15. Alina

La coltre di nebbia intorno a noi scompare così come era apparsa. Lentamente si ritira scendendo verso il basso e muovendosi in direzione del sottobosco. 

Cassian è avanti a me. Se ne sta immobile, la bocca aperta e gli occhi pieni di stupore. Vorrei andare verso di lui, abbracciarlo, ma so che, se in questo momento dovessi muovere un solo passo, crollerei a terra esausta. 

«Ho sentito la tua voce.» Gli dico semplicemente. 

«Sono contento che tu l'abbia seguita.» Mi risponde sorridendo. 

Rimaniamo in silenzio qualche secondo, indecisi su cosa dire. Azzardo e alzo un piede, cercando di sembrare sicura delle mie capacità, ma sento i muscoli cedere e il mio corpo cadere rovinosamente. Il terreno si fa sempre più vicina, ogni parte del mio corpo troppo dolorante perché io possa evitar la caduta. Ma le forti mani di Cassian mi prendono poco prima che la mia faccia sia decorata dalla terra. Mi fa sedere a terra gentilmente, non smettendo di sostenermi. Tira fuori la borraccia dalla borsa e me la cede. Bevo come se la mia bocca non provasse il sapore dell'acqua da una settimana. Mi asciugo la bocca con la manica della camicia e mi esibisco in un sospiro dissetato. Poi porgo a Cassian la borraccia e anche lui beve alla mia stessa maniera.

«Non era veramente lei, vero?» Azzardo. Prima o poi ne avremmo dovuto parlare.

Scuote la testa. «Era solo una trappola ma siamo riusciti ad uscirne.»

«Insieme.» Aggiungo sperando che, per lui, questo sia un momento adatto per un bacio tanto quanto lo è per me. Lo guardo pieno di desiderio. Gli guardo prima un occhio, poi l'altro e infine le labbra. So che se dovessi essere io a fare la prima mossa mi lascerebbe, senza esitazione come tutte le altre volte. Invece Cassian si alza con solo un sorriso stampato sul volto e mi porge la mano aiutandomi. «Sappi che non mi darò per vinta così facilmente.» Lo informo riuscendo a restare in equilibrio sui miei stessi piedi.

«D'accordo, quando il momento giungerà staremo a vedere, principessa.» Ogni parte del suo corpo sembra volermi sfidare. E io, questo gioco, lo voglio vincere.

«Quanto tempo credi siamo rimasti intrappolati in quella nebbia infernale? Il sole era sorto da qualche ora quando è comparsa.»

Chiedo a Cassian mentre sono intenta a evitare un ramo con la testa. Lui, invece, si muove con tutta la facilità del mondo, orientandosi alla perfezione in questo intricato labirinto di alberi. 

«Probabilmente delle ore, non ne sono sicuro. Abbiamo bisogno di uscire da qui per poterlo scoprire con certezza.» Cammina sicuro alzando di tanto in tanto la testa per scorgere qualcosa oltre le fronde. «Lo vedi quello?»

Alzo la testa ed inciampo in un sasso che non avevo visto. Perdo l'equilibrio e per fortuna finisco addosso a un tronco che mi evita una vergognosa caduta. 

«Shh,» Mi rimprovera Cassian a voce bassa «fa silenzio.» Alzo le spalle e scuoto la testa e mi tiro su cercando di fare meno rumore possibile. «Lo vedi quello?» Seguo il suo dito in direzione di un qualcosa che non riesco a vedere. «Si mimetizza bene, ma se volti il tuo sguardo leggermente a sinistra, in direzione di quella foglia che in questo momento sta cadendo, lo puoi benissimo vedere.»

Seguo alla lettera le sue istruzioni e finalmente riesco a vederlo. È un uccellino, non più grande di un palmo; le piume opache sono dell'esatto colore del legno ma sul petto spicca un macchia rossa in rilievo a forma di cuore. Rimango estasiata da tale bellezza. Il cuore gli si ingrossa, e si sgonfia lentamente quando l'uccellino alza la testa e apre il becco per cinguettare. Dalla sua gola escono note dissonanti tra di loro ma che, messe insieme, creano una melodia fuori dal comune. 
Ascolto in silenzio il suo canto mentre la natura intorno a lui sembra accompagnarlo come una maestosa orchestra. Tutti vanno a tempo, nessuno si impone sull'altro. Un picchio, poco più in profondità tra gli alberi, mantiene il ritmo; un gruppo di cicale sparse qua e là alza il proprio coro in accompagnamento. Il vento, invece, crea il sottofondo perfetto.
Ma una volta che il cuore si sgonfia del tutto, l'uccellino apre le ali e vola via lasciando nell'aria un suono simile a delle campanelle.

«È stato magnifico.» Le parole mi escono a fatica. «Cos'era?»

Cassian mi guarda con aria soddisfatta per poi proseguire nel cammino.

«Era una piumallegra, può cantare una sola volta per ramo perché, ogni volta, ha bisogno di recuperare aria grazie al volo. Era l'uccello preferito di tua madre. Una volta mi disse che era ciò che le mancava di più di questo posto.» Si ferma un attimo, forse per riflettere su quelle parole così amare per lui. «Ma se l'abbiamo visto vuol dire che non siamo poi così tanto lontani. Vieni.»

Lancio un ultimo sguardo verso l'alto e sento le ali della piumallegra volarmi sulla testa. La vedo appoggiarsi su un ramo e le faccio un piccolo sorriso.

«Ciao, mamma.» Glielo sussurro, ma sono sicura che le sia ugualmente arrivato.

Mi lascio la piumallegra alle spalle e seguo Cassian che si è già allontanato di molto. Si ferma vicino a un cespuglio e me lo indica.

«Queste sono more, raccogliamole e mangiamole questa sera. Ti va?»

Annuisco. «Effettivamente ho fame.»

Cassian alza ancora una volta la testa a guardare le foglie sopra di noi.

«Sarà meglio trovare un poso dove accamparci, la luce è abbastanza rossa da essere quella di un tramonto. Ho bisogno di vedere la luna, per capire che giorno è, ma con tutte questi alberi mi è difficile e non ho certo voglia di arrampicarmi.» Mette una mano nella borsa tirandone fuori un grosso fazzoletto per poi metterci dentro le more. «Coraggio, raccogliamole e andiamo via da qui.» Lo imito e in pochi minuti svuotiamo l'intero cespuglio. «Non molto lontano dovrebbe esserci un altro cespuglio: crescono sempre vicini. Tu raccogli altre more. Io vedo se riesco a trovare altro da mettere sotto i denti.»

Mi lascia in mano il fazzoletto pieno delle more che abbiamo raccolto e se ne va senza neanche lasciarmi il tempo di dire nulla. 

«Vorrei proprio sapere come mi troverà quando mi sposterò da qui per trovare altre more.» Dico mentre mi allontano dal cespuglio vuoto. «Ah ma non sarà un mio problema. Nossignore. Io continuerò ad andare avanti per di là...» Indico un punto impreciso avanti a me «o forse di là?» Mi volto e ne indico un altro. «Perfetto Alina: ti sei persa rimanendo ferma.» 

Ritrovo il cespuglio di more depredato e da lì riesco ad orientarmi.
Poco più avanti trovo un altro cespuglio e denudo anche quello. Ma è qualcosa di piccolo e rosso a catturare la mia attenzione. Mi piego sulle ginocchia e delle fragoline di bosco compaiono rosse in contrasto con il terreno fangoso. Ingenuamente sorrido nel vederle. Le raccolgo e subito mi sembra di essere in una fiaba. Forse dovrei stare veramente attenta al lupo cattivo; grosse fauci, una fame da uccidere, denti lunghi e affilati. Nulla che qualcuno voglia incontrare durante la sua passeggiata in un bosco. 
Alla fine riesco a raccogliere abbastanza fragoline e more da poterci sfamare per giorni. Non mi allontano troppo, o almeno credo, in modo che Cassian possa ritrovarmi. 

Rimango da sola, nel silenzio rumoroso di un bosco, forse per delle ore. Chiudo gli occhi per bearmi di tale meraviglia della natura.
È la voce di Cassian che mi chiama a spezzare il momento.

«Ho trovato una piccola radura. Vieni.» Mi aiuta ad alzarmi e mi indica la strada tenendomi per mano. Sono dure e piene di calli, ma sono confortanti e mi fanno sentire tranquilla, come se mi trasmettessero una nuova energia.

«Come hai fatto a trovarmi?» 

Lo sento incurvare le labbra in un sorriso.

«Il mio compito è proteggerti, per questo ti troverò sempre, ovunque tu sia.»

Sento le guance diventare rosse. Sono le stesse parole che mi ha detto nel giardino del mio compleanno. Lì era facile proteggermi, all'interno delle mura ero come dentro una cassaforte della quale possedevo la combinazione, ma qui fuori è diverso. Qui siamo solo io e lui e nessun altro. Cosa accadrà quando arriveremo al castello delle terre Ombra? Saremo noi due contro centinaia di loro, le statistiche non proprio a nostro favore. Sarà in grado di proteggermi anche lì?

La radura si apre davanti a noi brillante. Il fuoco è già stato acceso, mentre due lepri gli giacciono accanto con il pelo ancora sporco di sangue. 

«Ho raccolto altre more e delle fragoline.» Dico distogliendo lo sguardo. 

«IO ho catturato due lepri e ho trovato queste piante di idrofilla.» Si siede vicino al fuoco ed estrae da un pezzo di stoffa delle foglie particolarmente grosse. «Sono delle piante succulente. Questa in particolare si riempie di acqua tutto l'anno per poi fiorire in inverno e usare l'acqua accumulata durante gli altri mesi. I fiori sono velenosi, ma noi siamo stati fortunati. Ci servirà dato che non ho trovato nessuna fonte d'acqua e non abbiamo una spillatrice.»

«Come fai a sapere tutte queste cose?» Credo di averlo solo pensato, quando la sua risposta mi fa ricredere.

«Ci sono vissuto qui. Si imparano molte cose quando sei un orfano che deve cercare da vivere.»

Cassian tira fuori il coltello e comincia a spellare la lepre.

«Sei un orfano?» Lo dico senza pensarci, come se fosse la cosa più facile dell'universo di cui parlare. Cassian annuisce con le labbra serrate, concentrato sulla lepre che ha tra le mani. «Perdonami, non ne devi parlare se non vuoi.»

«Non c'è problema. I miei erano contadini, così mi hanno insegnato tutto quello che sapevano sulle piante: quelle da coltivare, come riconoscere quelle velenose, quali mi sarebbero state utili per curarmi. Ero il più piccolo di cinque fratelli, tutti maschi. Una vera benedizione per i miei. Ma la peste bovina arrivò anche da noi. Prima le mucche, poi anche i maiali e le galline. Le cavallette fecero fuori il resto. Eravamo rimasti senza niente. Mio fratello più grande, Igor, provò a rimediare con il gioco d'azzardo, ma guadagnò solo debiti. Gli altri due fratelli, Mike e John, presero la via del mare; inizialmente ci arrivava qualcosa, abbastanza da poter appena mangiare una volta ogni due giorni, poi non abbiamo saputo più nulla di loro.» Nei suoi occhi vedo il vuoto, come se stesse parlando della vita di qualcun altro. 

«Mia nonna era una maga, una curatrice, e aveva insegnato quell'arte anche a mia madre. Lei spiegava quali piante le servissero e noi tre entravamo nel fitto del bosco per prendergliele. Un giorno, però, mentre stavamo tornando a casa, eravamo lì a poco più di duecento metri, vedemmo il sindaco uscire dalla porta di casa nostra aggiustandosi la camicia bianca nei pantaloni neri. Io e mio fratello George non capimmo, eravamo troppo piccoli, ma mio padre lasciò sul prato tutto quello che quel giorno avevamo raccolto e che teneva in un cesto sulla schiena e corse a casa. I pianti superarono le urla in pochissimo tempo. Così, oltre alle piante, da casa mia cominciarono anche ad entrare e uscire uomini. Alcuni li conoscevo: il sindaco, il farmacista, anche il vecchio Bo che lavorava al porto. Per me erano come di famiglia. E per un po' le cose ritornarono ad andare bene, ma mia madre stava sempre peggio: aveva le guance infossate, gli occhi che quasi le uscivano dalle orbite. Molto spesso non poteva scendere le scale per giorni o le si sarebbero rotte le ossa delle gambe.» Come se stesse parlando della madre di un'altra persona. «Morì qualche mese dopo, il ventre ingrossato. Non passò molto che anche mio padre la seguì. La proprietà passò a Igor che nel frattempo aveva aumentato i suoi debiti. E due bambini di 12 e 10 anni cosa potevano mai fare? Ovviamente io e Gorge cominciammo a rubare qualcosa e rivenderla. Riuscimmo ad andare avanti per quasi altri quattro anni. Scoprimmo che eravamo molto bravi. Ma nostro fratello era più bravo di noi a spendere tutto quello che riuscivamo a guadagnare. Ricordo bene quella notte.» 

Dovrei interromperlo, dovrei dirgli di fermarsi che ha tolto tutta la pelle dalla lepre e che con quella foga potrebbe farsi molto male. «Avevamo appena messo abbastanza da parte per comprare una nuova mucca. L'avevo chiamata Guenda perché assomigliava alla locandiera giù in città.» Un leggero sorriso compare sul suo volto per poi sparire immediatamente dopo. «Quando sentimmo le urla pensavamo fossero venuti a rubarcela. Ci alzammo e George corse di fretta le scale, andando verso il fienile. Le loro voci erano sovrastate dai tuoni, ma, in un attimo di silenzio, ho potuto ben sentire il nome di Igor. Non volevano la mucca. Corsi in camera sua. Igor era rannicchiato in un angolo a piangere, aveva la testa tra le mani. Provai a chiamarlo ma era inutile, era come entrato in uno stato di shock. Mi affacciai alla finestra; George se ne stava in mezzo alla pioggia con il forcone in mano a fronteggiare cinque uomini armati di fucili mentre Igor piangeva a terra. Ricordo bene che imprecai. Così scesi anche io le scale, avevo intenzione di aiutare George. Ma proprio sull'ultimo gradino, sentii bene un sordo rumore. Un attimo prima c'era stato un lampo, ma quello che avevo udito non era un tuono.» Infilza la lepre e comincia a staccargli violentemente la carne dalle ossa.

«Rimasi immobile per qualche secondo, ma non avevo tempo da perdere. Tornai di sopra a raccogliere tutto quello che ci era rimasto mentre i cinque uomini si avvicinavano sempre di più alla casa urlando e sbraitando il nome di Igor. Aprirono la porta con un calcio e buttarono all'aria tutto quello che capitava loro sotto i piedi. Salirono le scale. Io non avevo più tempo. Misi tutto all'interno di una federe di un cuscino, passai per l'ultima volta davanti la porta di mio fratello e lo vidi ancora lì a piangere. Non ne valeva la pena. Uscii dalla finestra della vecchia camera dei miei e mi calai giù dal vecchio castagno che cresceva proprio là sotto. Sentii altri rumori, grida e un paio di spari, ma non m'importava. Passai da vicino il fienile e, nonostante la pioggia quella notte fosse fitta e quasi mi impediva di tenere gli occhi aperti, vidi il corpo di George sdraiato a terra. Accanto a lui c'era uno degli uomini con un forcone infilato proprio qui.» Con la punta del coltello mi indica un punto preciso che va dalla spalla sinistra al fianco destro.

«Non era arrivato neanche alla stalla, ma era riuscito a fare fuori un uomo più grande di una ventina d'anni e grosso il doppio, probabilmente anche ubriaco.  Comunque sia, corsi verso la foresta senza voltarmi indietro e non tornai mai più lì. I giorni successivi li passai in città a rubare come avevo sempre fatto. Quando però rividi quegli uomini capii che era arrivato il momento di andarmene.» La sua voce si fa più calma e anche i suoi gesti nei confronti delle lepri diventano meno brutali. 

«Mi incamminai verso nord, cibandomi delle piante che già conoscevo quando mi trovavo in un bosco e vivendo di ruberie quando vivevo in una qualche città. Di solito, in quel caso, il territorio era già occupato. Andai avanti così per un annetto fino a quando non rubai alla persona sbagliata.» 

Raddrizzo la schiena e apro la bocca, spaventata da quello che potrebbe venire poi.

«No non fare quella faccia,» Mi rassicura. «è andata bene. Ho rubato a una giovane ragazza, poco più grande di me, che lesse nei miei occhi il desiderio del riscatto. Mi prese sotto la sua ala protettiva e iniziò a chiamarmi fratello. Quelli con loro furono gli anni più belli. Certamente segnati da molta violenza, ma di sicuro i più belli.»

«Con loro?» Chiedo alla fine. «Pensavo fosse solo una la ragazza.»

Cassian mi sorride e strizza gli occhi, forse in difficoltà per aver detto qualcosa di troppo.

«Si, è vero, ma c'era anche un altro fratello più grande di entrambi. Non credo mi abbia mai voluto bene allo stesso modo in cui me ne voleva lei, ma mi considerava suo fratello e parte della famiglia a tutti gli effetti.»

«E ora? Loro come stanno? Li senti ancora? O li hai abbandonati per venire da me?»

«E ora» Dice ridendo per le troppe domande. «è tempo di mettere sul fuoco queste due belle lepri appena catturate o un qualche felino della giungla potrebbe sbranarci per averli.»

Mi tiro su il cappuccio e mi guardo nervosamente intorno. Oramai si è fatto buio da quando siamo qui.

«Credi davvero ci siano dei predatori?»

Cassian ride di gusto, come se avessi detto la battuta più divertente dell'universo. Ma non m'importa se mi sta prendendo in giro, il suo volto è rilassato, così mi lascio andare anche io a una risata liberatoria.

«Se vuoi puoi venire vicina a me, principessa.»

Non me lo faccio ripetere due volte.

«Effettivamente fa freddo.» Forse la scusa più vecchia al mondo, ma chi se ne frega. Cassian mette le lepri a cuocere e mi guarda mentre prendo posto accanto a lui. I nostri sguardi si incrociano e io non posso fare a meno di notare le migliaia di stelle che gli risplendono negli occhi neri. O forse è solo una mia impressione.

I suoi occhi si spostano in un punto indefinito sopra la mia spalla destra. «La luna!» Esclama a un tratto facendomi sobbalzare. Ancora una volta un'occasione persa. Cassian si alza in piedi mentre io appoggio il mento sulla mano. «Merda.» Lo sento imprecare.

«Che è successo?» La sua reazione mi ha decisamente spaventata.

«Alina, non siamo stati in quella nebbia per qualche ora, ci siamo stati per una settimana.»

Cassian sembra essere veramente spaventato. Mi alzo accanto a lui e volgo il mio guardo verso la luna che sorge grande e rossa alle mie spalle. Manca poco che sia piena mentre il rosso continua ad aumentare di intensità.

«Non avevo mai visto una luna come questa.» Mormoro.

«Domani ci sveglieremo presto,» Mi informa rimettendosi a cucinare. «al sorgere del sole. Sarà meglio dormire subito dopo aver mangiato. Abbiamo ancora molta strada davanti a noi e domani non faremo soste di nessun tipo.» Annuisco e prendo il pezzo di lepre che mi porge, lo mangio con voracità. «Dormi per prima, farò io il primo turno di guardia.»

Gli sorrido e finisco di mangiare. 

♥♦♣♠

Mi sveglio di soprassalto per un rumore secco che proviene da qualche parte intorno a me. 

«Cassian?» Sussurro ma non mi arriva nessuna risposta. «Cassian?» Riprovo con voce più alta. Mi volto verso il posto nel quale era seduto l'ultima volta che l'ho visto, ma è vuoto.
Vorrei alzarmi e vedere se c'è qualcuno, ma il buio è talmente intenso che nemmeno la luna, che ormai si trova dietro gli alberi, riesce a rischiararlo e io ho paura. Nonostante il mio cervello ci provi a dare lo stimolo di muoversi, le mie gambe rimangono ferme, inchiodate al pavimento e con nessuna intenzione di spostarsi.

Giro la testa in ogni direzione e, da ogni parte del bosco, centinaia di occhi rossi, lucenti come fiammelle, mi guardano tra la boscaglia. Scompaiono da un punto per poi ricomparire in un altro. Allungo una mano tastando il terreno alla ricerca della mia spada. Quando finalmente la trovo, la estraggo dal fodero ma sono indecisa sul dove puntarla: ci sono così tanti occhi che mi ruotano intorno che qualsiasi decisione sarebbe inutile.

«Ti prego Cassian,» Imploro a bassa voce. «torna presto. Dove sei finito...»

Lentamente sento le gambe venire inondate da un calore che mi permette nuovamente di muoverle. Mi alzo e ruoto su me stessa tenendo alta la spada con entrambe le mani. 

«Sono la Paladina Scarlatta, sono la Paladina Scarlatta.» Ripeterlo mi da un minimo di coraggio, alla fine è grazie a me se le persone a Enante si sono sentite libere di uscire la notte.

Il rumore di un ramo spezzato mi fa voltare di scatto. Foglie mosse mi fanno girare a destra. Qualcuno si sta divertendo a farmi impazzire. Sento il cuore arrivarmi in gola. Vorrei solamente che Cassian tornasse. 
È stata una pessima idea venire fino a qui, credevo di essere più coraggiosa di quanto non sia in realtà.

«Sei più coraggiosa di quanto credi, Alina. Abbraccia la nuova te.»

La voce proviene dalle mie spalle, dal folto della foresta. Mi giro nella sua direzione ma nulla di diverso sembra esserci tra gli alberi. «Chi è la?» Chiederlo non è una buona idea, ma magari la voce è in vena di risposte. 

«Io sono il sangue del tuo sangue.» La voce è morbida e vellutata, Le s sono leggermente allungate ed è come se mi leggesse nella mente. «Venire da me è tutto quello di cui hai bisogno, eri destinata a me. Ti sto aspettando, Alina, ho steso per te centinaia di petali lungo il percorso.»

Vorrei dire qualcosa, non sembrare una piccola farfalla intrappolata nella tela di un ragno, ma la voce mi muore in gola e la saliva mi si secca in bocca. Faccio fatica a respirare. Il buio intorno a me, il nulla che mi circonda, fa cadere la mia razionalità nel niente cosmico. Possibile che il mio coraggio, il mio carattere, sparisca davanti a una voce incorporea?
Sento dei passi definiti e pesanti provenire dalla mia sinistra. Punto la spada in quella direzione, pronta ad attaccare qualsiasi creatura comparirà. Attendo con impazienza.
I passi si fanno sempre più vicini, alzo la spada e mi preparo a caricare. Corro nella sua direzione e, circondato da una notte che sembra eterna, Cassian entra nella radura spostandosi un ramo da davanti al volto.

Urlo il suo nome. «Cassian! Potevo ammazzarti.» 

L'uomo mi scruta dalla testa ai piedi con un sopracciglio sollevato. I suoi occhi passano sulle mie gambe e sulla spada. Poi si mette a ridere. 

«Uccidermi in quelle condizioni?»

Sento le gambe cedere sotto il peso della tensione. L'adrenalina mi ha tenuta in piedi, ma ora posso sentire il sangue pulsarmi nelle orecchie.
Le primi luci dell'alba compaiono alle mie spalle rischiarando il cielo.

«Cosa stavi cercando di fare?» Mi chiede porgendomi la mano.  Prima di afferrarla mi guardo intorno: gli occhi sono spariti, così come la voce.

Mi faccio aiutare, le gambe sono ancora troppo molli per farcela da sola, infatti barcollo un po' prima di trovare il mio equilibrio. 
«Io... ecco credevo di aver sentito delle voci.»
Mi guardo ancora una volta intorno, come a voler trovare le prove di questo strano incubo. In fondo siamo entrati nelle terre Ombra, non posso meravigliarmi di tutto ciò che da questo momento in poi accadrà. 

«Sarà meglio muoversi ora.» Con la punta del piede Cassian sparge le ceneri di un fuoco ormai morto e tira giù da un ramo la carne rimasta dalla sera precedente che ha appeso per evitare che dei predatori potessero rubarcela. 
Io, invece, rimetto a posto le coperte nelle nostre sacche quando una valanga di domande mi assalgono la mente. 

«Cosa ci facevi nel bosco?» Evito in ogni maniera che i nostri sguardi si incrocino, anzi provo a tenermi impegnata con qualsiasi cosa mi capiti a tiro. 

«Quando madre natura chiama... non so se mi sono spiegato.»

«Perfettamente.» Taglio corto. «Non avresti dovuto chiamarmi per fare il secondo turno?»

Cassian sorride. «Eri così stanca e per la prima volta dormivi così tranquilla che non me la sono sentita di svegliarti.»

Lo guardo per un attimo, sulla sua camicia sono presenti macchie di sangue che la sera prima non c'erano.
Mi avvicino a lui e pongo le mie mani sulle chiazze. 
«Ti sei fatto male?»

Repentino mi toglie di mano la stoffa e si mette la borsa in spalla cominciando a camminare.
«Non è nulla, forse le lepri di ieri sera.»
Eppure sono convinta che prima di andare a dormire la sua camicia fosse abbastanza pulita. 

Rimango leggermente indietro, così sono costretta a correre per raggiungerlo e per poco non inciampo in un ramo che si impiglia nel mantello. Sicuramente non l'abito più adatto per muoversi in una foresta. 

♥♦♣♠

Bevo l'ultima goccia d'acqua quando finisco per sbattere contro la schiena di Cassian.

«Ma che...» Il vasto campo di rose rosse che ci si apre davanti mi impedisce di terminare la frase. 
Camminando a testa bassa per evitare di inciampare, non mi sono resa conto che siamo arrivati al limitare del bosco. Varco il confine che ci separa da tale meraviglia. 
Davanti a me un immenso campo di rose cresce a perdita d'occhio. In lontananza, una catena di montagne innevate le fa da sfondo, le vette che si sfidano a toccare un cielo azzurro privo di nuvole. 

Erano giorni che non mi beavo di una luce del sole così limpida e calda. Comincio a ridere mentre volteggio su me stessa. I rumori del bosco lasciano spazio a quelli del prato. Una coccinella mi vola vicino la faccia posandosi sulla spalla di Cassian. Le vado vicina e la faccio salire sul mio dito. Dopodiché la avvicino al volto della mia guardia del corpo.

«Esprimi un desiderio e soffiaci sopra.» Dopo avermi guardata storta, Cassian lo fa esaudendo il mio di desiderio. Guardo la coccinella volare alta e per un po' la seguo prima che la mano di Cassian mi afferri il polso bloccandomi. 
Passo il mio sguardo dalla sua mano ai suoi occhi, ma lui sta guardando da un'altra parte, guarda dritto verso le rose. Sto per chiedergli delle risposte quando sento uno strano odore arrivarmi alle narici. Un odore caldo, di metallo, un odore di sangue.

«Sono le rose a puzzare così.» Cassian si porta un braccio sulla faccia, a coprire con la manica della camicia il naso. «Sarà meglio andarcene da qui, non sembra nulla di buono.»

«Come potrebbe questo» indico le rose «non essere nulla di buono?»
E come un mal di testa, sento riecheggiare le parole della voce "...ho steso per te centinaia di petali lungo il percorso." «Forse hai ragione.» Ammetto perdendo il sorriso e facendo cadere le braccia lungo i fianchi. «Sarà meglio allontanarci da qui.»

Ma una forte folata di vento, proveniente dalle montagne, ci travolge, facendo alzare in volo migliaia di farfalle poggiate sulle rose. Mi copro il volto con le braccia, inondata da tale meraviglia. Quando riapro gli occhi mi ritrovo al centro di un vortice colorato e pieno di pagliuzze dorate. Allungo una mano. 
Una farfalla si posa sul mio dito, sul mio palmo quella che sembra essere polvere dorata. Avvicino il volto per cercare di osservarla meglio, ma sento gli occhi pesanti e le gambe cedere.

Nel buio solo la figura di Cassian mi appare limpida, in piedi di fronte a me, troppo lontana per poter essere raggiunta. Sprazzi di luce compaiono ogni tanto, per poi sparire nello stesso modo in cui sono arrivati. Vedo il terreno muoversi sotto i miei occhi, alberi camminare accanto a me, ma non sono sicura sia la realtà. Il mondo è sottosopra, ma potrebbe benissimo trattarsi di un sogno.

Sento per un po' di tempo le braccia penzolare e i piedi fluttuare nell'aria per poi percepire qualcosa di duro sotto le gambe e dietro la schiena.
Nel nulla in cui mi sembra di trovarmi, quello che mi arriva poi è qualcosa di indistinto, parole sussurrate e perdute nel vento.

«Sto facendo il possibile.»

«Sei sulla strada giusta fratellino.»

«Cosa succederà poi?»

«Tutto sta andando come doveva andare fin dall'inizio.»

Per un attimo mi sembra di riconoscere la voce di Cassian e le s prolungate della voce nel bosco. Questa volta, dal buio, niente occhi di fuoco che mi osservano, niente spade a proteggermi. Questa volta il mondo sembra cadere in un baratro.



Con la pubblicazione di questo capitolo mancano ufficialmente 9 capitoli alla fine di Sangue e acciaio. Ma non vi preoccupate, ci saranno altre sorprese per questa storia.
Non sono solita scrivere uno spazio autore alla fine dei capitoli, ma sono veramente curiosa di sapere le vostre impressioni, se vi sta piacendo e, soprattutto, cosa secondo voi accadrà ad Alina e Cassian.

Se siete arrivati fino a qui non posso fare altro che ringraziarvi🖤. Ammetto che se non ci fosse stato nessuno a leggere questa storia, probabilmente mi sarei fermata al capitolo due e l'avrei fatta morire lì. Quindi vi ringrazio davvero, dal profondo del cuore perché è solo merito vostro se Alina ha continuato a crescere🗡🖤

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