Fatale (parte 1)

Perseo le lanciò lo skypthos che Sofia prese al volo prima che potesse atterrarle dritto in faccia. Lo fulminò con lo sguardo ed il ragazzo in tutta risposta, le regalò un sorriso furbo mentre gli occhi verdi scintillavano ilari.

Quella mattina, esattamente come quella precedente e quella precedente ancora, aveva cercato altri modi per ucciderla e farlo passare come un incidente, come se farla scalare sulle pareti d'arrampicata che avrebbero fatto impallidire il dio Ade in persona non fosse già stato abbastanza.

Quella mattina, dopo essere andata a prenderla in camera con il solito pezzo di pane (che Sofia continuava a lasciare accanto al letto di Euleia) e l'orzo (che aveva ovviamente bevuto), l'aveva nuovamente portata dentro l'Arena dei combattimenti.

La prima mattina che Sofia vi era entrata, si era presa almeno una trentina di secondi per osservare l'enorme spazio all'interno del quale si trovava, più grande di qualsiasi Arena avessero ad Atene e ben diversa dalla struttura alla quale era abituata, considerato che le sponde dell'edificio, che normalmente avrebbero presentato gli spalti, erano invece occupate da armi di qualsiasi tipo che ne facevano il giro completo.

Ogni porzione dell'Arena era abbastanza grande perché non disturbasse quella che aveva vicino, un lato con delle catene che penzolavano a tre metri da terra, un altro con dei fantocci di legno, un altro in sabbia per i combattimenti a corpo libero, uno per quelli con la spada e la curva opposta all'ingresso con i bersagli per il tiro con l'arco. Perseo aveva gongolato sulla bravura degli architetti spartani per almeno un minuto intero, fino ache Sofia non aveva saggiamente deciso di lanciargli addosso una ciotola d'acqua e lui aveva finalmente capito l'antifona.

Per vendicarsi, le aveva fatto passare la mattina intera a dondolarsi tra una catena e l'altra, ingoiando maledizioni di ogni tipo mentre si spaccava i palmi e scivolava a terra cadendo sulle ginocchia una volta e storcendosi una caviglia un'altra. Quella mattina, dopo avergliene fatte passare due appesa a quelle odiose catene, aveva deciso di farle prendere a pugni i manichini di legno e mentre Sofia sudava e si riempiva di schegge,lui stava a guardare urlandole cosa fare.

Ovviamente, lei era arrivata alla conclusione quella fosse una forma tutta nuova di sadismo e Perseo meritasse una punizione nell'Ade specificamente per lui ma non glielo aveva detto, limitandosi a fulminarlo con lo sguardo mentre lui continuava a rivolgerle quel sorriso furbo da combina guai.

Sofia si guardò la mano sinistra orribilmente ricoperta di schegge ed un po' sanguinolenta e roteò le spalle, flettendo le dita un paio di volte mentre tentava di rilassare i muscoli doloranti.

- C'è un po' di nettare dentro l'acqua – disse Perseo, spingendola a spostare lo sguardo su di    lui in quel momento. Le sorrise privo della solita furbizia che continuava a rivolgerle, poi fece un cenno col capo. – Le mani guariranno in un attimo.

Sofia si portò lo skyphtos alle labbra, sentendo mentre beveva, il sapore del miele che aveva il    nettare. Ne bevve giusto un paio di sorsi, posando poi lo skypthos sul tavolo. Il nettare e l'ambrosia erano il cibo degli dei. Permettevano a loro mezzosangue di guarire in pochi minuti ma, se mai avessero deciso di abusarne, avrebbero letteralmente preso fuoco e per quanto la sua vita fosse stata un disastro fino a quel momento, sentiva di avere ancora parecchie cose da fare.

- Oggi che lezione farai? – domandò Perseo, sedendosi poi a terra sulla sabbia dell'Arena,    abbracciandosi blandamente le ginocchia con le braccia.

Sofia si sforzò di trattenere un sorriso, facendo un solo passo in avanti mentre si sedeva, comunque lontana dal ragazzo. Incrociò le gambe, portando una mano sul coltello nascosto sulla vita. – La sentirai con tutti gli altri – rispose, lanciando poi uno sguardo verso al cielo che, lentamente, lasciava spazio alle prime luci dell'alba.

- Oggi non ci sarò – le disse, spingendola ad abbassare gli occhi su di lui. – Quindi devi    raccontarmi qualcosa adesso – poi sorrise. – Spero tu abbia qualcosa di tanto divertente quanto le avventure di Ares ed Afrodite – scosse la testa senza trattenere una risata. – Miei dei se hai sconvolto qualcuno dei ragazzi. Avresti dovuto vedere i loro figli alla lezione dopo.

Sofia sollevò nuovamente il capo verso al cielo, concedendosi in un sorriso solo in quel momento prima di riacquistare serietà ed abbassare il volto. – Dovevano saperlo.

- I figli di Efesto di sicuro. Ma i figli di Ares ed Afrodite, miei dei, Annabeth! – esclamò in una    risata. – Avranno per anni l'immagine dei loro genitori nudi ed avvinghiati davanti a tutti gli dei.

Sofia aprì una mano sul suo coltello, abbassando il capo mentre un sorriso minacciava di spuntarle sulle labbra. – Nessun dio è invulnerabile ad episodi traumatici. Ne    hanno tutti avuto un po'.

Perseo fece un cenno d'assenso col capo, poggiandosi poi all'indietro sulle mani. – Suppongo di sì. È stato bello sentire la storia di Ade – confessò, spingendo  Sofia a voltarsi di scatto verso di lui. – è stato l'unico.. è stato..

- Umano? – tentò Sofia, sollevando un solo angolo delle labbra mentre guardava un punto oltre la spalla di Perseo, chiudendo le gambe e portandosele al petto.

Perseo ci pensò un attimo prima di muovere la testa in assenso. – Si. È stato l'unico umano. Tutte le figlie di Afrodite adesso non fanno altro che gironzolare dietro a Nico, l'hai notato? – le domandò e Sofia annuì, osservando il chitone logoro tirato sulle ginocchia.

Un'enorme parte di lei le suggeriva il figlio di Ade avesse ben altri piani per sé stesso ed il suo futuro amoroso, poi osservò Perseo e si chiese se il ragazzo l'avesse capito. Da quanto tempo si conoscevano lui e Nico? Probabilmente erano anni e solo un cieco non si sarebbe accorto di qualcosa di così evidente.

Guardò ancora Perseo, accomodato sui palmi delle mani con le gambe allungate e le caviglie incrociate sulla sabbia. Quel ragazzo dava l'impressione di saper riconoscere il punto debole di un nemico nel giro di una sola occhiata ma non una storia d'amore quando ce l'aveva davanti.

- Allora? – domandò poi il ragazzo, rubandola ai suoi pensieri e facendola quasi sussultare. – Cosa racconterai oggi?

Sofia ovviamente ci aveva già pensato ma aspettò un paio di secondi prima di rispondere. – Ho finito le storie sugli dei, quindi posso iniziare dagli eroi.

- Posso farti una lista delle imprese alle quali ho partecipato.

Sofia roteò gli occhi al cielo, allentando la prese sulla gambe e lasciando che scivolassero un po'    sulla sabbia. – Oggi avrei iniziato con Achille.

Perseo corrugò la fronte. – Vuoi fare la guerra di Troia?

Sofia corrugò la fronte, sollevando le spalle. – Dopo, forse. In realtà volevo fare Achille per il    suo difetto fatale.

Perseo si sistemò meglio sulla sabbia, guardandola improvvisamente con più attenzione. – Intendi il suo tallone?

Sofia scosse il capo. – Non solo quello. Intendo il suo difetto fatale. Tutti noi semidei ne abbiamo uno ed Achille ne è un po' un emblema assieme ad Ulisse – si strinse nuovamente le gambe al petto, guardando un punto fisso davanti a sé, premendosi con forza le dita contro le ginocchia. – Achille, be', lui era invincibile, giusto? Era il guerriero più    forte del mondo, l'arma non poi così tanto segreta degli spartani ma a lui non interessava quella guerra. Ad Achille non importava    combattere contro Troia.

- Era un semidio. Probabilmente aveva solo bisogno di non stare fermo – la buttò lì Perseo,    strappandole un minuscolo sorriso.

- Achille partecipa alla guerra di Troia perché aveva un unico obbiettivo, vivere per sempre. L'unico modo per poter vivere per sempre, l'unico che abbiamo, è attraverso il ricordo. È per questo che gli imperatori, i re, fanno costruire enormi templi, palazzi e colonne. Perché è l'unico modo che hanno per non morire ed Achille non ha una statua ma ha delle storie che raccontano le avventure del guerriero più formidabile del mondo. Ed    è questo che ha fatto Achille. – disse, allentando nuovamente la presa sulle gambe che scivolarono leggermente sulla sabbia, libere    dalla costrizione delle braccia. –  Ha combattuto da solo ed ha combattuto per sé stesso perché la gloria era l'unica cosa che    cercava, perché la fama era ciò che più gli importava. Non gli interessava davvero vendicare Sparta, lui voleva solo che tutti gli    occhi fossero su di lui e quando il re Agamennone rapisce Briseide, la sua amante, e lui si rifiuta di combattere per dieci giorni e    Sparta inizia a perdere – fece, lasciando finalmente cadere le gambe a terra, – lui raggiunge esattamente il suo obbiettivo,    capisci? – si sollevò sulle ginocchia. – Lui è indispensabile per un esercito intero, Perseo. Un esercito intero ed è esattamente ciò che dimostra non combattendo per dieci giorni e ribaltando completamente, almeno per quel periodo, le sorti di una guerra. Ha avuto l'arroganza di mostrare ad un esercito intero che nessuno, nessuno avrebbe mai vinto una guerra senza di lui ed è la sua stessa arroganza che l'ha spinto ad entrare in guerra e che l'ha poi portato a morire durante quella stessa guerra – fece, sistemandosi sulle ginocchia solo per potercisi sollevare. – Ma Achille lo sapeva. Achille lo sapeva che sarebbe morto perché dopo che Ettore ha ucciso Patroclo, niente    aveva più senso per lui. Achille era già morto assieme a Patroclo e la guerra gli spartani l'hanno vinta quando Achille ha distrutto la colonna portante della città di Troia, Ettore. E – continuò, – ecco il difetto fatale di Achille. L'arroganza di potercela fare da solo e di essere invulnerabile, senza tener conto di quella    minuscola porzione del suo tallone sinistro che ne ha causato la morte. – Guardò Perseo dritto negli occhi. – Capito perché Achille? Perché Achille aveva due difetti fatali ma quello che l'ha ucciso non è stato il suo tallone, è stato quello intrinseco alla sua personalità. Era iracondo, orgoglioso, arrogante. Cercava soltanto la gloria e l'ha avuta ma è morto solo.

Quando Perseo non rispose, Sofia si rese finalmente conto di ciò che era appena accaduto. Era in piedi sulle ginocchia davanti a Perseo nel suo chitone logoro, talmente presa dalla sua storia che neanche si era accorta di quanto fosse esposta. Si sedette prontamente a terra, abbracciandosi le ginocchia strette con le braccia, osservando una spada che, nella parete    difronte a lei, luccicava sotto ai primi raggi del sole.

- Come si fa a scoprire un difetto fatale? – domandò Perseo, spingendola ad osservarlo con la coda dell'occhio.

Sofia corrugò la fronte. Possibile fosse la prima volta che ne sentiva parlare? – Non lo so. Credo succeda e basta. Ma non lo chiamano fatale per niente.

Perseo raddrizzò la schiena, ritirando le gambe a sé. – è una storia interessante. Oggi vado in mensa col cuore più leggero – l'espressione rilassata ed il sorriso furbo gli tornarono sul volto in un attimo e si alzò da terra, spazzolandosi il chitone con le mani. – Grazie mille, Annabeth per le future settimane che passerò cercando il mio difetto fatale come se non ci fossero abbastanza cose che possono    potenzialmente uccidermi. – Sofia si alzò da terra, trattenendo un sorriso divertito davanti al suo sarcasmo. – Adesso andiamo che tutto questo parlare di morte mi ha messo fame.

***

Non era stato facile convincere le schiave lei avesse i mezzi per potergli almeno insegnare come non farsi ammazzare nel giro di qualche istante. Per la maggior parte,erano troppo stanche, troppo avvilite, private della loro stessa identità perché avessero voglia di opporsi a ciò che era il loro destino, ma qualcuno ancora aveva voglia di proteggersi. E qualcuno ancora le credeva quando Sofia prometteva avrebbe trovato un modo per farle fuggire.

Aveva un velo dell'invisibilità ed un coltello. Doveva solo capire come fare per poterli usare al fine di permettere alle schiave di scappare il più lontano possibile senza lasciare traccia.

Paura e amore avrebbero determinato la sua sorte, diceva la profezia. La profezia diceva anche che lei avrebbe sradicato la monarchia ma in quel momento, chiusa in una stanza troppo piccola per tutte le persone che ospitava e col chitone che, giorno per giorno, era sempre più logoro, niente era più lontano da lei della politica.

- Cosa facciamo però se un uomo ci sta affrontando con una spada e noi siamo disarmate? – domandò Maia, schivando un pugno di Euleia, colpendola al ginocchio con un    calcio e strappandole un urlo di dolore e sorpresa.

Sofia si costrinse a trattenere un sorriso davanti alla scena. Maia aveva a malapena sedici anni ma, tra tutte le schiave, era quella che combatteva con più ardore.

Quella domanda attirò l'attenzione delle altre che stavano combattendo, spingendole a voltarsi verso Sofia che, di spalle alla porta d'ingresso, rilassò le dita inconsapevolmente chiuse in due pugno.

- Cercate di correre il più velocemente possibile – rispose onesta, spostandosi poi    velocemente in avanti quando, con uno scatto, sentì la porta aprirsi alle sue spalle.

Due giovani spartani erano sulla soglia con l'espressione corrucciata di chi vorrebbe essere ovunque meno che lì, a fare da balia a dalle schiave sporche e malnutrite. – Tutte fuori – ordinò uno dei due perentorio, spingendo Sofia a corrugare la fronte mentre le schiave si mettevano in fila.

- Perché? – domandò Maia alle spalle di Sofia mentre lei li guardava in controluce.

- Da quando le puttane fanno domande?

Sofia strinse i pugni con forza, assottigliando le palpebre mentre lo guardava. Osservò il disegno che aveva sul petto dell'armatura. Normalmente i figli di Morfeo erano ragazzi tranquilli, con gli occhi gonfi per il sonno anche se passavano la maggior parte del tempo a dormire ma quello che aveva difronte era un'enorme montagna di cacca di Pegaso.

Delle dita fredde e delicate le avvolsero il polso, spingendola a voltarsi solo per poter trovare    Euleia al suo fianco. La guardò, con gli occhi castani che le ricordarono ci fosse una battaglia più grande per la quale combattere e quando la ragazza fece scivolare la mano nella propria,    Sofia gliela strinse naturalmente. Si diressero poi assieme verso chissà dove, seguendo il figlio di Morfeo mentre l'altro spartano chiudeva la fila.

Sofia sentì le frecce sibilare, scagliate dai ragazzi che stavano venendo allenati dai figli di    Apollo. Il cozzare del legno dei gladi mentre altri si allenavano. Vide i figli di Afrodite librarsi in volo in groppa ai loro Pegasi mentre le ninfe, direttamente dal bosco, passeggiavano con dei guerrieri più grandi, lasciando dietro di loro scie di foglie.

Sotto la luce del sole, ed immerso in tutta quella vita, Sofia si ricordava il perché il Campo Mezzosangue fosse così ambito da tutti.

In lontananza, vide delle scintille liberarsi da un gruppo di quelli che dovevano essere figli di Ecate, trasformandosi rapidamente in colombe, gli animali sacri alla loro madre. Vide persino Talia e Giasone che, affiancati da due lupi bianchi a sfiorargli i fianchi, camminavano vicini. Giasone ne sfiorò uno tra le orecchie, affondando le dita sotto al pelo lungo, sorridendo mentre chiacchierava con la sorella.

Se Euleia non l'avesse fermata, Sofia si sarebbe di sicuro sbattuta contro al figlio di Morfeo che, contro ogni previsione, aveva deciso di fermarsi davanti al lago. La superficie baluginava sotto alla luce del sole e, allungando lo sguardo, vide gli occhi di due naiadi sbucare timidamente sotto al pelo dell'acqua, sollevando poi una mano per poterle salutare.

Sofia spostò lo sguardo verso la parete delle arrampicate. Si era appena aperta. Perseo le aveva spiegato ci fossero delle insenature lungo al muro fatte a posta per potervisi infilare e dovevi solo essere abbastanza veloce da trovare quei punti prima di finire schiacciato. La sua attenzione si spostò dai ragazzi che si inerpicavano lì sopra, alla cima. Dal basso    sembrava lontanissima ed anche la prima volta che si era arrampicata, raggiungerla le era sembrato un ostacolo insormontabile. Aveva rischiato di morire persino più volte di quanto non le piacesse ammettere ma la vista che le aveva regalato quell'altezza era valsa la fatica e la paura.

Si lasciò quasi scappare un sorriso al ricordo.

Poi tornò in sé. Guardò il lago e le naiadi affiancate da ippocampi che luccicavano sotto al sole che sollevavano il busto fuori dall'acqua.

Volevano affogarle per caso?

- Che succede? – sussurrò Euleia al suo fianco, talmente piano che Sofia quasi non riuscì a sentirla.

Scosse la testa. Non ne aveva idea ma aveva sempre il suo coltello.

- Ci hanno ordinato – cominciò il figlio di Morfeo voltandosi verso di loro, parlando con una noia tale che Sofia ebbe voglia di dargli un bel pugno in un occhio. – Sia ora di farvi fare un bagno. Quindi toglietevi quegli stracci ed    andate pure in acqua.

Un brusio eccitato si sollevò dalle ragazze. Sofia si voltò a guardarle mentre, incredule, con gli occhi che brillavano per l'emozione, facevano volare gli occhi l'una sull'altra, iniziando timidamente ad abbassare le spalline dei loro chitoni, ancora indecise se fosse o meno uno scherzo.

Sofia guardò il figlio di Morfeo davanti a lei. Era solo annoiato. Teneva le braccia incrociate con le mani lontane dalla spada appesa al fianco. Sembrava osservare le naiadi al centro del lago ma in realtà, si accorse, aveva lo    sguardo fisso su un punto indefinito. Un pegaso sopra di lei nitrì ed il vento provocato dalle sue ali che sbattevano le accarezzò il    volto.

Corse verso il lago senza liberarsi dei vestiti, senza aspettare Euleia o qualunque altra delle schiave. Si liberò dei calzari quasi senza fermarsi e quando l'acqua gelida le sferzò le caviglie, trattenne il respiro senza esitare, un attimo prima di tuffarsi.

Sofia era sempre stata abituata al sapore salato del mare e quando l'acqua dolce del lago le arrivò alle labbra, sorrise, aprendo gli occhi mentre cominciava a nuotare.

I capelli le sfiorarono la schiena mentre, muovendo braccia e gambe, andava sempre più affondo e sempre più lontana. Ignorò il petto dolorante per la mancanza d'aria, spingendosi il più possibile, sussultando quando, in un    movimento improvviso di correnti, l'affiancò una naiade. Sofia la osservò salutarla, prima di arrendersi alla necessità d'aria, dandosi una spinta con le gambe per poter salire in superficie più velocemente. Quando la naiade le posò le mani contro le piante dei piedi, Sofia ritrasse le gambe contro al petto.

Sentì su di sé il peso dell'acqua, la morsa di dolore e la necessità di respirare sempre più forte. Riprese a battere le gambe ma la naiade le toccò i piedi ancora una volta, riuscendo a spingerla prima che Sofia potesse ritrarli e fu a quel punto che capì, voleva aiutarla.

Non si preoccupò neanche di muovere le braccia per poter risalire più velocemente. La naiade la spinse in un istante e lei infranse la superficie anche prima di rendersene conto, prendendo una boccata d'aria senza trattenere un sorriso.

Si sciolse la treccia che le teneva i capelli bloccati all'indietro, passandovi poi le dita in mezzo.

- Tu sei ateniese, vero? – domandò la naiade, sbucando dalla superficie al suo fianco in quel momento, senza spaventarla.

Sofia la osservò.

Era abituata alle nereidi che appartenevano al mare. Sembravano fatte della stessa essenza    dell'acqua una volta che vi erano sotto ma quando uscivano in superficie, i tratti diventavano più umani. Solo i capelli e gli occhi luminosi ne tradivano le sembianze che, altrimenti, sarebbero state perfettamente umane.

Gli occhi della naiade erano verdissimi esattamente come quelli delle più familiari nereidi, quasi privi di bianco, come se l'intero occhio avesse avuto spazio solo per l'iride brillante.

- Come hai fatto a capirlo? – domandò Sofia, corrugando la fronte mentre la guardava.

La naiade sollevò le spalle, sorridendole. – Sei abituata all'acqua. Io lo vedo – affermò. – Anche se non alla mia. Le mie cugine sono molto meno simpatiche di noi, comunque – borbottò poi, quasi offesa al pensiero delle nereidi.

Sofia sorrise. Non aveva tutti i torti, comunque. Le nereidi si limitavano ad osservare chiunque    entrasse in mare da lontano. Era poi impossibile che, come quella naiade, si fermassero a parlare con qualcuno.

- Se mai tornerò ad Atene, lo farò presente.

Lo sguardo della naiade si fece improvvisamente più cupo, triste e Sofia si chiese se non avesse detto qualcosa di male o di sbagliato al punto tale da ferire una creatura così pura.

- Una volta che entrano qui – parlò quasi tra sé, come se si fosse dimenticata della presenza di Sofia. – Nessuno torna a casa.

E poi, in un battito di ciglia, scomparve sotto al pelo dell'acqua, lasciando Sofia al centro del    lago con un incredibile dolore al petto.

Avrebbe voluto farlo anche lei. Sparire sotto la superficie del lago e far finta che il suo destino    non fosse segnato dai giramenti di capo di qualche spartano o da una stupida profezia.

Poi qualcosa la spinse dalle spalle, spingendola a voltarsi di scatto solo per potersi trovare davanti un ippocampo che baluginava di mille colori sotto ai raggi del sole. Nitrì nella sua direzione e poi le diede un colpo col muso ancora una volta, strappandole un sorriso.

La flotta di ippocampi ateniese era tra la più folta e ricca dell'intero Peloponneso. Lei e Paralo facevano a gara quando erano bambini, cavalcandoli fino al porto, anche se l'ultimo che arrivava non aveva mai una penitenza vera.

Sorrise, accarezzandolo sul muso che l'ippocampo spingeva delicatamente verso di lei, scuotendo la coda di pesce per l'eccitazione. Poi tentò di spostarla su un fianco. – Ciao – gli disse Sofia, – mi vuoi dare un passaggio? –  domandò, intuendo così i movimenti dell'animale che mosse il muso in assenso, nitrendo. Sofia sorrise ancora, sistemandosi al suo fianco ed abbracciandoli il capo, un attimo prima che l'ippocampo potesse iniziare a muoversi, portandola in un battito di ciglia dalle altre schiave.

- Grazie – lo salutò Sofia. – Scusami se non ho delle mele con me. Gli ippocampi di Atene le    adoravano –. L'animale nitrì triste, nuotandole attorno un attimo prima di sparire sotto la superficie dell'acqua e chissà dove nel mare.

Gli ippocampi potevano viaggiare in qualsiasi zona d'acqua e Sofia osservò il punto dal quale era sparito, dando le spalle alla riva ed alle schiave che si lavavano vicino a lei.

- Si chiama Arcobaleno –. Non ebbe bisogno di voltarsi subito per riconoscerne la voce e quando lo fece comunque, gli occhi verdi vicino all'acqua sembrarono un po' più luminosi. – è l'ippocampo preferito di mio fratello. Era molto dispiaciuto tu non avessi delle mele per lui.

A Sofia quasi sfuggì un sorriso alle parole di Perseo, corrugando poi la fronte per la confessione le avesse appena fatto. Il ragazzo si grattò la nuca. – Mio fratello, Thyrsos. È un ciclope. Sta nelle fucine con mio padre per la maggior parte dell'anno ma ogni tanto viene a trovarmi. Gli piacciono tantissimo gli ippocampi – le spiegò, sorridendo fino agli occhi senza neanche rendersene conto. – Piacciono anche a te gli ippocampi a quanto pare – fece poi, cambiando discorso e muovendo un paio di passi più vicino a lei ed alla riva.

Il chitone di Sofia le si era appiccato al petto ed il coltello, nascosto due veli attorno alla vita, era ormai evidente. Perseo sapeva della sua arma ma non lo sapevano gli altri due spartani lì attorno. Incrociò i polsi sullo stomaco, scuotendo lievemente il capo all'indietro. – Ad Atene ne    abbiamo una flotta intera – disse poi Sofia, lasciandosi scappare un piccolo sorriso. – Con alcuni ci giocavamo anche.

Si schermò gli occhi dai raggi del sole alle spalle di Perseo. – Si vedeva. Ad Arcobaleno sei    piaciuta molto. Certo, non quanto mio fratello, ma quasi direi –. Le sorrise ancora. – Com'è andata la lezione? Hai traumatizzato i ragazzi quanto hai traumatizzato me? – le chiese divertito e Sofia si trovò costretta a trattenere l'ennesimo sorriso.

Le mani, ferme sullo stomaco, ebbero uno spasmo verso Perseo, costringendola a chiuderle entrambe in due pugni. – Avevano dodici anni e l'hanno presa meglio di te.

Perseo fece un verso di scherno, roteando divertito gli occhi verdi. – Come no. Prendimi pure un    giro – disse, indicandola con un dito. – Aspetta che esercizi ti farò fare domani mattina – la minacciò il ragazzo mentre Sofia serrava le labbra, tentando di trattenere un sorriso.

Perseo si lanciò un'occhiata alle spalle prima di guardarla con un sorriso quasi di scuse. – Devo    andare. Goditi il bagno, però! – la congedò, lasciandola lì.

Sofia corrugò la fronte mentre si voltava verso il centro del lago, ignorando quella strana morsa che aveva iniziato a stringerle lo stomaco da quando Perseo era andato    via.

Poi Euleia la schizzò, attirando la sua attenzione con una risata.

- Come hai osato?! – esclamò divertita, schizzandola a sua volta.

Era fame.
Era di sicuro fame.

Gli spartani non le lasciarono troppo tempo a godersi il lago e una volta uscite, il resto delle schiave era stato costretto a coprirsi malamente con i chitoni che avevano abbandonato sulla riva. Sofia era l'unica ad essere ancora coperta e l'unica che gli spartani guardavano con insistenza.

Non si sarebbe mai spogliata davanti a loro. Almeno non volontariamente.

Quando entrò in camera, preceduta dalle sue compagne, un mormorio eccitato attirò la sua attenzione,spingendola ad accelerare il passo quasi inconsapevolmente. Vide le altre schiave che, arrivate alle loro brande prima di lei,sollevavano dei chitoni nuovi di zecca, bianchi e persino profumati.

Sofia sbarrò gli occhi, osservando tutte le schiave che, indipendentemente dal ruolo che avrebbero ricoperto quella sera, avevano comunque un vestito nuovo.

- Oh miei dei! – esclamò Euleia arrivando al letto prima di lei, lasciando cadere a terra il chitone    raggomitolato tra le braccia che l'aveva coperta fino a quel momento, sollevando quello nuovo davanti agli occhi. – Senti che tessuto! E che profumo! – esclamò, scambiando qualche altro complimento assieme ad altre schiave.

Quando Sofia arrivò davanti al suo letto, sfiorò il suo nuovo chitone con la punta delle dita    delicatamente e quando vi aprì la mano sopra, si dovette trattenere dal ritrarla.

Poi lo sollevò per le spalline, spiegandolo sopra al letto. Aveva anche un nuovo velo che le avrebbe fatto da cintura anche se lei avrebbe continuato ad usare il proprio dell'invisibilità.

Lo tenne lontano dal petto per evitare che si bagnasse col chitone logoro che ancora indossava e quando lo posò sul letto, corrugò la fronte alla vista di un foglietto caduto sulle coperte.

Era forse tra il chitone? Non si ricorda d'averlo visto una volta arrivata davanti al proprio letto.    Poi se lo rigirò tra le dita, corrugando la fronte quando vide il disegno che qualcuno vi aveva realizzato con uno stilo.

Era il profilo stilizzato di un'onda.

***

Sofia spalancò gli occhi immersa nel buio più totale. Aveva il collo, le giunture delle ginocchia e dei gomiti sudati e si girò su un fianco, poggiando entrambe le gambe al muro. Per un attimo riuscì a trarne del sollievo ma durò troppo poco perché potesse essere in grado di prendere nuovamente sonno.

Si girò ancora. La luce tenue dei bagni condivisi filtrava timidamente da sotto alla porta, spingendola ad alzarsi per poter cercare lì un po' di fresco.

Conosceva il dormitorio a menadito ormai e seppur il suo sguardo non fosse ancora abituato all'oscurità,lei camminò sicura, evitando abilmente i letti delle altre schiave fino alla porta.

La spinse delicatamente, aprendola il necessario per poter entrare. Socchiuse gli occhi per la luce improvvisa, non capendo subito a cosa collegare quei gemiti soffocati che le risvegliarono i sensi dopo un solo istante.

Forse era più stremata di quanto si sarebbe aspettata perché quei suoni avrebbe dovuto sentirli da prima di spingere la porta per entrare. Vide Aphia contro al muro,avvinghiata al corpo scarno e coperto da un chitone troppo logoro per poter essere uno spartano e non uno schiavo. Gli stringeva le spalle ed il collo con le braccia mentre l'uomo spingeva il bacino contro di lei. Aphia, con gli occhi chiusi -no, socchiusi- si reggeva a lui. Il volto che era una maschera di piacere.

Sofia uscì velocemente dal bagno,chiudendosi la porta alle spalle il più delicatamente possibile nonostante la fretta, piombando nel buio più totale e spaesata più del dovuto.

Il cuore le martellava le orecchie e quando si portò le mani al volto, lo scoprì bollente.

Prese un sospiro. – Oh miei dei –mormorò a voce talmente tanto bassa che a malapena riuscì a sentirsi, poggiando poi la schiena al muro senza riuscire a sentirne il fresco.

Non era completamente ingenua.

Anche se suo padre sia ben premurato di tenerla il più nascosta possibile, concedendole di uscire solo affiancata dai fratelli o da Kyros, Sofia aveva iniziato a farle a loro le domande quando la curiosità aveva iniziato a farsi sempre più insistente. Nonostante la sua casa ad Atene avrebbe dovuto impedirle di provare troppa curiosità, lei era sempre stata piccola abbastanza per nascondersi senza essere vista e veloce abbastanza da poter fuggire via.

In più, aveva il suo velo dell'invisibilità.

Non farsi vedere era la sua specialità.

Aveva visto due servi una volta, un uomo ed una donna, avvinghiati come lo erano Aphia e quello schiavo,nelle loro stanze. Solo che loro erano completamente senza vestiti e,a sette anni, lei aveva visto e sentito tutto quello che c'era da vedere e sentire.  I loro volti, contratti da quello che solo dopo aveva capito fosse piacere ed i gemiti soffocati, le avevano a lungo tormentato i pensieri ma lei si era ben vista dal fare troppe domande alla sua famiglia.Il fatto che si fossero nascosti le aveva giustamente suggerito avrebbe dovuto mantenere il segreto.

Aveva chiesto a Kyros solo parecchi anni dopo, quando quel ricordo era tornato a galla passeggiando tra i giardini della sua casa e scorgendo due uomini avvinghiati come lo erano quei due servi anni, con i volti contratti – e a quel punto aveva capito- di piacere

Due anni prima, era stata Aspasia a parlarle del sesso. Era in età da marito a detta sua. Avrebbe dovuto sapere tutto quello che c'era da sapere anche se suo padre non le aveva mai permesso di conoscere nessuno.

La prima volta le avrebbe fatto male ma poi sarebbe stato tutto più facile e persino più bello.

Aveva chiesto ad Aspasia,nell'ingenuità dei suoi sedici anni, se ci fosse amore in quei momenti e gli occhi scuri di Aspasia si erano improvvisamente fatti un po' più tristi. "A volte" le aveva risposto e quelle parole l'avevano turbata per giorni prima di iniziare di sollevarsi al pensiero che lei non si sarebbe mai sposata.

" Tu hai mai fatto sesso?" aveva chiesto a Kyros quella sera stessa, corrugando la fronte quando il ragazzo aveva distolto lo sguardo dal proprio, sorridendo con una punta di divertimento nello sguardo.

"Si, l'ho fatto". Non le aveva proposto la stessa domanda, ovviamente. Lei era una donna e, come tale, al matrimonio sarebbe dovuta arrivare vergine.

"E con chi?" e quando Kyros si era messo a ridere, Sofia aveva lasciato perdere con un sorriso. Aveva capito solo dopo parlasse di prostitute. Non aveva idea se fossero etere ma Kyros non aveva avuto amore.

Sofia, ancora, non capiva cosa ci trovassero le persone nel sesso. Si affondavano le unghie nella pelle lasciandosi segni e, la prima volta che aveva visto due persone farlo, i gemiti erano parsi di dolore ed il volto una maschera di sofferenza. Però qualcosa di speciale doveva pur averlo visto che c'erano uomini disposti ad usare la violenza, a diventare persino peggio degli animali e di qualsiasi creatura nel Tartaro pur di poterne avere un po'.

Si portò una mano al petto, il respiro ormai più rilassato e quando sbatté le palpebre, riuscì a mettere a fuoco il dormitorio.

Non sapeva se Aphia si fosse accorta dilei o meno ma, a prescindere, non aveva assolutamente voglia di intraprendere quella conversazione. Non in quel momento, almeno.

Cosa spingeva le persone a fare sesso?Aspasia l'aveva chiamata voglia, lussuria. Ma erano concetti a lei talmente tanto strani, persino a quel punto, a quasi diciotto anni che, ancora, non riusciva a capirlo.

Lei aveva voglia di vedere il mare main che modo ci avrebbe potuto fare sesso? Ed il concetto di lussuria,proprio non riusciva a comprenderlo. Troppo estraneo. Troppo lontano.

Quando raggiunse il letto, si premurò di dare le spalle alla porta del bagno per quanto vi fosse già lontana, poi corrugò la fronte. C'era stata una volta, appena un anno prima, in cui si stava allenando con Kyros. Lui l'aveva bloccata con le braccia e lei, premuta contro il suo corpo, di spalle, era rimasta bloccata senza poter fare nulla. Erano attaccati l'uno all'altra ma, se per Sofia non c'era stato niente di strano, Kyros l'aveva spinta via, facendola barcollare in avanti per la sorpresa.

Poi le aveva dato le spalle prima che potesse vederlo.

Sofia aveva provato solo confusione in quel momento ma -forse- Kyros aveva provato quella voglia e quella lussuria di cui Aspasia le aveva parlato.

Non era certa che lei avrebbe mai provato una cosa del genere. Ciò che amava lei erano il mare ed i disegni dei templi che avrebbe tanto voluto costruire, le strategie ed i discorsi che proponeva al padre.

Ma una cosa effimera come quella, come la voglia o la lussuria, non facevano affatto per lei. Sorrise quando il ricordo delle onde che si infrangevano sulla battigia le riempirono i pensieri, alleggerendole il petto che solo in quel momento si accorse di quanto fosse stato pesante.

Quando un paio di occhi verdi fecero capolino tra quelle onde, crollò tra le braccia di Morfeo prima di potervi riflettere e ovviamente, perché lei era una semidea ed anche la protagonista di una profezia, non riuscì a dormire soltanto.

Si ritrovò accovacciata dietro ad una sponda di legno con un falò come unica illuminazione al centro della stanza. Il fuoco baluginava sulle pareti rosso sangue con talmente tante armi appese perfettamente lucidate che solo poche porzioni del muro erano effettivamente libere.

Di spalle, con le mani sui fianchi,Sofia non ebbe problemi a riconoscere Pono. 

- Domani. Deve essere domani – disse con la voce ruvida di pietra che sbatteva su altra pietra. – Non voglio più vederla qua dentro. Mai più. La voglio morta.

E forse Sofia avrebbe dovuto rabbrividire di paura ma l'unica reazione che ebbe fu un conato di disgusto.

Qualcuno di rise di scherno. Una breve risata che le fece comunque corrugare la fronte. – è solo perché ti ha sfidato – rispose una voce che Sofia conosceva fin troppo bene. – O perché il tuo amato ha occhi solo per lei adesso?

Nestor uscì dall'ombra in cui era nascosto. I capelli nudi gli incorniciavano il volto che, sinistramente, veniva illuminato dalle fiamme.

Erano dentro la casa di Ares.

Sofia aveva rubato -tra una conversazione e l'altra tra i semidei- che non fosse permesso ai ragazzi stare da soli nelle case altrui. Erano stati Carlo e la figlia di Afrodite a discuterne in piedi vicino al tavolo di Efesto mentre Leo, con un sorriso da piantagrane, li prendeva in giro per le loro scappatelle.

E come quella regola veniva infranta da Carlo e dalla figlia di Afrodite, anche Pono e Nestor parevano esser fatti della stessa moneta.

- Chiudi la bocca. Non sono affari tuoi questi. Ti ha umiliato davanti a tutto il Campo. Ti ha spaccato una terrina dritta sulla tua faccia sporca e tu non hai fatto nulla. Improvvisamente arriva un'insulsa schiava e tutti pendono dalle sue labbra! – esclamò Pono, voltandosi di scatto verso Nestor.

Il baluginare delle fiamme gli illuminò le cicatrici biancastre che aveva sparse sul viso. Sofia si chiese per quale grazia divina non fosse stato ammazzato almeno da una. E cosa mai doveva aver fatto per sopravvivere abbastanza a lungo da diventare la piaga infernale che effettivamente era.

- È ovvio non sia come le altre. Hai visto come si difende? – domandò Nestor, retorico. –E vuole farci credere sia la metà di una Mezzosangue – borbottò fintamente divertito. – È una semidea completa, quella. È così palese e nessuno se ne rende conto. Persino il tuo Perseo – lo canzonò il figlio di Ecate.

Pono fu talmente fulmineo nell'estrarre il coltello dalla cintura, scagliandoglielo contro al volto, che Sofia si chiese come fece poi Nestor ad evitarlo, spostandosi in tempo perché la lama potesse cozzare malamente con quelle appese al muro dietro di lui. – Se non mi servissi per uccidere quella finta mortale, saresti già morto, Nestor – ringhiò Pono. – Una cosa su cui siamo d'accordo è che sia pericolosa. Ha troppa forza dentro di lei. Le altre mortali camminano con la schiena più dritta da quando è arrivata. Il bagno, persino nuovi chitoni. Patapios mi ha detto che una ha persino avuto l'insolenza di fargli una domanda mentre le portava al lago – Sputò a terra, incrociando le braccia al petto. – Sei sicuro non sia una delle tue sorelle?

Nestor scosse la testa, incrociando le braccia. – L'avrei sentito. Avrebbe avuto la magia a scorrerle nelle vene. Percepisco sia una semidea ma non quale sia il suo genitore. Ha detto di essere figlia di un mortale e di una semidea ma l'aura che emana è troppo forte perché sia così – smise di camminare vicino al fuoco. – Credi che.. – domandò, prima che Pono potesse interromperlo, scuotendo la testa.

- Non lo so, Nestor, ma dobbiamo ucciderla e se lo facciamo passare come un incidente, nessuno avrà da ridire. Domani notte lasciatela a me. La voglio io – disse, deciso. – La voglio uccidere io.

Sofia scattò in piedi, estraendo il coltello da sotto i veli sulla vita prima di ricordarsi fosse un sogno.

Strinse i pugni per la rabbia.

Era ovvio che qualcuno avesse sospettato di lei. Sopratutto se a quel qualcuno aveva calpestato i piedi troppe volte.

Nestor sorrise prima di corrugare la fronte, prendendo a guardarsi attorno.

- Che c'è? – domandò Pono.

Nestor scosse la testa, portandosi un dito davanti alla labbra. – C'è qualcosa di strano. Qualcuno che non dovrebbe essere qui.

- Che stai dicendo?

Sofia indietreggiò. Non aveva idea di dove sarebbe potuta fuggire in un sogno. Fletté le dita sudate attorno all'elsa del suo coltello e quando Nestor si voltò verso di lei, puntando gli occhi dritti sul suo volto, si svegliò di soprassalto.

Seduta sul letto, tentò di guardarsi attorno nel buio pesto, sbattendo le palpebre.

Quella sera, Pono l'avrebbe uccisa.   


Angolo Autrice:

Ciao fanciulli miei!
Come state? Spero bene. Fra poco saremo un po' più liberi e non vedo davvero l'ora.
Eccoci qui con un nuovo capitolo. Il prossimo sarà quello di Caccia alla Bandiera che sarà il turning point di questa storia.
Percy ed Annabeth hanno chiacchierato un po' di più e sarei curiosa di sapere se qualcuno ha notato una certa reazione di Annabeth ad una cosa che dice. Ovviamente, la chiacchierate tra Percy ed Annabeth (le lezioni di Annabeth in generale) non sono e non saranno casuali. Hanno tutta una finalità che vedrete dopo ehehehe
Comunque, passiamo ad una parte ulteriormente importante di questa storia ed è Annabeth che riflette sul sesso. Adesso, lei ha quasi diciotto anni ma è una diciottenne nell'avanti Cristo quindi mi sono chiesta com'è che avrebbe potuto conoscere il sesso senza le fanfiction a rating rosso e PornHub. è una cosa che adesso diamo per scontata ma che, in un contesto storico di secoli fa, ho trovato interessante tentare di approfondire. Quindi, ecco qui la conoscenza di Annabeth sul sesso anche se, e chi legge le mie storie da un po', SA, poi la conoscenza di Annabeth sul sesso sarà molto più approfondita (*insert pervy face here*).
Anyhow, spero tanto che questo capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio da morire, da morire per tutto l'amore che mi date attraverso i messaggini e le storie.

Vi voglio tanto bene!
A presto,
Eli:)

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