16. Cassian

Guardo Alina dormire. Dopo che quelle spore l'hanno fatta addormentare, ho pensato che fosse meglio proseguire ugualmente. Non ho mai voluto che si facesse del male, il mio compito era soltanto quello di riportarla a casa. 
Abbiamo camminato molto negli ultimi due giorni, io con le gambe spezzate dalla fatica e lei a peso morto sulle mie spalle. Spero solo che non abbia inalato così tante spore da rimanere addormentata per un'altra settimana. Non abbiamo altro tempo da perdere, e tra non molto l'esercito di re Ramondo sarà arrivato anche lui al castello. 

Mi avvicino al limitare del bosco, dove l'ombra degli alberi si incontra con la brillantezza del sole. Di fronte a me, a poco meno di qualche metro, le sponde del lago bagnano i fili d'erba che crescono noncuranti di quello che sta accadendo intorno a loro. Le acque nere sono calme, piatte, immobili nel tempo, e riflettono un cielo grigio carico di nuvole.
Al centro del lago, collegato alla terra ferma con un ponte di vecchia pietra nera, il castello di re Demir si staglia in tutta la sua potenza. Migliaia erano affogati nella sua costruzione, o, almeno, questo era quello che si diceva in giro. Discendenze di re e regine si sono susseguiti al suo interno. I Rosethorne avevano piantato le loro radici e il loro potere era cresciuto intorno a loro conquistando le terre Ombra.

Mi ricordo dei racconti della vecchia Candra, la balia di Dafne, riguardo questo lago. Narravano di creature marine con decine di tentacoli e pesci dai denti affilati come lame. Quando qualcuno doveva essere processato, passava la sua attesa nelle segrete, esattamente nelle profondità del castello. Dalla piccola finestrella, unica per ogni piccola era possibile vedere il lago e, quando c'era tempesta, la cella si riempiva di acqua. Molte erano ormai senza sbarre e, diverse volte, i prigionieri non venivano più ritrovati al loro posto, reclamati com'erano dalle acque del lago.

Ricordo di come Demir mi obbligasse a scendere lì sotto tramite inganni. Eppure non mi sono mai tirato indietro. Qualsiasi cosa mi avesse chiesto di fare, io l'avrei fatta senza esitazione.

Ed è così che ora sta facendo con Alina, sta cercando di convincerla con l'inganno. Ma ora non sono più il ragazzino di diciassette anni che cede ai suoi ricatti. Il mio re mi ha dato un ordine e io lo sto portando a termine, o almeno ci provo. Con questi giochetti ha dimostrato di non tenere veramente a me. Ha messo più volte in pericolo la mia vita. Ma non posso abbandonarlo, voltargli le spalle dopo che mi ha salvato.  Ho solo bisogno che Alina torni a casa, a casa nostra, il posto a cui appartiene e che Dafne avrebbe scelto per lei se solo non fosse... e allora tutto il nero che si è creato nella mia testa e che sta cercando di confondermi sparirà.

Scaccio quel brutto pensiero scuotendo la testa. Non posso permettere proprio adesso che le brutte emozioni mi annebbino il cervello. 

Mi avvicino al corpo inerme di Alina e le poggio una mano sulla guancia accarezzando la pelle morbida e candida.
«Vedrai che andrà tutto bene. Presto sarà tutto finito e noi potremo stare di nuovo insieme, tutti noi.» Per un attimo mi sembra di vederla sorridere, per questo  motivo rimango meravigliato: quei pollini butterebbero giù persino un elefante, il mio starne lontano mi ha protetto. Se fossimo stati fermati ancora una volta, non credo saremmo arrivati in tempo al castello per la luna di sangue e tutto questo sarebbe stato inutile. 

Mi alzo torreggiando su di lei e, ad altezza dei miei occhi, una piccola incisione cattura la mia attenzione. Ci poggio una mano sopra e con le dita posso benissimo percepire le scanalature procurate al tronco con il coltellino. D+D+C. Ricordo benissimo di averlo inciso qualche settimana dopo essere arrivato qui. Il pensiero mi provoca un sorriso malinconico. Credo sia in quel momento che la mia devozione nei confronti di Demir e Dafne sia nata: loro hanno salvato la mia vita e io non ho potuto fare a meno che metterla al loro servizio. 
Eppure anche allora la scritta era alla stessa altezza dei miei occhi. Da quel giorno io sono cresciuto e l'albero insieme a me. 
Inoltre, non posso fare a meno di pensare che ci fosse anche qualche d'un altro, in quel periodo, che vagabondava in questi boschi, che mi teneva compagnia e che sfamavo.

Un rumore quasi impercettibile alle mie spalle mi fa voltare lentamente. Il lungo muso è piegato su un lato, la folta coda si agita nell'aria smuovendo le foglie dal terreno. Grossi occhi verdi mi scrutano fin dentro l'anima. Strisce bianche le striano il manto rosso. È invecchiata dall'ultima volta che l'ho vista, la mia amata volpe. Sono certo che non mi riconoscerebbe se facessi qualsiasi tipo di movimento affrettato. Così mi inginocchio lentamente, portano una mano dentro la borsa e non distogliendo mai lo sguardo da lei. Infilo la mano nella sacca, ma la volpe comincia a ringhiare. Quando estraggo il pezzo di carne, i suoi occhi diventano grandi, si siede e arrotola la coda intorno al corpo. Estrae la lingua e si lecca il muso, segno che è interessata a quello che ho da offrirle. 

Lancio il pezzo di carne a metà strada, abbastanza lontano perché lei si debba avvicinare, abbastanza vicina perché possa tornare a fidarsi di me.
Con la testa bassa e la schiena dritta, senza mai smettere di guardare nella mia direzione, la volpe si avvicina alla coscia di lepre che le ho lanciato. La annusa e la mangia, allontanandosi di qualche passo. 

Si lecca le zampe e si pulisce il muso, ma ritorna sempre a puntare i suoi occhi verdi nei miei. 
Questa volta la lepre la tengo in mano e la allungo nella sua direzione. 
Vorrei parlarle, dirle che può fidarsi di me, ma senza che io pronunci una singola parola, la volpe si avvicina lentamente, come a leggermi nella mente, gli occhi ormai diventati delle fessure. 
Allunga il muso con circospezione; annusa prima la carne, poi la mia mano. E quando ha deciso che può fidarsi, delicatamente mi sfila la lepre dalle dita e la mangia di gusto rimanendo vicina. 

Tento il tutto per tutto. Allungo la mano verso il suo pelo, ma istintivamente lascia la cerne per soffiarmi contro. Mi da una leggera annusata e torna a mangiare lasciandosi, questa volta accarezzare. 
Strofina la piccola testa sui miei stivali e quasi mi sembra. Mi lecca un dito e per un attimo nei suoi occhi leggo qualcosa, come se, finalmente, fosse riuscita a riconoscermi. 

Alina si muove nel sonno e la volpe gira immediatamente il muso verso di lei, come se si fosse accorta solo adesso della sua presenza. Vorrei andare da lei e vedere se sta bene, ma non mi muovo. È invece la volpe a muoversi, le orecchie sempre all'erta e il corpo basso. 
Si avvicina lentamente, annusando ogni centimetro del suo copro. Le lecca una guancia lasciandole una striscia di bava che le imperla il viso. La scena mi strappa un sorriso genuino. 

Rimane così per qualche secondo, poi si drizza sulle zampe e scappa via scomparendo nel folto della foresta. 
Così mi alzo e mi avvicino ad Alina che continua ad agitarsi. 

«Vedrai che andrà tutto bene.» Le accarezzo la fronte, evitando di proposito la guancia bagnata che, nuovamente, mi procura una leggera risata.

Un tonfo appena alla mia sinistra mi fa voltare. A terra, vicino il braccio di Alina, una grossa radice viene spinta dal musetto della volpe. La prendo in mano e me la rigiro.

«Cosa dovrei farci con questa?» Chiedo senza aspettarmi una risposta. Ma la volpe guaiola alzandosi sulle zampe posteriori e poggiando quelle anteriori sul corpo di Alina. «Serve per svegliarla?» La volpe prende la mia manica tra i denti e trascina la mia mano verso la bocca di Alina. Annuisco. «Tutto chiaro.»

«Ma come siamo sentimentalisti.» Riconoscerei la voce vellutata di Demir ovunque. Risuona tra gli alberi rimbalzando nell'aria limpida «Una scena davvero toccante.» Riesco a riconoscere una punta di ironia nelle sue parole. 

Tra la vegetazione una nube rossa viene nella nostra direzione. Sembra una nuvola, ma con volontà propria; non viene portata via dal vento. 
La volpe si nasconde dietro di me, arruffa il pelo e comincia a ringhiare alla nuvola la quale ci vola intorno disperdendo nell'aria una fragorosa risata. La volpe quasi le abbaia contro e prova a morderla, ma la nube è sfuggente e sporca, semplicemente, il muso dell'animale di sangue.

«Re Demir,» Mi inginocchio chinando la testa, ma portando una mano sulla volpe che si nasconde sotto il mio braccio. «a cosa devo questa visita?»

La risata torna a inondare il bosco. 
La nube mi vola sopra la testa, mi passa sotto il braccio e in un attimo la volpe sparisce in un guaito. Ricompare poco più avanti, in mano a re Demir, mio fratello, che si mostra in tutta la sua potenza dinanzi a me.

È più basso di me e il suo fisico è asciutto. La pelle è molto più grigia rispetto all'ultima volta che ci siamo visti, così come i suoi occhi, con le iridi rosse, ora hanno le sclere nere. I capelli bianchi adesso gli arrivano alle spalle. Indossa i soliti pantaloni di pelle e un lungo cappotto aperto che mette in mostra il fisico.

«Non sembri sorpreso di vedermi, fratellino.» 

«Lasciala andare.» Gli urlo stringendo i pugni e portando un passo in avanti.

Il volto di Demir è accigliato, quasi dispiaciuto. «Altrimenti?» La sua espressione muta. Gli angoli della bocca si incurvano in un sorriso arrogante mettendo in mostra i canini appuntiti. Gli vedo i nervi della mano tirarsi e i muscoli del braccio indurirsi intorno al collo dell'animale. La volpe comincia a guaire ripetutamente e sempre più forte, agita le zampe e prova a muovere la testa cercano di scappare da quella morsa fino a quando il guaito non smette, le zampe non si muovono più e la testa le cade a penzoloni.

Demir apre le dita e il corpo esanime della volpe cade sul terreno con un sordo tonfo. Soffoco un grido, nel luogo più profondo della mia gola.
Distolgo lo sguardo dalla volpe, sento i muscoli della mascella irrigidirsi. Demir mi si avvicina e mi soffia in faccia.

«Non perdere altro tempo, fratellino. Vedi, domani ci sarà la luna di sangue e ho bisogno che Alina sia lì quando la luna sarà nel suo punto più alto del cielo.» Il timbro calmo, pacato. Ma c'è una nota di fastidio che rovina tutto. «Se quella stupida di nostra sorella non si fosse fatta abbindolare a non bere più sangue durante la gravidanza...» Si avvicina ad Alina e le prende il volto tra le lunghe dita. 

"Non farle del male." I miei pensieri prendono forma.

«Ma come siamo diventati protettivi.» La lascia andare e si rialza. «Non le farò niente, non ancora almeno. Sai, sarebbe stato tutto più facile se Dafne l'avesse fatta nascere già una succhiasangue. Invece, è un compito che spetta a noi, ingrato ma è pur sempre di famiglia.» Demir mi cammina intorno. «Nonostante tutto, stai facendo bene il tuo dovere. Oramai la sua trasformazione è inevitabile. Guardale i capelli, gli occhi. È una di noi, Cassian, non puoi negarlo.» Guardo Alina ancora addormentata mentre Demir si avvicina al mio orecchio sussurrandoci dentro con la sua voce di velluto. «Presto saremo di nuovo una famiglia. Dafne ci ha abbandonati, ma Alina prenderà il posto che le spetta accanto a me.» Si allontana di nuovo e riprende a camminare. «Da quando siete entrati nelle terre Ombra sono tornato a leggerti nella mente. So cosa provi per lei. E una volta che sarà la mia regina, potrai fare tutto quello che vorrai. La desideri, non è vero?»

La sua domanda mi prende alla sprovvista.

«Veramente io...»

«Su, su fratello, conosco il tuo cuore e conosco i tuoi sentimenti. Finalmente potrai ottenere quello che hai sempre desiderato: una famiglia, e l'amore di Dafne. E sua figlia sarà la terza che ci manca.» I suoi occhi annoiati vengono catturati dalla radice che ancora stringo tra le dita. «Ma guarda un po',» dice sorridendo. «la volpe non è stata totalmente inutile, dopo tutto.» 

Da un leggero colpetto al corpo senza vita dell'animale con la punta dello stivale e io sento la rabbia assalirmi. Guardo la radice e, prima che io possa dire qualsiasi cosa, Demir mi precede.

«Mettila in infuso e fagliela bere. Eliminerà tutte le tossine dal suo corpo.»

Si volta dandomi le spalle e comincia a camminare verso il folto della foresta.

«Aspetta!» E lui si ferma. «Perché l'hai fatta addormentare?»

Non mi guarda, rimane semplicemente fermo lì dov'è. «Aveva bisogno di sapere la verità.»

Il suo corpo scompare, trasformandosi nuovamente in quella nuvola rossa.
Quando sono certo che è andato via, corro verso la volpe e mi inginocchio accanto a lei. I contorni del suo piccolo corpo si fanno sfocati tra le mie mani.

«Mi dispiace,» È l'unica cosa che riesco a dire. «Mi dispiace tanto.» Sento scorrere calde lacrime sulle guance.
Accarezzo il suo pelo ancora morbido e caldo. Tra le mie mani il suo corpo si modella come fango.

Mi asciugo le guance con il dorso della mano, poi vado da Alina e la sollevo spostandola e poggiandola al tronco di un altro albero.

Scavo una buca tra le radici dell'albero con l'incisione. Sento le pietre tagliarmi le dita e schegge di legno entrarmi sotto le unghie. Le lacrime continuano a scendere bagnando la terra che sto scavando. 
Il corpo della volpe è leggero. La tengo stretta a me, come se da un momento all'altro dovesse riprendere a respirare, alzare il muso e saltarmi addosso leccandomi il viso. Invece non lo fa. 

La poggio delicatamente sul fondo della buca, prendo l'ultimo pezzo di lepre che mi è rimasta e glielo poggio accanto. La guardo per qualche minuto prima di ricoprire la sua tomba. 

«Non sarebbe dovuta andare così.» Dico più a me stesso che a lei. Oramai non può più sentirmi.

Do un ultimo colpetto sul cumulo di terra, poi mi alzo. Raccolgo la radice e accendo un fuoco. Ci vuole tutto il resto della giornata perché l'infuso di radice sia pronto. 
La luna piena comincia la sua ascesa.

«Ti prego, svegliati Alina. Ho bisogno di te, adesso.»

Le tengo la testa sollevata con la mano in modo che non si affoghi e le faccio bere l'infuso. 

«Svegliati...» Sussurro. 

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