19. Alina
Il vento continua a spingermi così come l'urlo continua a seguirmi e a rimbombarmi nelle orecchie.
Cassian mi ha detto di scappare e io, presa dal terrore l'ho fatto. L'ho lasciato lì, da solo, ad affrontare un nemico invisibile che comunque ha deciso di superarlo per starmi alle calcagna. Per quale motivo Cassian mi stava portando verso la porta di destra? Perché, alla fine, mi aveva detto che quella di sinistra era giusta? E perché ci ero andata? Perchè continuo a fidarmi di lui nonostante io sia cosciente del fatto che non è la cosa giusta da fare?
«No.» La voce mi esce da sola, così come da sole le gambe hanno deciso di rallentare fino a fermarsi. Mi fermo al centro di un corridoio rischiarato solamente da torce appese ai muri. Non sento occhi intorno a me, né mormorii. Sono sola.
Sola in un corridoio che mi sembra di percorrere da un'eternità.
Il vento e l'urlo improvvisamente tacciono.
«Quanto è lungo questo castello?» Guardo avanti a me, dritto verso l'oscurità. Non che dietro di me sia diverso. La luce illumina solo l'ambiente nel quale mi trovo, il resto sembra essere disperso nel nulla.
Vorrei che Cassian fosse qui, ma sono troppo orgogliosa per ammetterlo a voce alta. Forse se fossi andata a destra invece che a sinistra...
Non ho tempo per pensare a cosa poteva accadere se avessi fatto scelte diverse. A quest'ora potrei starmene tranquillamente nel mio castello, a suonare il piano o passeggiando nei giardini, o, ancora, a passare la notte insieme a Kyan invece che in questo lugubre posto.
Decido comunque di avanzare. Non sono venuta qui certo per fare una visita del castello nel quale mia madre è cresciuta. Ma non so dove andare, per questo motivo seguo l'unica strada disponibile e continuo dritta per questo corridoio senza vie d'uscita.
Aumento il passe e, come se mi fossi persa in un sogno, i colori cominciano a vorticare sempre più veloci nell'aria mano a mano che continuo, anche io, a prendere velocità con la corsa. Procurano una sensazione strana, di smarrimento. Sento gli occhi bruciare e la testa pulsare dolorosamente.
Veloci, ancora più veloci, i colori si scambiano di posto. Prima solo le fiamme delle fiaccole, da rosse, diventano prima gialle, poi tendono al rosa, al verde, al blu e infine al viola, poi è la volta delle decine di colonne alla mia destra e sinistra. Bianche, nere, marroni o rosse. Sulle pareti prendono forma le più disparate figure: uomini che danzano, animali che si muovono in cerchio su due zampe. Mi sento intrappolata, richiusa in un incubo dal quale non riesco ad uscire.
Migliaia di colori e immagini si scambiano davanti ai miei occhi.
Corro, cercando di scappare da quest'incubo che mi attanaglia la mente.
Sta cercando di farmi impazzire, di farmi crollare. Ma non ci riuscirà.
Ultimamente fermarmi è stata un'ottima soluzione, così mi prendo un attimo per riflette su cosa fare. Chiudo gli occhi, mi piego sulle ginocchia e respiro profondamente. Nascondo la testa tra le braccia, cercando di evitare qualsiasi contatto con quella che dovrebbe essere la realtà. I colori non potranno muoversi per sempre. E, soprattutto, non potranno farmi nulla se ho gli occhi chiusi.
«Pensa, Alina.» Parlare a voce altra a me stessa mi da un senso di sicurezza, ogni tanto ho bisogno di parlare con qualcuno di cui mi fido, in fondo. «Quando i colori hanno preso ad andare veloci? Quando tu hai cominciato a correre. Quindi non correre e vedrai che non potrà essere tanto male, no? Posso provarci.» Una vera e propria conversazione con me.
Riapro gli occhi lentamente e osservo attentamente ogni dettaglio. Guardo le fiaccole: le fiamme sono ognuna di un colore diverso. Le colonne si alternano: una è nera, quella dopo è bianca, quella dopo ancora marrone e così via. Non erano i colori che si muovevano, ero io che correvo.
Una risata isterica mi viene spontanea dal ventre. Per poco non ho creduto di essere impazzita.
Decido, quindi di proseguire, questa volta facendo attenzione ai colori che cambiano intorno a me quando, tutto d'un tratto, ogni colore diventa tenue fino a diventare bianco.
Mi ritrovo, così, in una stanza vuota, con degli affreschi sul soffitto rovinato. A differenza delle altre sale del castello, questa ha le pareti di marmo bianco e un forte profumo di rosa sovrasta quello del sangue che fino ad adesso ha impregnato le mie narici. Varco una piccola porta sulla destra per ritrovarmi in un altro corridoio, bianco, con una serie di vetrate scure sulla sinistra dalle quali filtra rossastra la luce della luna. A circa metà del corridoio, uno specchio è poggiato a terrà, per metà coperto da un lenzuolo bianco. Mi avvicino e ci guardo dentro. Il riflesso è diverso da quella che è la realtà. Nello specchio la luce del sole si riflette sui vetri colorati delle finestre e le pareti sembrano come nuove.
Mi metto di fronte lo specchio ma il mio riflesso non è presente. Io non ci sono. Sono, invece, le gambe di un'altra ragazza quelle che vedo, avvolte da una lunga gonna di velluto rosso. Mi passa esattamente dietro e la sua risata riecheggia nelle mie orecchie.
Mi volto, ma dietro di me non c'è nessuno.
La risata, però, mi attira verso la fine del corridoio dove un arco di pietra, chiuso, richiama la mia attenzione. Vi è un bocciolo di rosa di pietra a decorare la cima dell'arco, ma il passaggio è murato. Ci poggio le mani sopra e spingo le pietre, ma è tutto inutile.
«Aprila.» Una dolce voce, seguita da una leggera risata, sembra provenire da qualcuno accanto a me che mi sussurra a un orecchio.
Allungo la mano, come se stessi prendendo un pomello per aprire una porta e una maniglia dorata, assomigliante a dei rampicanti, si materializza intorno alla mia presa.
Il muro si apre, ruotando su dei cardini inesistenti, sollevando molta polvere.
Aspetto quindi che questa scompaia e che si torni a posare sul pavimento, tossendo sull'uscio. Intanto alzo la testa, per cercare di capire se c'è qualche meccanismo che la fa funzionare e mi ritrovo sorpresa nello scoprire che il bocciolo in cima all'arco si è aperto in una meravigliosa rosa di pietra.
Non appena la polvere smette di appannarmi la vista, entro nella sala circolare. È spaziosa, con delle vetrate trasparenti che danno un'ampia visuale sul lago. Tra una finestra e l'altra sono appesi dei vasi con delle piante secche al loro interno. Il pavimento è di marmo giallo, con un sole rosso al centro, entrambi particolarmente invecchiati, tanto che in alcuni punti il marmo è rotto, come se qualcosa ci sia stata sbattuta sopra. Sul fondo della sala, appena sotto le vetrate e sopra tre gradini, quello che sembra essere un pianoforte è coperto da un lenzuolo bianco. Solo la tastiera è scoperta.
Alzo la testa e ammiro il meraviglioso cielo stellato dipinto sul soffitto. Doveva sembrare vero prima, quando l'intonaco ancora non cadeva a pezzi.
DO.
Una nota sola, stranamente intonata, proviene dal pianoforte portandomi a voltarmi nella sua direzione.
SOL.
Un'altra nota.
Mi avvicino lentamente mentre un SI risuona tra le mura circolari.
Tiro il lenzuolo facendolo cadere a terra e mostrando la meraviglia di quel pianoforte a coda nero con intarsi dorati.
I tasti si premono da soli e una dolce melodia si libra nell'aria portandomi, istintivamente, a fare due passi indietro.
«Ma io questa musica la conosco.»
Mi avvicino alla tastiera, mi siedo sullo sgabello e seguo le note. Leggeri come una piuma, i tasti mi scivolano sotto le dita.
Un brivido mi attraversa il petto e improvvisamente mi sento a casa. Chiudo gli occhi beandomi di quella sensazione. Ma, spaventata, li riapro immediatamente ritraendo le mani.
Il mio sguardo viene catturato da qualcosa oltre il pianoforte, uno specchio ovale, per metà, anche questo, coperto da un lenzuolo.
È come se qualcuno si sia voluto dimenticare di quest'ala del castello nascondendola sotto mille e mila lenzuoli.
Mentre le note continuano ad uscire malinconiche dallo strumento, io mi avvicino allo specchio per vederci riflessa una bellissima giornata di sole. Fiori colorati ricoprono per intero le pareti e al pianoforte è seduta una ragazza dai lunghi capelli bianchi che riconosco subito essere mia madre. La guardo, bella come un raggio di luna. Il suo volto è sereno, a suo agio seduta su quello sgabello. Lo vedo dal suo volto che quello è il suo posto, così come il mio pianoforte è il mio.
Ma la musica si interrompe bruscamente quando, nello scenario, entra, con ampie falcate pesanti, un giovane uomo dai capelli bianchi. La camicia bianca e sporca di terra è abbottonata alla bene e meglio e infilata alla rinfusa nei pantaloni di pelle neri.
Si dirige verso la donna e le prende con violenza un polso stringendoglielo con forza.
«Che storia è questa?» Il tono di voce dell'uomo è alto e arrabbiato.
«Ahia Demir, smettila. Così mi fai male.» Un lamento esce dalle labbra di mia madre.
«Ti faccio male? Ti faccio male?» La sua stretta diventa più forte. Lei fa la spola con lo sguardo dal polso agli occhi dell'uomo. «Quando me l'avresti detto che avevi smesso di bere sangue, eh?»
L'uomo la lascia andare lanciandole il braccio. Mia madre si massaggia il polso, curvando la schiena e dando le spalle all'uomo.
«Non sono affari tuoi, Demir.» Si giustifica lei, ma l'espressione dell'uomo cambia. Gli occhi, rossi, spigionano scintille che per poco non la fulminano sul posto.
«Come sarebbe a dire che non sono affari miei, Dafne?» Demir, mio zio, inclina la testa e la porta a pochi centimetri di distanza da quella di mia madre. «Tu sei mia sorella e quella,» Le indica il pancione che fino a questo momento non avevo visto. «quella è mia nipote. Sono esattamente affari miei.» Le sue parole sono fredde come il ghiaccio. «La famiglia viene prima di ogni cosa Dafne, ricordalo. Non puoi tradire il tuo stesso sangue.»
Gli occhi di mia madre si accendono a quelle parole. «La mia famiglia è quanto di più sacro ho in questo mondo. E la difenderò fino la fine.»
Come se un gatto ci stesse camminando sopra, dal pianoforte dietro di me provengono dei rumori dissonanti che mi spaventano e mi portano a voltarmi di scatto nella loro direzione, ma non c'è nessuno a produrli.
Il pianoforte torna al suo silenzio.
«Alina...»
Da fuori la porta qualcuno mi chiama. La sua voce è gentile, quasi un sussurro nelle mie orecchie.
«Cassian?» Chiedo muovendomi verso il luogo dal quale al porta proviene.
«Vieni da me, Alina. L'ho trovato.» Sono sicura sia Cassian e, con un po' di titubanza, decido di andare da lui.
Le pareti intorno a me tornano ad essere nere, gettando nuovamente il castello nell'oscurità più assolta. Ora devo solo ritrovare Cassian così da poterci ricongiungere e sconfiggere Demir.
«Alina...» La voce sembra provenire da dietro una massiccia porta di legno. La guardo bene. È come quella della sala circolare con il pianoforte, con sopra l'arco di pietra, anziché una rosa, una clessidra. Questa volta la maniglia è presente quindi non devo fare nessun trucco di magia per farla comparire.
Con mano incerta decido di aprire la porta.
«Cassian? Sei qui?» Infilo solo prima la testa e l'odore che proviene dall'interno della sala buia è nauseante.
Apro la porta portandomi una mano al naso cercando di attenuare la puzza di sangue che mi punge le narici. Aspetto ferma sull'uscio che i miei occhi riescano ad abituarsi a una talo oscurità. La sala è tonda, dalle pareti di pietra scura. Poche fiaccole sono appese alle pareti che creano dei giochi di luci e ombre con dieci colonne sparse per la stanza.
Ma quello che mi attira è qualcosa di molto più grande. Al centro della sala si trova una vasca rettangolare scavata nel terreno e riempita con del liquido rosso che brilla alla luce delle fiamme. Le onde si muovono leggermente facendo brillare quello che, da più vicino, si vede essere sangue.
Al centro della vasca vola, a mezz'aria, uno specchio che non riflette me, ma Cassian.
«Alina, sei arrivata!»
La sua voce è suadente, ammaliante. Non lo avevo mai sentito rivolgersi a me in questo modo.
«Come ci sei arrivato là dentro?» Mi guardo intorno, cercando un modo per tirare lo specchio verso di me, forse un ramo.
«Ti stavo aspettando.» Non sembra per niente preoccupato, anzi il suo tono è di quanto più calmo possa esserci al mondo. «Aiutami ad uscire.»
«Ora ti tiro fuori, lascia solo che...» Do un'altra occhiata al suo riflesso, al ghigno che si è creato sul suo viso, agli occhi rossi. «Cassian, i tuoi occhi... sono rossi. Tu hai gli occhi neri.» Indietreggio di qualche passo e il riflesso di Cassian abbassa la testa, accentuando quello sguardo rosso che non gli appartiene.
«Hai ragione Alina.» Dalla sua bocca esce la voce di mia madre.
«Cos'è questa storia?» Corro fino la porta ma questa si chiude prima che io posso attraversarla e si chiude lasciandomi bloccata all'interno della stanza. Batto i pugni sul legno urlando. «Fatemi uscire! Cassian, qualcuno, aiutatemi!»
«Alina, no! Non andare via.» Guardo ancora un volta lo specchio, voltando la testa lentamente. Ora è il riflesso di mia madre quello bloccato al suo interno.
«Mamma?» Mi avvicino a lei, come attratta da una forza magnetica più forte di me, dimenticandomi di voler andare... dove volevo andare?. «Io avevo visto... e Cassian...»
«Alina, ti prego salvami.» Il suo viso malinconico è segnato da lacrime cristalline.
Istintivamente corro nella sua direzione, fermandomi sul bordo della vasca. Guardo appena sotto i miei piedi, il sangue prende le sembianze di un mare in tempesta con onde che diventano sempre più alte. So che c'è qualcosa che non va in tutto quel sangue, ma non posso permettere che mia madre rimanga intrappolata in quello specchio. «È stato Demir, è stato lui a rinchiudermi qui. Afferrami la mano e tirami fuori.»
Mia madre sbatte i pugni sul vetro guardando prima nella mia direzione, poi il sangue che si sta sempre più agitando.
«Non ti muovere, arrivo.»
Immergo il primo piede nel sangue e un vento gelido mi colpisce dritto in faccia. Mi copro gli occhi con un braccio e immergo l'altro piede. Il sangue comincia a ribollire e uno strano canto, simile a un lamento si alza intorno a me.
La porta alle mie spalle viene battuta ripetutamente dall'esterno e sento qualcuno chiamare il mio nome.
Mi volto verso quel richiamo, energico e doloroso, come se volesse risvegliarmi da un sogno. Ma da quale sogno vuole tirarmi fuori?
Nella mente mi ritorna il motivo per il quale sono con i piedi immersi nel sangue. Devo entrare nella vasca e salvare mia madre, ecco perché sono qui.
Volgo di nuovo lo sguardo verso di lei. Un bellissimo sogno dal quale non voglio svegliarmi. Mi sento attratta dalla sua figura, come spinta da una forza superiore che mi dice che siamo destinate a stare insieme.
Mia madre apre la bocca. Un canto leggero e armonioso le esce dal profondo della gola. Sento che mi sta chiamando.
«Arrivo, mamma.» Sento gli occhi bruciare e la vista appannarsi per le lacrime.
Il sangue mi arriva a metà polpaccio, sento il calore salire per la gamba.
«Ci sei quasi, Alina.» Le sue parole un dolce miele che riscalda. La sua mano tesa è così vicina. Devo solo riuscire a prenderla.
Ma il battere insistente alla porta mi ferma per un attimo. La guardo ancora. Forse dovrei aprirla.
Guardo verso il basso, ho bisogno di capire quanto sono vicina, ma mi spavento nel vedere il sangue che, come se avesse preso vita propria, si attorciglia intorno alla mia gamba con tentacoli rossi e brillanti.
Terrorizzata lancio un urlo e indietreggio cercando di liberarmi da quella presa bagnata.
A fatica esco dalla vasca, il battere sulla porta che mi martella nella testa. Decine di tentacoli si alzano in aria. Inciampo in non so che cosa e cado per terra, ma non riesco a togliere gli occhi di dosso a quelle lingue di sangue.
Dietro a loro mia madre colpisce ripetutamente le mani sullo specchio mentre canta più forte, un canto rauco e disarmonioso che mi induce a tapparmi le orecchie.
Il bussare alla porta continua imperterrito fino a quando tutto non diventa silenzio.
«Vieni da me.» Ancora una volta mia madre mi attira verso di se. La sua voce è dolce e mi allunga una mano. Il suo volto è sereno.
I tentacoli si ritirano nella vasca dalla quale provengono mentre il sangue smette di bollire e agitarsi.
Lo specchio si muove sul filo della vasca avvicinandosi a me. Incapace di distogliere lo sguardo mi alzo in piedi e allungo la mano. Ma poco prima che io possa finalmente toccare mia madre, vedo il suo volto mutare in un'espressione di terrore e lo specchio rompersi. Mi corpo il viso con il braccio e sento qualcuno abbracciarmi proteggendomi dai vetri.
Alzo lo sguardo e i miei occhi si incontrano con quelli neri di Cassian che mi sorride.
«Stai bene, vero?» Annuisco, incapace di proferire altre parole. «Bene, perché dobbiamo scappare da qui.»
Si volta verso la vasca. I vetri dello specchio vi sono caduti dentro. Il loro riflesso ora mostra un uomo dai lunghi capelli bianchi che urla adirato. Il sangue ricomincia a bollire fuoriuscendo dalla vasca e dal soffitto cadono pezzi di intonaco. L'itera stanza viene colpita da un forte terremoto.
Cassian mi prende per un braccio e mi trascina via da qui, fuori, attraverso la porta che ora è riversa sul pavimento.
Guardo l'uomo che corre avanti a me e che mi stringe la mano. «Cassian, sei veramente tu?» Sento le dita pulsare e le guance andare a fuoco.
Cassian ride. «Certo che sono io, principessa. Chi altro avresti voluto?»
Soltanto lui, ma non glielo dico.
Stringo la sua mano, ho bisogno di un contatto con la realtà, di sapere che è lui in carne e ossa.
«Quella non era mia madre, vero?» Vorrei che la risposta a questa domanda non arrivasse mai, anche se la so già.
«No.» Mi conferma lui. «Era solo un'illusione creata dalla mente di re Demir.» Fa una piccola pausa, quasi indeciso se raccontarmi il seguito. «Se fossi entrata totalmente all'interno nella vasca, ti saresti trasformata in una succhiasangue a tutti gli effetti e tua madre non me l'avrebbe mai perdonato.»
Titubante decido di domandargli qualcosa che avrebbe potuto cambiare le sorti di questa conversazione e il nostro intero rapporto. «Tu mi proteggerai?»
«Sempre.»
Questa è l'unica parola che mi serviva, l'unica parola che mi fa finalmente tornare a respirare. Sento che posso tornare a fidarmi di Cassian.
Sorrido contenta quando vado a sbattergli contro la schiena.
«Cosa...» Ma le parole mi muoiono in gola quando guardo, da sopra la spalla di Cassian, una creatura alta il doppio di lui. È identica a quelle che ho combattuto a Enante: la sua pelle è grigia, gli occhi sono neri, i denti appuntiti, la testa calva con delle macchie marroni. Ma vedo solo la testa perché il testo del corpo è coperto da un mantello nero.
«Merda,» Sento Cassian imprecare. «un marcio. Devi andare via da qui.»
«Mi stai lasciando di nuovo?» Chiedo spaventata.
«Questa volta non farò lo stesso errore. Ho promesso di proteggerti ed è quello che ho intenzione di fare.» In una situazione come questa non posso fare altro che fidarmi. Cassian estrae la spada. «Corri verso nord seguendo questo corridoio. Arriverai alla sala del trono.» Facendomi da scudo, prosegue tenendomi protetta tra lui e il muro.
La creatura si sposta insieme a noi, gli occhi sempre fissi in quelli di Cassian. Non sembra volerci bloccare. Ma una volta raggiunto l'altro lato del corridoio la creatura apre la bocca soffiando fiato puzzolente addosso a noi.
«E ricorda,» Aggiunge Cassian non mostrando impazienza nel voler combattere. «stai attenta al sole. Una volta che sarà sorto sarà più facile per te ucciderlo. È la luna di sangue che gli da questo potere e gli permette di trasformarti. E ora,» Mi lascia la mano per impugnare meglio la spada. «scappa, Alina!» Mi urla prima di buttarsi contro la creatura.
Anche questa volta lo sto ad ascoltare. Gli do le spalle e fuggo via. Eppure quell'essere non sembrava essere interessato a me, ma a Cassian.
E se fosse stato mandato apposta per dividerci?
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