Osservò con odio la punta della lancia che aveva trafitto il ragazzo prima di infilarsi la spada nel fodero. – Non morirai stasera, hai capito? – ringhiò tra i denti.
Il baluginare del suo coltello non era abbastanza per farle vedere qualche tratto in più dello spartano ma si disse non ce ne fosse poi bisogno. Non aveva necessità di studiarne il volto per capire che persona fosse, le era bastato sentire la voce tremare per le lacrime.
- Adesso andiamo in infermeria, va bene, amico mio? Andrà tutto bene – gli promise, facendo passare un braccio sotto il collo ed uno sotto le ginocchia del ragazzo.
Sofia si mise dal lato opposto al suo, aiutandolo ad alzarsi, accarezzando il volto di Terensios ancora una volta, scostandogli i capelli dalla fronte. – Grazie per essere rimasta con lui – disse lo spartano. – C'è una tale confusione. Per qualche motivo, le difese del Campo hanno smesso di funzionare e gli schiavi sono scappati.
Sofia trattenne un sospiro di sollievo. Era evidente che, a causa dell'agitazione, lo spartano non l'aveva guardata abbastanza a lungo per poter capire fosse una schiava. – Ti aiuto con Terensios? – domandò, senza smettere di coccolarlo.
- No. Riesco a portarlo in infermeria. Serve tutto l'aiuto possibile ai confini del bosco –. Poi si allontanò, correndo velocemente. – Vi raggiungo dopo! – esclamò, mentre i suoi passi si facevano sempre più lontani.
Sofia non poté prendersi del tempo per assicurarsi arrivassero in infermeria. Si voltò, iniziando a correre il più velocemente possibile verso il suo alloggio, nascondendo il coltello sotto al velo per evitare di poter essere vista.
Arrivata agli alloggi, si accucciò dietro un albero in lontananza, osservando la porta bloccata dall'esterno e non sorvegliata. Si guardò attorno febbrilmente,ignorando il cuore che le batteva con forza nel petto prima di iniziare a correre, orribilmente scoperta sotto la luce delle stelle e della luna. Si lanciò addosso alla porta, liberandola dall'asse di legno che la bloccava, scaraventandola a terra mentre si precipitava dentro al dormitorio, sbattendosi poi la porta alle spalle. Vi si poggiò contro, portandosi una mano sul petto, avvolta dal buio,permettendosi di respirare solo in quel momento. Le ginocchia le tremarono mentre la scarica di adrenalina che l'aveva tenuta in piedi fino a quel momento, l'abbandonava improvvisamente, facendola scivolare a terra.
- Annabeth – sibilò una voce che non riuscì a riconoscere subito. – Annabeth, sei tu?
Era la voce di Daphne. Sofia la riconobbe solo dopo ed annuì, prima di ricordarsi non potesse vederla al buio. – S.. – tentò di deglutire ma non aveva saliva, allora si schiarì la voce. – Si – la voce venne comunque fuori strozzata ma, in un attimo, il dormitorio piombò nella luce, facendole sbattere le palpebre per il fastidio.
La ragazze reggevano tra le mani le torce che normalmente ma stavano appese alla parete ma che, in quel momento, si erano semplicemente limitate a coprire, probabilmente per proteggere lei e la sua assenza, e quando Daphne la guardò, con gli occhi scuri speranzosi mentre reggeva una torcia, Sofia sorrise, annuendo. Il boato di gioia la avvolse completamente, con la potenza di un abbraccio mentre la ragazze ridevano, stringendosi tra loro.
Sofia non aveva idea di come fosse andato il piano. Se tutti gli schiavi fossero riusciti a scappare o se, al contrario, li avessero recuperati nuovamente, adempiendo a quello che era il loro ruolo nella kryptheia ma quando Daphne la abbracciò, seguita da Maia, Terentia e Grigoria, lei smise di farsi troppe domande, accettando il loro calore. Sbatté le palpebre, scacciando le lacrime e Daphne le stampò un bacio sulla guancia, facendola sorridere un po' di più.
- Ce l'abbiamo fatta! – esclamò Maia euforica, con gli occhi scuri spalancati per l'euforia.
Sofia tentò di sollevarsi in piedi ma le ginocchia non la ressero, facendola scivolare nuovamente a terra.
- Non lo so, ragazze – ammise onesta. – Uno spartano ha detto che le difese siano crollate ma non so se gli altri siano riusciti a fuggire o no – disse, preferendo l'onestà alla salvaguardia della felicità delle ragazze. – Spero ce l'abbiano fatta ma credo che solo domattina sapremmo realmente come sono andate le cose – continuò.
Daphne iniziò a disfarle la treccia per potergliela rifare e Sofia quasi la sentì sorridere alle sue spalle. – Anche solo aver creato un po' di confusione è una vittoria. Goditela, Annabeth!
Sofia tenne lo sguardo verso l'alto,perso nel buio del dormitorio. Uno spartano era venuto a controllarle nel cuore della notte, svegliandole e contandole ma, a parte quel momento, Sofia non aveva altre informazioni. Era convinta di essere anche riuscita a dormire per almeno qualche secondo ma il caldo e l'agitazione non erano i migliori alleati del sonno.
Non aveva idea di quanto tempo fosse passato o di che ore fossero, l'unica cosa che sapeva era che Percy sarebbe dovuto andare a prenderla in camera con un pezzo di pane che avrebbe lasciato ad Euleia ed una ciotola d'orzo che avrebbe invece bevuto. Si lasciò scappare un sorriso, voltando il capo verso la direzione della ragazza. Gli occhi, abituati al buio, riuscirono a distinguerne la sagoma e Sofia si limitò ad ascoltarne il respiro tranquillo, prendendone lei uno profondo.
Non era ancora riuscita a parlarci e,anche la sera prima, mentre tutte le altre festeggiavano, persino quando erano stati i ragazzi a raggiungerle nella loro parte di dormitorio, lei era rimasta in un angolo, regalando qualche sporadico sorriso ma continuando a stringersi le ginocchia al petto.
Sofia allungò una mano verso di lei,sfiorandole i capelli prima di ritrarre le dita per paura di svegliarla. Era difficile che, da sveglia, Euleia avrebbe potuto raggiungere quel tipo di tranquillità e non sarebbe mai stata lei a privargliene.
Non aveva idea di che cosa fosse quella bambola che, la notte prima, aveva rischiato di farle spezzare il collo per il terrore. La cosa più logica sarebbe stata un oracolo ma quello stava a Delfi ed era un pitone. A meno che, in qualche modo,parte dell'oracolo non risiedesse anche all'interno di quella bambola. Scosse le spalle, sollevandosi poi a sedere e passandosi le mani tra i capelli sudati.
Quanto tempo è passato, Sofia?
La voce della bambola, giovane eppure così gracchiante, le risuonò nella testa, facendola rabbrividire,spingendola a stringersi le ginocchia al petto con più forza,affondando le dita nella pelle.
Non ne aveva idea.
Lei, che calcolava sempre tutto; lei che aveva sempre un piano, non aveva idea di quanto tempo fosse passato. Sapeva fosse estate, quello era facile, ma quando gli spartani avevano invaso Atene, era il ventiseiesimo giorno del Targelione. I giorni, nel Campo Mezzosangue, erano stati scanditi diversamente rispetto a quando si trovava ad Atene, dove aveva il tempo di prendere appunti sul suo calendario invece di trovare il modo migliore per sopravvivere. Non poteva essere passato troppo tempo però e, con ogni probabilità, lei aveva ancora diciassette anni. Era impossibile che fossero già entrati nell'Ecatombeone.
Lasciò andare un sospiro.
Quanto tempo è passato, Sofia?
Scosse la testa, lasciando andare l'ennesimo sbuffo, poggiando poi la guancia su un ginocchio. Aveva solo voglia di sentire un po' di profumo di casa. Aveva solo bisogno di sentire il profumo del mare ed il suono delle onde della sua risata. Forse, sarebbe stato un po' più facile pensare se avesse avuto meno paura. O, forse, avere meno paura avrebbe significato perdersi di nuovo, dimenticarsi ancora una volta del tempo che passava.
Sentì qualcuno rigirarsi nel letto mentre il volto del dio Ares, le visioni che le aveva mostrato nei suoi occhi, tornavano ad invaderle la mente con prepotenza. Aveva solo bisogno di qualche spiegazione in più. Aveva solo bisogno di qualcuno che le dicesse che tutto quel dolore, prima o poi, sarebbe arrivato da qualche parte, trasformandosi in qualcosa di bellissimo.Od almeno accettabile, si sarebbe accontenta persino di quello.
Sentì il blocco della porta togliersi con violenza e si voltò di scatto. Dov'era Percy? Quello non poteva essere Percy perché lui era sempre delicato, a malapena lo sentiva. E quando il legno si spalancò, lasciandole vedere la figura di uno spartano contro le luci del primo sole, il cuore le sprofondò fino allo stomaco, facendole mancare il fiato.
- Tutte fuori! – tuonò lo spartano mentre le ragazze, rapide ed abituate, iniziarono a scendere velocemente dai loro letti.
Dov'era Percy?
Sofia rimase ferma, sul letto, ad osservare lo spartano sbagliato sull'uscio della porta un attimo prima che, con la coda dell'occhio, non vedesse Euleia passarle davanti. A quel punto, scese dal letto in uno scatto, affiancandola rapidamente mentre uscivano dal dormitorio.
- Euleia – la chiamò, senza riuscire a farla voltare ma riuscendo facilmente a vedere le contusioni violacee sul suo volto da quella posizione. – Chi è stato, Euleia? – domandò ancora, ignorando l'aria frizzante della mattina che la fece rabbrividire.
Il labbro inferiore della ragazza tremò mentre camminavano ed il piede strisciò sul lastricato, come se si fosse improvvisamente dimenticata di come si camminasse. – Nessuno – bisbigliò, riportando Sofia al primo periodo in cui erano al Campo ed Euleia aveva paura anche della sua stessa ombra.
Sofia ingoiò la rabbia e la frustrazione, stringendo i pugni per evitare di canalizzarla su Euleia. Poi, mentre camminavano, e lei le guardava il profilo ed il volto ancora gonfio, sospirò, prendendole la mano. Intrecciò le dita a quelle di Euleia, stringendole ed aspettando che, lentamente mentre la teneva vicino a sé, Euleia potesse fare lo stesso. La mano della ragazza era molle contro la propria, ma Sofia non la lasciò andare, continuando a tenere Euleia, a premerle le dita contro il dorso perché lei era lì, al suo fianco, e non se ne sarebbe mai andata. E mentre arrivavano alla mensa, strette nella fila in cui gli spartani le avevano abituate a stare, Euleia premette delicatamente le dita contro al suo palmo e Sofia abbozzò un piccolo sorriso, lasciandola andare solo quando furono costrette ad allontanarsi.
Gli spartani non erano ancora entrati nel padiglione della mensa. Sofia lo sapeva perché loro dovevano avere il tempo di preparare la sala prima che i mezzosangue arrivassero, affamati ed ancora addormentati ma, in un riflesso spontaneo, gli occhi corsero comunque al tavolo vuoto di Poseidone.
Era la prima volta, da quando avevano iniziato ad allenarsi assieme, che Percy non andava a prenderla in camera. Persino quando erano a Roma, lui era andato a prenderla nella cella, ritagliando un momento solo per loro due, ad osservare la Città Eterna dall'alto.
In un secondo, Terensios, con la lancia che gli sbucava dallo stomaco, ed il volto pallido e sudato, le riapparve davanti agli occhi e Sofia sussultò quando il volto del giovane spartano cambiò in quello di Percy. Ne vide gli occhi verdi spenti, la pelle, normalmente abbronzata, priva del solito colorito bronzeo mentre una lancia gli spuntava dallo stomaco ed il sangue gli colava da sotto l'armatura, lungo le gambe.
Quando qualcuno le toccò il braccio, Sofia sussultò, voltandosi di scatto solo per poter trovare gli occhi scuri di Grigoria che la guardavano perplessi. – Puoi portare questo vassoio? – le disse con la fronte corrugata, allungandogliene uno in ceramica che Sofia prese automaticamente, annuendo. Guardò il tavolo di Poseidone. Non c'era nessun Percy sanguinante. Non aveva idea del perché non si fosse fatto vedere quella mattina ma, una parte di lei, sapeva stesse bene. Non poteva essere altrimenti. Forse aveva dormito troppo, stanco dalla sera prima o forse, il Consiglio dei mezzosangue si era riunito fino a tardi nella speranza di comprendere cosa fosse successo esattamente il giorno prima.
Ma Percy stava bene.
Andò via da davanti al tavolo di Poseidone, sistemando il vassoio su quello di Efesto solo per tentare di tenersi impegnata per più tempo possibile, arraffando bicchieri e coltelli e sistemandoli sui tavoli. Quando la conchiglia suonò, svegliando gli spartani, Sofia continuò ugualmente a camminare velocemente tra i tavoli, aggiustando panche, vassoi e piatti che non avevano bisogno di essere aggiustati.
Tentò di trattenersi, di non cercare Percy tra i volti dei ragazzi che iniziarono ad occupare il loro posto ai tavoli mentre entrava ed usciva dalla cucina, prendendo i piatti che preparavano le arpie per la colazione. Si costrinse a tenere il capo fermo davanti a sé, a concentrarsi sui piatti caldi e non farli cadere, facendo finta di non essere preoccupata per l'assenza del suo profumo di casa o degli occhi verdi come il mare.
Maia le rivolse un sorriso mentre si incrociavano davanti al tavolo di Chirone e Sofia si sforzò di farle almeno un cenno della testa.
Lasciò una ciotola d'orzo sul tavolo di Ares, socchiudendo le palpebre in due fessure infastidite, allontanandosi il prima possibile da Pono ed il suo tanfo. Era certa che qualcuno seduto a quel tavolo fosse l'artefice del tentato omicidio di Terensios e non sapere niente di quel ragazzo, sommato all'assenza di Percy, le fece battere il cuore con più forza nel petto. Doveva pensare fosse vivo, però. Che fossero vivi entrambi. Percy era un semidio fortissimo ed anche Terensios sarebbe stato guarito grazie alla magia dei figli di Apollo.
Lei l'avrebbe saputo. L'avrebbe sentito in qualche modo, se uno dei due fosse stato male.
Prese dei tozzi di pane dalle mani di Daphne e scosse il capo, lasciando il pane al tavolo di Ecate, andando via velocemente dagli sguardi languidi e fastidiosi che si portavano sempre dietro quei ragazzi.
- Annabeth! – la chiamò un figlio di Afrodite sui quattordici anni, agitando un braccio dalla sua panca.
Sofia andò velocemente verso di lui, ignorando il cuore che le batteva persino nei timpani, concentrandosi sul movimento delle labbra di quel ragazzo, perché non era certa sarebbe stata in grado di sentirlo. – Oggi ci parlerai di Er..
Poi lo sentì, il profumo di mare che precedeva sempre il suo arrivo, il profumo di casa che la portava a canalizzarvi contro l'attenzione.
Era lì. Percy era lì e stava bene.
- Si – rispose, spostando il capo oltre il tavolo di Afrodite, cercando il figlio di Poseidone. – Si, si che lo facciamo – disse, anche se non aveva idea di che cosa avrebbero dovuto fare, prima di andarsene velocemente.
Afferrò una ciotola d'orzo dalle mani di Terentia che protestò per un solo secondo prima che Sofia potesse superarla, andando verso il capo d'ebano di Percy che si stava sedendo alla sua panca. Quella mattina era solo. Normalmente era sempre affiancato da Talia e da Nico ma Nico stava già facendo colazione accanto a Stefano e la figlia di Zeus non era ancora arrivata. Chiuse gli occhi per un solo istante mentre camminava verso di lui, godendosi il profumo del mare prima di posare la ciotola d'orzo davanti a lui. Non ebbe modo di vedergli il volto però, se non il profilo che fu l'unica cosa che le offrì, visto che neanche si voltò a guardarla.
- Per..
- Grazie – la interruppe, continuando a non rivolgerle neanche uno sguardo ed il cuore di Sofia le sprofondò nello stomaco, rubandole il fiato.
Non si diede il tempo di guardarlo, però, andò via.
***
Sofia si asciugò il sudore dalla fronte, fermandosi per un solo istante prima di riprendere ad arare la sua porzione di Campo che avrebbe ospitato altre fragole.
Perché Percy si era comportato in quel modo con lei? Era stato lui a trovare il suo velo? O forse era stato qualcun altro? Forse era stato qualcun altro e lui chissà cosa aveva dovuto fare per coprirla. Scosse la testa, infilando la sua pala sotto la terra con forza. Non aveva avuto modo di conoscere né le condizioni di Terensios né quella degli schiavi che avevano partecipato alla kryptheia.
Sofia, per una delle poche volte invita sua, non solo non sapeva nulla, ma non aveva neanche uno straccio di piano. Per tutta la vita ne aveva avuto uno, per riuscire a sopravvivere ma non in quel momento, dove l'unica possibilità che aveva era quella di continuare ad arare i campi assieme agli altri schiavi e sperare di non svenire per il caldo e la fatica.
Sollevò il capo verso l'alto quando un'ombra oscurò il sole, osservando il volo dei pegasi, capitanati da un figlio di Afrodite. Nessuno di loro aveva il manto d'ebano come un equino di sua conoscenza e sorrise al pensiero di dove si fosse cacciato Creekos.
Poi scrollò il capo, riprendendo a lavorare.
- Annabeth – la chiamò Daphne, ad un filare di distanza da lei. Sofia spostò lo sguardo sul suo volto arrossato e sudato, notando in quel momento che, per quanto fosse stata una sola persona a chiamarla, ce n'erano altre tre pronte ad ascoltare.
- Che c'è? – disse, spostando velocemente lo sguardo da Grigoria, a Terentia ed a Maia.
- Non si sa nulla degli schiavi, vero? – domandò Daphne ancora, piantando la sua pala al terreno ed avvolgendovi una mano contro per potersi sorreggere.
Sofia si asciugò il sudore dalla fronte ancora una volta, scuotendo il capo, lanciando poi, fugacemente, un'occhiata verso il Campo Mezzosangue che, dalla sua posizione, poteva vedere dall'alto. Vide qualche semidio passeggiare ed altri che si allenavano in lontananza poi smise di cercarlo e riportò lo sguardo sugli occhi scuri di Daphne. – No – rispose, nascondendo il dolore e la rabbia scavando la terra.
- Noi stavamo pensando..
- Il tuo velo, Annabeth – la interruppe Grigoria, arrivando al punto prima che potesse farlo Daphne. – Tu hai lasciato il tuo velo dell'invisibilità in quella stanza della Casa Grande – continuò, dando voce alle preoccupazioni che Sofia aveva tenuto dentro di sé fino a quel momento. – è improbabile che pensino subito a te, ma sarebbe stupido convincersi che non colleghino quel velo a noi schiavi ed useranno tutto ciò che è in loro potere per capire a chi appartiene.
Sofia sollevò il capo di scatto, socchiudendo gli occhi in due fessure furiose. – Sei davvero convinta che io..
- E visto che sappiamo – alzò la voce Maia, mettendo a tacere la rabbia di Sofia con determinazione, – che tu non lasceresti mai che nessuno di noi finisca nell'obbiettivo degli spartani per te – continuò.
- Siamo preoccupate per te – terminò Terentia.
Sofia strinse con forza la pala contro al palmo, ignorando le schegge del legno che le finirono sotto la pelle, osservando quelle quattro ragazze davanti a lei che la guardavano con preoccupazione. Erano lì, davanti a lei, con le pale tra le mani, i chitoni logori ed i volti sudati a lavorare quanto lavorava lei, a soffrire quanto soffriva lei eppure, in quel momento, non erano loro stesse la loro preoccupazione.
Sofia sbatté le palpebre,scacciando via le lacrime davanti a tutto quell'amore, asciugandosi la fronte con il braccio per schermare il proprio volto dalle ragazze per almeno un attimo.
- Penserò ad un piano – promise, ignorando il dolore al cuore ed al petto mentre continuava ad osservarle. Loro quattro erano state le uniche persone alle quali aveva detto del velo. Era l'unico modo per poter eseguire il piano facendosi aiutare. Gli aveva rifilato la stessa storia che aveva detto a Percy e, mentre lei ricopriva chiunque le stesse attorno di bugie, loro erano pronte a sacrificarsi pur di proteggerla. – Non vi preoccupate, va bene? – disse con decisione, dimentica di qualsiasi dolcezza nella speranza che la sua volontà potesse raggiungerle chiaramente. – Penserò a qualcosa nell'eventualità in cui gli spartani dovessero iniziare a fare domande.
Grigoria roteò gli occhi al cielo mentre Maia la guardava scocciata. – Sei davvero convinta che non abbiamo imparato a conoscerti in tutto questo tempo? – le domandò con un sorriso furbo sulle labbra. – Il tuo piano sarà quello di dire il velo sia tuo e gli spartani ti uccideranno senza che tu abbia dato la possibilità a nessuno di noi di provare ad aiutarti.
Daphne annuì con decisione al suo fianco e Sofia si lasciò scappare un sorriso, poggiando il braccio contro alla pala. – Allora facciamo così, se per caso gli spartani dovessero collegare il mio velo a noi e decidere di carpire informazioni con forza e violenza, invece che sacrificarmi subito, ne parlerò prima con voi –. Osservò le ragazze attentamente. – Va bene? – continuò, cercando l'approvazione negli sguardi seri delle sue amiche.
Poi, Maia incrociò le braccia sotto al seno, guardandola col mento sollevato. – Giuralo sullo Stige – disse, socchiudendo gli occhi mentre l'osservava attenta, inchiodando Sofia sul posto mentre il cuore saltava un battito. – Giuralo sullo Stige, Annabeth. Che non farai tutto da sola.
Sofia strinse i pugni, conficcandosi le unghie nei palmi perché, fare tutto da sola erano le sue esatte intenzioni.
- Ha ragione, Annabeth – decise Daphne, annuendo con forza con la testa. – Giuralo sullo Stige.
Sofia imprecò talmente aspramente nella sua testa che, se solo qualcuno l'avesse sentita, o le avrebbe fatto un applauso o l'avrebbe fatta rinchiudere. – Lo Giuro sullo Stige – disse tra i denti ed il rombo di un tuono, nel cielo, fece tremare persino il terreno che, con una scossa, per poco non fece cadere le ragazze, come se il fiume Stige stesso si fosse sollevato dal suo letto, colpendo la porzione di terreno sotto Sofia.
- Perfetto! – urlò uno spartano in lontananza. – Chi di voi idioti ha Giurato sullo Stige?
Sofia continuò a tenere i denti digrignati ma le ragazze sorrisero.
- Bene, riprendiamo a lavorare – disse Grigoria, riafferrando la pala assieme alle altre e tornando nella sua porzione di terreno mentre Sofia continuava a pensare al peso di quel giuramento sul cuore che non avrebbe mai voluto mantenere.
***
Era la prima volta, da quando era al Campo Mezzosangue, che il tempo scorreva lento. Era facile tenersi impegnati lì ed anche nei momenti morti prima dei pasti, Sofia trovava comunque qualcosa da fare tranne che quel giorno, dove pareva che gli attimi si fossero dilatati in ore e dove il cuore continuava a pesarle come un macigno. Persino i piedi non si alzavano con la facilità di sempre e persino il caldo sembrava più afoso del solito, schiacciandola contro al terreno mentre il chitone le si appiccicava fastidiosamente sul corpo.
Non era una stupida. Sapeva che quel peso era quello della responsabilità che aveva voluto assumersi. Era la responsabilità di un piano che non aveva idea se fosse riuscito o meno e che gli spartani tenevano perfettamente nascosto, troppo impegnati per gli allenamenti per la gara del giorno dopo. Sarebbero stati eletti i due nuovi capi del Campo e mentre gli schiavi preparavano l'Arena principale del Campo per i giochi, gli spartani coordinavano gli allenamenti sui nuovi terreni.
Pono era in prima linea a lanciarsi contro gli ostacoli che gli schiavi avevano appena finito di sistemare, accanendosi contro ogni semidio gli passasse accanto col suo gladio, preparandosi per la sfida del giorno dopo che Sofia si augurava non avrebbe mai vinto. C'era un'euforia diversa quel giorno,rispetto a quella che aveva preceduto la kryptheia. Se, per l'iniziazione, l'aspettativa era alta, per eleggere i capi del Campo,l'energia era quasi elettrica, come se Talia avesse deciso di dare una piccola scossa al terreno, raggiungendo i piedi di tutte le persone che si trovavano nell'Arena.
Non erano davvero tutti gli spartani che si stavano allenando. La maggior parte, era solo troppo impegnato a tenere sotto controllo la furia di Pono che si abbatteva sugli ostacoli o sui ragazzi che, malauguratamente, passavano per l'Arena e troppo vicini al suo delirio.
Un ottimo guerriero, Pono ma era lento,ingombrante e troppo arrogante per superare i propri limiti,sguazzandovi all'interno. Sofia l'aveva già battuto e lei non era né una figlia di Ares né una veterana di guerra come lui. Anche un quattordicenne avrebbe potuto batterlo e solo perché avrebbe avuto più pazienza ad ascoltare invece che fare di testa sua.
Sofia spazzò via lo sporco dagli spalti, osservando un gruppo di spartani che camminava all'interno dell'Arena, seguito da due schiavi, per sistemare i vari ostacoli o livellare il terreno dov'era necessario. La scelta dei capi del Campo era un evento eccezionale. Persino Sofia, da Atene, sapeva che quella giornata fosse presenziata dai re di Sparta in persona, Archidamo ed Agido II.
Non si aspettava che Percy sarebbe stato lì ad allenarsi con tutti gli altri ma, di sicuro, neanche si aspettava che sarebbe stato assente per tutto il tempo che coinvolgeva le preparazioni. Era comunque il capo in carica del Campo. Era suo interesse ispezionare il terreno di gioco, almeno per assicurarsi che tutto sarebbe andato secondo i piani.
Sempre che poi ne avesse avuto uno.Probabilmente no. Al mare non piaceva essere limitato ed un piano,forse rispondeva a quello stesso limite che Percy tanto cercava di valicare.
Sofia sbuffò. Percy l'aveva trattata come se niente di ciò che avevano vissuto assieme fosse reale. Come se le loro storie, quelle che condividevano tra i vari momenti rubati, non fossero mai esistiti e che se ne andasse al Tartaro lui e la sua imprevedibilità che non le importava conoscere.
Spazzò via della sabbia dagli spalti che altre schiave stavano allestendo per i re di Sparta ed il loro seguito prima che, dal basso dell'Arena, uno spartano abbaiasse discendere per preparare la cena.
Il cielo stava iniziando a tingersi dei colori caldi del tramonto e fu quello che Sofia guardò mentre andava verso il padiglione, con il chitone attaccato al corpo per il caldo,i capelli sudati e le gambe stanche. Le altre ragazze si sistemarono vicino a lei, Daphne le strinse la mano mentre l'affiancava,facendole dimenticare, per un solo istante, l'assenza di Euleia. Non aveva partecipato con loro ai preparativi per il giorno dopo e,persino mentre lavorava nei campi, si era tenuta a debita distanza.
Sofia avrebbe voluto fare domande alle altre, chiedere cosa fosse successo ma era improbabile che le ragazze, troppo abituate alle incursioni degli spartani, avessero fatto caso a quelle che vedevano Euleia come vittima.
Camminando verso il padiglione, vide gli spartani continuare ad allenarsi con foga. Normalmente, mentre si avvicinava la fine del giorno, gli spartani erano avvezzi ad impugnare più blandamente le loro spade, a giocherellare con gli archi mentre si riposavano ma, quella sera, continuavano a sfidarsi con ardore a colpi di spada, incoccando una freccia dopo l'altra mentre colpivano i bersagli. Sofia aveva sentito diverse persone mormorare durante quella giornata, sussurrare nomi dei papabili vincitori, dei futuri capi del Campo. Percy, ovviamente, saltava di bocca in bocca, e quello, in qualche assurdo modo, quasi colmava la sua assenza fisica. Scosse la testa mentre entrava nel padiglione,dirigendosi velocemente verso le cucine per poter recuperare gli utensili che avrebbe dovuto mettere sui tavoli per la cena.
Aveva problemi più grandi da risolvere e Percy non ne sarebbe mai stato uno.
***
Daphne le intrecciò i capelli sulla schiena, rimanendo però seduta sul suo letto mentre chiacchierava con le altre. – Che ne pensate di domani allora? – domandò,incrociando le gambe alle spalle di Sofia che si sistemò meglio per poterla guardare. – Credete che Percy si farà affiancare da un'altra persona oppure gestirà il Campo da solo? – continuò.
Grigoria sollevò le spalle, dando poi un colpetto a Terentia quando finì di sistemarle i capelli. – Echi lo sa. Questo pomeriggio sono stata assieme a Cleopas, il biondo della casa di Morfeo e non ha fatto altro che parlare di domani. Percy è quello che tutti sperano vinca a detta sua ma c'è anche qualcuno che parla di Carlo della casa di Efesto, Giasone,Talia e Stefano di Apollo.
Maia sbuffò, sedendosi sul letto accanto a Daphne. – L'importante è che non vinca Pono –borbottò. – Tutti ma non lui – intervenne Terentia.
Sofia annuì seppur non stesse davvero prestando attenzione, spostando lo sguardo su Euleia, nel letto accanto al suo, che le dava le spalle, già sdraiata. Era arrivata quando la cena era già iniziata da un po', con il polso livido a seguito di un palese strattone. Sofia avrebbe soltanto voluto abbracciarla, vendicarla per il dolore che si stava costringendo asopportare da sola ma Euleia era chiusa nella sua sofferenza, senza permetterle di entrarvi in alcun modo. Poi, mentre la guardava, le lanterne appese alle pareti si spensero di colpo, avvolgendo le schiave nel buio più nero.
- Suppongo sia la buonanotte – borbottò Terentia, strappando qualche risata.
Daphne cercò la sua guancia a tentoni, dandole un bacio prima che Sofia potesse sentirla alzarsi, cercando il suo letto, muovendo piccoli passi per evitare di andare addosso a qualcuno con troppa violenza. Si sarebbe dovuta sdraiare a quel punto, Sofia. O, come minimo, avrebbe potuto tentare di recuperare il sonno che il terrore della notte prima le aveva portato via ma rimase seduta sul letto ad abbracciarsi le ginocchia mentre gli occhi si abituavano lentamente al buio, ascoltando il respiro sempre più regolare delle ragazze accanto a lei che si addormentavano.
Il giorno dopo sarebbero stati eletti i nuovi capi del Campo e, forse, senza la tirannia di Pono, sarebbe stato più facile aiutare Euleia, rassicurarla perché il peggio non le governava più ma anche loro, che erano alla base di quell'assurda piramide gerarchica, avrebbero avuto dei diritti in più.
Va tutto bene, Euleia. Va tutto bene, amica mia. Ci sono qua io. Non ti succederà più nulla. Ti prego, parla con me.
Solo quando il braccio destro iniziò a farle male, si accorse di averlo sollevato nella direzione di Euleia che, chissà se stava dormendo o, come lei, continuava a pensare e chiedersi se ce l'avrebbe fatta.
Ma certo che ce l'avrebbe fatta. Sofia aveva fatto l'errore di sottovalutarla ma Euleia era forte. Era stata lei a sollevarla spesso, a tenderle la mano quando Sofia aveva paura e l'unica voglia che aveva era quella di crollare.
Va tutto bene, amica mia. Ci sono qua io.
Sbatté le palpebre con gli occhi che erano un po' più abituati al buio, osservando la sagoma di Euleia davanti a lei, lasciando poi andare un sospiro. Quando sentì la trave che bloccava la porta venir sfilata delicatamente, non si voltò. Rimase con le gambe strette al petto, ad ignorare lo stomaco che le si contorceva, stretto da delle dita invisibili alle quali era sempre più avvezza ma che non conosceva. Quando la porta si aprì, respirò il profumo casa, chiudendo gli occhi quando il peso che aveva sulle spalle venne delicatamente sollevato. Il tenue fascio di luce esterno la illuminò, mostrandole la figura di Percy controluce. Prima che lui potesse parlare, Sofia si era già alzata e gli andò incontro verso la porta, superandolo quando Percy si fece da parte per farla passare vedendo, solo a quel punto, Creekos che li aspettava a qualche passo di distanza.
Percy si chiuse la porta alle spalle senza bloccarla, come suo solito, e Sofia salì sul pegaso senza che ci fosse bisogno in alcun modo che si accordassero a riguardo, dando una pacca al collo di Creekos che nitrì delicatamente, muovendo il capo verso di lei a mo' di saluto.
Percy salì dietro di lei, scivolandole contro e ritrovando facilmente quell'incastro perfetto che condividevano sempre, avvolgendola col profumo di casa ed il calore del suo corpo. Percy esitò nell'ordinare a Creekos di prendere il volo, circondandola con le braccia, col corpo aderente al proprio, e fu come se, per un attimo, non avesse alcuna voglia di muoversi ma di rimanere fermo così, davanti al dormitorio degli schiavi, a toccarsi senza ammetterlo. Poi, Creekos iniziò a correre nella notte, spiccando il volo pochi passi dopo e librandosi nell'aria fresca.
Sofia non aveva idea di dove fossero diretti ma neanche ci rifletté mentre solcavano il cielo, volando sotto le costellazioni che, col volto verso l'alto e la nuca posata alla spalla di Percy, si divertiva ad indovinare. Sarebbe potuta rimanere lì, a volare seduta su Creekos con Percy alle sue spalle anche per tutta la notte, ad indovinare le costellazioni mentre respirava il profumo di mare e non seppe quanto tempo passò ma quando il profumo di casa si fece più intenso di quanto non fosse abituata a sentire con Percy dietro di lei, raddrizzò la schiena, allontanandosi dal ragazzo per potersi sporgere in avanti.
La luna quasi completamente piena illuminava a giorno il panorama sotto di lei ma quando Creekos iniziò a scendere, Sofia sbarrò gli occhi e la bocca, reggendosi alla criniera del pegaso mentre continuava a guardare verso il basso, sporta in avanti contro al braccio di Percy.
Aveva letto spesso dell'isola di Milo e delle rocce bianche di Sarakiniko, che dicevano fossero un raggio di luna incastonato nel mare, ma mai avrebbe potuto pensare che l'effetto sarebbe stato così grandioso. Quelle rocce candide sotto di lei, colpite dalla luna, sembravano brillare di luce propria, spiccando nel mezzo del mare con un candore disarmante che la lasciò a bocca aperta. Nonostante le pareti fossero frastagliate, la superficie era perfettamente liscia, cadendo sul mare in un arco quasi perfetto. Le rocce di luna si allungavano per un'ampia parte del promontorio dell'isola di Milo e Sofia lo vide dall'alto, un attimo prima che Creekos potesse finalmente atterrare e loro fossero liberi di scendere.
Le rocce emanavano il leggero calore assorbito dalla luce del sole e che, con l'arrivo della notte, andava lentamente scemando in quello che, in quel momento, era solo un piacevole tepore. Nonostante i raggi della luna non le permettessero di godere delle sfumature del mare, che poteva solo immaginare quanto sarebbero state intense, in contrasto col candore delle rocce, il profumo era talmente intenso, a quella distanza, da colmare quell'assenza.
- Ci sediamo? – le domandò Percy, risvegliandola dalla contemplazione nella quale era così facilmente caduta, limitandosi ad annuire prima di seguirlo sulle rocce, abbracciandosi le ginocchia mentre teneva lo sguardo fisso su un mare che poteva solo respirare.
Sofia osservò la notte davanti a sé illuminata dalla luna e dalle stelle, prendendo respiri profondi. Percy era nel suo elemento. Avrebbe potuto ucciderla in ogni istante e lei non avrebbe neanche avuto il tempo di mandargli mezza maledizione. Forse, era quello il motivo per cui l'aveva portata lì, su una scogliera candida dell'isola di Milo. Forse voleva ucciderla una volta per tutte eppure, nonostante la possibilità non sarebbe poi stata completamente da escludere, lei non aveva paura al suo fianco.
- Terentios sta bene.
Sofia sussultò. C'erano delle volte, mentre giocava sulle spiagge di Atene assieme a suo fratello e Kyros, che passava troppo tempo sotto al sole e, una volta che decideva di tornare in acqua, il corpo era troppo caldo e le onde del mare le sembravano gelide, pietrificandola sulla riva e rendendole impossibile proseguire nel suo cammino per potersi tuffare, almeno fino a che Paralo non la schizzava, lanciandolesi contro. Quando Percy disse quella frase, Sofia si sentì bloccata sulla riva del mare persino mentre stava seduta sulle rocce tiepide si Sarakiniko, con la pelle troppo calda e l'acqua che le sembrava troppo gelida per potersi muovere.
Non rispose. Una parte di lei le disse che il silenzio sarebbe stata la cosa più saggia da abbracciare e l'unica possibilità di sentire tutta la verità da Percy, senza il rischio di precludersela.
- Dobbiamo ancora capire chi è che non abbia avuto il coraggio di affrontarlo da guerriero, cogliendolo alle spalle, ma Stefano ha detto che è stato fondamentale l'averlo tenuto sveglio, calmandogli i battiti del cuore – continuò Percy, mentre Sofia infilava con più forza le dita nella pelle delle ginocchia. – è stato anche fondamentale non togliergli la lancia. Normalmente è istintivo sfilare via l'arma ci ha ferito ma è stata l'unica cosa che ha impedito che Terentios perdesse troppo sangue, salvandolo.
Sofia lasciò andare un sospiro di sollievo, nascondendo un sorriso dietro le ginocchia, chiudendo gli occhi per un istante.
Terensios era salvo ed era l'unica cosa che le importava.
- Terensios ha detto che la spartana che si è preso cura di lui, l'ha fatto raccontandogli la storia di Bellerofonte e mi sono detto che ci sarebbero state davvero poche persone che avrebbero deciso di raccontare un mito greco in una situazione tanto tragica – fece ancora Percy. Sofia sentì il tono della sua voce ammorbidirsi ma continuò a tenere lo sguardo fisso davanti a sé, senza guardarlo per capire se stesse sorridendo. – In più – proseguì, – immagino che questo sia tuo – disse, allungando il braccio verso di lei, spingendola a voltarsi nella sua direzione solo per vedere il fagotto di stoffa candida che teneva tra le dita.
Il suo velo dell'invisibilità.
Sofia lo guardò, tenendo il velo con una mano senza toglierlo via da quella di Percy che continuava a stringerlo. Odiò la notte che non le permise di vedere bene quanto avrebbe voluto l'espressione negli occhi verdi di Percy, e si limitò a guardarlo in volto più a lungo che poté prima che il ragazzo lasciasse la presa.
Sofia si avvolse il velo attorno alla vita con gesti meccanici, ignorando il tremore alle dita quando tentò di allacciarselo dietro la schiena.
- Mi sono spaventato, Annabeth – disse poi Percy, facendole perdere la presa, spingendola a voltarsi verso di lui di scatto, con gli occhi sbarrati ed il cuore che batteva con forza nella cassa toracica. – Quando è scoppiato il caos, non ho subito pensato a te od al velo dell'invisibilità ma quando Chirone mi ha detto che qualcuno fosse entrato nella Casa Grande e poi ho visto il velo attorno alla pelle del Leone di Nemea – continuò, passandosi una mano tra i capelli, – ho pensato.. sono fuggiti tantissimi schiavi ed io non potevo andare a controllare che tu.. – poi scosse la testa ed il cuore di Sofia smise di correrle nel petto solo per saltare un battito mentre lo ascoltava. – Ciril era appena tornato con Teretios in fin di vita. Le cose erano sfuggite di mano e quando sei arrivata in mensa ero..
- Mi dispiace – lo interruppe Sofia. Le scuse le scivolarono via dalle labbra prima che potesse trattenersi e strinse i pugni per evitare di allungare un braccio verso di lui e toccarlo.
- Che cosa? – domandò Percy stranito.
Sofia deglutì, bagnandosi le labbra. – Mi dispiace. Volevo solo evitare che morissero delle persone innocenti. Non ho pensato che.. – tu potessi preoccuparti per me.
- Non è morto nessuno. Giusto qualche ferito. Le ricerche degli schiavi, chissà come mai, sono state inconcludenti. Qualcuno ha anche osato dire che gli spartani non avessero poi una gran voglia di cercare nessuno – sorrise Percy, strappandole una risata flebile. – Adesso, probabilmente, saranno tutti tornati nelle loro vere case – concluse.
Il cuore di Sofia riprese a battere e quando si voltò nuovamente a guardare davanti a sé, in qualche modo arrivò a sfiorare la pelle tiepida di Percy con le braccia e con le gambe e, quando prese un respiro, lasciandolo poi andare lentamente, fu più liberatorio di quanto avrebbe mai potuto pensare.
- Adesso stai bene?
- Si. Adesso si.
Angolo Autrice:
Ciao fanciullini miei!
Come va? Il ritardo si è ridotto per questo aggiornamento od almeno lo spero aahaha d'estate c'è troppo caldo per stare al computer ed io, tra l'alto, oltre ad andare al mare, nonostante l'essermi appena laureata, ho appena ricominciato a studiare per l'ammissione alla specialistica (Dio ce ne scampi e liberi, non se ne vede una fine) quindi è tutto un po' più difficile ma eccoci quiiii
Non mi fa troppo impazzire questo capitolo. è un po' frammentario e di passeggio ma era importante per costruire un po' meglio i pensieri di Annabeth che sono confusi e non si capisce bene dove vogliano andare, esattamente come lei, come prova cose ma non sa come definirle. Nella prima parte, Terentios ovviamente le ricorda Paralo e lei vuole aiutarlo talmente tanto che non le importa di essere vista. In più, parte che mi è piaciuto molto scrivere, è stata quella con le ragazze, dove loro insistono per aiutarla ed Annabeth neanche riesce a credere che qualcuno possa volerle davvero bene.
I mesi, Ecatombeone eccetera, sono la divisione dei mesi nell'Antica Grecia. La mia fonte di informazioni è stata Wikipedia ahahha comunque, erano divisi in gruppi da tre.
La parte con Percy mi piace pensarla come uno di quei momenti surreali che a volte si vivono con le persone dove, quando finisci di parlarci, ti senti quel vuoto dentro che ti lascia un po' le spine e ti fa chiedere se quello che hai vissuto sia giusto. Tra Percy ed Annabeth ci sono una marea di cose non dette ed anche quando potrebbero parlare, alla fine non lo fanno perché non sanno ancora bene chi hanno difronte. Motivo per il quale, l'ultima parte "stai bene?/ si, adesso si", l'ho lasciata volutamente non spiegata. Chi è che fa la domanda a chi? Non importa. Entrambi vogliono assicurarsi che l'altro stia bene ma hanno ancora troppi muri per parlare liberamente e quindi, ecco un lapidario "si, adesso si" che vuole dire tutto e, purtroppo, anche niente.
Io vi ringrazio tanto per il sostengo. Vi voglio tanto bene e vi mando un bacio enorme.
A presto,
Eli:)*
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