17. Alina

Il mio corpo fluttua in uno spazio completamente nero. Mi guardo intorno, ma è come se mi trovassi nel nulla.

«C'è nessuno?»

Le mie parole si disperdono nell'immensità. 

«Ehi!»

Grido più forte ma ancora niente, neanche un'eco di rimando. Sono bloccata qui, incapace di muovermi o di trovare qualcuno che possa aiutarmi. 
Mi giro ancora una volta intorno, magari vedo qualcosa che le prime dieci volte mi era sfuggito. A un tratto sento i piedi posare su qualcosa di duro, ma ancora di totalmente inesistente.

«È il momento, per te, di sapere la verità.» È una voce di donna, la mia voce, quella che fluttua intorno a me. Proviene da ogni direzione e da nessuna allo stesso tempo.

«Chi sei?» Chiedo spaventata provando a captare il punto preciso dal quale proviene. «Perché mi trovo qui?» Mi guardo attorno ma non vedo nessuno al quale questa voce potrebbe appartenere.

«Sei qui per la verità.» Continua la mia voce. È gentile e decisamente troppo familiare e dei piccoli brividi mi percorrono la schiena al solo ascoltarla. «Abbracciala, Alina. Sarà, per te, come un farò nella notte.»

«Sarà bellissima, Ramondo.»

Mi avvicino all'immagine che è comparsa d'avanti a me. Mia madre, una donna dai lunghi capelli bianchi e avvolta in un lungo vestito rosso di velluto, poggia una mano sul pancione mentre mio padre, o almeno una sua versione più giovane, ci appoggia un orecchio sorridendo.
È la voce di mia madre quella che ho sentito.

«Mamma? Papà?» Sento la gola bruciare.

«Bellissima?» Chiede mio padre schioccando un leggero bacio sulla pancia. «Come fai a sapere che sarà una bambina?»

«Una madre certe cose le sa.» C'è così tanto orgoglio nella sua voce. «E non sarà soltanto bellissima, sarà anche intelligente, buona, generosa e...» Ma un'attacco di tosse blocca le sue parole. 

Mio padre le poggia una mano sulla spalla allungandosi nella sua direzione, mentre io, istintivamente, porto un piede in avanti e tendo una mano verso di loro.

«Dafne, stai bene?»

«Va tutto bene, amore mio.» Lei gli poggia una mano sulla guancia e lui la bacia con tenerezza. «Vedrai che andrà tutto bene.»

«Forse dovresti tornare a bere del sangue ogni tanto.» La voce di mio padre sembra tentennante, come se avesse paura della reazione di mia madre che infatti si alza di scatto.

«E permettere che lei diventi così come sono io? Mai!» C'è della rabbia nella sua voce. «Perdonami, amore mio.» Mia madre si siede di nuovo prendendo il volto di mio padre tra le mani. «Non mi fraintendere, io sono felice di essere quella che sono, e sono orgogliosa della mia famiglia, ma... non voglio condannare questa povera creatura a una vita in cui è costretta a nutrirsi di sangue per sopravvivere, ma non troppo perché altrimenti potrebbe diventare una marcia e allora la sua esistenza sarebbe solamente una condanna e tutto perché io non sono stata in grado di darle il nutrimento necessario per nascere.» Ora le parole le escono dalla bocca a raffica e mio padre è costretto a baciarla pur di fermarla.

Vedo mia madre chiudere gli occhi e bearsi di quel momento. Loro si amavano sul serio e mio padre non ha mai smesso. 

«Andrà come hai detto tu,» Le loro fronti si toccano dolcemente. «sarà bellissima, intelligente, buona, generosa e qualsiasi altra cosa di buono possa esistere al mondo.»

«Ti amo, Ramondo.»

«Ti amo anche io, Dafne. E amo anche te, bestiolina.»

Mio padre e mia madre si scambiano un tenero bacio prima che lui baci anche la pancia dentro la quale mi trovo io. 
Sento gli occhi diventare umidi e i contorni dell'ultima immagine sfocarsi.

«Tu non sai di cosa stai parlando, Cassian.»

Mi volto a destra per vedere mia madre litigare con Cassian. Piego la testa a destra cercando di capire. Per quale motivo stavano litigando? 

«Si che lo so, Dafne. Io...» Cassian si passa una mano tra i lunghi capelli che gli arrivano quasi alle spalle. «Io ti conosco, non tradiresti mai la famiglia.»

«Se mi conoscessi così bene sapresti benissimo che ora anche lei è la mia famiglia, così come lo è Ramondo.» Le parole le escono con sicurezza, nei suoi occhi arde una fiamma le colora l'intero viso. Ma un attacco di tosse la interrompe violentemente. Si siede tenendosi la pancia mentre Cassian le porge un bicchiere d'acqua.

«Tu stai morendo, Dafne. Devi tornare a bere del sangue ogni tanto.»

«No!» La voce di mia madre, risoluta, spaventa Cassian che sgrana gli occhi. «Non voglio che questa bambina diventi come noi.»

«Demir non lo permetterà mai. Se muori scatenerà una guerra.»

«Sentila, Cassian.» Mia madre si alza e si avvicina a lui, gli prende una mano e se la appoggia sulla pancia sorridendo e sussurrando dolcemente. «Senti come scalcia?» Entrambi ridono. «Ho bisogno che tu mi prometta una cosa, Cassian.»

Gli occhi di lui, lucidi e profondi, si perdono in quelli di mia madre, rossi e luminosi.

«Cosa devo prometterti, Dafne?»

Lei gli poggia una mano sulla guancia e lo accarezza teneramente.

«Ho bisogno che mi prometti che la proteggerai, a ogni costo. Tu ti prenderai cura di lei. Me lo prometti?»

I loro sguardi si perdono per quelli che sembrano interminabili secondi prima che Cassia le dia una risposta.

«Te lo prometto.»

Vedo le loro figure abbracciarsi prima di mescolarsi e perdersi nell'oscurità.

«Guardala, Ramondo. Non è la bambina più bella che tu abbia mai visto?» 
Alle mie spalle mia madre è sdraiata su un letto e tiene una bambina, che piange, in braccio, avvolta in una coperta rossa. Ha la fronte imperlata di sudore, piena di capelli attaccati e mio padre gliela bacia.

«È meravigliosa, e tu sei stata bravissima amore mio.»

È la prima volta che vedo noi tre insieme, felici.
Avrei dovuto avere una famiglia, sarei dovuta crescere con una madre e un padre. Probabilmente la mia vita a oggi sarebbe diversa e, sicuramente, non mi ritroverei nel mezzo di una foresta per cercare il re di questo maledetto regno per ucciderlo. 
Sento gli occhi bruciare e un nodo chiudermi la gola. Faccio fatica a respirare. Di fronte a me c'è la mia infanzia, un'infanzia che non possiedo perché non ne ho il minimo ricordo. Un'infanzia non ancora segnata dal lutto che mi avrebbe accompagnata per il resto della vita. Di mia madre ho solo qualche immagine, forse legata a dei ricordi, forse che scaturisce da dei racconti di qualche d'un altro. Non credo di aver mai sentito la mancanza di qualcosa, o qualcuno, come in questo momento. 
Quando ne avevo bisogno, mia madre non c'era. Non era lì.

Mi asciugo velocemente le guance bagnate dalle lacrime mentre l'immagine perfetta di noi tre non sbiadisce nel nero che ho di fronte.

«Tu non sai di cosa stai parlando!» Cassian è il primo a comparire. Sembra trovarsi in una stanza del mio castello. Questo vorrebbe dire che già ci eravamo incontrati, che lui era già stato a Enante.

«Io so esattamente di cosa sto parlando! Non permetterò che questa creatura sia vittima della sua arroganza.» Mia madre si tiene i fianchi mentre cammina con agitazione per la sua stanza da letto. Com'era bella. Allungo una mano verso di lei e, epr poco, mi sembra di riuscire ad accarezzarle il viso. 

«Dafne, tu lo conosci, sai cosa potrebbe fare re Demir. La vorrà, la prenderà e tu non potrai farci niente.»

Mia madre ride, ma il suo volto è serio. «Re Demir? È così che lo chiami ora?»

«Ora è re, è così che va chiamato da tutti, con rispetto.»

«Rispetto, rispetto!» Mia madre allarga le braccia e si avvicina a una culla vuota posandoci sopra le mani. «Ha mandato te perché sei debole.» Gli punta il dito contro guardandolo con astio e sputandogli addosso una verità che Cassian sembra non voler accettare. «Sapeva che avresti fatto qualsiasi cosa ti avrebbe chiesto, esattamente come quando eravamo dei ragazzini. Sei ancora malleabile e, nonostante lui ti faccia del male, tu continui a tornare da lui, ancora e ancora.»

Cassian si avvicina a lei e si punta un dito al petto. «Ha mandato me perché sapeva che non l'avrei rapita nella notte come avrebbe fatto qualcun altro. Dafne,» Prende mia madre per le spalle e si avvicina a lei parlandole con dolcezza. «lui ci tiene sul serio a voi due.» Prende un respiro profondo, come se stesse meditando su ciò che vorrebbe dire. «Prima che Alina nascesse mi hai fatto fare una promessa: di proteggerla ad ogni costo, di prendermi cura di lei. Ed è esattamente quello che ho intenzione di fare.»

Mia madre si libera della sua presa con un semplice gesto. «E come vorresti proteggerla? Portandola via da me? Portandola da lui?»

«Portandola a casa.»

«È questa casa sua!» Le parole di mia madre trapassano le pareti. «Vattene via da qui e non tornare mai più.»

«È stato quell'uomo, vero? È stato lui a farti questo lavaggio del cervello, prima il sangue e adesso questo.» Cassian si avvicina a mia madre, il volto preoccupato le mani tese verso di lei. La guarda con delicatezza, come se un singolo sguardo potrebbe romperla da un momento all'altro.

«Ma di cosa stai parlando?» Il volto di mia madre pare confuso. 

«Di quell'uomo che hai sposato, Ramondo.» Cassian si allontana di qualche passo da lei. «Demir me l'aveva detto che avrei potuto trovarti cambiata. Ti hanno fatto qualcosa Dafne. Io ti riporterò a casa, dovesse essere l'ultima cosa che faccio.»

Cassian si volta e si dirige alla porta. Mia madre prova a fermarlo, a gridargli dietro, ma è troppo tardi. L'uomo attraversa l'uscio chiudendoselo alle spalle.
Dalla disperazione le gambe di mia madre cedono facendola cadere sul pavimento. Il suo volto viene inondato da lacrime che bagnano l'immagine lasciandola sfumare.

«Voce?» Grido girando su me stessa alla disperata ricerca di una risposta. «Cos'erano quelle immagini? Perché me le hai fatte vedere?»

«Quelle, Alina, erano la verità.» La mia voce, sempre calma, mi risponde senza esitazione. «Ti mentiranno, ti trarranno in inganno. Ma devi sempre ricordare la verità, ne avrai davvero bisogno.»

«Ehi aspetta. Voce? Non lasciarmi così, ti prego.» La gola comincia a bruciare e vorrei solo urlare, ma sento come se un filo invisibile mi tirasse fuori da quel buio. Istintivamente faccio resistenza, ma la realtà è che non voglio rimanere qui un secondo di più. 
Mi lascio trascinare via, mi sento le viscere che si arrotolano e vengono tirate e poi nuovamente messe al loro posto. 

Apro gli occhi e, come se fossi rimasta sott'acqua troppo a lungo, finalmente torno a respirare. 
Il cuore mi batte all'impazzata e un peso mi grava sullo stomaco. 

Per un attimo i miei occhi e quelli di Cassian si incrociano. «Alina.» Corre verso di me e si piega per vedere come sto.

«Sto per vomitare.» Gli dico prima di voltare la testa a destra e rimettere qualsiasi cosa avessi nello stomaco.

«Ti senti meglio ora?» Annuisco mentre mi pulisco la bocca con il dorso della mano. «Sarà meglio che bevi.» Accetto con diffidenza la borraccia che mi sta porgendo e bevo con circospezione. Come posso fidarmi di lui dopo i litigi che ho visto con mia madre? 
«Che ti prende?» Devo avergli rivolto uno sguardo diffidente.

«Niente, scusami io ho... quanto tempo ho dormito?»

Cassian si alza e mi porge la mano. «Due giorni e mezzo. Quella nebbia deve averti fatto proprio male. Andiamo, questa è la nostra ultima possibilità prima che l'esercito di tuo padre arrivi.»

Gli afferro la mano, ma in questo momento non mi sembra un'idea del tutto sbagliata aspettare dei rinforzi. Soltanto ora mi rendo conto di quanto sia stata stupida e quanto mi sia sopravvalutata. Per quanto tempo mi sono allenata? Qualche mese? E quelli che ho combattuto? Erano degli stupidi di città, non certo dei re succhiasangue potentissimi che mi vogliono a tutti i costi. 

«Nebbia? Eravamo arrivati al campo di rose.» Sono sicura di non aver sognato anche quello. Mi guardo intorno cercando conferme alle mie parole.

Cassian si mette a ridere. «Non pensavo gli effetti durassero così tanto.» Si avvicina e mi poggia una mano sulla guancia. Il primo impulso è quello di allontanarmi ma sarebbe una reazione strana, uscita dal nulla. «Dopo la nebbia siamo riusciti a camminare ancora, poi sei improvvisamente svenuta. Ti sei agitata molto nel sonno, devi aver avuto altre allucinazioni.»

«Allucinazioni.» Ripeto cercando di collegare tutti gli avvenimenti che mi sono accaduti. 

Non erano delle allucinazioni, né sono più che convinta. Ma quando sto per replicare, Cassian si allontana inginocchiandosi accanto a un cumulo di terra tra le radici di un grosso albero.
«Ora possiamo andare.»
Mi guarda sorridendo prima di superare l'albero. 

Lo seguo, non saprei che altro fare altrimenti, ma rimango leggermente dietro di lui, un po' di stante. I miei pensieri continuano a parlarsi, rumorosi, uno sopra all'altro, ma è il suono dell'acqua quello che li sovrasta tutti.
Incespico in qualche radice, ma superata l'ultima fila di alberi, quello che mi si presenta davanti è uno spettacolo meraviglioso.

Il lago, dalle acque scure e largo fino a dove il mio occhio riesce a vedere, è sovrastato da un leggero strato di nebbia la quale circonda un castello in pietra nera che si erge al centro delle acque. Nonostante ben due torri di avvistamento per lato e dei camminamenti tra queste, nessuna guardia sembra essere presente per dare l'allarme del nostro arrivo. 

«Non c'è nessuno?» Chiedo a Cassian una conferma e lui mi risponde annuendo. Il suo sguardo è attratto dal castello tanto che nei suoi occhi neri riesco a vederne il riflesso. 
Un po' lo capisco, attrae anche me. 

È come se una forza invisibile mi tirasse dalla vita per farmi entrare. Provo a resistere, ma una suadente e vellutata voce mi sussurra in un orecchio. 

«Vieni da me, Alina. Sai benissimo anche tu che è questo che sei destinata a diventare.»

Se non fosse stata una voce incorporea avrei già estratto la spada e avrei certamente tagliato in due la testa del suo proprietario. Un pensiero alquanto orribile.

Faccio un passo indietro.
Non voglio entrare là dentro se rischio di avere questi pensieri ogni qual volta qualcuno mi dovesse parlare. È orribile e non voglio esserlo anche io. 

«Che succede?» Cassian mi scruta con sguardo confuso. «Non ti starai tirando indietro proprio ora.»

«Io...» Non so che dire. Cosa dovrei fare? Vorrei girarmi e scappare via da lì, lasciare che sia l'esercito di mio padre a combattere. «Cosa ci faccio io qui?»

«Alina, i ripensamenti non sono più consentiti oramai.» Si avvicina a me e io indietreggio di qualche passo, ma mi afferra per le spalle e mi guarda con degli occhi che non avevo mai notato prima: sono severi e ricchi di rimprovero. «Ti sei allenata per arrivare fino qui, hai combattuto, sei scappata. Hai affrontato una foresta senza sapere cosa potesse esserci al suo interno e ora vorresti scappare via? Dov'è finita la Paladina Scarlatta di cui tanto parlavi? È ora il momento in cui fai vedere che sei tu quella Paladina Scarlatta.»

In questo momento lo guardo in occhi così profondi che non riesco a capire se è la verità quella che sta dicendo o una menzogna costruita solamente per farmi entrare lì dentro. Quel nero, nel quale tante volte ho provato ad entrare, adesso si impone come limite a sé stesso. Il mio cuore è come spezzato a metà: una parte vorrebbe credergli, ma un'altra sa che quelle che gli escono dalla bocca sono solo un mare di bugie.
Non posso più fidarmi di lui, anche se una grossa parte di me lo vorrebbe. 

So per certo che due cose al mondo non mentono mai, gli occhi e il cuore. 

«Facciamolo.» Gli dico cercando un barlume di verità in quelle pozze profonde come la pece. 

Lo supero senza aspettarlo. 
Avvolto dalla nebbia un ponte di pietra nero, largo appena per una carrozza, si snoda in diverse curve sull'acqua. L'acqua è calma, totalmente piatta, ma la nebbia mi impedisce di vedere poco più avanti del mio naso. 

«Non è la stessa nebbia, vero?»

«Puoi stare tranquilla. Ora nessuno avrebbe più motivo per farti male.» I suoi occhi sono puntati fissi su un punto indefinito avanti a noi presso il quale dovrebbe trovarsi il castello. 

Ora più che mai qualcuno dovrebbe volermi morta. Sono arrivata fino a qui per combattere, non me ne andrò in altro modo. 
Assecondo la forza che mi attira sul ponte verso il castello. Mi inoltro nella nebbia mentre dietro di me si richiude la strada per tornare a casa.

Ora non si torna più indietro. 

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