Non ti spezzi (Parte 2)
Sofia avrebbe davvero voluto spaccare quella ciotola di ceramica in testa a Pono ma era stata costretta ad abbandonarla quando Euleia, al suo fianco, era svenuta e lei aveva dovuto affrettarsi a prenderla tra le braccia prima che rovinasse a terra.
Dopo che Euleia era svenuta, non c'era stato tempo per fare altro. I soldati spartani le avevano incalzate perché andassero nelle loro stanze il prima possibile e mentre Sofia teneva Euleia tra le braccia, dividendo il peso con un'altra ateniese, non aveva avuto modo di guardarsi attorno. Per un solo istante mentre raggiungeva il loro alloggio, incalzata da due soldati spartani, il riflesso del sole su una delle case l'aveva completamente accecata, costringendola a socchiudere gli occhi mentre incespicava sul lastricato.
In quel momento, seduta su una branda sottile con la testa di Euleia sulle gambe ed altre dieci schiave che non conosceva, doveva costringersi a non abbandonare la speranza.
Tenne la schiena poggiata al muro freddo mentre i boccoli castani di Euleia erano sparsi su di lei. Con gli occhi chiusi ed il volto disteso, se il colore della sua pelle non fosse stato così orribilmente tendente al verde, avrebbe anche pensato dormisse. Le posò una mano sulla fronte. La pelle era umida e bollente ma non credeva che nessun figlio di Apollo si sarebbe mai abbassato a curare una mortale.
La rabbia le ribollì nel petto ma stese le dita contro la pelle di Euleia, scostandole i capelli bagnati di sudore via dal volto caldo.
- In squadra con noi c'è sempre qualche semidio – disse Aphia, una delle schiave che era da più tempo al Campo. Veniva da Creta ed aveva il volto duro, provato dagli anni e dal dolore. E dalla costante necessità di non sembrare mai spaventata per davvero. Indossava solo una tunica bianca, talmente sottile da poterne vedere la pelle al di sotto, consumata ai bordi come se qualcuno si fosse divertito con un coltello e del fuoco.
Le altre schiave non erano in condizioni migliori. Al contrario di Aphia, parevano però molto più remissive.
La bocca screpolata le si storse in una smorfia orribile. La pelle attorno alle labbra sembrò quasi spezzarsi. – Ma non si fa nulla per i semidei che hanno poteri. Li useranno contro di voi. Ed anche se tra di noi ci sono uomini.. – non concluse mai la frase. Non ce ne sarebbe stato realmente bisogno a prescindere.
Faceva caldo in Grecia ma in quel momento, un brivido di freddo parve serpeggiare tra le schiave. Euleia, sulle gambe di Sofia, sembrò tremare.
- E voi.. – domandò un'ateniese. – Voi.. – Sofia se la ricordava quella ragazza. Aveva diciassette anni e si era sposata da qualche giorno. Non aveva idea di che fine avesse fatto il suo compagno, però.
Si chiamava Daphne ma non riusciva a ricordarsi il nome del marito.
Strinse le coperte tra le dita. Non aveva idea di che fine avesse fatto. Si augurava soltanto che, nel migliore dei casi, fosse stata l'epidemia a portarselo via.
La vide bagnarsi le labbra secche mentre le gambe, senza riuscire a reggerla, cedevano sul letto in un tonfo. – Voi.. gli spartani vengono.. – boccheggiò per un paio di volte e lo stomaco di Sofia si contorse in una morsa di terrore.
Spostò gli occhi grigi su Aphia. Le iridi già scure parvero diventare la più pura essenza delle tenebre e non ci fu affatto bisogno di annuire.
Gli spartani entravano nei loro alloggi. E non era certa chiedessero il permesso od accettassero un "no" in risposta.
La gola si chiuse. Un pugno gelido le si serrò attorno alla pelle mentre il cuore, impazzito, le batteva con forza contro al petto. Ne sentì il rimbombo dei battiti nelle orecchie.
Vide un'ateniese, che non doveva avere più di quindici anni, scoppiare a piangere ma non riuscì a sentirla. La bocca di Aphia si mosse per dire qualcos'altro ed una delle veterane con i capelli neri, avanzò di un paio di passi verso la ragazzina, avvolgendola tra le braccia.
Il nodo nel petto si espanse fino a mozzarle il fiato in una bolla d'aria che la privò del respiro, costringendola ad allontanare la schiena dalla parete, cercando ossigeno.
Le protezioni del Campo tenevano fuori e dentro i mortali ma lei era una semidea e con un velo che la rendeva invisibile.
Poteva andare via da lì. Poteva andare via, nascosta dal suo velo e raggiungere qualsiasi posto. Non l'avrebbe fermata nessuno perché nessuno avrebbe mai potuto vederla.
Avrebbero notato la sua assenza solo il mattino dopo ma lei sarebbe già stata troppo lontana.
Magari avrebbe vissuto a Roma. Sarebbe stata Annabeth per sempre lì ma avrebbe tenuto il suo amore per l'architettura e le conoscenze tramandatale dal padre e dai suoi zii.
Avrebbe passeggiato sotto alle mura candide del Circo Massimo che per tutti quegli anni aveva solo potuto immaginare. Avrebbe respirato il profumo dell'alloro e quello delle viti che si estendevano per chilometri sulle colline rigogliose.
Non sarebbe più stata Sofia. Non sarebbe più stata la figlia di Atena.
Sarebbe stata chiunque avrebbe voluto e nessuno -a parte lei- avrebbe mai conosciuto la verità.
Magari col passare degli anni, persino lei avrebbe dimenticato la sua stessa identità.
Euleia, sulle sue gambe, mosse leggermente la testa e le orecchie si stapparono come se qualcuno, con incredibile forza, le avesse liberate dal coperchio che le aveva schiacciate fino a quel momento.
Si voltò. La ragazzina, raggomitolata su stessa e tra le braccia di un'ateniese, tirò su col naso e raddrizzò il capo, il mento in alto e la schiena improvvisamente dritta.
- Sparta non spezzerà mai il cuore di Atene – disse con voce incredibilmente dura e fiera.
Aveva pianto fino a quel momento ma la voce non tremò.
Lo fece il corpo di Sofia sotto alla forza di quelle parole.
Sparta non spezzerà mai il cuore di Atene.
Euleia aprì gli occhi scuri. Sbatté le palpebre un paio di volte e quando parve metterla a fuoco, le iridi si riempirono di consapevolezza e lacrime ma fu questione di un secondo. Quando si mise seduta, il volto era teso ma gli occhi asciutti.
Sofia guardò le ateniesi ed il resto delle schiave dentro quella stanza senza finestre illuminata alle pareti dal fuoco eterno.
Come aveva potuto pensare di andarsene?
Se quelle donne erano pronte a combattere, lei l'avrebbe fatto al loro fianco.
Prima della cena, un paio di spartani aveva portato chitoni candidi e gioielli.
Sofia si era resa conto fossero in numero estremamente ridotto rispetto a loro ma si era limitata astringere i pugni, costringendosi a raddrizzare la schiena.
I nuovi chitoni erano per chi avrebbe dovuto ballare durante la cena, attorno al falò, a ritmo dei flauti dei satiri e dei canti dei figli di Apollo. Lei e le altre ateniese,arrivate da troppo poco per conoscere le tradizioni spartane,potevano tenere i chitoni rovinati e servire ai tavoli.
L'unica cosa che desiderava sarebbe stata farsi un bagno ma, a quanto pareva, farle lavare non era nei piani degli spartani.
Almeno fino a quel momento.
Raggomitolata contro un angolo del loro alloggio e protetta dall'oscurità, si tolse del sangue secco da sotto alle unghie con la punta del coltello. Ne osservò la lama, il lieve bagliore del bronzo celeste le si rifletté sugli occhi e reggendola tra le dita, saggiando il peso familiare della sua arma,rilassare i muscoli le sembrò più facile.
Non le avevano fatte uscire dopopranzo. Le avevano lasciate dentro quella stanza e anche se dopo quelle che erano sembrate ore, i discorsi erano sfumati ed alcune di loro erano state vinte dal sonno, lei non era riuscita a fare altro se non osservare la parete che aveva difronte.
A parte Euleia, nessuna aveva provato a parlare con lei.
Quando ci aveva riflettuto, era riuscita anche a sorridere. Kyros glielo diceva sempre che con gli occhi che si ritrovava, riusciva a fare paura anche al peggiore dei nemici. Sembra riesca a scavare dentro la testa delle persone,fino a carpirne ogni segreto, le diceva mentre, poggiati contro alle mura fresche del gimnasio, si concedevano un po' d'acqua.
Mi guardi come se stessi studiando il modo migliore per mandarmi al tappeto. E qualcosa mi dice potresti anche riuscirci.
Studiò la lama ricurva del suo coltello. Kyros glielo aveva regalato anni prima, solo per i guerrieri più abili e veloci. Forse però, non sarebbe stata ingrado di essere veloce od abile abbastanza per uccidere il figlio di Poseidone che sembrava avesse più segreti persino di lei.
Corrugò la fronte. Dietro di lei sentì i calzari di qualche schiava strisciare sul pavimento. Forse iniziava a prepararsi per la cena e lei avrebbe nuovamente dovuto nascondere il suo coltello. Lo abbandonò sul grembo mentre iniziava ad intrecciarsi frettolosamente i capelli, tirando le ciocche bionde con forza.
Non era possibile.
Perseo era un figlio di Poseidone. Era uno spartano.
Era greco.
Non poteva.
Non poteva semplicemente essere.
Perché se fosse stato ciò che sospettava, Perseo sarebbe stato un nemico peggiore di quanto avrebbe mai potuto pensare.
In un tonfo, la pesante porta di legno dell'alloggio si sbatté contro al muro e Sofia scattò in piedi istintivamente con il coltello ancora stretto tra le dita. Era una fortuna che un'ateniese fosse davanti a lei in quel momento,proteggendola alla vista del guerriero spartano che aveva appena fatto irruzione.
- Dovete servire la cena. Tutte fuori! – abbaiò.
Le schiave si misero in fila prive di catene a bloccarle i polsi, dirigendosi lentamente verso l'esterno. Il sole, dietro le fronde degli alberi alti, stava appena tramontando ed il cielo era una perfetta esplosione di intensissimi colori. Arancione, giallo, rosso, persino rosa.
La dea Artemide ed il dio Apollo, una volta che si incontravano per cedersi il posto, davano costantemente il meglio di loro. Si fermò con gli occhi puntati verso il cielo con l'aria secca che non le dava più fastidio mentre, immobile sul lastricato, si dimenticava persino della stanchezza.
Un soffio di vento le scosse ciuffi di capelli biondi cadutele sul viso e sorrise socchiudendo gli occhi, continuando ad osservare i colori che tingevano il cielo di quelle splendide sfumature.
Si voltò osservando il chitone troppo lontano dell'ateniese che la precedeva, affrettando il passo per poterla raggiungere.
Il Campo, per quegli istanti, pareva essersi addormentato. Non udì il sibilare delle frecce od il cozzare delle spade l'una contro l'altra. Il nitrire dei pegasi o gli zoccoli veloci dei satiri che correvano da una parte all'altra del lastricato.
I calzari suoi e delle altre schiave sul pavimento erano gli unici suoni udibili e, per un secondo, decise anche di convincersi che a parte loro non ci fosse più nessun altro, distendendo i muscoli tesi delle spalle e del collo.
Persino il padiglione, una volta raggiunto, illuminato dalle luci del tramonto, le parve un nido sicuro con i tavoli vuoti ed il fuoco che ardeva moderatamente al centro. Poi, la conchiglia che aveva sentito anche quel pomeriggio per il pranzo, suonò ancora, bucandole le orecchie e quella calma scomparve in brevissimi istanti.
Fu questione di meri secondi prima che il clangore delle spade e delle armature e dei calzari che solcavano rapidi il lastricato potessero riempire per intero il Campo, facendole correre un brivido di fastidio lungo la schiena.
Il soldato spartano le guidò fino al tavolo più grande. – Sapete cosa fare – si limitò a dire, prendendo poi posto a quello che Sofia si ricordò fosse quello di Apollo.
Una nuova fila di schiavi precedette l'arrivo degli spartani.
Erano uomini emaciati che non potevano essere più grandi di lei, scortati da un altro soldato. Sotto i chitoni logori e sporchi le parvero ancora più magri e più indifesi. Avevano tutti i capelli troppo lunghi ed alcuni erano troppo giovani persino per poter avere la barba.
Aphia l'aveva avvisata ma vederli aprì solo una voragine nello stomaco affamato di Sofia. Le parvero così deboli che si chiese, guardando gli unici due soldati spartani dentro il padiglione in quel momento, con che coraggio avrebbero potuto inseguirli fino alla morte nella Krypteia.
Che onore ci sarebbe stato nel dare la caccia e dei ragazzi che non avevano abbastanza forza per potersi reggere in piedi?
Strinse i pugni attorno ai fianchi osservando l'inesistente muscolatura sotto le loro braccia stanche, osservandoli raggiungere il falò invece che la loro fila. Recuperarono degli strumenti da terra, lire, aulii e sistemandosi poi in un semicerchio attorno alle fiamme, si limitarono ad aspettare.
Sofia corrugò la fronte, sporgendosi poi in avanti di qualche centimetro ed osservando le schiave in fila. Alcune di loro indossavano nuovi chitoni e nuovi gioielli con i capelli ben legati sulla schiena per poter avere il volto scoperto.
Gli spartani invasero la mensa in un disordinato turbinio di risate e schiamazzi, sistemandosi rumorosamente ai loro tavoli.
Sofia ansimò. Il petto gonfio di rabbia ed incredibile fastidio.
Uno spettacolo di schiavi per dei guerrieri che non ne avrebbero mai avuto abbastanza.
Chirone ed i satiri arrivarono poco dopo i soldati. Il rumore degli zoccoli sulla pietra non fu udibile sotto agli schiamazzi degli spartani.
Il centauro la guardò ancora mentre camminava. Quello stesso sguardo antico e triste che le aveva mozzato il fiato anche quel pomeriggio.
La guardò col volto illuminato dal fuoco e dal sole e Sofia, con i palmi delle mani improvvisamente sudati, si chiese ancora una volta se non avesse capito tutto. Se non avesse capito fosse lei la figlia di Atena.
Aveva gli occhi di chi sapeva troppo perché potesse essere minimamente sopportabile. Gli occhi di chi aveva vissuto troppo e troppo a lungo. Gli stessi occhi di suo padre che, sulle spalle stanche, portava da decenni il peso di Atene.
Chirone di chi portava il peso?
Il profumo del mare precedette l'arrivo di Perseo. Sofia ne sentì il profumo prima di riuscire a vederlo sedersi al suo tavolo solitario, sorridendo al ragazzo riccio che quel pomeriggio al tavolo di Efesto aveva cercato di dare fuoco al fratello.
Quello sembrò gli facesse una battuta mentre si allontanava perché Perseo, con una mano sullo stomaco, rise gettando il capo all'indietro ed assottigliando gli occhi verdi.
Il figlio biondo di Zeus, appena arrivato, osservò confuso i due ragazzi con un sorriso sulle labbra sottili e una lingua di fuoco gli illuminò la cicatrice biancastra sull'angolo sinistro del labbro inferiore.
Sofia non riuscì a trattenere il sorriso che le sollevò gli angoli delle labbra mentre osservava i tre ragazzi davanti baluginare delle fiamme. Avevano la sua età e magari i suoi stessi desideri o lo stesso risentimento per un genitore che non era mai stato presente. Ridevano come rideva lei, probabilmente si allenavano come si allenava lei.
Erano spartani, certo, ma erano poi così diversi da lei?
- Eroi! – tuonò Chirone, battendo uno zoccolo a terra e richiamando con incredibile autorità e velocità l'attenzione degli spartani che presero il loro posto ai tavoli, acquietandosi. – Questa sera, festeggiamo l'arrivo dei nuovi stranieri ed il numero considerevolmente basso di perdite che abbiamo avuto durante l'ultima missione!
Dai tavoli degli spartani si levò un gridò fastidiosamente orgoglioso e Sofia strinse i pugni lungo ai fianchi. Si conficcò le unghie nei palmi con forza, puntando lo sguardo lontano, oltre ai guerrieri euforici.
Dal padiglione non riusciva a vedere la Collina che la separava dal mondo esterno.
- Che la cena abbia inizio! – sentì annunciare dal centauro, un attimo prima che i satiri e gli schiavi potessero iniziare a suonare i loro strumenti.
Alcune schiave raggiunsero il fuoco del falò, danzandovi attorno al ritmo degli aulii e delle lire.
L'aulos l'aveva inventato sua madre, abbandonandolo quando si era resa conto che, nel suonarlo, il suo volto si deformasse orribilmente.
Sofia scosse la testa. Un pensiero che non si sposava con la dea della sapienza e della strategia militare ma ad Atene non c'era satiro che non allietasse le feste, persino le passeggiate al mercato con quello strumento che portavano appeso al collo.
Si voltò, afferrando degli skypthos con talmente tanta forza dal tavolo principale che le nocche sbiancarono attorno alla ceramica e quando mosse un solo passo, incespicò sui calzari, barcollando sul selciato mentre la musica le invadeva le orecchie. Il ritmo incalzante la spinse a chiudere gli occhi, dondolando il capo al suono della musica e dei gioielli delle schiave che, mentre ballavano, si sbattevano tra di loro sui loro polsi e le caviglie.
Strizzò le palpebre. I satiri suonavano la musica del dio Dionisio. Per secoli avevano fatto razzie e sconfitto eserciti interi portandoli alla pazzia con le loro melodie e lei sapeva che se avesse permesso alla musica di inebriarla per un solo secondo più, non avrebbe più avuto facoltà di intendere e volere.
Eppure, lasciarsi cullare dalle note era bellissimo. Era bellissimo dimenticarsi dello stomaco che brontolava per la fame, delle gambe doloranti e persino della paura e lasciò cadere il capo all'indietro, sorridendo.
Qualcuno le andò addosso, spingendola ad aprire gli occhi per la sorpresa, sbattendoli un paio di volte. La ragazza ferma davanti a lei fu difficile da mettere a fuoco per i primi secondi. – Il mio promesso sposo – disse e Sofia si rese conto fosse la quindicenne che aveva dimostrato così tanta forza nell'alloggio quel pomeriggio, – era un figlio di Dionisio.
Sofia barcollò. Il capo minacciò di crollarle in avanti. Avrebbe soltanto voluto chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dalla musica come stava facendo prima. Persino la temperatura esterna sembrava essere diventata una perfetta carezza sulla pelle che non sentiva più la fatica ma solo il bisogno impellente di rilassarsi un po'.
Non le importava che quella ragazzina conoscesse un figlio di Dioniso. Né capiva perché stesse sentendo la necessità di parlarle e raccontarle qualcosa di cui non avrebbe mai dovuto preoccuparsi.
Ma le importava invece.
Doveva importarle.
Sofia. Era Sofia ed era a Sparta.
Era Sofia ed era Sparta come schiava del Campo Mezzosangue.
- Devi concentrarti su un'altra melodia. Qualsiasi altro suono. La musica di Dionisio può portarti alla pazzia – le disse e Sofia corrugò la fronte, sbattendo le palpebre ancora una volta. Mise a fuoco le iridi scure della ragazzina e poi i capelli castani raccolti all'indietro.
Lo sapeva.
Torna in te, Sofia.
Concentrati.
- Ce la fai, vero? – le domandò ancora la ragazzina ed Sofia annuì.
Respirò a fondo.
Non avrebbe mai potuto sentire il profumo del mare da Sparta ma forse avrebbe potuto richiamare il suono delle onde. Non fu difficile pensare allo scrosciare delle onde sulla battigia, al loro placido infrangersi contro la sabbia e le rocce di Atene.
Ne ascoltò il loro canto, la loro musica ed i muscoli, finalmente liberi dalla magia dei satiri, le parvero un po' più pesanti.
Più reali.
- Grazie – disse e l'ateniese le sorrise, annuendo una sola volta prima di andare via.
Posò gli skypthos al tavolo di Morfeo. I ragazzi seduti attorno erano, senza bisogno dei satiri, già incredibilmente assonnati di per sé. Almeno però, si sarebbero addormentati col sorriso.
Sentì il suono degli aulii in sottofondo assieme ai gioielli delle schiave che, ritmicamente, donavano una nuova melodia alla musica che veniva suonata. Si concentrò sul suono delle onde, vivido nella sua mentre mentre recuperava vassoi, anfore di carne e vino, sistemandoli sui tavoli.
Periodicamente, storditi semidei si alzavano verso il falò, donando alle fiamme parte del loro cibo agli dei.
Non sapeva quando sarebbe stato il suo turno per mangiare. Neanche si ricordava l'ultima volta lo avesse fatto e se si fosse concentrata sulla sua pancia vuota per qualche istante in più, era certa sarebbe impazzita. Ed il suo corpo, una volta ricordatosi dell'assenza di zuccheri al suo interno, l'avrebbe di sicuro abbandonata, svenendo.
Afferrò una fiasca da olio col collo stretto e la pancia gonfia, guardandosi attorno. Il resto delle schiave si aggirava tra i tavoli controllando che tutto, per i semidei, fosse al proprio posto.
Una parte di lei le diceva non sarebbe stato un bene fermarsi, farsi vedere mentre, in un angolo, si limitava ad osservare e non a servire.
Sentì lo sguardo di Chirone e di qualche satiro mentre, in piedi davanti al tavolo principale, faceva saettare gli occhi sui volti dei semidei. Poi andò per il tavolo di Poseidone.
Non seppe bene che cosa fu ad attirarla verso di lui, se non l'impellente necessità di respirare il profumo di mare che il semidio pareva sempre portarsi dietro.
Fletté le dita attorno al collo della fiasca, costringendosi a non guardarlo mentre camminava verso di lui. Seduto al tavolo da solo, con le fiamme del falò che gli baluginavano sul volto, non sembrava in particolare balia della musica ma solo incredibilmente rilassato mentre mangiava la carne sul suo piatto.
Quando sollevò gli occhi verdi su di lei, Sofia si costrinse a non fermarsi in mezzo al padiglione, chiedendosi come avrebbe fatto a sostenere quello sguardo così intenso senza dare a vedere lo sforzo.
La pelle dorata, baciata dalle fiamme, sembrò prendere fuoco e si disse, mentre arrivava al suo tavolo, fosse effettivamente ironico.
Non importava quanto forti fossero i profumi nel Campo, quanto cibo, orzo e vino ci fossero nel padiglione in quel momento. Quando fu ad un paio di metri di distanza da Perseo, le parve, il mare, di averlo esattamente difronte. Ne respirò il profumo frizzante e quasi le parve di sentire la salsedine pizzicarle la pelle nuda delle braccia.
Come faceva una persona ad essere tutto ciò che più odiava e le mancava allo stesso tempo?
Posò la fiasca davanti a lui sul tavolo di legno, chiudendo gli occhi per un istante, uno solo mentre il profumo del mare divenne intenso al punto tale da inebriarla.
Dilatò il petto respirando quanto più a lungo le fu possibile e quando riaprì gli occhi, incontrò quelli di Perseo. Le iridi verdi ebbero un guizzo come se stessero tentato di scappare via dalle proprie e quella minuscola possibilità le gonfiò il petto di orgoglio.
Per un istante, uno solo e brevissimo, la pelle dorata del volto del ragazzo sembrò quasi tingersi di rosso come se, incredibilmente sotto ai suoi occhi, fosse persino imbarazzato.
Sofia sarebbe rimasta un altro po' ancora a guardare quegli occhi verdi, scuotendo poi il capo.
Si voltò di scatto, allungandosi oltre il tavolo di Zeus per poter prendere un vassoio ormai vuoto.
- Grazie – la voce del ragazzo biondo al suo fianco la spinse a voltarsi di scatto verso di lui, incontrandone gli occhi azzurri che la fissavano attentamente.
Era perfetto nella sua compostezza. Stranamente perfetto persino nella sua gentilezza.
Troppo perfetto, si disse, guardando la cicatrice in un angolo del labbro superiore, decidendo di aggrapparsi a quell'unico e rincuorante difetto.
A differenza di Perseo, quel ragazzo aveva il corpo di chi solleva pietre, allenandosi a lanciarle il più lontano possibile da prima di imparare a camminare. Non era snello e veloce, abituato a destreggiarsi tra le correnti marine. Lui, al contrario, più che destreggiarsi tra le correnti, mirava a racchiuderle in qualche modo tra le braccia, spostandole da qualsiasi altra parte a suo piacimento.
Spostò l'attenzione dal tavolo del figlio di Zeus con una nuova anfora tra le dita mentre la musica era solo un piacevole sottofondo.
Spostò gli occhi sul resto del padiglione. Alcuni semidei continuavano a bere, allungando poi le brocche alle schiave che passavano lì vicino perché li riempissero ancora. Altri, accasciati l'uno sull'altro, erano sopperiti alla stanchezza ed alle note dei satiri e degli schiavi.
Al tavolo dei figli di Ecate, vide anche Euleia. Non era abbastanza vicino perché potesse aiutarla subito ma non era abbastanza lontano perché non riuscisse a vedere qualcosa non stesse affatto andando per il verso il giusto. Il corpo, avvolto nel chitone sporco, era abbandonato contro ad un figlio di Ecate alla sua destra come se, improvvisamente, non fosse più in grado di reggersi in piedi. Teneva gli occhi socchiusi, le labbra stese in un sorriso privo di reale felicità.
Ondeggiò, forse seguendo il ritmo della musica che, tra le onde di Sofia, era solo un eco lontano ed i due figli di Ecate che la affiancavano parvero farsi più vicini. Di profilo e parzialmente nascosti dai loro fratelli, Sofia non riusciva a vederli bene ma chi riusciva a vedere, tra le teste di semidei troppi assuefatti, era Euleia, in balia di una musica che con riusciva a controllare e ragazzi affamati.
Forse, se le avesse tirato l'anfora che aveva tra le mani dritta in testa, Euleia si sarebbe concentrata sul dolore e non sulla musica dei satiri. O meglio, l'anfora poteva tirarla dritta sulla testa dei figli di Ecate, magari forte abbastanza da farli svenire fino al mattino dopo.
Si accorse di aver camminato fino a loro solo quando sentì gli occhi languidi e vacui dei figli di Ecate su di lei. La guardarono senza riuscire a metterla realmente fuoco e uno di quelli che stavano al fianco di Euleia, con i capelli scuri a sfiorargli le spalle allenate, batté le palpebre un paio di volte e poi le sorrise, facendole correre un brivido gelido lungo la schiena. Gli occhi scuri erano orribilmente lucidi.
Sofia raggiunse Euleia. Le prese il polso versando poi velocemente, nei bicchieri vuoti, il vino dentro l'anfora che aveva tenuto tra le mani fino a quel momento.
Fu facile far spostare l'attenzione via da Euleia. Quando gli spartani videro i loro bicchieri pieni di nuovo vino, si limitarono a sorridere ancora, ridere persino prima di portarsi la ceramica alle labbra e ricominciare a bere.
Sofia si tenne alla larga dal figlio di Ecate con i capelli lunghi. Non sarebbe stato facile raggirare lui. I figli di Ecate erano famosi nel manipolare la realtà e lui non era in balia di vino e musica ma solo di sé stesso.
E quello lo rendeva pericoloso.
Tirò Euleia via dai due semidei e la ragazza barcollò su di lei, gravandole per qualche secondo col proprio peso.
Sofia le mise le mani sulle spalle. La pelle era bollente, umida, come se avesse passato tutto quel tempo a girare ad un centimetro dal falò e gli occhi castani erano appannati, troppo lontani perché riuscisse a raggiungerli.
La scosse. La testa di Euleia, senza vita, seguì i movimenti bruschi del suo corpo. La chiamò scuotendola ancora, conficcandole le unghie nelle spalle con talmente tanta forza da sentirle scavare nella pelle della ragazza.
Fu solo in quel momento che Euleia parve aprire un po' di più gli occhi.
- Lo servo io quel tavolo. Stai lontana da qui – ordinò, sperando avesse capito. Aprì la bocca per chiederle se l'avesse sentita ma le bastò guardarla negli occhi per un altro secondo per rendersi conto che l'unico modo in cui avrebbe potuto riprendere conoscenza sarebbe stata dopo una bella dormita.
O con un pugno dritto sul naso ma si disse la violenza non potesse essere sempre la risposta.
Si limitò a direzionarla lontano da lì, osservandola per qualche secondo incespicare sui piedi nudi.
Barcollò sul tavolo di Efesto ed il ragazzo, quello con i capelli ricci che lanciava fuoco dalle mani, la prese al volo. Sorrise e a giudicare dalle risate dei suoi fratelli, dovette fare anche una battuta.
Sofia strinse i pugni lungo ai fianchi, mosse un paio di passi verso di lui prima di vedere gli occhi castani addolcirsi, tingendosi di inaspettata tristezza. Prese la mano di Euleia, facendole spazio sulla panca al suo fianco.
Nessuno al suo tavolo (od agli altri) ebbe nulla da ridire.
Spostò gli occhi sui figli di Ecate ancora una volta. Il ragazzo con i capelli lunghi la guardò ancora. Un brivido di freddo e disgusto le scosse il corpo intero al pensiero che non avesse mai smesso di guardarla.
Dietro di lui c'erano troppi vassoi vuoti perché potesse continuare ad ignorarli. Doveva avvicinarsi e prese un respiro. L'aria parve bruciarle il petto mentre muoveva un passo verso di loro, tenendo gli occhi puntati davanti a sé nel tentativo di evitare quelli dell'unico semidio lucido a quel tavolo. Ma non c'era davvero un modo. Due vassoi vuoti erano esattamente davanti a lui.
Tenne i fianchi il più lontano possibile dal tavolo mentre vi si allungava sopra, tentando di raggiungere il vassoio persino a quella distanza. Fu brava però a nascondere il sussulto di disgusto ed orrore quando sentì risalirle lungo la gamba, sotto il tessuto leggero del chitone, un palmo caldo e ruvido.
Lasciò andare il bordo del vassoio come se scottasse. Accanto alla sua mano, una terrina di ceramica vuota.
- Non mi toccare – si limitò a dire. I muscoli contratti, il corpo teso per la collera che, bollente, le montò nel petto, gonfiandoglielo.
Ma la mano dello spartano rimase lì sulla sua pelle, salendo lentamente verso la curva dei glutei, lungo la pelle che, in un moto di repulsione, si ricoprì di brividi. La gamba scattò in avanti, sbattendosi contro al bordo della panca di legno nel vano tentativo di fuggire via da quel tocco così indesiderato.
Al tavolo dei figli di Ecate, incontrò lo sguardo di una ragazza. I capelli neri le incorniciavano il viso chiaro e gli occhi così languidi e distanti da essere irraggiungibili. La vide ondeggiare, poggiando poi la testa sulla sorella accanto a lei con le ciocche scure intrecciate sulla spalla.
Non l'avrebbe aiutata nessuno.
Ed andava bene così.
Il ragazzo le strinse una mano attorno alla coscia. Le dita strette attorno alla pelle che contro al suo calore, al contrario, si raffreddò improvvisamente.
- Non mi toccare – ripeté e quando provò a spostarsi all'indietro, lo spartano rafforzò la presa. Le dita si spostarono lungo l'interno della sua coscia, talmente vicine al suo centro che Sofia sentì il disgusto risalirle lungo la gola.
Da vicino, gli occhi del ragazzo erano rossi ma così incredibilmente lucidi, così incredibilmente consapevoli che tremò per la furia.
Magari, se gli avesse vomitato dritta in faccia, quell'idiota avrebbe smesso di trovarla attraente.
La tirò a sé o almeno ci provò, dando uno strattone col braccio che le avvolgeva la gamba.
Sofia strinse tra le dita la terrina di ceramica.
Poi gliela spaccò dritta in faccia.
Il figlio di Ecate gridò per la sorpresa, lasciandola andare per portarsi le mani al volto insanguinato.
Sofia balzò all'indietro mentre la musica ed i balli si fermavano ed i figli di Ecate, ad incredibile velocità, si alzavano dalle panche. Erano ancora storditi quindi barcollarono ed un ragazzo, incapace di reggersi sulle proprie gambe, cadde miseramente faccia avanti sulla carne che aveva difronte a sé.
- Puttana! – esclamò lo spartano. La voce attutita dalle mani attorno al volto e dal naso -almeno Sofia lo sperava- rotto.
I suoi fratelli (quelli ancora in piedi, seppur barcollanti) misero mano alle spade ma non fecero mai in tempo a raggiungerla.
Sofia non riuscì a fare niente perché due braccia scure si strinsero attorno al suo corpo.
Si dimenò contro al petto forte di un guerriero che non aveva fatto in tempo a vedere in volto, graffiandogli le braccia mentre quello, come se non pesasse affatto, la sollevava da terra, facendo in modo che, stretta contro di lui, fosse rivolta verso il tavolo di Chirone.
Sofia lo graffiò ancora, lo colpì alle ginocchia con i talloni mentre distintamente, alle sue spalle, sentiva le panche cadere a terra ed il sibilare delle spade estratte dal fodero. Come se qualcuno avesse appena aperto il forno di una fucina, del fuoco risucchiò l'aria dietro di lei, bruciandole la pelle delle braccia che, ancorate disperatamente a quelle del guerriero nel tentativo di liberarsi, non erano schermate dal suo corpo.
- Ah ah – disse in avvertimento una voce che non conosceva. – Conosco anche io qualche trucco di magia – la voce, seppur non nascondesse un sorriso sulle labbra del guerriero che aveva parlato, non ammetteva repliche o che qualcuno, malauguratamente, decidesse di non ascoltarla.
- Mi ha spaccato una terrina in faccia! – gridò istericamente il figlio di Ecate, la voce ancora attutita e Sofia non riuscì a trattenere un sorriso.
- Io, ogni giorno, penso a quanto mi piacerebbe spaccarti le cose in faccia, Nestor – disse una voce femminile incredibilmente dura che Sofia non aveva mai sentito fino a quel momento. – Lei ha sicuramente avuto meno pazienza di me e non posso di sicuro biasimarla.
- Sta' zitta, Clarissa – abbaiò la voce aspra di Pono, facendola istintivamente rabbrividire tra le braccia del ragazzo che ancora la stringeva.
- Sta zitto tu! – sputò Clarissa altrettanto inferocita e, per un secondo minuscolo, Sofia riuscì anche a convincersi sarebbe andato tutto bene.
Fu solo a quel punto che Sofia si rese conto che il ragazzo, che probabilmente solo per miracolo si trovava nei paraggi in quel momento, non avesse cercato di farle del male ma al contrario, col suo corpo, le avesse fatto da scudo contro i figli di Ecate.
Sofia sollevò gli occhi, incontrando quelli scuri ed antichi di Chirone. Lo guardò da dietro i ciuffi biondi che, sfuggiti alla treccia, le erano caduti sul viso e un velo di tristezza parve adombrargli le iridi.
- Adesso – continuò la voce del primo spartano che aveva parlato in sua difesa, – Io spengo le mie mani – disse lentamente, scandendo le parole come se avesse avuto a che fare con un bambino. – E voi spegnete le vostre.
Sul muro davanti a lei vide l'ombra di un ragazzo esile con i capelli ricci che, a braccia aperte, a qualche centimetro dai suoi palmi, controllava due palle di fuoco che baluginavano contro il candore della pietra.
Poi, improvvisamente, il calore che aveva risucchiato l'aria fino a quel momento si spense con la stessa velocità con cui era stato acceso e Sofia dilatò il petto, aprendo la bocca.
Le braccia scure dello spartano che la stringevano allentarono la presa lentamente non prima, però, di voltarsi nuovamente verso il resto dei semidei.
In piedi, esattamente davanti a loro, Sofia guardò la schiena del ragazzo che li aveva protetti invocando due palle di fuoco. Il corpo a quel punto le pareva rilassato ma quando abbassò lo sguardo sulle mani lungo ai fianchi, vide due lingue di fuoco guizzarli tra le dita.
Oltre lui, la maggior parte dei semidei erano in piedi, con le armi sguainate come se avessero dovuto combattere chissà quale minaccia. Gli altri erano seduti, forse troppo assuefatti dall'alcool perché l'arrestarsi della musica potesse realmente provocare chissà quale effetto benefico.
- Quella schiava è indisciplinata! – esclamò Pono, attirando l'attenzione di Sofia su di lui. – Non vale la pena tenerla viva! – affermò, convinto.
Quando Sofia fece per lanciarsi su di lui, lo spartano alle sue spalle lo bloccò il braccio tra le dita forti, facendola imprecare mentre si voltava inferocita verso di lui. – Lasciami andare – sibilò, strattonando il braccio, riconoscendo quel semidio come quello che, con la pelle scura e seduto al tavolo di Efesto, non aveva preso fuoco grazie al fratello.
Si voltò di scatto e ne riconobbe i ricci. Sembrava rilassato, fermo davanti a lei in una protezione che non le serviva ma quando abbassò lo sguardo sulle sue mani, vide delle lingue di fuoco guizzargli tra le dita.
- Anche tu sei indisciplinato. E neanche tu vali la pena tener vivo ma ci siamo comunque abituati al tuo incredibile carisma ed puzza di stalla – disse il ragazzo riccio. Il fuoco che, tra le dita, brillò con un po' più di forza come se anche lui avesse trovato la battuta divertente.
- Cos'è successo? – domandò Chirone. Gli zoccoli sul lastricato riecheggiarono per il padiglione, attirando l'attenzione di Sofia. Il centauro fece lentamente il giro del tavolo, affiancandola.
Sofia si liberò con uno strattone della presa del figlio di Efesto, facendo un passo avanti per affiancare quello che manipolava il fuoco.
Repentinamente, quello si voltò a guardarla. Ne sentì gli occhi vispi e castani sul volto ed il calore del fuoco che gli guizzava tra le dita vicino ai fianchi.
Difronte a lei, l'intero Campo Mezzosangue la osservava. I semidei erano in piedi con le armi sguainate. Alcuni erano ancora un po' storditi dal vino e dalla musica ma erano in piedi, all'erta, certi osservandola come se fosse stata pronta a scattare ed ucciderli tutti l'istante dopo.
Alla sua sinistra, Perseo teneva una spada nel pugno. Era la prima volta che lo vedeva con un'arma e si chiese dove l'avesse tenuta fino a quel momento considerato non gliela avesse vista appesa ai fianchi. Non era la spada più terrificante che avesse mai visto. Era poco più lunga di un metro, con un tridente inciso sull'elsa ed il bronzo celeste di cui era fatta, sotto alla luce delle torce, baluginava più intensamente del normale. Era fine, quasi delicata ma era evidente, dalla sicurezza con cui vi stringeva le dita attorno, che non importava l'apparenza. Perseo sapeva perfettamente come usarla.
Si chiese se anche lei, quando teneva il suo coltello, desse la stessa impressione, un naturale e letale prolungamento del suo braccio.
Al suo fianco, il figlio di Zeus teneva un gladio dorato stretto in pugno. La studiava con gli occhi socchiusi e Sofia corrugò la fronte.
Era oro imperiale quello? Quella era un gladio d'oro imperiale?
Strinse i pugni lungo ai fianchi.
Il figlio di Ade era ancora seduto al tavolo. Non mangiava ma la guardava, privo quasi di espressione.
Euleia, con la testa tra le braccia, dormiva al tavolo di Efesto.
Sofia guardò Perseo ancora una volta.
La studiava diversamente dal figlio di Zeus. Il biondo la guardava nel tentativo di trovarne i punti deboli e raggirare quelli di forza. La studiava nel tentativo di poterla battere se fosse stato necessario. La gentilezza dimenticata davanti alle esigenze di un guerriero.
Il figlio di Poseidone, invece, la guardava con una sfumatura di preoccupazione negli occhi che tradiva la forza con cui teneva la sua spada.
Voleva solo assicurarsi lei stesse bene.
- Ha allungato le mani – disse Sofia, spostando gli occhi grigi sul figlio di Ecate che si teneva ancora le mani sul naso sanguinante. Gli occhi, dietro le dita, erano due lame di furia. – Io gliele ho rimesse a posto.
Con la coda dell'occhio vide il figlio di Efesto sorridere al suo fianco.
La testa del figlio di Zeus scattò velocemente verso l'idiota di Ecate e le dita attorno al gladio dorato crepitarono di elettricità.
Perseo ritirò la sua spada con un solo sguardo. L'arma si trasformò in uno stilo che si infilò poi sotto la cintura del chitone.
Sofia rabbrividì, flettendo le dita attorno ai fianchi.
Spostò velocemente l'attenzione su Pono quando, in preda ad un imbarazzante isterismo, batté un pugno sul tavolo con talmente tanta veemenza da far tremare la ceramica postavi sopra.
- Da quando in qua – tuonò, – le mortali decidono cosa fare e cosa di dire?! Da quando diamo voce in capitolo a chiunque?! Noi siamo semidei spart..
Perseo mosse un solo passo in avanti, abbastanza per poterlo guardare esattamente come aveva fatto quella mattina ad Atene.
I figli del dio della guerra, al fianco del fratello, rabbrividirono muovendo un passo all'indietro sotto la forza di quello sguardo.
Sofia corrugò la fronte. I pugni chiusi e le unghie conficcate nei palmi.
Certo che lo conosceva quella sguardo. Come avrebbe potuto essere altrimenti?
Il figlio di Efesto accanto a lei rabbrividì con veemenza. – Dei, Percy! – esclamò. – Tu e quel tuo maledetto sguardo da lupo – borbottò e come se si fosse risvegliato da un'ipnosi, Perseo si rilassò, spostando l'attenzione sull'amico con un sorriso a stendergli le labbra.
- Scusa, Leo – disse, sereno, smorzando la tensione che aveva avvolto i guerrieri fino a quel momento. – è il modo più veloce per mettere Pono in riga quando ha un attacco isterico.
Leo, al fianco di Sofia, scosse la testa divertito. – Forse dovrei passare anche io qualche settimana a Roma. Magari riesco a mettere in riga Giasone!
Il figlio biondo di Zeus, al fianco di Perseo, sorrise. Gli occhi azzurri scintillarono di divertimento. – Puoi farcela con un grecus. Con un figlio di Roma è praticamente impossibile.
Perseo si voltò di scatto verso di lui. – Fratello, dici sul serio? Era un'offesa bella e buona questa! – scherzò il figlio di Poseidone, battendogli una mano sulla spalla.
Un brivido scosse il corpo di Sofia per intero, costringendola a stringere i pugni dietro la schiena per nascondere il tremore.
Chirone, al suo fianco, batté uno zoccolo contro al lastrico, richiamando l'attenzione perduta dei semidei. – La cena è terminata –. Il suo assalto dimenticato davanti alle battute dei guerrieri. – Tutti nei vostri alloggi – ordinò mentre i satiri, in un secondo, si mettevano in fila.
Le schiave iniziarono a raccattare le ceramiche da sopra ai tavoli.
- Sei già un pretore. Vuoi anche avere uno sguardo da lupo migliore del mio? – sentì Giasone dire sotto al clangore delle lame ed al rumore dei passi dei semidei che si muovevano verso l'esterno del padiglione. – Lascia almeno qualcosa per me!
Pretore.
L'unico figlio di Poseidone.
Capo del Campo.
Figlio di Roma.
- Stai bene?
Sofia ci mise un attimo per rendersi conto che Leo stesse parlando con lei. Sollevò un braccio nella sua direzione come se avesse voluto toccarla ma gli bastò guardarla negli occhi per un solo istante per desistere.
- Stai bene? – le domandò ancora.
- Nestor è un idiota – disse l'altro figlio di Efesto, quello che l'aveva protetta per primo, affiancando il fratello. Con la luce delle torce alle sue spalle, la sua pelle le parve ancora più scura.
Leo sollevò le sopracciglia. – Si, ma è un idiota con una spada e la magia di sua madre. Il che lo rende pericoloso – poi, un secondo dopo, sorrise come se si stesse divertendo un mondo o come se Sofia avesse appena fatto la battuta migliore del secolo. – Scegli bene i tuoi nemici – fece ironico, indicandola col pollice, voltandosi verso il fratello. – Mi piace lei!
Il fratello sorrise, scuotendo mesto il capo, ormai rassegnato. – Io sono Carlo – le disse, allungando una mano verso di lei.
Sofia esitò. Guardò le dita forti tese verso di lei per qualche istante prima di stringerle. Il palmo del ragazzo, contro al proprio, era ruvido e bollente come se avesse lasciato la fucina ed il martello da lavoro solo da qualche secondo.
- Se qualcuno dovesse darti fastidio quando ci sono io nei paraggi, puoi stare tranquilla – le promise con occhi gentili. – Non che tu ne abbia bisogno da quel che ho visto.
Leo roteò gli occhi al cielo, sbuffando. – Smettila di cercare di prendertele sempre tutte. Tu sei già fidanzato. Io sono Leo. Sono la persona più attraente che troverai nei paraggi e sputo fiamme dalle mani – sembrò pensarci per un secondo mentre spostava, senza troppi complimenti, la mano di Carlo via da quella di Sofia, stringendogliela. – Il che mi rende molto più interessante di mio fratello.
Suo malgrado, Sofia non riuscì a trattenere un sorriso. – Grazie – si limitò a dire, lanciando poi uno sguardo oltre le spalle dei semidei, verso le schiave che stavano riordinando senza di lei. – Devo andare adesso – si scusò quasi, corrugando la fronte quando si rese conto che, in realtà, congedarsi da quei due figli di Efesto le dispiacesse per davvero.
Gli occhi dei ragazzi si adombrarono, come se si fossero improvvisamente sentiti in colpa. – Certo – disse Carlo sorridendole con i denti che risaltarono, bianchissimi, contro la pelle scura. – Buonanotte..
- Annabeth – disse Sofia, venendogli incontro.
- Annabeth – saggiò Leo tra le labbra, muovendo un passo all'indietro. – Bel nome Annabeth – decise, rivolgendole un ultimo sorriso. – Buonanotte! – esclamò poi, incamminandosi fuori dal padiglione assieme al fratello.
Solo a quel punto Sofia si permise di abbassare le spalle mentre prendeva un respiro
***
Atena lanciò lo scudo attraverso la Sala dell'Olimpo. Cozzò con forza contro l'armatura di Ares che, per l'impatto, rovinò a terra in un tonfo metallico.
L'arma le ritornò velocemente tra le mani e la dea si affrettò a sistemarselo al braccio, brandendo con forza la sua lancia.
- Avevamo detto di non metterci in mezzo, Ares! – tuonò. – E tu sveli l'Oracolo e rubi una delle epidemie di Apollo!
Il dio della guerra di rialzò da terra in un secondo, estraendo la spada dal fodero che, avvolta da una luce rossastra, sembrava riflettere la rabbia dell'immortale. – Non osare farlo di nuovo, Atena – la redarguì furente, ottenendo però, dalla dea, un verso di furioso scherno.
- Mia figlia è prigioniera dei tuoi stupidi protetti – sibilò.
Ares scoppiò a ridere, gettando la testa all'indietro e scoprendo meravigliosamente il collo, per poter essere tagliato, in direzione di Atena. – Di che ti preoccupi? La tua pargoletta è col figlio di Poseidone – disse, indicandolo col pollice. Il dio del mare, seduto sul suo trono, non ebbe alcuna reazione. Si limitò a spostare gli occhi verdi sul nipote. – Sono certo che si divertiranno. – Continuò Ares.
Afrodite, vicino a lui, non trattenne un melodrammatico sospiro. – Che battuta squallida, Ares. Poseidone ha dato vita ad un ragazzo meraviglioso. È talmente bello che potrebbe facilmente essere mio figlio.
Atena ignorò il verso infastidito di Dionisio che, incurante di avere il padre del ragazzo vicino, iniziò ad inveirgli contro. Lui e tutto il resto di quei "stupidi semidivini mortali". La rabbia le divampò nel petto e batté con forza la lancia a terra.
Il marmo della Sala dell'Olimpo tremò per l'impatto e quando la scagliò verso Ares, il dio non fu veloce abbastanza da impedire che gli si potesse conficcare nella spalla.
Rovinò a terra tra i sussulti degli dei attorno a loro ma non fece in tempo ad alzarsi. Atena gli piombò sul petto, le ginocchia contro il suo corpo, tenendolo bloccato al terreno mentre, con estenuante lentezza, rivoltava la lancia nella spalla.
Ares sussultò, digrignò i denti mentre lingue di icore gli colavano lungo la spalla ed il braccio, allargandosi sul pavimento. Atena si chinò su di lui, il volto a pochissimi centimetri da quello del dio della guerra, vicino abbastanza da poter sentire il respiro affannato di dolore sulla pelle.
- Se succede qualcosa a Sofia, Ares – sibilò, in un sussurro, – farò in modo che la tua stessa esistenza ed essenza scompaiono nel nulla fino a che, di te, non rimarrà neanche il più piccolo brandello di ricordo.
Angolo Autrice:
Ciao Fanciulli!
Come va?
Ho pensato di aggiornare in anticipo perché domani c'è L'ordine della Fenice su Italia Uno e visto che è il mio preferito tra i libri, non voglio perdermi neanche un secondo del film ehehehe l'appuntamento poi rimane sempre per lunedì ma per questa settimana ho deciso diversamente.
Quindi, eccovi la seconda parte del secondo capitolo. Ho introdotto Leo, Jason, Clarisse e Beckendorf ai quali ho dovuto -malauguratamente- cambiare i nomi per rendere tutto un po' più verosimile!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che continuerete a rimanere con me durante questa nuova storia.
Lasciatemi un parere se vi va:)
Vi voglio bene e ci vediamo prestissimo!
Un bacio,
Eli:*
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