Crollo (Parte 2)
Quella fu la prima volta in cui Sofia si raccontava per davvero, usando il vero nome e non quello che, anni prima e quando era solo una bambina, aveva accordato ad arte con Pericle ed Aspasia. Fu la prima volta, da quando Atene era crollata sotto Sparta, che Sofia fu onesta. Fu onesta sulla sua nascita, sui suoi doveri, sulla profezia che le gravava sulle spalle da tutta la vita. Fu onesta persino sul terrore che le stava appollaiato sulla spalla con la forma di un avvoltoio e fu onesta anche sui piani degli dei che non riusciva a comprendere. Sul perché Ares nutrisse un astio tale nei suoi confronti da dare inizio alla spirale della sua vita che la portava, giorno dopo giorno, sempre più vicina all'Ade.
Non si era accorta di quanto bisogno avesse di parlare con qualcuno, di parlare davvero con qualcuno, fino a che non lo fece seduta spalla a spalla con Hadiya, contro al muro tiepido di una cella nel cuore di Roma.
Fu come se il peso del cielo le si sollevasse finalmente dalle spalle, concedendole di raddrizzare le spalle per la prima volta, solo in quel momento.
Non aveva idea del perché avesse scelto Hadiya, una perfetta sconosciuta in una cella che odorava un po' di fogne; forse perché era evidente avesse anche lei dei segreti da custodire e, a starsene chiusi nella propria testa, dopo un po' ci si sentiva soli.
Hadiya, per contro, le raccontò delle rivolte che aveva guidato con la plebe romana fino a che, all'incirca quattro mesi prima, la legione di popolazione che controllava, non era stata battuta da una di centurioni. La maggior parte dei suoi compagni era morta mentre le donne erano state fatte schiave.
Esattamente come lei, anche Hadiya aveva capito che l'unico modo per sopravvivere sarebbe stato nascondersi, celando a Roma non solo il suo genitore divino ma anche i poteri che aveva ereditato da lui. Plutone, contrariamente ai piccoli passi avanti che avevano fatto in Grecia, non era granché rispettato a Roma e per una schiava, equivaleva a morte certa.
Per quanto Sofia ne sapeva, a detta degli insegnamenti da parte di suo zio, gli dei nella loro versione greca o romana, trasmettevano abilità diverse ai propri figli.
Era per quello che Hadiya, per esempio, non solo poteva viaggiare nell'ombra od evocare i morti come un figlio di Ade, ma poteva anche evocare pietre preziose e trovare scavi sotterranei quando ce n'erano. Ecco perché le aveva detto sapesse come andarsene da prima che venisse portata all'interno del Circo; aveva percepito scavi sotterranei che passavano sotto l'intero territorio romano non appena avevano iniziato ad avvicinarsi al Circo Massimo.
Sofia, fino a quel momento, aveva sempre pensato che Percy fosse il semidio più forte che calcava la terra ma, osservando di sottecchi Hadiya ed in quell'assurda situazione, si dovette straordinariamente ricredere. A quel punto però, la domanda era un'altra, se Hadiya non era mai stata davvero una prigioniera, capace com'era di manipolare la Foschia e trovare una via di fuga, perché era ancora lì?
Che stesse guidando una rivolta direttamente dall'interno? Era probabile. La plebe romana era agguerrita ed aspettavano soltanto un motivo per potersi rivoltare contro i patrizi ma, una parte di lei, le suggeriva non c'entrasse assolutamente niente.
Non aveva accennato una sola volta ad una ribellione contro Roma mentre parlavano e, a quel punto, non avevano più niente da nascondersi.
No, il motivo che teneva Hadiya ancora prigioniera era un altro.
Voltò il capo per poterla osservare meglio. Era ovvio. Hadiya si era innamorata e doveva essersi innamorata di un centurione perché, altrimenti, avrebbe di sicuro approfittato della situazione per poter scatenare una rivolta ma, una rivolta, avrebbe messo in pericolo il ragazzo che amava. Aveva troppo da perdere sia che avesse dato vita ad una rivoluzione o che fosse scappata, impedendosi di vedere ancora chiunque le avesse rubato il cuore.
Sofia si portò una mano allo stomaco sfiorando, con le dita, il piccolo pezzo di pergamena che aveva infilato sotto l'elsa del suo coltello.
Era possibile che una persona fosse disposta a spingersi così lontano per amore?
Aspasia era morta per stare con suo padre, Orfeo era andato dritto nell'Ade per salvare Euridice e Psiche aveva vinto persino la dea Era pur di ricongiunsi con Amore.
- Allora dobbiamo pensare ad un piano – disse Sofia. – Per uscirne vive in qualche modo.
Hadiya non rispose subito ma, al suo fianco, Sofia la sentì sorridere. – Tu non devi pensare a niente. In quell'angolo – disse, indicando col capo il punto dal quale era emersa quando Sofia era entrata nella cella, – C'è uno scavo. Porterà te e la tua amica direttamente oltre il Tevere, dalla parte opposta del Colle Palatino. Andate adesso. Manipolerò la Foschia e farò credere alle guardie siate morte. Non sarà difficile.
Sofia corrugò la fronte, voltandosi per poterla osservare meglio. – E lasciare te e le altre schiave sole? – scosse la testa. – Non se ne parla, Hadiya. Se pensi che preferisca andarmene che morire al tuo fianco, combattendo, ti sbagli.
- Muovetevi! Tutte fuori! – abbaiò un centurione.
Il cigolio improvviso della prima cella che veniva aperta svegliò Daphne in uno scatto.
Sofia non aveva bisogno di guardarla negli occhi per sapere fosse terrorizzata. – Cosa sta succedendo? – domandò con voce tremolante.
- Bene, figlia di Atena – disse Hadiya, alzandosi e porgendo a Sofia una mano perché potesse fare lo stesso. – Ci guarderemo le spalle, allora – continuò una volta che Sofia fu in piedi, lasciandole la mano.
La porta della loro cella si aprì in un cigolio e Sofia mosse un passo verso Daphne, allungando un braccio nella sua direzione per farla alzare. – Tutte fuori! – tuonò il centurione.
- Non accadrà niente – disse Sofia, stringendo la mano di Daphne dietro la schiena per evitare di poter essere vista.
Osservò Hadiya camminare esattamente al suo fianco.
Dentro di sé sapeva che ce le avrebbero fatta.
Quando uscirono nel Circo, la luce del sole fu talmente forte rispetto alla penombra alla quale si era abituata, che la accecò, costringendola a portarsi un braccio sugli occhi per potersi proteggere.
Non riusciva a vedere dove stava camminando, sentiva solo della sabbia sotto ai piedi, ed il tuonare delle urla della plebe dagli spalti. Le loro grida la avvolsero completamente, stuzzicando furiosamente la sua curiosità che gli occhi, ancora troppo sensibili, non le permettevano di soddisfare. Sbatté ripetutamente le palpebre, sbarrando poi la bocca quando, finalmente, riuscì ad abituarsi alla luce. Vedeva ancora a chiazze ma quello fu abbastanza per rendersi conto dell'incredibile immensità del Circo Massimo.
Le impressioni, le aspettative che si era fatta dall'esterno, non erano neanche paragonabili all'incredibile impatto che ebbe una volta che fu finalmente all'interno e l'imponenza del Circo la fece sentire minuscola.
Non riusciva neanche a vedere correttamente la curva opposta a quella davanti alla quale si trovava lei, talmente era lontana, per non parlare delle infinite file di spalti che si innalzavano fino alla fine delle pareti del Circo.
Al centro esatto della struttura, esattamente come aveva studiato dalle mappe del padre, la spina presentava non solo la fontana a forma di delfino per contare i giri delle bighe, ma anche due templi che non riusciva a capire a chi fossero dedicati e due colonne che si innalzavano fieramente verso il cielo.
Non riuscì a trattenere un sospiro di fascinazione mentre si guardava attorno, roteando sui calzari, scontrandosi contro Hadiya al suo fianco. Poi, per poco non inciampò.
Sarebbe morta di lì a qualche secondo. Non era di certo il momento per potersi perdere nell'architettura. Si schermò gli occhi con una palmo, corrugando la fronte mentre spostava lo sguardo lungo gli spalti poi, sotto una tettoia candida, lo vide ed il cuore parve quasi regolarizzare i battiti agitati.
Giasone riportò con forza Percy a sedere, piantandogli una mano sulla spalla, un secondo prima che il ragazzo potesse scacciarla con uno schiaffo, sporgendosi minacciosamente contro l'imperatore Vespasiano che, con una corona d'alloro calata sui ricci scuri, continuava a mangiare uva come se niente fosse.
In una fila di sedie dietro quella di Percy, Sofia riuscì ad intercettare una testa bionda che fino a quel momento non aveva ancora conosciuto, ma era troppo lontana per poterne vedere il volto, tanto meno leggerne l'espressione.
- Deve esserci Ottaviano dietro a tutto questo – ringhiò Hadiya, lanciando un'occhiata rabbiosa alla tribuna nella quale era seduto Percy.
Sofia si voltò ad osservarla. Sotto la luce del sole, era la prima volta che riusciva a vederla bene. La pelle d'ossidiana brillava sotto i raggi d'Apollo mentre i ricci color cannella, parevano, sotto al sole, aver preso fuoco. Era bella e metteva anche un po' di timore.
- Chi è Ottaviano? – domandò Sofia.
Hadiya indicò la tribuna col capo, spingendo Sofia a spostare lì la sua attenzione. – Quell'orrida ameba bionda seduta in seconda fila. Voi schiavi greci non combattete mai. Non siete qui per questo ma Ottaviano farebbe di tutto per infastidire Perseo in qualche modo. Lo sanno tutti qui.
Sofia continuò ad osservare la tribuna. Percy si era finalmente seduto ma lei dubitava fortemente fosse tranquillo. Si aspettava che, da un momento all'altro, l'intero Tevere sfondasse le mura del Circo Massimo e sarebbe stato un vero peccato rovinare quella meraviglia perché un tale Ottaviano ce l'aveva a morte col figlio di Poseidone.
Cercò di intercettare la testa bionda che le aveva descritto Hadiya e, solo quando vi posò sopra gli occhi, dietro la spalla di Regina, il cuore sembrò saltare un battito.
Non era la prima volta che vedeva quella testa bionda. Anche quando lei e Percy parlavano nella cavea, era riuscita ad intravedere un guizzo di quel capo al quale però, in quel momento, non era riuscita a dare il giusto peso.
Probabilmente, a quel punto, quell'Ottaviano si stava solo assicurando che anche Sofia finisse assieme alle altre schiave.
- È un augure – continuò Hadiya, anche quando si fermarono davanti alla spina ed i centurioni le lasciarono sole davanti a quell'enorme folla urlante ed assetata di sangue. A quel punto, la tribuna dov'era seduto Percy era esattamente sopra la sua testa. – è lui che predice se una battaglia andrà a buon fine od a che giochi giocare durante le feste per gli dei. Un tempo, suo nonno svolgeva anche sacrifici umani. A lui l'hanno impedito, ma ogni tanto tenta di riproporre l'idea.
Sofia cercò quella testa bionda ancora una volta, osservando il punto dov'era seduto con disgusto. – Buono a sapersi. Prima tentiamo di salvarci la pelle e poi lo facciamo fuori.
Hadiya sorrise. – Sono d'accordo.
Sofia si guardò attorno. In tutto erano otto schiave, cinque greche e tre romane.
Il loro terreno era ricoperto di sabbia, che non sarebbe stata di alcun aiuto durante un eventuale combattimento ma i segni delle ruote delle bighe avevano liberato l'ambiente, abbastanza perché non potesse essere d'intralcio. Ovviamente, nessuno si era preso la briga di sistemarlo per un combattimento tra schiavi e, almeno per quella volta, la negligenza di chi le controllava, andava a loro favore.
- Popolo romano! – annunciò l'imperatore.
Sofia lo vide alzarsi dal suo imponente trono, sporgendosi oltre la sua tribuna ed allargando le braccia.
La plebe urlò impazzita, avvolgendola in un boato che quasi la fece barcollare all'indietro ma all'imperatore Vespasiano servirono un altro paio di secondi per poterla controllare nuovamente.
- In onore della nostra alleanza con la potente Sparta, gli dei vogliono che questi accordi si mostrino anche nei giochi ed è per questo motivo che le schiave arrivate dalla Grecia, combatteranno fianco a fianco con le schiave di Roma.
La folla esplose in un ennesimo boato mentre Sofia si guardava attorno, scambiandosi un'occhiata con Hadiya che poi, fugacemente, puntò gli occhi dorati sulla tribuna.
Gli occhi di Sofia si soffermarono su Percy. Era seduto accanto a Giasone mentre un centurione, al suo fianco, che Sofia non riuscì a riconoscere a quella distanza, era proteso verso di lui.
- Che le nostre nuove gladiatrici scelgano l'arma! – annunciò l'imperatore, un attimo prima che una serie di armi in acciaio ossidato potessero fluttuare verso di loro, ad opera di un figlio di Marte. Loro potevano controllare le armi fino a quel punto.
Sofia odiò che tra i coltelli, le spade e le lance, non ci fosse almeno uno scudo. Se avesse potuto scegliere, avrebbe sicuramente preso quello. Non solo dava protezione in più ma anche più modi per uccidere.
Prese una delle spade che le parve meno maltrattata dalla negligenza romana, digrignando i denti quando, troppo pesante, per poco non le cadde a terra.
Hadiya scelse un gladio da cavaliere, era evidente dalla lunghezza della lama, mentre il resto delle schiave cercò di arrangiarsi -con terrorizzate occhiate reciproche- tra le altre armi rimaste.
Quando si voltò, vide anche Hadiya stesse guardando nella sua stessa direzione.
- Romani! – la voce che parlò in quel momento era talmente acuta che Sofia si chiese se non appartenesse poi ad un bambino. Fu più difficile mettere a tacere la folla in quel momento che, al contrario, si lanciò in qualche verso contrariato nel sentire quella nuova voce.
Sofia vide che, sporto oltre la tribuna, c'era quello che doveva essere Ottaviano ed a giudicare dalla tensione nelle spalle di Hadiya, non c'era da sbagliarsi.
- Gli dei onnipotenti hanno predetto questo scontro. Gli dei onnipotenti hanno predetto questa lotta all'ultimo sangue, – strillò mentre Sofia stringeva i pugni lungo i fianchi per il fastidio. – Per poter celebrare l'alleanza tra i nostri due grandi eserciti –. Fece una pausa prima di allungare un braccio verso uno dei cancelli sistemato lungo la curva del Circo Massimo. – Che entrino le bestie! – annunciò.
Il cigolio dei cancelli che si aprivano venne coperto dal tuonare della folla assetata di sangue e Sofia e Hadiya fecero istintivamente un passo in avanti.
Dalla penombra della cavea, bassi sulle enormi zampe d'ebano, con i denti digrignanti per la rabbia, uscirono sette segugi infernali, persino più grandi della Signorina Licari al Campo.
Gli occhi, che parevano tizzoni ardenti, le osservarono famelici mentre continuavano a ringhiare nella loro direzione.
Hadiya imprecò al suo fianco, flettendo le dita attorno al gladio.
Il cancello dietro i segugi infernali rimase aperto e Sofia corrugò la fronte, osservando con insistenza quel varco, un secondo prima che un enorme zampa scura potesse posarsi sulla sabbia del Circo. Quella zampa venne seguita da una seconda, poi da un enorme torace e da un collo canino che si biforcava in due terribili e ghignanti musi.
Una schiava, dietro di lei, si lasciò scappare un'esclamazione di terrore mentre il capobranco si faceva lentamente avanti, agitando, alla fine dell'enorme corpo, una coda di serpente.
- Dei onnipotenti – mormorò Hadiya al suo fianco senza distogliere lo sguardo dalla bestia, esattamente come Sofia che digrignò i denti con talmente tanta forza che si costrinse ad aprire la bocca solo per evitare di spezzarseli.
- È Ortro – disse Sofia, osservando il mostro che si fermava davanti ai segugi infernali, osservandole famelico. Gli altri cani, con l'arrivo del loro capo, avevano iniziato a ringhiare con più insistenza mentre le schiave, dietro lei, tremavano, senza riuscire a trattenere i singhiozzi. – Eracle l'ha ucciso nella sua decima fatica.
- Annabeth – la voce di Daphne alle sue spalle, fu a malapena udibile e Sofia si sarebbe davvero voluta voltare a guardarla, a rassicurarla, ma non avrebbe osato per nulla al mondo distogliere lo sguardo da quell'orribile bestia.
- Andrà tutto bene, Daphne, capito? Ti ricordi? Ti ricordi quello che vi ho detto al Campo? Vi ho detto come difendervi, vero? – fece, continuando ad osservare Ortro.
Eracle, tempo prima, l'aveva ucciso a colpi di clava ma l'unica cosa che lei aveva a disposizione erano un'arma arrugginita, Hadiya ed un gruppo di schiave spaventate a morte.
- Io e Hadiya non ce la faremo mai da sole. Voi dovete aiutarci, capito, Daphne? Dovete ricordarvi cosa vi dicevo nel dormitorio. Arma in alto..
- Ed evita lo scontro se possibile – disse Grigoria alle spalle di Sofia, che lanciò uno sguardo ad Ortro ed ai segugi dietro di lui pronti ad attaccare.
- Qui non c'è una via di fuga – fece retorica. – Quindi, armi alte.
Erano troppi segugi e loro troppo poche a saper combattere. Non ce l'avrebbero mai fatta.
Sofia sbarrò improvvisamente gli occhi, continuando a tenerli puntati sui segugi e su Ortro che, famelici, continuavano a ringhiare nella loro direzione. – Hadiya, quanti passaggi ci sono qua sotto? – domandò.
- Un'infinità – rispose la ragazza, flettendo le dita attorno all'elsa della sua spada. – talmente tanti che neanche riesco a contarli tutti.
Sofia annuì lentamente per il timore che un movimento troppo brusco avrebbe potuto far scattare i segugi da un momento all'altro.
La folla, attorno a lei, continuava ad urlare, assetata di sangue.
- I segugi infernali devono finire dritti lì sotto – le disse Sofia, facendo saettare velocemente lo sguardo attorno a lei.
- Il terreno non può crollare da un momento all'altro, Sofia – mormorò Hadiya tra i denti, – Si accorgerebbero tutti dei miei poteri.
Sofia scosse la testa, schioccando la lingua sul palato, puntando poi lo sguardo oltre il branco di segugi, verso il cancello ancora aperto e la catena che, a penzoloni al suo fianco, ne regolava il movimento. – Gli dobbiamo solo far credere che il terreno crolli naturalmente. A quello ci penso io – disse, osservando Hadiya di sottecchi, scoprendo lei stesse facendo lo stesso. – Atena ha sempre un piano. Tu fidati di me.
Hadiya, a farle un cenno d'assenso, ci mise meno di un istante, serrando la mascella e riportando la sua attenzione sui segugi.
Poi, la folla quasi si acquietò e Sofia vide, con la coda dell'occhio, le braccia dell'imperatore sporgere oltre la tribuna prima che, in uno scatto, potesse abbassarle. – Combattete! – urlò.
E la folla esplose in un nuovo grido mentre i segugi si lanciavano, in corsa, verso di loro.
In un grido, Sofia e Hadiya andarono incontro alle bestie.
Sofia sperò con tutto il cuore che anche le altre schiave, avvolte da un'improvvisa adrenalina, le stessero seguendo nel loro attacco. Il suo piano non avrebbe mai potuto funzionare se non avessero almeno provato a tenere i segugi infernali occupati.
Era la prima volta che Sofia non faceva affidamento al suo velo per combattere ma smise di pensarci quando uno dei segugi balzò verso di lei con gli artigli sguainati. Sofia però, si era allenata con Percy, che le lanciava i sacchi addosso da abbastanza a lungo da sapere cosa avrebbe dovuto fare. Scivolò a terra, pugnalando il segugio infernale dritto nel ventre, voltando il capo per evitare che la cenere nella quale si sciolse potesse finirle negli occhi.
Si rialzò in uno scatto, menando un fendente verso un secondo segugio, che svanì in un guaito di polvere, riprendendo a correre.
Le urla della folla erano troppo potenti perché potesse sentire come se la stessero cavando le altre schiave ma non osò voltarsi mentre schivava l'ennesimo mostro e continuava a correre.
Non appena iniziò ad avvicinarsi al cancello, i centurioni lì vicino dovettero fraintendere le sue intenzioni perché quello iniziò ad abbassarsi velocemente mentre la catena, al suo fianco, iniziava a ritirarsi verso l'interno. Sofia spinse con forza sulle gambe, lanciandosi poi contro al muro con la spada sguainata, colpendo la catena con così tanta forza che il contraccolpo sulla parete le fece cadere la spada di mano.
Il cancello si sbatté al terreno in un tonfo sordo e lei si affrettò a recuperare la spada e la catena da terra.
- Annabeth! – gridò una voce che, in quel caos, non riuscì neanche a distinguere e lei si voltò di scatto, sbarrando gli occhi davanti al segugio infernale che si lanciava, in un ombra famelica, su di lei.
Sofia lasciò cadere la spada a terra, spostandosi di lato per evitare il mostro, lanciandogli poi la catena addosso con abbastanza forza perché potesse fare un giro attorno al suo collo possente. Sofia intrecciò rudemente la catena in un cappio attorno al collo dell'animale, saltandogli sulla groppa prima che quello potesse trasformarla nel suo pranzo.
In un ringhio oltraggiato, il segugio tentò di levarsela di dosso, girando di scatto il collo nel tentativo di morderla mentre Sofia creava due nodi ben stretti con la catena attorno al segugio. Quello iniziò a saltare sulle zampe nel tentativo di disarcionarla, iniziando a correre inferocito, zizagando come un ossesso nella speranza di togliersela di dosso.
Si avvicinarono sempre di più alla spina mentre il segugio abbaiava e ringhiava, agitandosi come un ossesso, un attimo prima che un urlo agghiacciante potesse gelare il sangue di Sofia, facendole tremare le ossa. Sollevò lo sguardo solo per vedere una delle schiave romane mentre Ortro le staccava di netto un braccio, saltandole addosso.
- No! – urlò.
Hadiya pugnalò il segugio che stava tenendo a bada e prima che quello potesse diventare polvere, si era già voltata verso Ortro. – Vieni qui, orrido abominio! Vieni qui! – gridò, prima di lanciarsi all'attacco verso il cane, che si leccò i musi scuri lucidi di sangue prima di gettarsi all'attacco.
- Annabeth! – il grido di Daphne le squarciò il petto e si voltò di scatto, osservandola agghiacciata mentre un segugio le saltava addosso.
Non c'era più tempo.
Il suo segugio era finalmente arrivato all'altezza della spina. Sofia si aggrappò con forza al suo pelo, strappandogli un ringhio offeso mentre metteva lentamente i piedi sul suo dorso, acchiappando ben stretta la catena con la mano libera.
Quando arrivarono all'altezza di quella splendida colonna in pietra bianca, tirò con talmente tanta forza i peli del segugio che quello abbaiò con rabbia, saltando nuovamente sulle zampe per disarcionarla. Fu a quel punto che Sofia sfruttò finalmente la spinta della bestia, lanciandosi via dalla sua schiena e verso la colonna. Vi roteò attorno, facendo fare alla catena un solo giro prima di cadere a terra, sul suo braccio sinistro.
Gemette per il dolore, stringendo con forza i due lati della catena tra le dita sudate, cadendo sulla schiena quando il segugio tirò con forza mentre continuava a correre, rimbalzando però all'indietro, trattenuto dal ferro.
- Hadiya! – urlò Sofia con tutto fiato che aveva in gola. – Adesso, Hadiya! Adesso!
Hadiya spinse Ortro all'indietro con un calcio in pieno detto, rubandosi i secondi necessari per poter spostare gli occhi dorati su Sofia.
Il segugio infernale, intrappolato nella catena si rialzò, riprese a correre nel tentativo di liberarsi e la catena si tese e fu in quel momento che la colonna iniziò a muoversi in avanti.
Sofia fece appena in tempo a bloccarla attorno alla colonna prima di lanciarsi di lato mentre quella meravigliosa opera iniziava a crollare, acquistando sempre più velocità e forza durante la sua caduta.
Il terreno si aprì sotto la colonna un attimo prima che quella potesse anche solo toccarlo, in un incredibile boato, ma era impossibile che qualcuno potesse essersi accorto di quel dettaglio, trascinando con sé il segugio che aveva cavalcato lei fino a pochi secondi prima.
Sofia scattò in piedi, lanciandosi oltre la spina e verso il segugio che stava ancora sopra Daphne, spingendolo con una spallata verso la voragine che Hadiya aveva appena aperto con i suoi poteri.
Non lo guardò cadere ma si voltò verso Daphne. Una spalla le sanguinava copiosamente ma non ebbe il tempo di preoccuparsene mentre prendeva la sua spada da terra, correndo verso Hadiya. Il resto dei segugi era già caduto nella voragine ma Ortro continuava comunque a tenerla troppo impegnata ed evitare due fauci irte di zanne aguzze.
- Qui! – urlò Sofia, lanciandosi verso il mostro. – Sono qui! – gridò, attirando l'attenzione di una delle due teste, permettendo finalmente a Hadiya di poterlo infilzare dal mento.
In un unico e singolo guaito, Ortro si disintegrò in una nuvola di polvere.
Sofia guardò Hadiya. Aveva la fronte scura imperlata di sudore ed i capelli di cannella disordinatissimi attorno al volto, ma gli occhi dorati brillavano come due stelle. – Stai bene?
- Tu sei geniale, Sofia – fece Hadiya, regalandole un enorme sorriso. – Un genio assoluto!
Sofia non riuscì a trattenersi dal sorridere mentre guardava la ragazza davanti a lei, che si poggiò naturalmente sulla sua spada, piantandola nel terreno sabbioso. Poi si voltò di scatto, guardando Daphne che, ricoperta di sangue, era ancora distesa a terra. Grigoria, Terentia e Maia le stavano accanto, mentre le schiave romane avevano gentilmente coperto il volto di quella che era stata massacrata. Il suo sangue si era incrostato sulla sabbia attorno a lei e, seppur avessero tentato di coprirla, parte del corpo martoriato era ancora ben visibile. Le donne però, al suo fianco, mantenevano il volto incredibilmente composto mentre le labbra si muovevano velocemente, probabilmente recitando una preghiera.
- Daphne! Oh miei dei! – esclamò Sofia, correndo verso la ragazza, passando al lato dell'enorme cratere che avevano creato i stupefacenti poteri di Hadiya. Si lanciò al fianco della ragazza, non osando toccarla per evitare di mettere una mano proprio sulle ferite.
Il chitone, un tempo candido, era ricoperto di sangue ma gli occhi scuri di Daphne erano comunque attivi.
- Non fa così male – borbottò.
Sofia la guardò con la fronte corrugata. – Riesci ad alzarti?
Daphne sbuffò. – Non lo so. Posso provarci.
Sofia guardò Grigoria e Terentia che, delicatamente assieme a lei, posarono le mani sotto le spalle di Daphne, tenendole la testa mentre la mettevano delicatamente a sedere.
Terentia aveva il labbro spaccato ed un taglio sotto un occhio ma l'espressione, nelle iridi verdi era comunque determinata e seria. Resse Daphne da dietro le spalle, permettendo alla ragazza di posarsi contro le sue mani e Sofia trattenne un sorriso orgoglioso, ignorando lo stomaco che le si strinse per l'emozione.
Grigoria, al suo fianco, aveva un taglio su un lato del collo e, dal ginocchio sinistro, perdeva sangue fino alla caviglia ma era ancora in piedi, con i capelli scuri disordinati per lo scontro e la spada sporca di polvere di segugio infernale. Maia era l'unica che aveva solo i capelli disordinati e la spada ancora stretta in pugno. Sofia non stentava a credere che almeno un segugio fosse morto per mano sua.
- Ragazze.. – tentò Sofia ma, mentre le guardava, le si chiuse la gola per l'emozione, prestando attenzione alle urla del pubblico romano che era ormai diventato un unico e coordinato grido.
- Plebe! Plebe! Plebe! – In una sola voce, Roma gridava per loro e si voltò verso Hadiya, ancora accucciata a terra, solo per vedere la ragazza romana sorridere nella sua direzione, facendo un cenno con la testa al pubblico che tifava per loro.
- Cosa dicono? Cosa dicono? – domandò Terentia, guardandosi attorno stranita mentre l'unica voce di Roma avvolgeva Sofia in un inaspettato abbraccio.
Sofia si guardò attorno con gli occhi sbarrati, poi si voltò verso le ragazze. – Gridano plebe – disse, con la gola chiusa. Allungò le braccia verso Daphne, facendogliele passare sotto le ascelle per poterla sollevare, aiutata da Terentia che la spinse dalle spalle. La tennero in piedi tra loro due per i fianchi, mentre Grigoria si metteva al loro fianco e Maia, in un minuscolo passo avanti a loro, teneva la spada sollevata per proteggerle. – Gridano per noi – disse Sofia una volta che furono finalmente in piedi, davanti all'unica e potente voce di Roma.
I centurioni nelle prime file, iniziarono a battere le lance sugli scudi, seguendo il ritmo della voce del pubblico.
Sofia individuò, sistemato più avanti rispetto agli altri soldati, quello che Percy aveva chiamato Franco quando erano fuori dal Circo. Batteva la lancia sul suo scudo con più forza rispetto agli altri ed urlava talmente tanto da avere ormai il volto rosso mentre, gli occhi scuri, erano puntati su Hadiya.
Sofia spostò lo sguardo sul viso della ragazza che, in piedi davanti a Roma, vedeva soltanto lui e, a malapena, la figlia di Atena riuscì a trattenere un sorriso mentre riportava lo sguardo difronte a sé, osservando la tribuna dell'imperatore dove, ormai, erano tutti in piedi.
Percy e Giasone tenevano le braccia sollevate, urlavano con i volti puntati verso il basso, verso di loro e Sofia sorrise, sbattendo le palpebre nel tentativo di scacciare le lacrime ma si concesse di essere felice per un solo istante perché poi, vide la testa di Ottaviano che, dietro Percy e Giasone, si agitava come un'ossessa, gridando parole incomprensibili per il volume della voce di Roma. Muoveva le braccia completamente impazzito e guardò Percy voltarsi di scatto verso di lui mentre Giasone gli metteva una mano sulla spalla, tentando inutilmente di tirarlo all'indietro.
La voce di Ottaviano però, aveva già fatto il suo corso, aveva già serpeggiato tra le spade di Roma perché dieci centurioni, armati fino ai denti, uscirono in formazione da un altro cancello del Circo, andando verso di loro.
Il cuore di Sofia saltò un battito. – Proteggete Daphne e mettetevi al riparo! – ordinò, lasciando il braccio della ragazza a Grigoria. – Hadiya! – urlò, stringendo con forza la spada tra le dita mentre iniziava a correre verso di lei, seguita da Maia.
La voce di Roma si spense. L'unico grido che aveva unito la popolazione si disfò in urla oltraggiate. – Hanno vinto loro!
- Lasciatele stare!
- Quinta Coorte! – quella voce fu talmente autorevole che mentre Sofia correva, si voltò di scatto, valutando di mettersi sull'attenti, solo per accorgersi fosse Franco. Aveva abbandonato la lancia e si era sistemato lo scudo sulla schiena solo per imbracciare arco e frecce. – Proteggetele! Proteggete le ragazze di Roma! – ordinò, iniziando a scagliare frecce una dopo l'altra, ad una velocità impressionate, verso i centurioni che avevano appena invaso la pista del circo, abbattendoli uno ad uno.
I suoi legionari saltarono nella pista del Circo direttamente dalla tribuna, lanciandosi poi all'attacco.
Sofia, a quel punto, aveva già raggiunto Hadiya, un attimo prima che dietro lei, un'esplosione le facesse tremare i denti. La fontana col delfino era appena saltata in aria mentre l'acqua, che ormai scorreva libera, raggiunse i centurioni rimasti, investendoli completamente.
Hadiya, al suo fianco, batté un piede a terra e quelli, esattamente come i segugi infernali, crollarono nel sotto suolo, probabilmente pensò, con un brivido che le corse lungo la spina dorsale, dritti negli abissi del Tartaro.
- Prendetele! – strillò qualcuno, con la voce talmente acuta che le orecchie di Sofia stridettero persino. – Prendetele!
Si voltò, in tempo per vedere Percy che tirava un pugno dritto in faccia ad Ottaviano, facendolo cadere rigidamente all'indietro.
Ma l'ordine, a quel punto, doveva essere arrivato ad altri centurioni perché, un altro gruppo di soldati raggiunse la pista del Circo Massimo mentre, sulle tribune, scoppiò il più puro caos.
Il popolo si riversò sui soldati che ancora non erano scesi a combattere, attaccandoli, completamente disarmati. Altri, invece, si lanciarono direttamente sull'esercito dai loro posti a sedere, precipitando sulla pista del Circo ed addosso ai soldati in un furioso grido.
Davanti a lei, i centurioni romani ed il popolo, completamente disarmato, iniziarono a lottare con inaudita violenza, in un caos di urla, armi e sangue.
La Quinta Coorte, attorno a lei e Hadiya, era ferma, indecisa su cosa fare o su chi proteggere, se i soldati od il popolo.
- Oh miei dei – mormorò Hadiya accanto a lei prima di barcollare in avanti quando una scossa violentissima fece tremare il terreno.
Le gambe di Sofia cedettero, instabili, ma prima che potesse rimettersi in piedi, un soldato le cadde addosso, schiacciandola al suo. Lo spinse violentemente via da sé, facendolo rotolare a terra, voltandosi quando, ancora sulla sabbia, sentì il familiare suono di un'onda. Ma no, non un'onda qualsiasi. Sentì il mare caricarsi, quasi le parve di vederlo mentre si ritirava via dalla riva, raccogliendosi prima di liberarsi in un'incredibile e disarmante boato.
Il fiume Tevere si lanciò oltre le pareti del Circo Massimo piombando, in un'incontrollabile forza, dritto sulla pista.
Le urla di terrore del popolo e dei soldati riempirono le orecchie di Sofia, stringendole il cuore in una morsa di paura un attimo prima che quell'onda si potesse fermare a mezz'aria, come se vi fosse una barriera invisibile a bloccarla. Il vento si sollevò, schiaffeggiando con forza il volto di Sofia mentre i soldati ed il popolo che lottavano, venivano schiacciati al suolo ed il Tevere, invece, si avvicinava alle pareti del Circo, schiacciandovisi sopra. Poi, come chiuso all'interno di un recinto, l'acqua ricominciò a fluire, in silenziosa furia, verso i soldati ed il popolo schiacciato al suolo prima di ricoprirli completamente. La corrente d'aria si intensificò, sollevando poi i soldati ed il popolo all'interno di una sfera d'acqua e confusione, un secondo prima che, trasportati da un soffio di vento, Percy, Giasone e Regina potessero arrivare sulla pista del Circo Massimo.
Roma, a quel punto, era piombata completamente nel silenzio.
- È questo quello che accade – fece Giasone con la voce alta abbastanza per potersi far sentire da tutti. L'autorità nel tono fu tale che, persino il popolo sulle tribune, tornò dritto in piedi smettendo di lottare mentre, quelli chiusi nella bolla e comicamente ammassati gli uni sugli altri, finalmente si fermarono. – Quando il popolo non viene ascoltato. Quando la classe dirigente tace sulle decisioni da prendere, quanto tiene all'oscuro la sua gente dal futuro della loro stessa città! Questo è quello che accade. Che il popolo che dovremmo proteggere, si sente tradito, disilluso e ci attacca. È questo quello che succede – continuò, indicando furiosamente la bolla d'acqua ed aria, allargando poi le braccia ed indicando tutto il resto. – Quando si governa con la paura invece che col dialogo e con il rispetto. Questo è ciò che hai creato, Ottaviano! – urlò, spostando lo sguardo sulla tribuna dove, una testa bionda, faceva a malapena a capolino oltre il muro che li divideva dal resto degli spalti.
Ottaviano scattò di colpo in piedi, tentando di correre via, un attimo prima che un'enorme aquila bruna, il triplo più grande e possente di un'aquila normale, potesse ferocemente calare su di lui, acchiappandolo per il tessuto della toga con i lunghissimi artigli.
- Lasciami andare! – strillò Ottaviano mentre l'aquila iniziava a volare verso di loro, agitando le gambe. – Lasciami andare!
E, a quel punto, l'aquila lo lasciò davvero andare ad un altezza di almeno tre metri dal suolo, facendolo piombare a terra in un orribile tonfo sordo.
Il bellissimo rapace, per contro, planò lentamente verso di loro.
Sofia fece appena in tempo a vedere il becco dorato e gli occhi scuri ed intelligenti prima che toccasse terra con dei piedi umani, trasformandosi in Franco. Il centurione, in tutta la sua portanza, si era fermato al fianco di Giasone, osservando Hadiya fugacemente.
Sofia pensava che le persone come lui fossero solo delle leggende. Che solo gli dei fossero in grado di prendere diverse sembianze dalla loro originale. Lo guardò più attentamente, sollevandosi sulle sue gambe. Col sole che gli faceva brillare l'armatura in oro imperiale, un dio quasi lo sembrava, infondo.
Percy guardò Ottaviano che ancora si lamentava, sdraiato a terra, con una maschera di disgusto in volto, prima di rivoltarlo sulla schiena con un piede. – Alzati, razza di mollusco.
- Hai sussurrato nelle orecchie del senato per troppo tempo, Ottaviano – disse Giasone con la voce mortalmente dura. – Hai spinto il senato, con le tue letture fasulle, ad imprigionare il nostro popolo, a torturarlo, a non ascoltarlo. L'hai spinto a governare con il dolore e la paura, convincendoli fosse per il volere degli dei quando, invece, era la tua volontà che compivano, esaudendo il tuo macabro e perverso desiderio di vedere la tua gente soffrire. – Giasone osservò Ottaviano ancora riverso a terra ed a Sofia, guardandolo, ridicolmente raggomitolato com'era sotto la sua frustrazione, con i capelli sporchi appiccicati al volto pallido, ricordò un po' una biscia, troppo piccola per essere un serpente ma altrettanto disgustosa.
Il figlio di Giove spostò lo sguardo verso l'alto, verso l'imperatore Vespasiano che, impeccabile nella sua toga, era ancora seduto sulla tribuna. – Signore – lo chiamò, senza bisogno di alzare la voce.
Vespasiano allungò un braccio in avanti, stringendo il pugno prima di mostrare, inequivocabilmente, un pollice verso.
Giasone estrasse la sua spada d'oro imperiale dalla fodera, calandola su Ottaviano.
***
Sofia passò distrattamente le dita sulla pergamena che sporgeva dall'elsa del suo coltello. Il bronzo celeste della lama si rifletteva tenuemente sulla parete e parte del volto di Daphne che, nel letto accanto a lei, dormiva già da parecchio tempo. Era stata curata nelle celle del Circo prima che,caricandole sulla stessa biga che le aveva portate nel cuore di Roma,loro potessero tornare a Villa Quincia. Un guaritore si era preso cura di lei subito dopo che Giasone aveva giustiziato Ottaviano e la popolazione si era finalmente calmata.
Sofia non aveva idea delle decisione che avrebbero poi preso in Senato ma era convinta che, dopo il caos al quale aveva assistito quella mattina, qualcosa avrebbero dovuto cambiarla per forza.
Sarebbero tornate al Campo Mezzosangue per la mattina dopo e Sofia aveva Aphia da affrontare e la kryptheia che non aveva ancora idea di come gestire.
Hadiya le aveva detto che ogni magia avesse una fonte, sopratutto una magia che avrebbe dovuto durare nel tempo e che non poteva contare sull'essere continuamente rinnovata da qualcuno. Sarebbe stato un dispendio di energie troppo importante. A quel punto, quindi, Sofia doveva sperare che la fonte delle difese del Campo fosse all'interno della casa di Ecate. Doveva anche sperare di riuscire ad entrare nella Casa di Ecate, di trovare la fonte e poi anche di pensare ad un modo per bloccare la magia e permettere agli schiavi di fuggire. Sbuffò, giocherellando con la pergamena mentre vi passava il pollice sopra.
Era una strategia talmente pessima che non faceva acqua da tutte le parti, ma era già affondata prima ancora di poter prendere vita.
Mosse lentamente il coltello,proiettando la luce tenue del bronzo sulle pareti, osservandola.
Quando sentì dei passi leggerissimi avvicinarsi sempre di più alla cella, si affrettò a nascondere l'arma sotto la cintura, scivolando sul letto per far finta di dormire.
Tenne gli occhi sbarrati, cullandosi col respiro di Daphne un attimo prima che il profumo di mare potesse arrivarle alle narici. Si alzò dal letto prima di rendersene conto,un attimo prima che Percy potesse chiamarla in un sussurro a malapena udibile. – Sei sveglia? – domandò.
Lei sorrise nel buio, muovendo due passi in avanti ed uscendo nel cono di luce proiettato da una delle fiaccole appese al muro del corridoio esterno.
Percy sorrise quando la vide, mostrando i denti mentre faceva scattare la serratura della porta, aprendola inun leggero cigolio.
Sofia corrugò la fronte. – Vuoi allenarti adesso? Lo sai che ore sono? – domandò in tono di finto rimprovero, uscendo dalla cella ed aspettando Percy mentre chiudeva la porta alle spalle, senza bloccarla.
- Penso che oggi sia valso come allenamento – scherzò mentre iniziavano a camminare fianco a fianco verso la luce della luna che illuminava l'esterno.
Non aveva idea di quali fossero le intenzioni del figlio di Poseidone ma, mentre camminava al suo fianco, respirando il suo profumo di casa, Sofia non riuscì a farsi poi troppe domande.
Non aveva esitato ad aiutarla quando ce n'era stato bisogno, quel pomeriggio, controllando prima la fontana e poi l'intero Tevere per proteggere lei e le altre schiave.
Aveva superato, a quel punto, la fase in cui era convinta Percy volesse ucciderla. Fino a quel momento, non aveva fatto altro che salvarle la vita.
Quando uscirono dal corridoio, posando i piedi sul prato, Creekos li aspettava a pochi passi di distanza. Quando li notò, smise di brucare l'erba lì attorno, muovendo il lungo muso mentre nitriva nella loro direzione. Al suo fianco, Percy si irrigidì di colpo, stringendo i pugni con talmente tanta forza che Sofia ebbe paura si potesse spezzare le dita.
Creekos, davanti a loro, nitrì in quel modo suo che somigliava tanto ad una risata e capì che i due stessero avendo un'intera conversazione semidio-pegaso proprio in quel momento.
- Sei un pessimo ciuchino, razza di stupido pollo – borbottò Percy, costringendola a portarsi una mano alla bocca per trattenere una risata mentre Creekos muoveva le zampe in avanti, spingendo Percy col muso in pieno petto e facendolo barcollare di un paio di passi.
Fu a quel punto che Percy rise, accarezzandogli le guance e dandogli due pacche sul collo. – Vuole sempre fare il simpatico – si limitò a dirle mentre Sofia lo guardava divertito, sistemandosi al fianco di Creekos prima di potervi salire con un balzo.
- Tutto bene? – domandò poi al pegaso, dandogli una pacca al collo ed ottenendo, in cambio, un movimento d'assenso del muso ed un leggerissimo nitrito.
Percy saltò dietro di lei l'istante dopo, trovando quell'incastro perfetto che avevano già testato a Micene, scivolando verso la sua schiena.
Era assurdo perché a Sofia pareva non ci fosse un centimetro dei loro corpi che non si stesse toccando a quel punto eppure, in qualche strano modo, a lei proprio non riusciva a dare fastidio. Sentiva il calore del corpo di Percy contro al proprio ed il profumo di mare così forte che, se solo avesse chiuso gli occhi, le sarebbe parso di essere seduta sulla spiaggia di Atene. Percy sapeva di casa e, quando le passò le braccia attorno al corpo per potersi tenere a Creekos mentre il pegaso spiccava il volo, Sofia si disse anche che Percy, casa, un po' lo fosse.
La notte di Roma era tiepida e ricoperta di stelle e persino mentre volavano su Creekos, forse per il calore del corpo di Percy dietro al proprio, Sofia non riusciva a sentire troppo freddo.
Sollevò il capo verso il cielo scuro terso di stelle, sfiorando con la nuca la spalla di Percy, osservando poi la mezzaluna luminosissima.
Creekos atterrò pochi minuti dopo sulla cima di un colle erboso e loro due furono ugualmente rapidi a scendere dal suo dorso.
Sofia si guardò attorno, roteando su sé stessa mentre si perdeva nell'incredibile vastità del cielo. Era talmente nitido in quella notte d'estate, che era in grado di distinguere ogni singola costellazione e di nominare persino ogni singola stella che la componeva. Era in grado di vedere persino la via lattea, sfuggevole persino nelle notti più limpide, come quella.
Percy si sedette sull'erba, allungando le gambe davanti a sé ed incrociando le caviglie mentre Sofia si prendeva qualche altro secondo per poter guardare il cielo prima di sedersi al suo fianco, raggomitolando le gambe al petto. Continuò a guardare le stelle seguendo il profilo delle costellazioni, la cintura di Orione, il Cancro, il Piccolo Carro, il Grande Carro e non smise di osservare i disegni luminosi nel cielo nemmeno quando ruppe il silenzio tra loro due.
- Cos'è successo dopo che Ottaviano è stato giustiziato? – domandò, senza neanche provare a guardare Percy al suo fianco. A dispetto di quanto era luminoso il cielo, a terra c'era troppo buio perché lei potesse sperare di distinguere qualcosa in più rispetto al mero contorno del suo volto. – Immagino che il senato si sia riunito.
Si era fatta quella domanda più di una volta da quando le avevano spinte a tornare nelle celle quel pomeriggio, riportandole a Villa Quincia solo parecchie ore dopo.
- Si, il senato si è riunito – disse Percy e, seppur non riuscisse a vederlo, lo sentì comunque sorridere. – Ci è mancato poco facessimo una festa per la morte di Ottaviano ma qualcuno ha pensato fosse di cattivo gusto.
Sofia si lasciò scappare un sorriso che, comunque avvolti dal buio, Percy non poteva vedere.
- Ma davvero? – borbottò ironica. – Che razza di idiota, non è vero? – fece divertita prima di corrugare la fronte, seguendo il profilo della costellazione del Leone. – Che tipo era Ottaviano? Sembrava non andasse a genio a nessuno.
Percy, al suo fianco, sbuffò. – Era una persona spregevole. Non ha mai approvato l'alleanza tra Roma e Sparta. Ha sempre tentato di impedirla spacciandolo come volere degli dei quando era evidente, che il volere degli dei fosse unirci per porre fine alla loro crisi dualistica. Né ha mai approvato un trattamento diverso nei confronti degli schiavi che fosse al limite della tortura.
Il cuore di Sofia saltò un battito, spingendola a stringersi con più forza le gambe al petto.
- Ovviamente, tutti in senato sapevano che razza di persona fosse. Continuava ad essere accettato perché, a quanto dicono, suo nonno è stato uno degli auguri migliori che Roma abbia mai avuto e, qualcuno è anche riuscito a portarlo dalla sua parte perché, da parte dei patrizi, c'è sempre stato un disprezzo latente per la plebe. Avevano tutti paura l'uno dell'altro ed era inevitabile che, prima a poi, la tensione sfociasse in ciò che è accaduto oggi.
Sofia sollevò le sopracciglia, allentando la presa sulle gambe.
Chissà se Percy temeva lo stesso risultato anche per Sparta.
- Non si può abolire la schiavitù. Anche se siamo in molti a volerlo, per qualche assurdo motivo, più le persone hanno e più vogliono avere, il che non si riduce solo alla grandezza di una domus o chissà quale altra ricchezza, ma anche al possedimento degli schiavi. Tutto quello che importa ai patrizi, è il prestigio e la reputazione che si costruiscono. Più hanno schiavi e più la loro posizione cresce. Nessuno è pronto a rinunciare anche ad un minimo del loro benessere per un bene maggiore. Comunque, non sono di sicuro pronti a farlo adesso – spiegò Percy. – Però, dentro il senato ci sono due rappresentati in più della plebe. Inizialmente erano solo due ma quattro voci si sentono decisamente meglio e, almeno come inizio, direi non sia troppo male, giusto?
Avidità. Era solo la più pura forma di avidità che spingeva i ricchi a circondarsi di schiavi.
Corrugò la fronte. Anche lei era cresciuta con degli schiavi ma, più che servi, erano dei veri lavoratori e trattati più che dignitosamente.
Ma che differenza faceva, in fin dei conti?
Suo padre non mandava i suoi schiavi a combattere né li lasciava all'interno delle celle ma, in fin dei conti, erano comunque persone che avrebbero dovuto esaudire ogni richiesta e desiderio della sua famiglia. Uno schiavo per cucinare, uno per lucidare, uno per prendersi cura dell'orto, tre per fare compagnia a lei ed ai suoi fratelli quando i genitori non c'erano.
Non erano cose che avrebbero potuto fare da soli? E, nell'eventualità in cui non avessero potuto, quelle persone non meritavano comunque di essere pagate?
Erano costretti all'interno della loro casa sull'Acropoli di Atene senza via d'uscita e, in fin dei conti, c'era poi così tanta differenza con gli schiavi a Roma od a Sparta? Od addirittura, per quanto ne sapeva lei, con gli schiavi che servivano altre famiglie ateniesi?
Osservò Percy di sottecchi, riportando poi lo sguardo sul cielo, aiutandosi nello scacciare via dai suoi pensieri quelle riflessioni così dolorose.
La schiavitù avrebbe mai avuto una fine?
Forse, la schiavitù avrebbe avuto una fine quando gli uomini avrebbero smesso di ritenerne degli altri inferiori e, a quel punto, Sofia nutriva ben poche speranze.
- Allora – Percy attirò la sua attenzione su di lui e Sofia si voltò a guardarlo quando lui si sdraiò sulla schiena. – Che storia mi racconti oggi?
Sofia si concesse un sorriso mentre riportava il volto davanti a sé, nascosta dal buio. – Non te ne ho già raccontato una stamattina? – domandò divertita, lasciando che le gambe scivolassero leggermente sull'erba della collina.
- Si – rispose Percy. – Ma la storia di Issione già la sapevo.
Sofia si voltò di scatto, puntando un braccio dietro di sé per poter rimanere in equilibrio, maledicendo il buio che le impediva di vedere il volto di Percy mentre rideva per la sua reazione.
- Che c'è? Pensi di essere solo tu quella che studia? Qualcosa la so anche io, sai – la canzonò, lasciandola ad incassare quel colpo dritto allo stomaco in silenzio e, grazie agli dei, nascosta dalla notte.
Le gambe di Sofia scivolarono un po' di più sull'erba mentre poggiava le mani accanto ai suoi fianchi. – Conosci la storia di Teseo? – domandò, individuando nel cielo la costellazione di Arianna, rappresentata da una corona di stelle.
- Chi non la conosce?
Sofia si voltò nuovamente di scatto verso di lui, ignorando la sua risata che sapeva di onde. – Va bene, ho capito. Oggi vuoi fare tu il Sapientone. Prego – lo incalzò, allungando un braccio verso di lui. – Dai, raccontami la storia di Teseo, che oggi sei praticamente un dio – lo sfidò giocosamente, ottenendo in cambio la risata di Percy che le arrivò alle orecchie con ancora più forza.
- Per carità – disse. Sofia vide il profilo delle sue mani che si alzavano in segno di resa prima di tornare sullo stomaco con un tonfo leggerissimo. – Lascio a te l'onore. Sei comunque più brava di me a raccontare storie. L'unica cosa, non scendere nei dettagli sulla nascita del minotauro, ti prego –. Rabbrividì enfaticamente, strappandole l'ennesimo sorriso. – Quella parte è disgustosa.
- Ovviamente, quella parte esiste a seguito di una maledizione degli dei.
Percy fece un verso di scherno. – Come sono sorpreso.
Sofia si portò una mano alla bocca, trattenendo una risata prima di cercare nuovamente con lo sguardo la costellazione di Arianna. Iniziando solo quando la trovò nel cielo. – All'epoca, Creta era la potenza più forte del Peloponneso. Guidata dal re Minosse, Creta aveva conquistato la maggior parte delle città-stato della Grecia, sottoponendole tutte al suo terribile dominio.
Percy sbuffò e Sofia sorrise, lasciando che le gambe potessero scivolarle lungo l'erba, stendendole davanti a sé. – Ma perché devono tutti dominare con questa cattiveria?
Sofia strinse le spalle. – La paura dovrebbe ottenere più seguaci del rispetto spesso.
- Già. Ma nessuno sarà poi disposto ad aiutarti se mai ne avrai bisogno, in questo modo.
Sofia sorrise. – In ogni caso, il re Minosse costringeva Atene a mandargli ogni anno, i più belli ed i più forti sette ragazzi e sette ragazze della città, che sarebbero poi andati in pasto al minotauro, chiuso dentro il labirinto di Dedalo.
Percy, ovviamente, la interruppe. – Di Dedalo non si sa molto. Voglio dire, a meno che non abbia combattuto qualche mostro, nessuno ha la necessità di sapere qualcosa in più su di lui.
Sofia annuì. – La forza bruta fa più scalpore della conoscenza – borbottò. – E te ne parlerò volentieri – promise.
Dedalo era una delle persone che più ammirava nella sua vita. Avrebbe parlato per lui di ore, dei suoi progetti andati perduti, della genialità senza confini che tanto faceva paura e gola ai re più avidi.
- Eravamo arrivati al minotauro – fece Percy, riportandola alla realtà.
Sofia annuì. – Giusto. E comunque, anche Teseo aveva un'incredibile intelligenza. Era un ottimo guerriero ma ha ucciso i suoi nemici essendo sempre più sveglio di loro. La sua avventura che preferisco è quella con Sini. Era un bandito figlio di Poseidone e prometteva in cambio sua figlia a chiunque sarebbe stato in grado di trattenere, standovi al centro, due pini con le mani. Lui era fortissimo quindi, inizialmente piegava a gli uomini la punta degli alberi, li aiutava a trattenerli per un po' e poi, lasciava andare gli alberi e..
Percy lasciò andare un verso di scherno. – Ovviamente non tutti i figli di Poseidone possono essere eccezionali come me.
Sofia si voltò verso di lui di scatto. A quel punto, gli occhi si erano abituati al buio e poteva vedere la sagoma di Percy sdraiata sull'erba un po' più nitidamente. Non riuscì a leggerne l'espressione ma lo sentì ridere.
- Che gradasso che sei – borbottò con un sorriso, tornando a dargli le spalle. – Ovviamente, lui poneva i viaggiatori davanti ad una sfida, questa oppure un combattimento uno ad uno con lui che non solo era allenato ma era anche un semidio, quindi vinceva sempre.
Percy sbuffò contrariato. – Mi chiedo come mio padre non l'abbia fatto fuori prima.
Sofia sollevò le spalle. – Anche Teseo era un figlio di Poseidone. Ci ha pensato un altro suo erede a riscattare il vostro nome.
- Giusto.
- Teseo, davanti alla sfida, ci vide davvero lungo perché pensò che a nessuna driade sarebbe potuto davvero piacere scattare in avanti ed indietro a seconda delle volontà di qualcun altro quindi, quando Sini lo legò ai due alberi, lui fece semplicemente appello alle driadi al loro interno. Non è servita neanche in questo caso la forza bruta. Le driadi l'hanno aiutato perché stanche dei continui soprusi. Sono rimaste immobili quando era Teseo a trattenerle e quando ha finalmente convinto Sini a verificare quanto fosse facile trattenere i due alberi, be'..
- Le driadi hanno smesso di trattenersi, suppongo, e Sini è diventato tanti coriandoli.
Sofia annuì. – Precisamente.
- E la figlia?
Sofia non riuscì a trattenere uno stupido rossore alle guance. – Ti lascio immaginare.
- Oh – fece Percy, realizzando in quel momento ciò che intendeva Sofia. – Torniamo a Creta? – domandò poi e Sofia sorrise, annuendo.
- Torniamo a Creta. Teseo si offre per andare a Creta tra i sette giovani ragazzi che sarebbero stati sacrificati per il minotauro anche se, ovviamente, le sue intenzioni non erano quelle di morire. Lui si offre per uccidere il minotauro e quando arriva a Creta, assieme con gli altri ateniesi, tutto aveva pensato meno che si sarebbe innamorato di Arianna –. Sofia cercò con lo sguardo la corona della costellazione di Arianna, sorridendo quando la vide, luminosa, tra le altre stelle. – Arianna era la figlia del re Minosse e sorellastra del minotauro ed era contro a tutto ciò che aveva allestito il padre. Era contro l'aver fatto imprigionare Dedalo ed Icaro all'interno del labirinto ed era contro al sacrificio al quale Creta costringeva Atene ogni anno e poi, Teseo le pareva diverso – sollevò le spalle, corrugando la fronte. – Credo. Gli aedi non spiegano mai come sia successo ma lei si è soltanto innamorata di lui, abbastanza per dargli il suo filo la notte prima del sacrificio. Ancora adesso, quel filo è l'unica cosa che può guidarti all'interno del labirinto, facendoti ritrovare la via di casa.
- Dov'è il filo adesso? Ce l'ha qualcuno?
Sofia continuò a guardare le stelle di Arianna. – Non lo sa nessuno.
Percy stette zitto per un attimo prima di lasciar andare una risatina. – Io non pianifico nessuna gita dentro il labirinto. Tu? Spero davvero di no perché un conto è venire a recuperarti a casa di mia madre, un altro dentro un labirinto magico che ti porta alla pazzia e che può essere percorso solo con un filo che nessuno ha idea di dove si trovi.
C'era una comica nota di panico nella sua voce e Sofia si portò una mano alla bocca per trattenere una risata, prendendosi un paio di secondi prima di continuare. – Niente labirinto – sorrise mentre prendeva una pausa. – Per adesso.
- Annabeth – borbottò Percy in tono di rimprovero. Lo sentì muoversi alle sua spalle e quando si voltò, lo vide sollevato a mezzobusto.
Odiò la notte che le impedì di vederne il volto ma il pensiero la fece sorridere comunque.
- Arianna, la notte prima del sacrificio, gli da il suo filo magico. La forza bruta non sarebbe servita a niente dentro il labirinto. Trovare il minotauro ed ucciderlo sarebbe stato facile con l'allenamento e l'eredità divina di Teseo. Uscire dal labirinto, be', quella era una questione decisamente più complicata.
Percy fece l'ennesimo verso di scherno alle sue spalle. – Ci credo. Il minotauro è il mostro più stupido contro il quale abbia mai combattuto. L'ho abbattuto a dodici anni per la prima volta.
Sofia si voltò di scatto, corrugando la fronte anche se Percy non poteva vederla. – Che cosa?
Persino al buio, riuscì a vedere il capo di Percy muoversi in assenso. – Mi stava inseguendo mentre correvo verso il Campo Mezzosangue. A dodici anni, un satiro viene a prenderti e ti porta al Campo Mezzosangue, l'inizio dell'allenamento di un semidio ed il rito di iniziazione per i satiri –. Sofia annuì. Suo padre glielo aveva spiegato diversi anni prima. Gli spartani lanciavano dei ragazzini terrorizzati ed in balia dei mostri verso un Campo che si trovava in una valle dopo la cima di una Collina, in compagnia di un solo satiro e quando il loro odore da semidei era talmente forte che avrebbero attirato mostri da ogni angolo del Peloponneso.
Sofia si era sempre chiesta se, dai mostri, quei ragazzini stessero scappando via o ci stessero correndo incontro.
- Stava cercando di infilzarmi solo che mi sono spostato prima e lui ha infilzato un albero della Collina Mezzosangue. Uno dei corni si è incastro ed io l'ho staccato dal tronco per ucciderlo.
Sofia sbarrò gli occhi. – A dodici anni.
- Te l'ho detto che sono eccezionale – disse e, seppur Sofia non potesse vederlo, fu facilissimo immaginarsi il sorriso da piantagrane che doveva avere sul volto.
Sbuffò divertita, tornando a dargli le spalle. – Che gradasso. Comunque, Teseo riesce ad uscire dal labirinto assieme agli ateniesi e, con Arianna, fuggono da Creta prima che il re Minosse possa fermarli.
- Be', è una bella storia – intervenne Percy dopo qualche secondo. – Un lieto fine, giusto?
Sofia sorrise. – Teseo ha abbandonato Arianna sulla prima isola dopo averci fatto.. be', lo sai cosa e si è dimenticato della promessa che aveva fatto a suo padre, Egeo, di issare le vele bianche una volta tornato ad Atene se fosse riuscito nella sua missione. Non l'ha fatto ed Egeo ha pensato che il figlio fosse morto, quindi si è suicidato lanciandosi in mare e da qui il nome del mar Egeo.
Percy lasciò andare un verso stridulo. – Maledizione, Annabeth! Ma è mai possibile che finiscano sempre, sempre tutte così male? – lo sentì alzarsi di scatto e si voltò solo per vederlo camminare nervosamente dietro di lei. – E quello lo riducono in pezzi e quello era invincibile e lo ammazza una freccia. E quello, il figlio annega in mare e quell'altro si scioglie. Basta. Non esistono gli dei –. Decise poi risolutamente, tornando a sedersi pesantemente ad un passo da lei.
Sofia si voltò a guardare la sua sagoma. – Che hai detto?
- Oooh, mi hai sentito benissimo, Annabeth. Gli dei non esistono.
Sofia corrugò la fronte. – Percy – fece lentamente, – tu sei figlio di un dio – gli rivelò.
Percy mosse fastidiosamente il capo. – Credi che non lo sappia? Ma magari, se faccio finta di aver smesso di credere negli dei, la sfortuna olimpica che segue tutti i semidei non si abbatterà su di me. Non credi?
Fu a quel punto che Sofia non riuscì proprio più a trattenersi e scoppiò a ridere.
Scoppiò a ridere sul serio perché, davanti al suo volto, si immaginava quello di Percy, con gli occhi verdi spalancati in esasperazione mentre gesticolava. Scoppiò a ridere e, mentre si portava una mano al petto, senza neanche provare a nascondere la sua risata e Percy la seguiva a ruota, pensò fossero secoli che non rideva. Da quando la sua famiglia era stata distrutta e lei portata a Sparta, non aveva più riso. Si era concessa sorrisi rarissimi, la maggior parte della volta nascosti oppure trattenuti ed invece, in quel momento, avvolta dalla notte e con Percy al suo fianco che sapeva di casa, lei stava ridendo, con le guance e lo stomaco che avevano persino iniziato a farle male.
- Secondo me potrebbe funzionare – disse tra le risate. – Se neghiamo costantemente, prima o poi dovranno pur lasciarci in pace, giusto? – lasciò andare un sospiro, passandosi una mano sul volto. – Oh miei dei – esalò tra le risate, lasciandosi poi andare all'indietro, sdraiandosi sull'erba fresca che le pizzicò la pelle nuda delle braccia.
- Ecco, vedi, sbagliato! – esclamò Percy, sdraiandosi al suo fianco. – Non dobbiamo più dire "oh miei dei". Dobbiamo dire.. "oh cavolo".
Sofia scoppiò nuovamente a ridere, gettando il capo all'indietro mentre si portava una mano sullo stomaco. – Ma come "oh cavolo"! – esclamò tra le risate, asciugandosi le lacrime. – "oh cavolo"! – urlò mentre Percy la seguiva a ruota nella sua risata.
- Pensaci un attimo! – esclamò il ragazzo al suo fianco, sollevando le braccia che le coprirono qualche stella. – Il cavolo è buonissimo, giusto?
Sofia non riuscì a rispondere, continuò a ridere e Percy lo prese come un suggerimento a continuare. – è buonissimo, decisamente più degli dei e non potrebbe mai metterti in pericolo od affidarti imprese pericolose, non ho ragione?
Sofia continuò a ridere, sollevando un braccio al cielo. – Oh cavolo! – esclamò.
- Oh cavolo! – incalzò Percy prima che potessero riprendere a ridere assieme.
Ci vollero diversi secondi prima che le loro risate si affievolissero nella notte.
Sofia si asciugò le lacrime dagli occhi mentre prendeva dei respiri profondi, portandosi poi le mani allo stomaco dolorante. – E comunque, per Arianna finisce bene davvero, sai? Il dio Dioniso la trova sulla spiaggia poche ore dopo che Teseo l'ha abbandonata. Si innamorano ed alla sua morte la trasforma in una costellazione, rendendola immortale. Adesso vivono assieme sull'Olimpo.
- E lei era una semidea?
- No.
Percy allargò le braccia, allungandole verso l'alto. – Capisci cosa intendo adesso?
Sofia rise ancora, portandosi una mano davanti alla bocca, quella volta, mentre continuava a guardare le stelle. – Cosa ne sarà di Franco e Hadiya? Lei continuerà ad essere una schiava?
Sofia se l'aveva chiesto spesso, durante quella giornata, cosa ne sarebbe stato della figlia di Plutone e del figlio di Marte, che condividevano un amore così forte da aver spinto lei a sopportare la schiavitù pur di continuare a stargli vicino.
Sentì Percy voltare il capo verso di lei. – E tu come fai a saperlo? Te l'ha detto lei?
Sofia guardò ancora la costellazione di Arianna.
Si era davvero disposti a sacrificare così tanto per amore?
- No. Ho solo visto come si guardavano nell'Arena. Non smettevano di tenersi d'occhio per neanche un istante.
Non aggiunse poi che, il loro amore, doveva essere l'unica giustificazione per le scelte prese da Hadiya perché non aveva idea se Percy fosse a conoscenza del suo genitore divino.
- Oh miei.. oh cavolo – borbottò Percy, correggendosi con un sorriso mentre Sofia si lasciava scappare l'ennesima risata. – A me l'ha dovuto dire Franco che stavamo assieme e tu l'hai capito solo da degli sguardi?
Sofia sorrise. – Sai che anche Nico e Stefano stanno assieme?
- CHE COSA?! – esclamò Percy, sedendosi di scatto sull'erba mentre Sofia scoppiava nuovamente a ridere.
Si portò una mano sulla fronte ed una sullo stomaco. – Oh miei de.. oh cavolo, Percy! Ma non è evidente? Nico va sempre a sedersi al suo tavolo a mensa e non hai visto come sorride quando Stefano è nei paraggi? Sono convinta che tutta la casa di Apollo sappia che cosa c'è tra loro due. Tutta la casa di Apollo ed il resto del Campo Mezzosangue a parte te.
Percy si sdraiò nuovamente al suo fianco senza emettere un suono per interminabili secondi. – Ma come ho fatto a non accorgermene?
Sofia rise piano, osservando la sua sagoma con la coda dell'occhio. – Non puoi uccidere il minotauro a dodici anni e renderti conto di quando i tuoi amici di fidanzano ed innamorano, giusto? Altrimenti saresti un dio – scherzò lei.
Sentì Percy sorridere al suo fianco. – Cosa avevamo detto a proposito degli dei?
Sofia corrugò la fronte. – Altrimenti saresti un.. cavolo? – voltò il capo verso Percy, posando la guancia sull'erba ispida. – Un cavolo. Sei sicuro?
- Mai stato più sicuro – sorrise, lasciando andare un piccolo respiro. – Hanno ufficializzato la loro relazione. Franco è il capo della Quinta Coorte e figlio di Marte. Nessuno direbbe mai niente in contrario anche se avesse effettivamente qualcosa da dire.
Sofia sorrise, lasciando cadere le mani giù dallo stomaco e tornando ad osservare il cielo carico di stelle. Era improbabile che avrebbe mai più rivisto Hadiya, ma le piaceva pensare che lei sarebbe stata una dei rarissimi semidei che avrebbero avuto un lieto fine. – Franco poi potrebbe sempre trasformarsi in un elefante e schiacciarli tutti. Da chi ha preso quel potere? – domandò curiosa, ricordando il ragazzo che, con le sembianze di un enorme aquila, era sceso nell'Arena quel pomeriggio.
Percy sorrise. – Esatto. Dalla madre. Era una guerriera formidabile ed è morta in guerra diversi anni fa. Non era una semidea ma nella sua famiglia sono dei muta-forma di antichissima stirpe orientale. Ovviamente ha ereditato quei poteri anche Franco.
Sofia annuì.
Roma era stata impressionante e non per la sua enorme bellezza ma sopratutto per le incredibili realtà alle quali era andata incontro in soli due giorni.
Solo in leggende sporadiche, gli aedi avevano menzionato i muta-forma della Città Eterna e mai lei avrebbe pensato di poterne addirittura conoscere uno.
- Si sposeranno? – domandò, senza riuscire a trattenere uno sbadiglio.
Sentì Percy sorridere. – Si. Anche se non so ancora come. Se non verrò invitato, muoverò l'intero esercito greco contro di loro.
Sofia sorrise, slegandosi il velo dell'invisibilità dalla vita per poterselo portare sul busto, proteggendosi dal freddo della notte. – Hai freddo? – domandò, osservando il percorso della Via Lattea, sbattendo le palpebre per tenerle aperte il più possibile.
Avrebbero dovuto far ritorno a Villa Quincia eppure, sotto il cielo di Roma che sapeva di alloro e mare, lei stava davvero bene.
- No – rispose Percy e lei sbuffò, slegandosi il secondo velo, sistemando il coltello sul prato, sopra la sua testa ed allungando poi la stoffa verso Percy, che la prese con una piccola risata. – Va bene, allora ho freddo.
- È impossibile tu non abbia freddo – borbottò, chiudendo gli occhi, sistemandosi meglio sotto il velo.
Percy lasciò andare una risata delicata e Sofia si voltò su un lato, raggomitolando le gambe sotto al velo e le braccia al petto. – Annabeth – la chiamò delicatamente.
Sofia ci mise un attimo per rispondere, lottando contro le braccia di Morfeo. – Mmh.
- È davvero bella la tua risata.
***
Atena guardò Sofia ed il figlio di Poseidone addormentati uno al fianco dell'altra sotto il cielo di Roma.
Coperti dai veli di Sofia, erano rannicchiati una difronte all'altro, a sfiorarsi inconsapevolmente mentre dormivano beati.
Atena sorrise osservando il volto sereno di Sofia. Aveva vinto qualsiasi prova e superato qualsiasi dolore, la sua bambina.
La sua fortissima e saggia bambina.
Guardò poi il figlio di Poseidone rannicchiato al suo fianco, con il volto talmente tanto vicino a quello di Sofia da sfiorarlo. Socchiuse la palpebre, osservandolo con più attenzione.
Dove c'era Sofia, c'era sempre anche lui ed il modo in cui, naturalmente, il corpo di Sofia si era avvicinato a quello del ragazzo, le fece stringere i pugni sul grembo in uno spasmo.
L'amore e la paura determineranno la sua sorte
Un fruscio di seta attirò la sua attenzione di lato e, quando sollevò gli occhi grigi dal portale di Iride, incontrò quelli azzurri di Afrodite.
La dea non aveva fatto niente per nascondersi e qualcosa, nel suo sguardo, suggerì ad Atena non fosse appena arrivata.
Inginocchiata sul marmo, la dea della saggezza si limitò a raddrizzare la schiena, osservando l'altra che,lentamente e con le mani giunte, camminava verso di lei.
Il profumo di rose e mirto, mano a mano che diminuiva la distanza tra loro due, si fece sempre più intenso.
Le fiamme proiettarono l'ombra di Afrodite sulle mura della sala, sfiorando delicatamente il soffitto.
Quando si guardarono negli occhi, ad Atena sembrò che un macigno le si fosse appena sistemato sul cuore,privandola delle forze e del respiro. Un pugno gelido glielo strinse con forza inaudita, schiacciandolo tra le dita crudeli fino a che, in un'ultima ed improvvisa stretta, non lo sentì spezzarseli con forza nel petto.
Annaspò cercando il fiato, portandosi una mano sopra il cuore nella speranza di sentirlo battere, ignorando il tremore alla mano e spostando istintivamente lo sguardo verso Sofia.
- è questo ciò che proverà – le disse Afrodite.
La voce della dea riecheggiò tra le pareti della Sala dell'Olimpo ma Atena continuò a guadare la figlia dormire.
- Quando la profezia si avvererà – fece Afrodite, inginocchiandosi al suo fianco e sporgendosi -come lei- sul portale di Iride, guardando Sofia ed il figlio di Poseidone dormire vicini. Sorrise e Sofia, nel sonno, stese le labbra serenamente mentre il figlio di Poseidone si avvicinava a lei, fino a che non arrivarono a toccarsi. – Non potrai proteggerla neanche tu dal suo dolore.
Atena scosse le spalle, scacciando il brivido gelido che le passò lungo la schiena ed allungando una mano verso la guancia di Sofia, scostandole i capelli sfuggitegli dalla treccia. Sofia sorrise ancora, avvicinandosi al figlio di Poseidone con naturalezza nel sonno, fino a che non incastrò il capo sotto al suo
Che sia vita oppure morte.
Angolo Autrice:
Ciao fanciullini! Scusatemi tanto per il leggero ritardo ma sto organizzando tutto per la mia festa di laurea quindi non ho avuto troppo tempo libero ahahahaha in ogni caso, ecco l'ultimo capitolo ambientato a Roma. Anche correggerlo mi è piaciuto molto e spero tanto a voi faccia lo stesso effetto. Annabeth parla per la prima volta con qualcuno e spiega anche i motivi che l'hanno spinta a farlo. Semplicemente, da essere umano quale è, è esplosa ahahaha Ottaviano è morto. Via subito gli infami che non li vogliamo. Ho amato scrivere la scena del popolo romano che esulta per la plebe. Solo pensarci mi venivano i brividi e, rileggendolo, ho provato le stesse emozioni. Spero davvero tanto di essere riuscita a trasmettere tutto questo anche a voi.
Il capitolo è bello lungo però non potevo dividerlo in alcun modo quindi, nella speranza che vi piaccia comunque, è pubblicato così com'è. Mi è piaciuto molto anche scrivere di Percy ed Annabeth sul colle. Lei è sempre molto divertita da Percy. Ho tentato di sottolineare questa sua tendenza a trattenere i sorrisi e le risate fino a che poi, non è a suo agio con Percy al punto in cui si lascia finalmente andare.
La scena finale con Atena e Afrodite è per ricordarci che c'è ancora una profezia ed Annabeth è talmente presa da Percy che non ci sta più pensando.
Comunque, vi ringrazio tanto per tutto l'amore che mi mandate. Io vi voglio bene e spero tanto che il capitolo vi piaccia.
Un bacio, Eli:)*
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