PROLOGO
E gli uomini vollero
piuttosto le tenebre che la luce.
(Giovanni, III, 19)
Laura camminava per le strade buie del Queens, a New York, dopo aver finito gli ultimi acquisti natalizi. Aveva comprato tante cose carine che la sua famiglia avrebbe certamente apprezzato e anche qualcosa per se stessa. Non era facile crescere una bambina senza un compagno al proprio fianco – soprattutto alla sua età! – ma con l'aiuto dei genitori, sempre pronti ad aiutarla, sarebbe andata bene. Poteva contare su di loro. Badare a una figlia a diciannove anni era difficile, ma avrebbe superato tutto. Sì, ne era convinta. Aveva da poco trovato lavoro in un ufficio e, anche se portare caffè da una parte all'altra non era lo scopo della sua vita, la retribuzione era abbastanza alta da permetterle di tirare avanti per un po'.
Il ticchettio delle scarpe smorzava il cupo silenzio intorno a lei. I lampioni illuminavano gran parte del marciapiede, ma fra l'uno e l'altro rimaneva una zona d'ombra larga alcuni metri. Era lì che lui l'aspettava.
«Buonasera», salutò.
Presa alla sprovvista, le buste che Laura teneva fra le mani caddero, sparpagliando il contenuto al suolo.
«Le sembra il modo?», inveì contro lo sconosciuto che le aveva fatto rompere il regalo per i genitori.
Si rimise in piedi e sbuffò adirata. I negozi erano tutti chiusi e non avrebbe potuto ricomprarne un altro l'indomani mattina, la vigilia di Natale.
Tutta colpa di quello stolto! Il ragazzo avanzò di un passo, entrando nel fascio di luce. Sorrideva in modo inquietante, fissando per un istante il collo della giovane: «Lasci che l'aiuti», si offrì.
Allungò poi una mano per prendere l'oggetto di vetro ridotto in frantumi.
«Non si può aggiustare, è...».
Prima che potesse finire la frase e spiegare ciò che era ovvio, ovvero che un vaso non si potesse rimettere insieme semplicemente riavvicinando i pezzi, lo sconosciuto le porse l'oggetto come nuovo.
«Ma come ha fatto?», chiese stupita rigirando il vetro fra le mani.
Non c'era alcuna crepa e al tatto era liscio come quando lo aveva comprato.
«Ho i miei segreti», rispose inumidendosi le labbra.
I loro sguardi s'incontrarono e questa volta lei riuscì a vederlo davvero: era attraente, con la pelle chiara e le labbra piene. Sembrava più giovane di lei. Non che fosse a caccia di uomini, chiariamoci, ma in lui c'era qualcosa che l'attirava.
«È una notte molto buia, è sicura di voler tornare a casa da sola? Potrei accompagnarla», propose sorridendo e facendo scivolare le mani all'interno delle tasche dei jeans.
Senza rendersene conto, Laura annuì, accettò la proposta e camminarono insieme verso l'abitazione in cui la figlia e i genitori l'aspettavano. Durante il tragitto i due non parlarono, ma il silenzio non era imbarazzante, anzi, sembrava carico di una strana elettricità.
Quando arrivarono davanti alla porta della piccola ma accogliente casa di lei, lo sconosciuto le prese la mano e vi lasciò un tenero bacio di saluto. Laura rise imbarazzata non sapendo cosa dire. In fondo, era stato gentile e le aveva riaggiustato il vaso.
«Vuoi entrare?», domandò con voce sottile.
Lesse nella sua espressione divertimento e compiacimento: «Mi farebbe molto piacere».
Quando entrarono in casa, i genitori la salutarono con un caloroso abbraccio poi, vedendo il ragazzo alle sue spalle, si scambiarono uno sguardo confuso, ma si presentarono cordialmente e andarono via.
«Siediti pure, torno subito», disse Laura indicando il divano.
Salì le scale ed entrò nella stanzetta che solo pochi giorni prima aveva dipinto di rosa. Ricordava la sensazione che aveva provato non appena terminato, quando aveva fatto un passo indietro e, osservando la cameretta, aveva iniziato a piangere. Quella sarebbe stata la stanza della sua bambina, il posto in cui le avrebbe letto le fiabe e l'avrebbe osservata dormire. In quel momento sonnecchiava beatamente nella culla, al caldo sotto le coperte. Laura le posò un bacio sulla fronte, poi tornò di sotto per fare compagnia allo strano ospite.
«Vuoi dell'acqua?», chiese aprendo il frigorifero e notando di avere solo quella da offrire.
Non ricevendo risposta, si girò, sorpresa di trovarlo a pochi centimetri da sé. Sentiva il fiato caldo sul viso e non ne capì il motivo, ma questa cosa la destabilizzò al punto da doversi aggrappare alle sue braccia per non cadere.
«In effetti ho proprio sete», le sussurrò all'orecchio mentre iniziava a giocare coi suoi capelli.
Le lasciò una scia di baci umidi dal collo fino alla mascella e lei non si oppose. Avrebbe dovuto cacciarlo via e chiudere a chiave la porta, avrebbe dovuto chiamare qualcuno e minacciarlo... invece gli allacciò le mani dietro al collo e si lasciò andare. Presa di slancio, si lasciò mettere sul ripiano del tavolo e con foga rispose al bacio. La sua mente era completamente in estasi, incapace di pensare a qualsiasi cosa che non fossero le sue mani o le sue labbra.
Salirono le scale in quel modo, avvinghiati e si gettarono sul letto matrimoniale. Sembrava non ci fosse tempo per nient'altro che non fosse stare lì e darsi l'uno all'altra e mai, neppure una sola volta, la ragazza pensò di commettere un errore, né che per lo sconosciuto – che aveva incontrato solo pochi minuti prima invitandolo a casa sua – fosse tutto un gioco. Se solo si fosse fermata un attimo a pensare, se fosse riuscita a rompere il controllo che lo sconosciuto stava esercitando su di lei avrebbe potuto salvarsi.
«Scommetto che sei deliziosa», biascicò il giovane seguendo con le labbra un disegno astratto sulla pelle di lei.
Si fermò sul collo, sorrise e poi lo morse. Affondò i canini affilati e dilaniò la carne avidamente. Il sangue affluì veloce e per lei non ci fu tempo di urlare o combattere. Mentre lo sconosciuto beveva e si rinvigoriva, Laura diventava sempre più pallida e perdeva le forze.
«Mmm...», mugolò dissetato leccandosi le labbra rosse ricoperte di sangue, sorrise, «sì, avevo ragione, sei deliziosa».
Si adagiò di fianco al corpo morente della giovane fissando il soffitto, poi si mise in piedi e riprese dal pavimento la maglietta che lei gli aveva tolto con tanta foga. La indossò e si guardò allo specchio appeso alla parete. Aveva ancora qualche macchia di sangue sul viso, ma non gli importava. Girovagò per le stanze, osservando in giro. Era passato molto tempo dall'ultima volta in cui si era spinto tanto in là con un mortale, ma c'era qualcosa in quella ragazza che lo aveva attirato, fin da quando aveva sentito il suo odore per strada. Era una fragranza che l'olfatto umano non avrebbe potuto percepire e che lui stesso aveva riconosciuto con difficoltà. Ormai le città erano colme di odori nauseanti, avvelenate da sostanze chimiche, perciò era raro avvertire qualcosa di così naturale. Lo poteva sentire all'interno di quella casa, impregnava i muri e gli annebbiava il cervello. Se la piccola quantità che aveva avvertito sulla donna lo aveva reso poco saggio e avventato – spingendolo ad abusare della persuasione per farsi invitare a entrare – adesso sentiva una scarica di adrenalina in tutto il corpo. L'attenzione del giovane era totalmente dedicata alla venerazione di quel profumo al punto da provare dolore fisico.
Quando arrivò alla stanza con la porta decorata da fiorellini e piccole api, aggrottò le sopracciglia rimanendo particolarmente sorpreso: possibile che fosse stato talmente rapito dalla fragranza da non accorgersi della presenza di un'altra persona in casa? Aveva sentito il battito dei cuori dei due anziani prima ancora di entrare, ma la presenza della piccola, che trovò nella culla appena aperta la porta, era sfuggita persino a lui. Non perse tempo a osservare la stanza, come avrebbe fatto in altre occasioni, ma corse verso la bambina; il profumo era più forte lì, saturava l'aria e gli rendeva quasi impossibile pensare lucidamente. Lo sconosciuto si sporse in avanti e prese in braccio il fagotto di coperte tra cui dormiva beatamente la mortale. Osservò le palpebre tremolare nel sonno e le labbra socchiuse, distese in un piccolo sorriso, ma continuava a non sentire il battito del suo cuore. Com'era possibile? Non gli era mai capitato niente del genere, forse...
Il vampiro sgranò gli occhi sentendo improvvisamente la bambina più pesante fra le braccia. Non appena quella rivelazione lo colpì, l'odore svanì lasciandogli una sensazione di vuoto. Rimise la piccola all'interno della culla continuando a osservarla con il fiato mozzato. Ridacchiò preso dall'euforia e non potendo credere ai suoi occhi.
Tornò nella stanza matrimoniale dove la donna giaceva quasi immobile sul letto. Stava emettendo i suoi ultimi respiri, respiri rotti e frammentati. Il vampiro si sedette accanto a lei e mentre le accarezzava i capelli scoprendole il viso cereo chiese, ovviamente senza ricevere risposta: «Cosa devo fare con te?».
Dopo averla curata dalle ferite altrimenti mortali se ne andò uscendo dalla porta come se nulla fosse successo.
Furono dei mesi davvero strani per Laura. All'inizio non ricordava cosa fosse successo quella sera o perché si sentisse indolenzita in tutto il corpo. Sentiva però la sensazione di aver perso qualcosa di infinitamente importante. Mano a mano che i giorni passavano, piccoli frammenti di ricordi le tornarono in mente, confondendola ancora di più; fu pervasa da immagini di sangue e violenza, da occhi scuri come la notte e incubi. La cosa peggiore fu quando arrivò la fame. Succedeva nelle ore più tarde della notte e niente riusciva a saziarla. Poi accadde. Era una sera, una di quelle in cui le dita delle mani si gelano e viene voglia di bere una cioccolata calda davanti al camino. Laura scese le scale sentendo lo stomaco contorcersi per la fame e... si bloccò lì, in mezzo alla stanza, davanti ai suoi genitori. Sentì il battito del loro cuore che, ignari di tutto, ridevano guardando la tv. Si leccò le labbra sentendo le mani artigliare il banco della cucina. Per quanto l'immagine nella sua testa fosse orribile, non riuscì a trattenersi e si fiondò su di loro. Il sangue. Ecco cosa finalmente la saziò, ecco cosa la fece sentire bene. Quel denso liquido caldo dal sapore delizioso che non solo alleviò la sua fame, ma la fece sentire invincibile.
Fu la prima volta che uccise, la prima delle tante. Lei e la bambina furono costrette a trasferirsi, lontano dal luogo in cui era avvenuto il massacro. Ma successe ancora e ancora... ed Eveline crebbe fra una valigia e l'altra, fra un assassinio e l'altro. Iniziò a camminare, disse le sue prime parole ma Laura si perse tutto quanto. Erano rari i momenti in cui passava del tempo con sua figlia mostrandole l'amore di una vera madre. Eveline guardava fuori dalla finestra verso un mondo che sembrava tanto vicino quanto irraggiungibile. Iniziava a capire che lei e sua madre facevano parte di qualcosa di completamente diverso, qualcosa che, crescendo, iniziò a detestare. Non accettava l'idea di dover rinunciare a una vita normale per quell'orribile ossessione che non le lasciava in pace; eppure, in lei, continuava a esistere un briciolo di speranza, una piccola miccia che si accendeva quando Laura riprendeva il controllo. Una miccia che perse qualunque valore quando Eveline, tornata a casa una sera, trovò il pavimento della cucina segnato da impronte di mani insanguinate.
La ragazza sollevò lo sguardo trovando davanti a sé sua madre inginocchiata, con le mani rosse e i vestiti sporchi; i suoi occhi erano carichi di lacrime: «Mi... mi dispiace», pianse mettendosi in piedi a fatica, «Eveline, ti prego, ho bisogno di aiuto».
La figlia si lasciò sfuggire una sola lacrima prima di distogliere lo sguardo. Non disse niente, non ci riusciva. Aveva la gola serrata e lo stomaco sottosopra; l'odore di sangue le faceva girare la testa.
«Eveline, non puoi abbandonarmi», la pregò Laura interpretando il suo silenzio.
«Mi dispiace, ma non posso fare altro», riuscì a dire.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top