Alleati
Stare sdraiati a letto tra le lenzuola, facendo finta che il mondo all'esterno non esistesse, era un lusso che Sofia era certa non avrebbe potuto rivendicare facilmente quindi, invece che proporre di andare sul portico a vedere le stelle od il modo in cui la luce della luna si rifletteva sul mare, decise di rimanere col volto posato sul petto di Percy che la stringeva con un solo braccio. Con l'orecchio posato al suo petto, chiuse gli occhi ascoltando il battito regolare del suo cuore e sorrise, tentando discacciare i pensieri via dalla testa il più a lungo possibile.
Percy aveva spento le torce che illuminavano la sua casa dopo la seconda volta che si erano uniti, ritenendo necessario un po' di buio anche se, per entrambi, era difficile riuscire a dormire. Cullata dai battiti di Percy e dal suo respiro regolare, Sofia aveva fatto finta di non avere una profezia sulla testa né talmente tanti dubbi da stringerle il petto, mozzandole gelidamente il fiato. C'erano ancora tantissime cose che non riusciva a comprendere a partire dalla profezia concludendo con Ares, così accanito contro di lei, che le appariva in sogno col solo intento di torturarla.
- Che cosa c'è? – soffiò Percy sul suo capo, con la voce roca di chi non la usa da un po'.
Sofia sollevò di scatto la testa verso di lui, incontrando il luccichio furbo dei suoi occhi verdi. – Che cosa che cosa c'è?
Percy sbuffò in un sorriso, accarezzandole la schiena con una mano e sollevando il capo abbastanza per poterle baciare il capo. – Riesco a vederti i pensieri che ti vorticano nella testa, Sofia.
Sofia sbuffò senza riuscire a trattenere un sorriso, posando il mento sul petto di Percy, sistemando meglio la gamba piegata sul bacino del ragazzo. – Posso sapere come fai? Neanche ti stavo guardando adesso.
Percy abbozzò una risata senza smettere di accarezzarla. – Il corpo ti si irrigidisce. La tua gamba ha iniziato a pesare come un macigno. Ho lasciato passare qualche secondo per vedere se fosse solo un problema del momento ma quando ho visto non smettessi, ho deciso di intervenire. – Sofia sorrise, nascosta dal buio e quando Percy scivolò delicatamente sul letto, poggiando la schiena al muro, lei lo seguì senza però riuscire a rifugiarsi contro di lui ancora una volta. – Cosa non ti fa dormire? – le domandò nella penombra della luce esterna della luna e Sofia si inginocchiò al suo fianco, portandosi istintivamente una mano allo stomaco nudo, in quel momento, dove normalmente c'era il suo coltello.
- La profezia – disse, arpionandosi la pelle. – C'è ancora qualcosa che non quadra. Dice "a diciotto anni sarà deportata" – si ficcò le unghie nella pelle dello stomaco. – Io non ho ancora diciotto anni. Devo compierli quest'anno ma non li ho ancora compiuti.
Percy non le rispose subito. – Quando li compi? – domandò.
- Nel dodicesimo giorno dell'Ecatombeone, con la luna nuova dopo il solstizio d'estate.
Percy ci pensò per un sacco. – Sotto la costellazione del Cancro.
Sofia corrugò la fronte, sorridendo. – Come fai a saperlo.
Percy sorrise, dandole una pacca alla coscia e lasciando poi lì la mano, senza alcuna palese intenzione di spostarla. – Ho anche io le mie fonti. Io sono nato il diciottesimo giorno del Metagitnone.
Sofia sorrise, piegando il capo di lato in ovvietà. – Non avevo dubbi.
Non riuscì a vedergli l'espressione ma Sofia era certa Percy avesse corrugato la fronte. – Che intendi dire?
- Un Leone. Un comandante ed un capo nato.
Percy non rispose. Sofia era certa che, se solo ci fosse stata un po' di luce, sarebbe riuscita a vedergli le guance tingersi di quell'adorabile velo di imbarazzo. – Lo sai come sono le profezie – disse poi Percy, rompendo il silenzio e cambiando discorso. – Sono sempre nebulose, create ad arte per non farti capire. Magari intende diciottesimo anno non diciotto anni di età.
Sofia sbuffò, scuotendo il capo. – Mi sembra davvero troppo facile, così.
Percy corrugò la fronte senza trattenere una risata. – Troppo facile dici? Niente per te è stato facile, Sofia, da quando l'esercito spartano ha invaso Atene, e niente è stato facile per te neanche da prima.
Sofia ci pensò per un attimo. – Non so Percy ma continua ad esserci qualcosa che non quadra, qualcosa che manca, in tutto questo marasma – rifletté se parlargli di Ares ma decise di tenere quell'informazione per sé. – Quando stavo recuperando la pelliccia del Leone di Nemea per far evadere gli schiavi –, un brivido gelido le corse lungo la schiena, facendola tremare nonostante il calore esterno e della mano di Percy ancora posata sulla sua pelle. – Ho spostato una.. bambola, credo e quella ha iniziato a par.. – maledisse la lingua che incespicò per il terrore dentro la sua bocca, impedendole di articolare facilmente la frase. – ha iniziato a recitarmi la profezia e poi, come una litania, non faceva altro che ripetermi "quanto tempo è passato, Sofia? Quanto tempo è passato?" – rabbrividì ancora al ricordo di quell'oggetto che veniva sicuramente dritto dall'Ade.
Vide Percy annuire. – Tempo fa, prima che venisse spostato a Delfi per renderlo accessibile a tutti, l'oracolo era all'interno del Campo Mezzosangue. La concentrazione più alta di semidei era qui e l'egemonia del Peloponneso, quando Eracle ha fondato il Campo, era qui a Sparta. Alle volte, quando si sale su quel piano della Casa Grande, si ha sempre l'impressione che qualcuno ti parli. Si dice che parte dell'oracolo sia rimasta lassù, ancorata per sempre al Campo Mezzosangue.
Sofia scrollò le spalle al ricordo di quella voce, tentando di liberarsi di quella rinnovata sensazione di gelo adesso che aveva raccontato a Percy ciò che aveva vissuto quella sera.
- È finita, però. Pono ha perso, io sono Capo con Carlo. Andrà tutto bene adesso, Sofia – la mano calda di Percy si spostò dalla sua coscia alla sua guancia, accarezzandola teneramente.
Sofia lasciò che quel calore potesse cullarla, chiudendo gli occhi e mettendo una mano sopra quella di Percy, sorridendo nel buio mentre si sdraiava ancora una volta, cercando la spalla di Percy prima di intrecciare le gambe alle sue.
Percy le avvolse le spalle con un braccio e Sofia respirò a pieni polmoni il suo profumo di casa, acchiappando la coperta disordinata ai piedi del letto e coprendo entrambi.
Andrà tutto bene, le aveva detto Percy e Sofia, accoccolata tra le sue braccia, con i capelli ancora umidi dal mare di Atene, quasi riusciva a crederci. Quasi riusciva a crederci che sarebbe andato tutto bene e che il suo dolore sarebbe finalmente terminato eppure, una sensazione gelida alla bocca dello stomaco, non riusciva a farle chiudere gli occhi con facilità, ad abbandonarsi teneramente alle carezze di Percy od al suo calore. Perché erano ancora troppe le cose che non le erano chiare e lei era una figlia di Atena, era abituata a fare chiarezza. Era abituata a trovare una spiegazione, a trovare una soluzione, esattamente come le avevano insegnato suoi zii nel corso delle lunghissime lezioni che riservavano a lei ed ai suoi fratelli. Tutto aveva una spiegazione, anche il problema più difficile, e che lei fosse ormai settimane che tentava di trovare una soluzione a quello della sua vita, senza riuscire a trovare una risposta, non solo la rendeva irrequieta, ma infastidiva il suo orgoglio oltre ogni limite possibile.
Fu la stanchezza però, che mise a tacere quei suoi pensieri irrequieti e lei crollò nel sonno tra le braccia di Morfeo e quelle di Percy.
***
Sofia si asciugò il sudore dalla fronte mentre piantava nuove fragole nel suolo del campo. Con Percy e Carlo che erano finalmente diventati capi del Campo, comunque l'agricoltura era una cosa alla quale avrebbero sempre dovuto prestare particolare attenzione. L'unica differenza rispetto a quando c'era Pono a rovinare le loro vite, era che avevano decisamente meno soldati a controllarle (il che equivaleva alla libertà di prendersi più pause) e più soldati ad aiutarle. Al suo fianco, infatti, Leo aveva appena scavato una buca che riempì poi con una piantina di fragole che gli passò Sofia.
Percy le accarezzò le gambe delicatamente, partendo dalla caviglia, le sorrise prima di baciarle delicatamente il collo, aprendo le labbra sulla sua pelle e sfiorandola con la lingua. Poi, le dita raggiunsero il suo centro eSofia sbarrò gli occhi, scuotendo il capo vigorosamente. Tornò rapidamente in mezzo al campo di fragole, con il chitone appiccicato al corpo per il calore e Leo che, inginocchiato ai suoi piedi, scavando un nuovo buco per le piantine, la guardava con l'aria di saperne una più di Ade in persona. Gli occhi castani scintillarono e lui l'osservò furbescamente, strappandole uno sbuffo.
- Che c'è? – borbottò nella direzione del ragazzo, facendo oscillare la traccia bionda oltre le spalle nella speranza di avere un po' più fresco e dimenticarsi prima delle mani di Percy che, nella sua mente, non avevano smesso di toccarla ovunque per neanche un secondo.
Sofia non aveva idea di quanto bello fosse il sesso fino a quando non l'aveva fatto con Percy. Era strano perché non aveva mai provato.. impulsi verso nessuno. Uomo o donna che fosse. Corrugò la fronte, piegando il capo da un lato.
Non era del tutto vero, in realtà.
Qualche anno prima, a casa sua, era arrivato un nuovo servo. Era giovane, forse poco più grande di lei, con la pelle baciata dal sole e gli occhi vispi. Aveva i muscoli di chi lavora, ben tesi sotto alla pelle e, quando l'aveva visto, aveva sentito la necessità impellente di stringere le gambe mentre il ventre le si contorceva impazzito, esattamente come aveva fatto in quel momento quando aveva ripensato a Percy.
Era strano perché, naturalmente, lei era sempre stata una persona curiosa eppure, aveva relegato quelle sensazioni in un angolo della sua mente, seppellendo nuovamente le sue attenzioni tra pergamene di suo zio. Certo, con Percy quella sensazione era molto più forte rispetto a quella che aveva provato nella sua casa ad Atene e, comunque, non aveva sentito il bisogno di toccare quel servo, di stringerlo, di sentirlo su di sé. Necessità che, invece, aveva con Percy.
- Nulla –. Leo la riportò furbescamente alla realtà ancora una volta. – Dico solo che sei troppo rossa per dare la colpa al sole.
Sofia si sentì avvampare e roteò gli occhi al cielo, porgendo bruscamente una pianta a Leo nella speranza di mascherare l'esser stata colta in flagrante e la necessità di avere Percy su di sé, dentro di sé -oh miei dei- per ancora diverso tempo. – E che mi dici di te, allora? Hai dei graffi sulla schiena che fanno spavento. Hai passato la notte con un segugio infernale? – lo rimbrottò, alludendo alla schiena nuda, sudata ed abbronzata del ragazzo che portava gli inequivocabili segni di una notte soddisfacente.
Leo non trattenne un sorriso. Gli occhi castani scintillarono di lussuria e si alzò sulle gambe, posandosi le mani sui fianchi magri prima di affondare le dita sotto la sua cintura e togliendone fuori un fazzoletto, che le porse per farle asciugare la fronte. – Con due – disse, spostando poi il capo verso Daphne e Grigoria che lavoravano assieme a qualche filare più in basso da loro. Forse, dovettero sentire gli occhi di Leo su di loro perché sollevarono improvvisamente il capo verso di lui, sorridendo compiaciute nella sua direzione prima di rivolgere un cenno a Sofia e riprendere a lavorare.
Sofia, dal canto suo, per poco non si strozzò con la saliva ed usò il fazzoletto per coprire il rossore che le scaldò fastidiosamente il volto.
Si può fare anche in più di due?!
Poi, portò il fazzoletto all'altezza del bacino, guardandosi attorno, posando gli occhi sugli altri ragazzi e ragazze che lavoravano. Si figurò Percy mentre la toccava, mentre la baciava e poi immaginò, senza troppa difficoltà, altre mani che le sfioravano la pelle, che la baciavano assieme a Percy e scosse velocemente la testa, stringendo le gambe di scatto. – Forza, a lavorare! – esclamò, col cuore che le batteva nel petto per l'agitazione e Leo scoppiò a ridere.
- Agli ordini, capo! – mentre scavava un altro buco sul terreno per piantare nuove fragole, la guardò dal basso, con gli occhi che scintillavano furbi. – Tanto lo so che ci hai pensato.
Sofia ringhiò infastidita, dandogli un calcio al piede che lo fece barcollare lateralmente, facendolo scoppiare a ridere. – Sei insopportabile.
Leo fece un verso di scherno, prendendole dalle mani la piantina di fragole che Sofia gli porgeva. – Chiamami pure insopportabile. Io ti sto solo aprendo nuovi mondi – infilò la piantina nel terreno, avvicinando poi la terra con le mani e battendola con decisione. – Sono certo che Percy avrà tutte le intenzioni di farteli esplorare.
Sofia sbarrò gli occhi, sentendo il calore dell'imbarazzo salirle fino alle orecchie. Possibile che Percy gli avesse raccontato.. no, non era affatto da lui. Era troppo riservato sulla sua vita, anche se Leo era una delle persone a cui era più legato.
Se avesse mai dovuto parlarne con qualcuno, ne avrebbe parlato con Giasone, molto più discreto rispetto al rumoroso figlio di Efesto che lavorava al suo fianco.
Leo la guardò, improvvisamente comprensivo dal basso, alzandosi poi ancora una volta per poter essere alla sua stessa altezza. – Percy non mi ha detto nulla, ma oggi era molto più di buonumore del previsto – Sofia sorrise istintivamente, portandosi poi una mano alla stomaco, sfiorando il coltello con le dita per aiutarsi a nasconderlo più facilmente. – L'ho visto come ti ha guardata mentre facevamo colazione –. Sofia strinse con forza le labbra per costringersi a non sorridere, sentendo però il cuore galopparle nel petto. – E poi gli hai lasciato un segno non indifferente sul collo, mia amica ateniese, e stamattina vi ho visto uscire assieme dalla sua Casa mentre io tornavo dal vostro dormitorio –. Sofia lo colpì con forza al braccio e Leo scoppiò a ridere. – Ahia! Pensavo fossi così violenta solo tra le lenzuola!
Sofia, in tutta risposta, lo colpì ancora e Leo continuò a ridere, cercando inutilmente di proteggersi dagli attacchi di Sofia mentre lei tentava di trattenere una risata.
- Sei insopportabile – borbottò, voltandosi per prendere una piantina posata al suolo e concedendosi di sorridere solo in quel momento.
- Si, come vuoi. Dai pure la colpa a me di questa nuova passione travolgente che ti ha colto, chiudendoti nelle spire bollenti del mare di Perseo.
Sofia si voltò di scatto, osservandolo negli occhi castani per secondi interminabili, stringendo con talmente tanta forza le labbra tra loro che iniziarono anche a farle poi. Vide gli occhi di Leo riempirsi di ilarità un attimo prima che, entrambi, potessero scoppiare rumorosamente a ridere.
Sofia si portò una mano allo stomaco mentre buttava il capo all'indietro e quando Leo le posò una mano sulla spalla, ridendo fragorosamente, lei riportò gli occhi socchiusi per il divertimento, su di lui, solo per poter vedere il ragazzo continuare a ridere. – Ma cosa stai dicendo? – esalò lei tra le risate e Leo scosse il capo, asciugandosi una lacrima da sotto agli occhi.
- Ed io che ne so! Fare l'imbecille mi viene naturale.
Sofia lo guardò ancora e, dopo una minuscola pausa, scoppiò a ridere ancora una volta.
Il cuore leggero. Ecco cosa sentiva di avere. Sentiva di avere il cuore leggero e, ripensandoci per un istante, mentre rideva con Leo con i piedi immersi nella terra del campo di fragole, sotto al sole ateniese, era anni che non si sentiva così. Anni che non sentiva, semplicemente, di potersi permettere di non avere paura.
Erano rari gli spiragli in cui Sofia sentiva finalmente di riuscire a respirare. Con Paralo e Kyros era facile scrollarsi di dosso le preoccupazioni della giornata ma, dopo che Atene era stata messa sotto assedio e da quando lei era arrivata al Campo Mezzosangue, di momenti per respirare sentiva di non averne mai avuto. Quando stava con Percy e si apriva lentamente con lui senza neanche rendersene conto, allungando una mano verso la sua, si era resa conto solo quella notte non lo facesse per respirare ma per riprendere a farlo ed in quel momento, che aveva detto a Percy la verità, il cuore era finalmente leggero.
Dirlo ad Hadiya, nelle celle sotto al Circo Massimo, era stato come levarsi un peso dal petto ma dirlo a Percy, gliene aveva levato uno proprio dal cuore ed era strano anche solo pensarlo, perché non si era mai sentita così. Non aveva avuto idea dell'effettivo significato di quelle parole fino a quel momento.
Era possibile che solo una persona fosse in grado di fare così tanto?
Era possibile che le fosse bastato essere vista dalla persona giusta perché quelle dita gelide potessero finalmente allontanarsi dal suo cuore, permettendogli così di riempirsi di calore?
Era assurdo anche solo starsi dando la libertà di ridere con Leo come se si conoscessero da tutta la vita e come se lei non avesse un pensiero al mondo. Ed era così assurdo che lo stesse facendo con quella naturalezza e con quella facilità. Era come se, per la prima volta nella sua vita, lei si stesse finalmente comportando da ragazza di diciassette anni. Non era Sofia, figlia di Pericle, era Annabeth, che decideva da sola dove andare e che cosa fare.
- Voi due! – la voce familiare di Percy le fece contorcere il petto e lo stomaco per l'emozione, spingendola a voltarsi di scatto verso la valle della collina sulla quale stavano piantando quelle fragole. Sotto ai raggi del sole, Sofia non riusciva tristemente a vedergli gli occhi ma, il sorriso, quello eccome se lo vide.
Leo non le tolse la mano dal braccio mentre si girava anche lui verso Percy, con le labbra ancora stese nella risata che aveva colto entrambi così improvvisamente.
- Meno chiacchiere e più lavoro! – li incalzò divertito, – quelle fragole non si pianteranno da sole!
Leo fece un verso di scherno nella sua direzione. – Vuoi favorire, capo? – lo prese in giro, – qua c'è davvero bisogno di un po' d'aiuto!
Sofia si morse il labbro inferiore, divertita, sorridendo verso Percy che, per quanto non riuscisse a vederlo bene quanto avrebbe voluto, sapeva stesse guardando lei. – Assolutamente no! – esclamò il figlio di Poseidone. – Io ho altro a cui pensare!
Leo fece un verso oltraggiato nella sua direzione. – Ma sentilo! Ho altro a cui pensare! – disse, facendogli il verso.
- Rimettiti al lavoro, Leo!
- Ah! Solo io? Ed Annabeth, scusa?
Sofia scoppiò a ridere ancora e vide distintamente il sorriso di Percy allargarsi. – Ti conosco abbastanza bene da sapere che la stai distraendo tu! Continua a piantare fragole se non vuoi che ti mandi in cucina a pulire insieme alle arpie!
Leo sollevò le mani davanti al petto in segno di difesa e, davanti agli occhi colmi di terrore, Sofia scoppiò a ridere ancora una volta. – Gli dei non vogliano. Forza, amica ateniese, ricominciamo a piantare fragole. Che lavoro splendido! – disse, abbassandosi nuovamente e scavando una nuova buca a terra. – Tempra il carattere e lo spirito – asserì ironicamente e Sofia sorrise, senza smettere di guardare Percy.
Era troppo lontano eppure, lei era certa di non aver mai sentito una persona così vicino. La avvolse completamente anche se erano troppi gli acri a dividerli e lei neanche riusciva a vedergli gli occhi eppure, in qualche modo, sentiva perfettamente il suo sguardo su di lei ed il sorriso che abbracciava naturalmente il proprio.
- La smetti di mangiartelo con gli occhi e vieni ad aiutarmi? – borbottò Leo, tirandole una manciata di terra sul chitone bianco che la fece esclamare per l'indignazione, oltre che distogliere lo sguardo da Percy. Roteò divertito gli occhi al cielo e Sofia gli diede un colpo alla nuca, facendolo protestare e passandogli una nuova piantina.
- Sei insopportabile.
Leo fece un verso di scherno. – Povera te. Perseo avrà anche gli occhi verdi e tutti quei muscoli ma io ti ho già conquistato con la mia dirompente personalità.
Ed a quel punto, Sofia scoppiò a ridere ancora una volta.
- Quante fragola dovremmo ancora piantare secondo te? – domandò a quel punto il figlio di Efesto, – perché io avrei un certo languorino oltre che – si annusò l'ascella, facendo poi una smorfia l'istante dopo e facendo scoppiare Sofia a ridere per l'ennesima volta. – una certa puzza. Le mie fanciulle non mi vorranno mai se continuo a puzzare così.
Sofia roteò gli occhi al cielo, un attimo prima che un vigoroso battito di mani potesse attirare la sua attenzione verso la valle. La figura scura ed imponente di Carlo si stagliava allegramente sotto di loro. – Forza! Tutti a lavarsi e poi a mangiare! – esclamò e Leo non se lo fece ripetere due volte, balzò in piedi, cominciando a correre verso il fondo della collina.
Sofia sorrise, prendendosi il suo tempo per poter attraversare il campo di fragole a piedi nudi, raggiungendo le amiche che la stavano aspettando qualche filare più avanti. Nonostante le cose stessero lentamente cambiando al Campo, schiavi e semidei mangiavano comunque separatamente.
Prima i semidei e poi gli schiavi.
Era un assetto della loro società che non poteva sparire da un momento all'altro. Magari poteva farlo su carta ma, decisamente, non con la stessa facilità dalle menti delle persone. Per quel momento però, solo riuscire a respirare un po' di armonia, era abbastanza per Sofia.
- Tu hai proprio una faccia nuova – decise Daphne, scrutandola con gli occhi scuri per qualche secondo prima di dirlo, mentre cominciavano a camminare assieme.
Sofia sentì il calore risalirle su per le guance e serrò le labbra tra di loro, trattenendo un sorriso. – Tu credi?
Grigoria, al suo fianco, annuì vigorosamente. – Assolutamente si. Tu che ne pensi, Maia?
Maia fece capolino oltre la spalla dell'amica. Aveva i capelli scuri scompigliati, fuoriusciti dalla treccia ma gli occhi brillavano così tanto, meravigliosamente spensierati, che Sofia pensò non fosse mai stata più bella. – Si – la guardò, corrugando la fronte e Sofia sbuffò, nascondendo il sorriso divertito.
- La potete smettere, per favore? – protestò, facendo un paio di passi davanti a loro e concedendosi di sorridere solo in quelmomento. – Siete fastidiose.
- Hai rilassato le spalle – decise poi Maia. – Ha rilassato le spalle, non trovate? – disse poi alle altre ragazze.
Qualcuno le posò le mani calde e sporche di fango sulle spalle e Sofia voltò il capo di scatto per la sorpresa mentre continuava a camminare, incontrando gli occhi vispi di Daphne. – Assolutamente si! Allora, chi è che ti ha finalmente portato via il fiore? – domandò sfacciatamente e Sofia esclamò indignata, trattenendo un sorriso mentre sfuggiva via dalle mani e dalle risate delle sue amiche.
- Che vi è preso a tutti oggi? Oh miei dei! – esclamò, balzando via dalla collina e posando i piedi nudi sul lastricato bollente. Lanciò un urlo per la sorpresa, seguita subito dopo dalle sue amiche prima che iniziassero tutte a correre, velocissime, verso il lago. Imprecarono assieme mentre correvano, ridendo tra uno spintone e l'altro, tirandosi i chitoni nella speranza di arrivare una prima dell'altra.
- Maledizione, che male! Ma dove solo i calzari?! – protestò Grigoria, tirando vigorosamente Daphne all'indietro che si vendicò con una gomitata ben assestata al suo stomaco, scoppiando a ridere.
- Ed io che ne so! – rispose Sofia, scacciando via le mani di Maia che tentarono di fermarla, acchiappandola dalla cintura.
Vide finalmente il lago, non appena svoltarono, brillare luminoso sotto alla luce del sole, accanto alle pareti, a quell'ora immobili, dell'arrampicata. Qualcuno si era già gettato in acqua tra schiavi e semidei e lei e le sue amiche accelerarono la corsa in un silenzioso accordo, precipitandosi verso il fresco.
Maia le balzò a sorpresa sulle spalle e l'impatto fu abbastanza forte da farle capitombolare entrambe nell'acqua gelida del lago, strappandole un grido di sorpresa mentre cadeva sotto la superficie.
- Non l'hai fatto davvero! – esclamò Sofia una volta che riemerse, mettendo a tacere la risata dell'amica spingendola sotto la superficie dell'acqua con vigore, mettendole due mani sulla testa. Rise, ma poi Terentia, sbucata dal nulla, si lanciò su di lei senza troppi complimenti, mozzandole il respiro e rimandandola sott'acqua.
Quando Sofia riemerse con un sorriso sul volto, vide dei soldati a pochi passi da loro. Erano in quattro, in cerchio, che parlavano con la fronte corrugata e gli occhi scuri, cupi. Parlavano eppure, quando Sofia seguì la direzione del loro sguardo tetro, erano ben concentrati sulle sue amiche che, senza un pensiero al mondo, si schizzavano con l'acqua fresca del lago.
Sofia riuscì persino a sorridere di nuovo, un attimo prima di spostare gli occhi sui soldati per un'altra volta ancora. Le iridi scure, ancora più cupe sotto alla fronte corrugata, erano fissi sulle risate delle sue amiche, con le labbra serrate ed i pugni chiusi sopra alla superficie del lago.
Uno di loro, che non doveva avere più di sedici anni, con il busto solcato da una lunga cicatrice biancastra, stringeva le dita tra loro con talmente tanta forza mentre guardava le ragazze, che le nocche erano paurosamente sbiancate.
Sofia si accorse di non star respirando solo quando il petto iniziò a bruciarle ma, anche quando aprì la bocca, l'aria che ne entrò era talmente esigua che il cuore iniziò a batterle all'impazzata nelle orecchie. Si portò istintivamente una mano allo stomaco, sfiorando, con le dita, la sagoma del suo coltello mentre guardava le sue amiche ridere, poco lontane da lei. Guardò le schiave schizzarsi e giocare sotto agli occhi furiosi degli spartani e un brivido gelido le corse lungo la schiena, facendole contrarre le spalle mentre gli occhi presero a pizzicarle per quell'improvviso dolore.
Sparì velocemente sotto al livello dell'acqua, dandosi una spinta all'indietro prima di girarsi, sfiorando il terreno col corpo mentre, con bracciate vigorose, si sforzava di raggiungere il fondo del lago. Aprì gli occhi, osservando il mondo sfocato attorno a sé, concentrandosi sui capelli che le sfioravano la schiena mentre nuotava e su quel meraviglioso, impagabile silenzio che l'avvolgeva in quel momento.
Via dalle risate delle sue amiche, via dagli sguardi degli schiavi.
Via.
Via.
Via.
Roteò ancora una volta, posando la schiena al fondo del lago ed osservando la superficie traslucida così lontana da lei ed i raggi del sole che vi filtravano attraverso. Le sarebbe piaciuto rimanere lì per sempre. A far finta che la sua vita potesse semplicemente essere solo quella, un meraviglioso silenzio, con i capelli che le volteggiavano piacevolmente attorno al volto.
Ma il petto iniziò a bruciarle, a premere per la mancanza d'aria e Sofia fu rapida a darsi una spinta con i piedi, salendo velocemente verso la superficie, infrangendola con un'enorme boccata d'aria.
- Annabeth! – la chiamò Maia, sorridente, iniziando a nuotare verso di lei. – Ma dove eri finita?
A quanto pareva, mentre lei era rimasta sott'acqua, le sue amiche ne avevano approfittato per liberarsi dei chitoni. Le vide nuotare nella sua direzione con i corpi nudi sotto al pelo dell'acqua.
- Stava scappando da noi! – rispose Daphne, – eravamo giàin troppe ad averla buttata sott'acqua.
Sofia esclamò indignata, sorridendo mentre schizzava la sua amica quando fu più vicina a lei. – Ti piacerebbe davvero, Daphne!
La ragazza la schizzò di rimando e Sofia rise mentre la guardava con il cuore che, lentamente, iniziava a battere un po' meno forte.
***
Atena guardò la figlia mentre rideva con le altre schiave e sorrise, inginocchiata sopra al portale di Iride che le permetteva di vederla.
Quando sentì il suo odore, vi passò velocemente una mano sopra, celando velocemente la vista di Sofia, facendo sparire la scena che aveva osservato fino a quel momento.
- Non voglio sentire nulla – disse, continuando a rivolgere le spalle alle porte della Sala dell'Olimpo.
Sentì il dio sorridere dietro di lei. – Non ho intenzione di dire assolutamente niente, Atena – disse, camminando fino a che non fu al suo fianco.
Quando il suo odore diventò troppo forte perché lei potesse continuare ad ignorarlo, si voltò di scatto, osservando gli occhi verdi del dio al suo fianco. – Allora perché sei qui, Poseidone? – domandò.
L'uomo sorrise. Avevano una storia di conflitti, loro due e, per secoli, Atena non aveva fatto altro che pensare fosse un vero peccato. Strategicamente, se lei e Poseidone fossero stati alleati, avrebbero creato un fronte imbattibile persino per Zeus. Lei con i suoi schemi e lui con la potenza del mare, sarebbero stati inarrestabili.
D'altra parte però, si disse, mentre lo osservava chiuso in un chitone da pescatore grigio, con la cintura da cui penzolava un piccolo tridente, il mare non poteva essere controllato. Eppure, suo figlio dalla sua, di figlia, si faceva controllare eccome.
Sorrise orgogliosamente al pensiero e Poseidone, come se glielo avesse detto, sorrise di rimando, acuendo le rughe d'espressione attorno agli occhi verdi sulla pelle abbronzata.
- La stavi guadando ancora? – le domandò, – era con mio figlio? – chiese, forse consapevole che, alla prima domanda, Atena non avrebbe mai liberamente risposto.
- No. Era con le altre schiave – si limitò a rispondere, osservando il punto nel pavimento di marmo dove, fino ad un secondo prima, aveva guardato Sofia giocare con le altre ragazze.
Vide Poseidone annuire con la coda dell'occhio e si alzò. – Era inevitabile, Atena – le disse con voce grave e lei si alzò di scatto, stringendo con forza i pugni lungo ai fianchi.
- Non avevo forse detto non volessi sentire assolutamente nulla, Poseidone? – domandò retoricamente, voltandosi di scatto per poter nuovamente affrontare il dio che, però, era ancora accucciato a terra.
Poseidone si sollevò lentamente, gli occhi che erano oscurati da una patina triste ed Atena sentì lo stomaco contorcersi. – Era inevitabile – ripeté.
L'onda della sua voce si sbatté, nuovamente, contro di lei e, istintivamente, Atena mise una mano alla lancia che portava sulla schiena. – Non era inevitabile – ringhiò, stringendo con forza le dita attorno alla sua lancia. – Ares ha interferito perché aveva bisogno di una guerra. Ares ha scoperto l'oracolo. Ares ha messo in pericolo la mia unica figlia. Ares ha..
- Non è stato solo Ares ad interferire, Atena – la interruppe Poseidone.
Atena estrasse la lancia via dal suo fodero, puntandola contro al petto del dio. – Silenzio.
- Hai interferito anche tu. Sei stata tu ad interferire per prima.
Atena urlò ma quando gli spinse la lancia contro al petto, Poseidone le era già sfuggito via. Colta da una furia cieca, gliela scalciò contro con decisione, solo per vedere la sua arma conficcarsi miseramente dietro al muro alle spalle del dio, riempendolo di crepe.
La richiamò velocemente con una mano mentre Poseidone staccava il piccolo tridente che aveva appeso alla sua cintura, riportandolo di normali dimensioni ed impugnandolo con decisione. Lo tenne piantato al terreno anche quando Atena si impossessò della sua lancia. Non aveva intenzione di usarlo contro di lei ma Atena sapeva perfettamente e per esperienza diretta che, esattamente come lei, anche il dio del mare era capacissimo nell'usare le proprie armi.
- Sei la dea della saggezza. Sei la correttezza e la sapienza e la strategia. Sei la migliore tra tutti noi, Atena – continuò Poseidone con strana calma. – Lo sai che ho..
Ma Atena urlò, scagliandosi sul dio e mirando dritto alla sua testa con la lancia. Poseidone la intercettò col suo tridente ed il cozzare delle loro armi rimbombò per l'intera sala dell'Olimpo.
- Atena – ringhiò, mentre si osservavano ad a malapena un palmo di distanza.
Atena aumentò la pressione della sua lancia su di lui, prima che Poseidone potesse spingerla via, facendola scivolare all'indietro sul marmo della sala.
Fu facile però, per Atena, riassestarsi, impugnando anche l'Egida. Puntò la lancia oltre lo scudo, accucciandovisi dietro. Si diede un solo istante per osservare Poseidone.
Non c'era tecnica nella sua lotta, solo l'impeto e la forza del mare.
Le sarebbe bastato fargli una finta, scartare a sinistra e poi colpirlo con lo scudo dritto al volto, conficcandogli la lancia sul fianco destro. Anche durante la guerra di Troia, nel bel mezzo di una battaglia, lei l'aveva ferito nello stesso identico modo.
Poseidone era uno degli dei più forti dell'Olimpo ma non era sul fondo del mare.
Lei, a contrario, era completamente immersa nel suo elemento.
Lo caricò con un grido. Allungò la lancia verso sinistra ma prima che Poseidone potesse intercettargliela col tridente, lo colpì dritto al volto con l'Egida, conficcandogli la sua arma nel fianco destro.
Poseidone urlò, lasciando andare il tridente e crollando sulle ginocchia.
- Non impari mai – sibilò Atena, continuando a tenere l'impugnatura della sua lancia tra le mani, seguendo però i movimenti di Poseidone mentre inarcava la schiena, scaricando il peso del proprio corpo sulle ginocchia.
- Sei la dea della guerra, Atena – disse stentatamente, sputacchiando l'icore che gli colorò le labbra. – Ed è proprio vero che la guerra è dominata prevalentemente dal caos.
Atena corrugò la fronte. – Cosa vuoi dire? – domandò.
Poseidone si voltò verso di lei, osservandola dal basso con un sopracciglio inarcato. – Potresti togliermi la tua lancia dal fianco?
Atena esitò. Gli rigirò la lancia nella pelle, strappandogli l'ennesimo grido ed imprecazioni che sarebbero state in voga solo a partire dal diciannovesimo secolo, prima di estrargliela con decisione secca, facendolo urlare ancora.
Poseidone respirò profondamente, portandosi una mano al fianco ferito prima di alzarsi. Quando spostò la mano, era sporca di icore ma la pelle aveva già iniziato a rimarginarsi.
- È da quando Apollo ha scoperto la profezia che ti comporti molto più come Ares che come te stessa.
Atena, che si era appena riappesa lo scudo alle spalle, lo strinse nuovamente tra le dita. – Vuoi essere ferito ancora? Ci sono un sacco di punti dove potrei trafiggerti con la mia lancia.
Poseidone sollevò le mani davanti al petto in segno di difesa, sorridendo malandrino.
Atena strinse le labbra mentre lo guardava. Secoli prima, prima di Troia, prima del loro primo scontro per la città di Atene, avrebbe smosso l'Olimpo intero per quel sorriso.
- Anche il mio unico figlio è coinvolto, Atena – disse Poseidone, gli occhi verde acqua improvvisamente seri. – Ed è coinvolto tanto quanto tua figlia.
Atena digrignò i denti. Aveva ragione ma non l'avrebbe mai ammesso. – Se Ares non.. – ma si interruppe prima di poter continuare e Poseidone le rivolse un minuscolo sorriso. Poseidone aveva ragione per la seconda volta. O, forse, persino per la terza. La prima volta che aveva avuto ragione era stato qualche istante prima, quando aveva dolorosamente paragonato il suo temperamento a quello di Ares.
La profezia già esisteva. L'oracolo di Delfi aveva già parlato e non c'era dio che avrebbe potuto interferire al fine di fare in modo che la profezia, prima o poi, non facesse il suo corso.
Era stata lei la prima ad interferire quando aveva rivelato la profezia ad Aspasia addirittura prima che Sofia potesse arrivare, trasportata da Zefiro, davanti alla porta della casa di Pericle.
Era stata lei la prima ad interferire quando aveva chiesto ad Apollo di oscurare la profezia ed era stata lei la prima ad interferire, nella speranza di poter proteggere Sofia il più a lungo possibile. Ma, con spaventosa e prevedibile decisione, la profezia aveva fatto il suo corso. Delfi aveva parlato, Ares aveva scatenato il conflitto tra Ateniesi e Spartani e Sofia continuava a trovare nuovi modi per sopravvivere.
- Ci sarà una battaglia, Atena – disse Poseidone. – Preparati.
Atena infilò la lancia nel fodero che teneva appeso alla schiena. – Non possiamo intervenire più di così, Poseidone. Non posso prepararmi per la guerra di mia figlia – ammise tra i denti, conficcandosi con forza le unghie nei palmi.
Poseidone sorrise senza alcuna allegria negli occhi. – Non è a quello che devi prepararti.
Atena fece un unico cenno col capo e Poseidone, dopo aver trasformato il suo tridente nel piccolo pendolo, attaccandoselo alla cintura, le sorrise ancora, prima di darle le spalle per potersene andare.
Atena gli guardò le spalle abbronzate. – Poseidone – lo chiamò prima di riuscire a fermarsi. La sua voce rimbombò contro al marmo della sala dell'Olimpo ed il dio del mare si fermò, voltandosi verso di lei. Si guardarono ed il sorriso di Poseidone, quella volta, gli raggiunse anche gli occhi. – Credo che il nostro secolare conflitto sia stato appianato dai nostri figli ieri sera.
Una scintilla maliziosa illuminò lo sguardo penetrante del dio.
Atena emise un verso esasperato. – Afrodite ha fatto il giro dell'Olimpo intero – incrociò le braccia sotto ai seni. – Con informazioni che non ritenevo affatto necessarie.
Poseidone sorrise ancora. – Lo penso anche io, ma c'è da ammettere che i nostri figli siano stati decisamente più saggi di noi – fece un cenno col capo, sollevando le sopracciglia. – E noi abbiamo un'esperienza secolare alle spalle.
Poi, si voltò ancora una volta, uscendo dalla sala dell'Olimpo.
Atena guardò le pesanti porte in legno della sala.
Se fosse stato necessario, lei poteva contare, per la prima volta, su quell'inaspettato alleato in più.
L'amore e la paura determineranno la sua sorte,
che sia vita oppure morte.
Scrollò le spalle poi si voltò, passando una mano sul pavimento ed invocando Iride.
In un secondo, l'immagine di Sofia le tornò davanti agli occhi.
Stava servendo il pranzo agli spartani ed aveva ancora i capelli bagnati dal bagno di prima.
La vide sorridere.
Sorrise anche lei.
Angolo Autrice:
FANCIULLI MIEIIIIIII
come va? A questo giro, quantomeno vi avevo avvisati che ci saremmo visti a data da destinarsi e, quindi, eccoci qui dopo, tipo più di un mese. Ma andiamo con ordine. Sto lavorando di più (grazie a Dio), ho finito la sessione (sempre grazie a Dio), ed adesso ho qualche giorno di relax prima che ricomincino le lezioni.
Oggi è stata proprio una bella giornata perché sono uscita con un mia amica e c'era questo freddo cane con un sole tiepidissimo ed il cielo di Firenze era un po' rosa ed un po' azzurro con una luna crescente bellissima ed io, a bere Chai Latte mentre la mia amica beveva del vino, ferme a chiacchierare e guardare il cielo, sul Lungarno, ero proprio felice. Poi, siamo entrate alla Feltrinelli perché mi ero ripromessa che, dopo la sessione, mi sarei comprata un libro e visto che ho iniziato questa serie "A discovery of Witches" che mi ha fatto venire voglia di fantasy, ho deciso di comprarmi il libro di quella serie ma, mentre andavo a pagare, questo ragazzo giapponese con un carboncino ed un blocchetto alla mano, ha chiesto a me ed alla mia amica se potessimo aspettare, ferme, tra un corridoio e la sessione dei fumetti e dei romanzi distopici, e rimanendo naturali perché lui era ispirato. E menomale che abbiamo trovato, nella sezione di libri distopici che avevamo accanto, un libro di Margareth Atwood che conoscevamo entrambe perché abbiamo trovato delle nuove cose da dire, lasciando il tempo, a quel ragazzo, di disegnarci come meglio credeva. è stato bello essere l'ispirazione di qualcuno. Il disegno, il ragazzo l'ha ovviamente tenuto per sè ed è stato davvero bello. Bello quello e bello anche il modo in cui mi sono sentita dopo essere uscita dalla Feltrinelli con una busta che pesava di libro nuovo. Mi sono sentita meglio, più leggera, anche se i soldi scarseggiano sempre e, quindici euro, mi fanno comunque la spesa di una settimana.
Ma vabbé. Tornando a noi. Il capitolo! Annabeth logicamente, non riesce ad essere tranquilla nonostante la svolta che ha preso la sua vita e, seppur abbia dei momenti di assoluta libertà e spensieratezza, la realtà torna sempre a rompere i coglioni (il che non è poi una così grande novità btw).
La parte del capitolo che preferisco è quella con Poseidone e Atena. Mi è piaciuto pensare che Atena fosse stata innamorata di lui, a modo suo, diversi secoli fa, e mi è piaciuto anche pensare che, per amore verso i loro figli, loro mettessero da parte le loro divergenze, cosa che è avvenuta, sì, ma in pieno stile Atena.
La storia sta per giungere al termine. Non so quanti capitoli ancora ci saranno, ma so bene che siamo verso la fine. Grazie a chi è arrivato fino a qui ed a chi si è aggiunto da poco.
Io vi voglio molto bene e spero stiate bene.
Ci vediamo (non so quando) ma ci vediamo.
A presto (forse),
Eli:)
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