Senza veli (Parte 1)
Fu la luce del primo sole a svegliare Sofia, colpendola dritta negli occhi e facendola gemere per il fastidio.
Corrugò la fronte, mettendoci un paio di secondi per realizzare non fosse né a Sparta né in una cella di Roma ma sdraiata su un prato e coperta dal suo velo. Sbatté le palpebre un paio di volte, respirando il profumo del mare forte contro alle sue narici, prima di sollevare delicatamente il capo solo per scoprire che, sopra il proprio, ci fosse quello di Percy.
Strinse i pugni, prendendosi un solo istante per analizzare la situazione; aveva il capo sotto a quello di Percy -il che spiegava perché il profumo di mare fosse più forte del solito- le gambe chiuse tra il proprio petto e quelle del ragazzo, che stavano invece sotto le proprie mentre le loro braccia erano intrecciate sul prato.
Il suo primo istinto fu quello di allontanarsi, rotolare via da Percy e dal suo corpo e dal suo profumo il prima possibile ma una forza più forte di quella della sua volontà, la trattenne ancora a respirare il mare ed a godersi il calore della pelle di Percy. Chiuse gli occhi, un unico e brevissimo istante in cui si concesse di non essere la figlia di Atena e di una profezia e di non star nascondendo al mondo intero la sua identità.
Erano solo lei e Percy che avevano chiacchierato fino a che non erano crollati tra le braccia di Morfeo,che rubavano i viaggi su Creekos e momenti minuscoli come quello che però, sarebbero stati sempre e solo loro. Poi si allontanò. Rotolò dolorosamente via, sedendosi sul prato e rabbrividendo quando il velo che l'aveva coperta fino a quel momento le cadde via dalle spalle.Allungò un braccio per recuperare il coltello, passandosi le mani tra i capelli mentre osservava Roma che si svegliava lentamente,ascoltando il canto degli uccelli mentre il sole iniziava ad illuminare placidamente i templi e le case candidi.
- Percy – lo chiamò, sorridendo mentre lo guardava dormire. – Percy – ci riprovò, portandosi una mano alla bocca quando notò un rigolo di bava cadere via dalle labbra aperte mentre russava placidamente. Aveva sempre paragonato Percy al mare ma in quel momento, mentre russava e sbavava, a quale zona d'acqua avrebbe mai potuto assomigliare? Trattenne una risata. – Percy, dobbiamo andare! – fece allora con più decisamente, sporgendosi persino verso di lui. – Percy! – urlò.
Il ragazzo sbarrò gli occhi, gridando per la sorpresa, sedendosi di scatto e passandosi istintivamente una mano sulle labbra per pulirsi. Poi si voltò verso di lei, con il segno del prato su una guancia, i capelli più disordinati del solito e gli occhi confusi. – Che c'è? Che succede?
Sofia scoppiò a ridere. Esattamente come la notte prima, non provò neanche a trattenersi perché, parte di lei sapeva sarebbe stato perfettamente inutile. – Oh miei dei.. oh cavolo! – corresse, – dovresti vedere la tua faccia! – esclamò, portandosi una mano allo stomaco mentre rideva, chiudendo gli occhi e piegando il capo all'indietro.
- Si, si, molto divertente, Annabeth, dico davvero. È un piacere passare del tempo con te, grazie. Mi sento così apprezzato – lo sentì borbottare sotto le sue risate anche se riuscì comunque a capire stesse sorridendo ed infatti, quando si voltò a guardarlo, lo vide con le labbra stese.
Il sole illuminò anche il loro angolo di colle, colpendo gli occhi di Percy che brillarono sotto ai raggi, facendola smettere di ridere. Poi il ragazzo si alzò, spazzolandosi il chitone con le mani ed allungando il velo che gli aveva prestato la sera prima. – Andiamo?
Sofia sbatté le palpebre, alzandosi velocemente e prendendo il velo che Percy le porgeva, legandoselo attorno alla vita. Solo dopo che sistemò anche quello dell'invisibilità, si chinò per infilare sotto la stoffa il coltello. – Dov'è Creekos? – domandò, sollevando istintivamente gli occhi verso il cielo.
Percy stirò le braccia sopra al capo, regalandole un sorriso. – Sta arrivando.
***
Daphne stava bene. Dentro il Circo Massimo aveva ricevuto tutte le cure possibili e seppur la sua fosse stata una brutta ferita, si era guadagnata giusto una benda ed un sacco di vino per sentire meno dolore. Aveva passato l'intero viaggio da Roma a Sparta a dormire con la testa poggiata sulla spalla di Sofia che, con le ginocchia raggomitolate al petto, non era riuscita a pensare ad altro se non a come sarebbe stato tornare al Campo.
Aveva lasciato troppe cose in sospeso. Pono, Nestor, Aphia e per esperienza, sapeva che lasciare cose in sospeso serviva soltanto ad aggravarle ulteriormente. Come se non avesse avuto già abbastanza problemi.
Le era dispiaciuto, nonostante tutto,lasciare Roma. Giasone le aveva regalato un sorriso e Regina un criptico gesto del capo che nascondeva tutte le parole che si erano dette il giorno prima. Percy le aveva assicurato che Hadiya e Franco sarebbero stati bene e, parte di lei, da quando il suo segreto era custodito nel cuore di qualcun altro, si sentiva già più leggera.
Quella notte ci sarebbe stata la kryptheia e lei non poteva perdere tempo. Hadiya le aveva detto che ogni magia avesse una fonte ma lei non aveva idea di cosa si sarebbe dovuta aspettare.
La kryptheia chiudeva l'iniziazione degli spartiati al Campo ed anche la guida di Percy e Pono. Il giorno dopo, infatti, ci sarebbero stati i giochi per eleggere i nuovi capi del Campo e neanche riusciva ad immaginarsi quanto, gli animi degli spartani, in un tale clima, sarebbero stati euforici, famelici e pericolosi.
Ma non poteva lasciarsi distrarre. Non poteva farlo. Non dopo che persone come Aphia avevano perso tutto e lei era l'unica minuscola possibilità di poterle far guadagnare almeno uno scorcio di libertà.
Quando atterrarono, lasciandosi definitivamente lo sfarzo di Roma alle loro spalle per poter tornare nella grezza Sparta, il cuore le si spezzò in mille pezzi dentro al petto. Però sorrise prima di svegliare Daphne ed essere così in grado di scendere dalla sua biga. Avrebbe visto Euleia.
- Siamo tornati! – esclamò uno degli spartani, aprendo le braccia e stringendo un figlio di Ermes che sembrava averli aspettati, lanciandosi su di lui per poterlo abbracciare.
- Che meraviglia – borbottò Terentia e Sofia trattenne una risata, guardando il Campo davanti a sé.
Era esattamente come l'aveva lasciato, con la Signora Licari che giocava a recuperare tutti gli scudi che le venivano lanciati, le ninfe che scappavano dai grassi satiri, trasformandosi in alberi al centro del cortile, i pegasi che, guidati dai figli di Afrodite, solcavano il cielo. Solo le urla sembravano più forti, a fronte dell'incredibile evento che avrebbe preso parte quella sera.
I ragazzi più grandi scagliavano frecce a più non posso con un entusiasmo del tutto nuovo e con incredibile precisione, centrando perfettamente i bersagli ogni volta. Si colpivano con i gladi da allenamento con più ardore, senza esclusione di colpi e, persino mentre si inerpicavano sulla parete dell'arrampicata, erano talmente veloci che le parve anche di vedere un ragazzo superare un satiro.
Gregoria, al suo fianco, rabbrividì e Daphne le posò una mano sulla spalla. – Almeno, a questo giro non tocca a noi – mormorò la ragazza, accarezzandosi col palmo la spessa fasciatura.
Sofia vide Percy solcare il cielo con Creekos ad incredibile velocità. Non aspettò neanche che gli zoccoli del pegaso toccassero il lastricato davanti alla Casa Grande per saltare giù, salendo velocemente i gradini della struttura mentre Creekos spariva nuovamente nel cielo.
Lo spartano abbracciato dal figlio di Ermes era sparito con il suo amico, perciò fu l'onore di un altro soldato quello di assicurarsi loro arrivassero in camera.
Sofia si portò una mano sullo stomaco aggrovigliato per la tensione, sfiorando la lama del coltello sotto ai veli mentre camminava verso il dormitorio. Quando Terentia le finì addosso, si costrinse a camminare più velocemente, stringendo un pugno lungo il fianco, aggrappandosi spasmodicamente alla lama contro al suo stomaco. Poi, lo spartano aprì la porta del dormitorio e quando l'attenzione delle schiave al suo interno si proiettò su di lei, non ebbe più modo di fuggire.
Il soldato chiuse la porta alle loro spalle senza troppi complimenti e Sofia osservò le schiave davanti a lei. Alcune controllavano la ferita di Daphne a distanza, un po' in piedi ed un po' sedute, indecisa sul da farsi, se avvicinarsi a loro o meno perché Aphia, con i capelli castani elettrizzati attorno al volto e gli occhi scavati, la guardava con talmente tanta durezza da controllare i movimenti di tutte le ragazze nel dormitorio.
Sofia sollevò il mento, ignorando la morsa di dolore che le strinse il cuore. Le sembrò di sentire la presa gelida delle arai rallentarle i battiti mentre la testa le esplodeva, schiacciata esattamente come quella di Hosios.
Aphia la guardava in piedi davanti al suo letto, col chitone troppo logoro e le spalle troppo ricurve perché potesse farle paura. A vederla così, Sofia dovette trattenere l'istinto di andare ad abbracciarla nel tentativo di portarle via un po' della sua sofferenza.
- Aphia – disse soltanto, osservando la donna a qualche passo da lei, costringendosi a tenerla sotto controllo e non cercare Euleia nel dormitorio come avrebbe fatto normalmente.
La donna la guardò. Gli occhi erano talmente scuri che parevano una porzione stessa delle tenebre che le avevano fatto assaggiare le arai solo qualche giorno prima, poi gridò, lanciandolesi addosso.
- No! – urlò Daphne ma Sofia la spinse via prima che, troppo debole, potesse mettersi sotto le mani di una donna furiosa.
Aphia non era veloce, era solo disperata e per Sofia fu facile scartare da un lato, slegandosi il velo dalla vita per poterle avvolgerle rapidamente i polsi, tirandosela poi contro al petto in una mossa ferrea. Aphia strillò con talmente tanto ardore e dolore, che per un attimo Sofia lasciò anche la presa ma strinse i denti e le dita, trattenendola mentre la donna strattonava con forza nel tentativo di liberarsi.
Non è colpa tua.
- Non è stata colpa mia, Aphia – disse, con la voce alta abbastanza perché la donna potesse sentirla, anche se quello servì a farla agitare ancora di più.
Nessuna delle schiave si mosse nella loro direzione e seppur Sofia non potesse spostare lo sguardo da Aphia per poterle osservare, non era difficile immaginarsele mentre le guardavano.
Gli occhi le si riempirono di lacrime mentre Aphia piangeva furiosa, urlando e strattonando i polsi con forza. Normalmente, Sofia avrebbe fatto più fatica a tenerla ferma, alle volte, durante gli allenamenti, neanche ci riusciva ma Aphia doveva aver passato quei giorni a mangiare anche meno del solito. La sua mente e la sua volontà potevano anche essere forti, ma il suo corpo era più debole di quello di un bambino.
- Lasciami andare! – urlò, la voce rotta dal pianto. – Non mi toccare, lurida assassina! Spartana! L'hai ucciso! L'hai ucciso tu!
Le arai strinsero con più forza la loro presa gelida attorno al cuore di Sofia che serrò le palpebre prima di lasciare andare Aphia, spingendola in avanti.
- Hosios è morto per colpa degli soldati spartani, Aphia! – gridò quando la donna si voltò nuovamente verso di lei. – è morto per colpa loro, non per colpa mia! È morto a causa dei loro stupidi giochi e delle loro stupide leggi! Sono loro che hanno ammazzato Hosios. È Sparta che ha ammazzato Hosios! – esclamò, asciugandosi furiosamente le lacrime dal volto col dorso della mano.
Aphia la guardava ad un solo passo di distanza, con le guance persino più scavate di quanto Sofia non avesse notato all'inizio e gli occhi rossi per la rabbia e per il dolore. Aphia aveva perso tutto e quella stessa notte, se Sofia non avesse fatto qualcosa, avrebbe perso persino la sua stessa vita.
- È a causa degli spartani che noi siamo qui! – esclamò, voltandosi verso il resto delle schiave che, immobili nel dormitorio, adesso guardavano lei. – è per colpa degli spartani che abbiamo perso la nostra casa e le nostre famiglie! È per colpa degli spartani che continuiamo a soffrire ed a vivere da oppresse! È per colpa degli spartani che non siamo più libere! – urlò, ignorando le lacrime che le raggiunsero le labbra, aggrappandosi però agli artigli gelidi delle arai che, attorno al suo cuore, facevano sempre meno pressione. – Se iniziamo ad incolparci persino tra di noi – continuò, abbassando la voce, tornando ad una tonalità normale, osservando Aphia ancora ansante ad un solo passo da lei. – Non andremo da nessuna parte. Continueremo a soffrire ed a morire senza mai lottare contro il vero nemico. Il vero nemico è Sparta. Conquistano la nostra gente, le nostre città. Conquistano i nostri corpi, la nostra libertà ed è il momento che le cose cambino – ringhiò, stringendo con forza i pugni. – Gli spartani ci hanno ingannato una volta ma non accadrà ancora. – Sollevò le spalle ed il capo, osservando le ragazze negli occhi una per una, cercando quella scintilla di speranza che sperava vi fosse almeno nei suoi. – è tempo di lottare ma non possiamo farlo da sole – disse, asciugandosi il volto dalle lacrime un'ultima volta.
- Che vuoi dire? – domandò Maia, facendo un passo in avanti.
Sofia sollevò un angolo della labbra. Era da una scintilla che si propagava un incendio e le loro braci erano già luminosissime. – Che per fare un falò degno del dio Efesto, abbiamo bisogno di un aiuto in più –. Prima che qualcuno potesse anche solo tentare di capire quali fossero le sue intenzioni, Sofia spalancò la porta del bagno, marciando verso quella degli schiavi. Le ragazze, dietro di lei, la chiamarono ma lei si buttò sul legno che la divideva dagli uomini, piombando nel loro dormitorio. Avvolto dalle luci soffuse, non era poi troppo diverso dal loro, con le brande sistemate al centro della stanza e lungo le pareti, rigorosamente senza finestre. Qualcuno ancora dormiva ma altri si erano messi sull'attenti, osservandola confusi mentre lei stava in piedi sul ciglio della porta.
Un ragazzo con i capelli castano chiaro sollevò un sopracciglio mentre la osservava, rimanendo seduto sul suo letto. – Desideri? – domandò con una punta di ironia nella voce che la fece ben sperare. Qualche schiava la raggiunse alle sue spalle, Sofia lo capì perché l'attenzione degli schiavi si spostò oltre di lei ma non permise a nessuno di analizzare l'assurda situazione che si era appena creata.
- Nessuno morirà stanotte – disse perentoria, ignorando le risate di scherno di qualcuno degli uomini. Uno, che aveva sollevato il capo dal suo cuscino, lo riabbassò annoiato e lei dovette trattenersi dallo sbuffare infastidita.
Il ragazzo, l'unico che le aveva parlato, continuò a guardarla incuriosito. Aveva un paio di anni più di lei, forse era uno di quelli che avrebbe dovuto partecipare alla kryptheia. Seppur rimanesse ancora seduto sul letto, Sofia era comunque riuscita ad attirare la sua attenzione.
- Hosios è m.. – la lingua le si arrotolò nella bocca e Sofia strinse con forza i pugni, muovendo il capo infastidita. – Durante la Caccia alla Bandiera, la sorpresa di tutti gli spartani è stata che uno di noi, uno schiavo, potesse essere in grado di sopportare la magia dei figli di Ecate. È questo che ha fatto andare storto il loro piano ed il nostro – disse, ignorando le dita gelide delle arai che le strinsero nuovamente il cuore. – Ma con la kryptheia è tutto diverso. Sono soldati addestrati ma cambiano le condizioni – spiegò, facendo saettare gli occhi verso gli schiavi, cercando la loro attenzione, trattenendoli prima che potessero tornare ad ignorarla. – Questi spartani sono euforici. È il loro rito di iniziazione, il loro primo momento importante. Per quanto possano esserci semidei in grado di usare la magia, l'unica cosa che vorranno fare sarà inseguirvi come animali, gridando ed agitando le spade. Saranno troppo ubriachi dalla cena e troppo eccitati per pensare, ho ragione? – domandò, aggrappandosi allo sguardo attento del ragazzo spartano che non rispose. Sofia decise di prenderlo come un silenzioso assenso. – Non si aspetteranno mai che voi, invece di limitarvi a fuggire, possiate difendervi e poi, meglio ancora, scappare via dal Campo.
Un forte brusio confuso si sollevò dagli schiavi davanti a lei e dalle schiave alle sue spalle. Iniziarono a discuterne tra di loro, a domandarle cose che in quel nuovo ed improvviso caos, Sofia non riuscì a carpire. Almeno però, adesso aveva la loro completa attenzione.
- Che cosa vuoi dire, ragazzina? – domandò un ragazzo con la barba incolta in un angolo del dormitorio. Aveva gli occhi infossati e sotto il chitone logoro, c'erano le spalle dritte di un vecchio soldato. – Cosa significa che potremmo uscire dal Campo?
Sofia fece un passo in avanti, entrando nel dormitorio. – Voglio dire esattamente questo. Nessuno conosce il bosco meglio di voi schiavi ed io ho il modo di abbattere le difese dei figli di Ecate.
Il brusio si trasformò in una cacofonia incredibile di voci. Alcuni schiavi si alzarono persino in piedi, cominciando a gridare, agitando le braccia verso di lei e verso di loro, urlando parole incomprensibili alle sue orecchie.
Il ragazzo con i capelli castano chiaro sorrise nella sua direzione. – Ma certo – disse, la sua voce fu autoritaria abbastanza da placare quella del resto degli schiavi. Era abituato ad essere ascoltato. Sofia era abituata a persone come lui. Lei stessa era come lui. – Tu sei la stratega di Atene.
- Ah! – esclamò un ragazzo, sedendosi divertito sulla sua branda in un lato della stanza. – è la puttana del figlio di Poseidone! – continuò, scatenando l'ilarità becera del resto degli schiavi nella stanza.
Il volto di Sofia andò a fuoco per la furia e trattenne la mano che raggiunse istintivamente il coltello sotto ai veli. Si abbassò verso i suoi calzari però, togliendosene uno e lanciandolo dritto in testa al ragazzo che aveva parlato poco prima. L'impatto per poco non lo fece cadere all'indietro e quando la insultò nuovamente, lanciando il calzare nella sua direzione nella speranza di farle male, Sofia si limitò a schivarlo prima di rimetterselo.
A quel punto, le risate degli uomini avevano un nuovo bersaglio ed il ragazzo con i capelli castani continuava a guardarla incuriosito.
- So bene che – disse, alzando la voce per riuscire a farsi sentire, – Caccia alla Bandiera sia stato un colpo durissimo per tutti, per qualcuno più che per altri – continuò, pensando al volto scavato e distrutto di Aphia. – Ma gli spartani non possono vincere ancora. Non possono continuare ad usarci come degli animali per adempiere ai loro scopi. Nessuno conosce il bosco meglio degli schiavi e nessuno sottovaluta gli schiavi più degli spartani. – Gli schiavi avevano smesso di parlare per ascoltarla. Con tutti quegli occhi puntati su di lei, Sofia si riempì di una forza nuova. – Gli spartani non si aspetteranno degli schiavi pronti a reagire. Il bosco ed il buio saranno a nostro favore. Possiamo usare gli alberi, avvallamenti naturali, ma se proprio dobbiamo morire, allora lo faremo combattendo. Non saremo solo un gruppo di iloti lanciati verso la morte – disse, sollevando il mento, stringendo i pugni lungo i fianchi. – La magia dentro i confini del Campo deve essere custodita all'interno della casa dei figli di Ecate. Sono loro gli unici in grado di..
- No – la interruppe il ragazzo con i capelli castani, scuotendo la testa senza perdere la sua aria furba. – La magia del Campo è una magia dei figli di Ecate ma è Chirone in persona che la sorveglia. Quel vecchio centauro paranoico non darebbe mai una responsabilità simile e dai ragazzini fuori controllo –. La osservò curioso. – Come pensi di fare per entrare dentro la Casa Grande e trovare un oggetto magico che annulli la magia dei figli di Ecate il tempo necessario per farci scappare?
Sofia si portò una mano allo stomaco, arpionando il velo con le dita. – A quello penserò io –, si limitò a dire. – Che mi sai dire del bosco, invece? – domandò, osservando il ragazzo negli occhi.
Quello si guardò attorno, cercando la complicità del resto degli schiavi attorno a lui. Alcuni annuirono, altri si fecero più attenti seduti sui loro letti. – Che potrebbe diventare il nostro miglior alleato se solo ci provassimo.
Sofia fece un cenno del capo, inginocchiandosi sul pavimento e tracciando un cerchio sulla terra con un dito. Sollevò la testa verso il ragazzo che, intuendo le sue intenzioni, le stava andando incontro. – Spiegami.
***
Gli spartani batterono i piedi a terra,i palmi sui tavoli facendovisi saltare le stoviglie sopra. Un figlio di Ares ruppe una brocca a terra, facendo esplodere il suo tavolo in urla eccitate. Neanche la musica dei satiri era in grado di calmare gli animi infuocati di Sparta che, in quel momento, superavano l'euforia della sera della Caccia alla Bandiera.
Persino i figli di Morfeo, che normalmente passavano la cena a sonnecchiare con il capo seppellito tra le braccia, erano perfettamente svegli, con le schiene dritte mentre mangiavano più carne di quando Sofia non gli avesse mai visto fare.
Maia le lanciò un'occhiata eloquente mentre si avvicinava al tavolo di Ares, raccogliendo velocemente i cocci della ceramica e camminando via prima che uno dei ragazzi potesse prestarle più attenzione del normale.
Sofia assottigliò lo sguardo, puntandogli occhi su Pono che sedeva tronfio tra i suoi fratelli. Aveva i lividi sul volto più tenui e lo sguardo cattivo anche quando sorrideva. Era l'essere più disgustoso sulla faccia della terra.Sofia strinse con forza il vassoio che teneva tra le dita,costringendosi a spostare lo sguardo via da lui per evitare di rispondere all'istinto che le gridava di tirarglielo dritto in testa.Strizzò le palpebre, passandosi la lingua sulle labbra nella speranza di cacciar via dalla bocca il sapore delle dita dell'uomo,muovendo un passo in avanti verso il tavolo di Ermes. Si fermò di scatto, sussultando quando Euleia, col capo chino, per poco non le andò addosso. La osservò ritirare due brocche via dal tavolo di Afrodite, ignorando la morsa gelida che le strinse il cuore.
Era rientrata nel dormitorio poco prima di cena, dedicandole un minuscolo sorriso a capo chino prima dimettersi a letto. Solo quando le era passata accanto, la luce delle torce le aveva fugacemente illuminato il volto, facendo vedere a Sofia gli ematomi su uno zigomo ed un angolo delle labbra. Non aveva avuto tempo di parlarci però, uno spartano era andato a recuperarle per cena ed era stata costretta a seguire gli ordini invece che occuparsi della sua amica.
Ritirò i vassoi via dal tavolo di Ermes prima di notare una brocca vuota al tavolo di Zeus. Talia, da sola al suo tavolo, aveva ben pensato di accogliere Percy nella panca accanto a lei e Sofia si disse stesse davvero andando al tavolo di Zeus per ritirare una brocca che non aveva idea se fosse vuota o meno.
Il profumo di mare le inebriò le narici, facendole chiudere gli occhi per un solo istante mentre si avvicinava ai due ragazzi che chiacchieravano. La brocca era accanto a Percy e lei si sporse sul tavolo, chiudendola tra le dita e sollevandola.
Percy sollevò gli occhi verdi su di lei, le sorrise mentre Talia ancora parlava. Sofia sorrise prima di riuscire a controllarsi, osservando lo scorcio luminoso di mare dentro le iridi del figlio di Poseidone.
- Ciao Annabeth! – esclamò Talia, facendola sussultare bruscamente, costringendola a spostare lo sguardo su di lei. – Tutto bene?
Si accorse di aver trattenuto il fiato solo in quel momento. – Io.. no. Euleia..
- Eroi! – tuonò Chirone.
Sofia lasciò andare la brocca ancora piena sul tavolo, voltandosi di scatto. Persino l'euforia degli spartani si acquietò una volta che il centauro si alzò dietro al suo tavolo.
- Questa notte sarà testimone dell'evento più importante per i giovani spartani. Sarà testimone dell'inizio della loro nuova vita. Sarà testimone del loro passaggio da semidei e guerrieri! – annunciò, facendo esplodere gli spartani in un boato di gioia.
Sofia si guardò attorno. Gli schiavi si erano fermati, con l'agitazione palpabile nei muscoli tesi. Il vassoio le scivolò via dalle dita ma il rumore della ceramica infranta venne soffocato dai ruggiti di gioia dei semidei. La rabbia le montò nel petto con familiare calore e digrignò i denti, conficcandosi le unghie dritte nei palmi mentre si portava la mano destra sullo stomaco, toccando la lama del suo coltello con le dita.
-I nostri eroi saranno pronti non solo per difendere il Campo – continuò il centauro, – ma per difendere la città e la Grecia! –. Gli spartani esplosero in un nuovo grido e Chirone sollevò le braccia, acquietandoli facilmente per poter continuare. – La kryptheia è un rito sacro per i nostri dei e per i nostri semidei che diventeranno guerrieri ed eroi grazie al sacrificio degli iloti – continuò. Gli spartani iniziarono a battere i piedi sul terreno, colpendo i tavoli con i palmi delle mani.
Sofia spostò lo sguardo al suo fianco. Pono la guardava mentre rideva perfido, con una scintilla di perversa soddisfazione nelle iridi scure. Sofia sentì le dita ruvide in bocca, ne sentì il sapore di sudore, di terra mentre le si spingevano verso la gola e la rabbia le montò ciecamente nel petto mentre infilava una mano sotto ai veli, acchiappando l'elsa del suo coltello. Non importava più che cosa si fosse promessa. Gli avrebbe tolto quel sorriso dalla faccia per sempre; gli avrebbe regalato un viaggio di sola andata nel Tartaro, piantandogli il suo coltello dritto in testa.
Percy le avvolse il polso con le dita quando estrasse il coltello, parandolesi davanti ed afferrandole il gomito con la mano libera per avvicinarsela al petto, nascondendo al Campo urlante le sue intenzioni. Il profumo del mare le regolarizzò i battiti del cuore nel petto solo per aumentare una volta che sollevò gli occhi in quelli di Percy. Vicini com'erano, erano in ombra ma anche in quelle condizioni, riuscivano comunque ad essere luminosi.
- Non adesso – sussurrò, continuando ad avvolgerle delicatamente il polso tra le dita. – Ti farai ammazzare così, Annabeth. Non adesso – le promise e solo a quel punto, lei fece scivolare delicatamente il coltello sotto al velo, senza smettere di guardarlo negli occhi. Poi, Percy sorrise, scuotendo il capo. – Non mi renderai mai le cose facili, vero?
Una volta, quando erano in volo su Creekos, Percy le aveva detto riuscisse a vederle i pensieri muoverlesi nel capo. Sofia si chiese, a quel punto, se non fosse poi vero e sorrise.
Percy la lasciò andare e lei mosse le braccia infastidita, corrugando la fronte mentre il ragazzo si sedeva nuovamente sulla panca accanto a Talia.
Pono continuava a guardarla ma aveva finalmente smesso di sorridere e Sofia sollevò il mento, raddrizzando le spalle.
Gli spartani si levarono disordinatamente dalle loro panche. I semidei già avvolti nelle loro armature, si lanciarono velocemente verso il bosco mentre Pono rimaneva seduto a guardarla con le palpebre assottigliate in furia.
- Pono – lo chiamò Percy al suo fianco, con talmente tanta autorità che si voltò anche lei. – Dobbiamo andare dagli iloti – disse a denti stretti, lanciando un'ultima occhiata a Sofia prima di camminare verso le case senza aspettare il figlio di Ares che però si alzò un attimo dopo di lui.
Daphne le passò accanto in quel momento sfiorandole il chitone con una mano, rubandole un'occhiata mentre raccoglieva velocemente le brocche dai tavoli. Non potevano perdere tempo. Si chinò, recuperando i cocci della ceramica rotta del vassoio, stringendoli tra i pugni ed accorgendosi di essersi tagliata solo quando il sangue le scivolò via dai palmi. Sollevò gli occhi verso Chirone che, ancora fermo dietro al suo tavolo, la guardava con i soliti occhi tristi ed antichi. Scosse il capo, voltandosi per poter impilare velocemente le ceramiche.
Non poteva permettersi di essere ancora in mensa quando la kryptheia sarebbe iniziata. Contavano tutti su di lei.
Aveva fallito con la Caccia alla Bandiera. Non avrebbe fallito anche quella sera.
Osservò Euleia che, con gesti lenti, impilava le ciotole lasciate sul tavolo di Efesto. Le dita le tremavano e, per tutta la cena, non aveva fatto altro che tenere lo sguardo basso. Marciò decisa verso di lei, affiancandola mentre recuperava i piatti.
- Chi è stato, Euleia? – domandò, stringendo con forza una brocca tra le dita, sforzandosi per non sbatterla sul tavolo per la rabbia.
Euleia, accanto a lei, tremò, fermandosi per un istante mentre recuperava i piatti senza sollevare lo sguardo su di lei o, per quel che valeva, almeno tentare di spostarlo su Sofia. – Nessuno – mormorò, continuando ad impilare le ceramiche.
Sofia digrignò i denti per la rabbia, lasciando cadere con forza la ceramica sul tavolo, facendo sussultare Euleia ma senza riuscire a farle sollevare lo sguardo. – Non è vero – ringhiò, – Chi è stato, Euleia? – le afferrò il mento con le dita, sollevandole il volto verso il proprio, trattenendola quando Euleia tentò di sfuggirle, con gli occhi scuri tremolanti e pieni di lacrime.
Il cuore di Sofia le sprofondò nel petto, saltandole un battito per il dolore atroce. Così scoperto e sotto quella luce, i lividi non solo erano di più ma erano persino peggio di quanto non avesse avuto modo di vedere dentro il dormitorio. – Euleia, ti prego – mormorò, lasciandole andare il mento solo per poterle posare una mano sulla guancia. – Euleia, ti prego – la implorò in un sussurro, accogliendo il viso della ragazza quando quella chiuse gli occhi, poggiandosi sul suo palmo.
Ma durò un solo istante perché Euleia si allontanò bruscamente da lei, recuperando i piatti e dandole le spalle. Sofia osservò il suo palmo insanguinato, voltandosi di scatto quando Grigoria piombò al suo fianco. – Mangia adesso. Dobbiamo andare – disse, dando ad Euleia l'opportunità di andare via da loro prima che Sofia potesse fare altre domande. La seguì con lo sguardo, prendendo però il pezzo di pane dalle mani di Grigoria e portandoselo velocemente alla bocca. Guardandosi attorno si rese conto di quanto efficienti fossero state le ragazze. I tavoli erano quasi completamente riordinati e Chirone aveva appena iniziato a muoversi verso il bosco dove avrebbe preso luogo la kryptheia.
Potevano farcela.
Dovevano farcela.
- Tutte nel dormitorio! – abbaiò uno spartano che non doveva avere più di quindici anni. Terentia le prese le ceramiche dalle mani, camminando velocemente verso le cucine mentre il resto delle schiave si metteva in fila per tornare nel dormitorio. Furono in quattro a sistemarsi naturalmente attorno a Sofia mentre lei iniziava a slegarsi il velo dell'invisibilità dai fianchi. Erano due spartani a controllarle, uno ad aprire la fila e l'altro a chiuderla e quando anche Sofia camminò via dalle luci della mensa, tenendo il velo tra le dita, Terentia sbatté la porta delle cucine alle sue spalle.
- Eccomi! – urlò, – Eccomi!
Sofia si voltò a guardarla correre, osservando lo spartano che, a chiudere la fila, si voltò verso di lei, incalzandola a muoversi. Fu in quel momento, quando smise di guardarla, che Sofia si abbassò leggermente sulle ginocchia, portandosi il velo sul capo e scomparendo.
Grigoria e Maia, al suo lato destro, si aprirono naturalmente e lei sfiorò il braccio di quest'ultima con le dita prima di correre via.
Si legò il velo sotto al mento mentre correva nella notte, attenta a non fare troppo rumore con i calzari che volavano sul selciato. Sentì gli spartani prepararsi al limitare del bosco, le urla di incitamento di quelli che dovevano essere i semidei più grandi e lei corse più velocemente, dirigendosi verso le pareti azzurre della Casa Grande.
L'illuminazione fioca delle torce di fuoco greco su quella parte del Campo le permise di non andare addosso a nessuno spartano mentre correva, evitandoli abilmente prima di saltare facilmente i gradini della Casa Grande, fiondandovisi all'interno. Era una fortuna che le sue porte non venissero mai chiuse, almeno le aveva dato un problema in meno da risolvere. Fu solo a quel punto, nell'andrion della Casa Grande, che si permise di prendere fiato guardandosi attorno. Gli spazi della Casa Grande erano ampi tanto quanto quelli della sua vecchia casa ad Atene, con le pareti ricche di finestre illuminate da torce di fuoco eterno, gli angoli abbelliti da piante e tende a dividere le varie stanze. Scoprì che l'interno fosse colorato quanto l'esterno, con i muri dipinti di un verde immotivato e fastidioso che le fece dubitare del raziocinio di chiunque si fosse occupato di quella parte del Campo. Ma sorrise mentre camminava, avvicinandosi lentamente alla prima stanza, sbirciandovi all'interno, spostando la tenda il minimo indispensabile; anche se il colore era orrido, le metteva comunque allegria.
La prima stanza era ampia, con un tavolo al centro ed un focolaio davanti che, ovviamente, era spento e privo braci. Il legno rotondo al centro della stanza era ampio abbastanza da ospitarvi diverse persone attorno e non faticò ad immaginarsi i capi del Campo e delle varie Case discutere di strategie proprio in quella stanza. Avrebbe avuto senso custodire la magia dei figli di Ecate dentro quella stanza ma, a parte il tavolo, le sedie ed il focolaio, non c'era nient'altro.
Camminò silenziosamente verso la stanza successiva, digrignando i denti quando scoprì solo un divano simile a quelli che aveva visto a Roma, rifinito in oro e con i cuscini rossi ma niente magia dei figli di Ecate. Ignorò il battito accelerato del cuore, portandosi una mano sul coltello mentre entrava in una terza stanza, imprecando quando non riuscì a trovare nulla per l'ennesima volta. Menas le aveva assicurato che l'incantesimo che proteggeva il Campo era all'interno della Casa Grande ma lei aveva già visitato tre stanze, il tempo scorreva inesorabile e, inoltre, neanche aveva idea di cosa avrebbe dovuto trovarsi davanti. Aveva sempre e solo visto operare della magia, non ne aveva mai visto la fonte.
Diede inutilmente un colpo alla tenda che la divideva da un'inutile quarta stanza mentre il cuore iniziava a martellarle con forza nei timpani, allontanandola dagli eventuali suoni della kryptheia. Si portò una mano al petto, guardandosi fugacemente attorno, correndo verso le quattro stanze della parete opposta, scostando con forza le tende solo per trovare assolutamente nulla.
Maledisse la tensione che le impediva di sentire i rumori della kryptheia, di capire se fosse già iniziata e non dovesse, a quel punto, abbandonare le infruttuose ricerche per aiutare gli schiavi come meglio poteva. Si portò una mano alla bocca, soffocando un grido di frustrazione, sbattendo le palpebre per scacciare le lacrime, ignorando l'unica e solitaria lacrima che le raggiunse le dita premute contro la bocca.
Fermati.
Chiuse gli occhi, respirando profondamente mentre si portava le mani al capo, scostandosi i capelli nascosti sotto al velo e sfuggiteli dalla treccia. Una fonte poteva essere qualsiasi cosa, le aveva detto Hadiya. Un oggetto che si potesse nascondere e trasportare facilmente era la normale preferenza ma lei, a parte sedie, tavoli e vasi, non aveva visto nient'altro e dubitava che un incantesimo così importante potesse essere tenuto in bella vista. Poteva essere considerato un buon depistaggio, ma dubitava che gli spartani si sarebbero spinti fino a quel punto invece di proteggere il più possibile un oggetto tanto fondamentale come quello che cercava lei.
Poi, un soffio di vento entrò dalle porte della Casa Grande lasciate spalancate, accarezzandole il mento. Sofia sollevò il capo di scatto, aprendo gli occhi davanti a due corte che, morbidamente bloccate contro al soffitto, tenevano bloccato un pannello in legno. Sorrise. Sentì qualcuno gridare parole incomprensibili dal bosco e roteò i polsi prima di afferrare il coltello da sotto al velo, lanciandolo abilmente verso le due corde, tagliandole. Recuperò il coltello prima che potesse cadere a terra imprecando quando il pannello cadde violentemente al suolo, rimbombando per tutta la Casa e trascinandosi dietro una scala che portava fino ad un inaspettato piano superiore.
Sorrise, infilandosi nuovamente il coltello sotto al velo prima di aggrapparsi alla scala, tirandola un paio di volte e salendovi solo dopo essersi assicurata non l'avrebbe lasciata cadere. In effetti, i pioli in legno tenuti da due corde erano particolarmente robusti, saldi, come se qualcuno si premurasse di controllarne l'efficienza ogni quantitativo di tempo. Si issò facilmente sul pavimento in legno, tirandosi dietro la scala. Il pannello di legno lasciato a terra l'avrebbe tradita dopo un solo attimo ma, almeno, avrebbe avuto secondi preziosi per poter tentare la fuga; poi si guardò attorno. Quello spazio ricavato era ampio abbastanza da permetterle di alzarsi senza problemi. L'unica fonte di luce era l'entrata sul pavimento (o soffitto a seconda della prospettiva) e l'odore di chiuso e muffa era forte abbastanza da farle storcere il naso. Si guardò attorno, corrugando la fronte. Le pareti parevano coperte da cianfrusaglie di ogni tipo e si mosse verso la destra, prendendo un unico oggetto a testoni, voltandosi per potarlo poi alla luce. Era una mela dorata con una targhetta di pergamena attaccatavi sopra, la lesse con la fronte corrugata:"mela d'oro dal Giardino delle Esperidi"; la rimise al suo posto, prendendo poi quello che, al tatto, aveva la grandezza e la consistenza sottile di una freccia. Quando la portò alla luce, trovò una targhetta attaccata anche a lei e la lesse ignorando la punta dell'arma incrostata di sangue:"Freccia scagliata da Paride che uccise il grande Achille".
Erano bottini di guerra.
Sofia era certa che, se avesse continuato, ne avrebbe trovato altri ma non aveva tempo per pensare a quello. Non aveva idea se la kryptheia fosse già iniziata ma a giudicare dal rullo dei tamburi e dalla musica incalzante dei satiri, non doveva mancare troppo. Seppur non avesse neanche idea da dove cominciare, era comunque certa che, in qualche modo, sarebbe stata in grado di percepire la magia. Era improbabile che una fonte magica tanto forte quanto una che proteggeva i confini di un intero Campo, potesse esserle indifferente e fu per quello che frugò tra i bottini di guerra in quella parete per qualche altro secondo, trattenendosi dal lanciarli a terra per la frustrazione, prima di abbandonare.
Andò verso l'altra parete, stringendo i pugni quando le mani tremarono fastidiosamente lungo i fianchi, afferrando la prima cosa le capitò sotto tiro, lasciando perdere gli iniziali principi e buttandola a terra. Imprecò mentre affondava le dita tra armature e pelli di drakon, ignorando il dolore al palmo già ferito quando incontrò il taglio di una spada. La lanciò alle sue spalle, continuando a frugare furiosamente, lasciando poi quella parte della parete per potersi dedicare a quella accanto.
Il suono dei satiri ed il rullo dei tamburi si fece più incalzante. Sentì una voce oltre alla musica ma non riuscì a capirne le parole ed imprecò mentre lanciava gli oggetti a terra, spostando fastidiosamente con un palmo quella che le parve una bambola di legno, buttandola a terra. Le mani incontrarono una coperta di morbidi peli sotto ai palmi che strinse furiosamente tra le dita. Era pronta a lanciarla dietro di sé ma il corpo le si ricoprì di brividi. Sentì il calore di quella coperta fin dentro le ossa mentre un brivido le corse lungo la spina dorsale, facendole corrugare la fronte.
Fece un passo all'indietro, voltandosi per portare la coperta alla luce, scoprendo fosse la pelliccia perfettamente intatta, con tanto di testa ancora provvista di denti, di un leone. Ma sarebbe stata una stupida a pensare quello fosse un leone qualsiasi e non il Leone di Nemea che Eracle aveva ucciso anni prima, per la volontà della dea Era. La pelliccia del Leone di Nemea si diceva potesse proteggere chi la indossasse da qualunque pericolo. Eracle aveva dovuto uccidere il Leone facendogli aprire la bocca e, dopo che aveva indossato la pelliccia, era diventato un guerriero ancora più temibile.
Sofia aveva percepito la magia che scorreva dentro la pelliccia nello stesso istante in cui vi aveva posato le mani sopra e sollevò le sopracciglia. Era un'interessante simbologia utilizzare una pelliccia che proteggeva chiunque la indossasse, come fonte per la magia dei figli di Ecate, che proteggeva il Campo.
Si avvicinò all'entrata della stanza, spostando la bambola pieghevole in legno che doveva aver lanciato nella foga, con un piede, chinandosi a terra mentre stendeva la pelliccia del Leone a terra.
Solo altra magia poteva annullare la magia. Si slegò il velo dell'invisibilità, togliendoselo dal capo. Avrebbe dovuto abbandonare una delle poche armi che aveva ma non c'era altra soluzione e quelle erano condizioni disperate. Acchiappò i lembi del velo con le dita un attimo prima che la bambola di legno, scompostamente lasciata al suolo, potesse tremare. Fu impercettibile, un movimento che vide solo con la coda dell'occhio ma si voltò di scatto, osservando la bambola perfettamente ferma ad una spanna da lei. Scosse le spalle, allungando nuovamente il velo sopra la pelliccia del Leone di Nemea quando vide la bambola muoversi ancora.
Trattenne un'imprecazione tra i denti, lasciandosi cadere il velo sulle ginocchia ed acchiappando la bambola con una mano.
Sofia
Sentì chiaramente il sibilo nelle orecchie, lungo la spina dorsale e lanciò la bambola contro la parete, aggrappandosi spasmodicamente alla pelle del Leone quando indietreggiò per lo spavento, pericolosamente vicina all'uscita della stanza. Il cuore le batté con forza nei timpani e cercò a testoni il velo dell'invisibilità, stringendolo con forza tra le dita quando lo trovò.
Doveva andarsene di lì.
Sofia, figlia di Atena.
Soffocò a stento un urlo, sistemandosi il velo sulle gambe, arrotolando con dita tremanti la pelle del Leone di Nemea.
È dura la vita che scegli. Morte davanti a te, morte attorno a te, morte dietro di te.
Continuò la voce, in un sibilo gracchiante non gelido quanto quello delle arai ma altrettanto spaventoso.
Doveva ricoprire la pelle del Leone di Nemea completamente col suo velo perché la magia si potesse annullare perfettamente.
Morte davanti a te, ripeté la voce, morte attorno a te, morte dietro di te.
- Stai zitta – sibilò Sofia, tirando su col naso, scacciando le lacrime mentre arrotolava la pelle del Leone, sistemando la testa in cima.
Temono i guerrieri la saggezza e la sua prima erede nascosta
Sofia tremò, stendendo il velo sopra la pelle del Leone.
Perché alla monarchia, ella stabilirà la sua opposta.
Scacciò le lacrime con una mano, avvolgendo il fagotto appena creato con il suo velo, sollevandolo poi dal suolo per poterlo ricoprire completamente.
Dopo diciotto anni verrà stanata
- Zitta – sibilò, poggiando il nuovo fagotto al suolo, rimboccandone febbrilmente i lati.
Doveva andarsene da lì.
E tra dolore e sangue sarà deportata
La voce, nella sua testa, rise perversamente divertita.
Che giorno è Sofia? Quanto tempo è passato?
Sofia sollevò di scatto il capo, voltandosi verso la parete dove aveva lanciato la bambola. Un brivido gelido le corse lungo la schiena, facendole fermare il cuore per un solo istante prima che riprendesse a batterle con forza nelle orecchie, minacciando di esploderle nel petto.
Quanto tempo è passato, Sofia? Domandò la voce ancora una volta, con lo stesso sibilo divertito di poco prima. Hai perso il conto dei giorni, vero? Mia intelligente, intelligente figlia di Atena.
Sofia si sollevò sulle ginocchia, osservando il buio, portando una mano al coltello sullo stomaco.
QUANTO TEMPO E' PASSATO? Urlò la voce.
Sofia gridò per lo spavento, sbilanciandosi all'indietro nel tentativo di allontanarsi da quella voce nella sua testa. Cadde nell'uscita della stanza prima che potesse fermarsi, aggrappandosi alla scala mentre precipitava. Sbatté la schiena a terra, mozzandosi il respiro ed il contraccolpo al braccio aggrappato alla scala la fece urlare per il dolore mentre le si appannava la vista. Tentò di inalare aria, portandosi una mano sul petto, sbattendo le palpebre nel tentativo di mettere a fuoco senza alcun successo. Quando provò a sollevare il capo, quello vorticò con forza e le cadde all'indietro.
Ansimò alla ricerca d'aria, aggrappandosi con le mani al terreno, sfregandovi contro le unghie nella speranza di poter recuperare i sensi perduti. Sbatté i pugni a terra, canalizzando lì il suo dolore, arrischiandosi a sedersi solo quando le mani iniziarono a farle male. Poggiò le braccia dietro di sé per tenersi in equilibrio, sbattendo ripetutamente le palpebre, riuscendo a respirare un po' più facilmente quando riuscì finalmente a distinguere i contorni delle cose.
Quando il rullo di tamburi si interruppe bruscamente, Sofia tese i muscoli. Sentì distintamente la voce di Percy che dava il via agli spartani che, in un grido, si lanciarono verso il bosco.
Sofia scattò in piedi prima di poterci pensare, imprecando tra i denti quando le ginocchia cedettero, ancora instabili, e lei le sbatté con forza al terreno. Non aveva tempo per avere le vertigini. Non quando la kryptheia era appena iniziata e lei non aveva idea se quel folle piano avesse funzionato o meno.
Si rimise in piedi sulle gambe tremanti e quando iniziò a camminare, prendendo a correre gradualmente, le ginocchia cedettero ancora una volta ma si impedì di cadere, lanciandosi, completamente scoperta, verso il bosco.
Angolo Autrice:
Ma ciao fanciullini miei!
Mi dispiace tanto per il ritardo ma ho una motivazione più che valida, mi sono laureata e stavo organizzando la mia festa. Poi ho fatto anche la festa (il che ha compreso una dose incredibile di alcool) e poi sono andata a trovare mio padrino per il fine settimana quindi, una cosa ha tirato l'altra fino a questo ritardo:( il capitolo sta solo introducendo quello che succederà nel prossimo quindi non preoccupatevi ehehehe
Percy ed Annabeth sono sempre carinissimi. Ovviamente c'è una cit. eheheh e la povera Euleia sta venendo maltratta da qualcuno, il che fa impazzire Annabeth sopratutto perché non ha idea di cosa le stia succedendo. Aphia è giustamente sconvolta ma Annabeth ha un piano che speriamo funzioni almeno stavolta.
per la bambola dentro la soffitta, tranquilli che tutto avrà un senso!
Io vi ringrazio tanto per continuare a seguirvi. Vi voglio molto bene.
Un bacio enorme,
Eli:)*
p.s. Guardatevi TUTTI "Chiamatemi Anna" o "Anne with an e" su Netflix
p.p.s. non guardatevi Cursed perché fa cagare
Passo e chiudo
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