14. Cassian
Guardo Alina dormire accanto al fuoco. Ogni tanto il suo corpo viene percorso da dei tremori di freddo, così mi alzo per metterle un'altra coperta addosso.
È così bella, anche quando dorme. Le accarezzo una guancia spostandole una ciocca di capelli dal suo viso.
La luna le riflette sul volto una luce rossastra rendendo la sua candida pelle rosata.
«Si sta tingendo sempre di più. Dovremo velocizzare il nostro viaggio.»
Sotto l'influsso della luna Alina si agita nel sonno, come se stesse avendo un brutto sogno. Eppure io so che non è così. Quello che prova è dolore. Il sudore le imperla il viso. Si toglie le coperte di dosso e agita braccia e gambe. Si volta a destra e a manca e io mi sento terribilmente in colpa per non poter fare nulla.
«Alina?»
Le accarezzo la testa e provo a svegliarla. Odio vederla soffrire così.
Alina apre gli occhi, quello rosso che quasi brilla nell'oscurità. Si alza a sedere presa da un momento di terrore. Il suo sguardo è fisso su di me, come a volermi scrutare nell'anima. Spaventato indietreggio con la schiena.
«Va tutto bene. Ci sono io adesso.» In realtà vorrei rassicurare più me stesso che lei. «Sei sveglia.»
Ma i suoi occhi continuano a guardarmi imperterriti.
La vedo contorcersi e urlare dal dolore. Ho già visto una situazione come questa e, anche se non sono puro, ha bisogno di bere il mio sangue. In fondo nelle mie vene scorre lo stesso sangue di Dafne.
Repentinamente estraggo il pugnale dal fodero che porto al fianco e mi procuro un profondo taglio sul braccio. Il sangue ne esce copioso, ma Alina non è nelle facoltà mentali o fisiche di accorgersene. Devo, quindi, passare alle maniere forti prima che la perdita di tanto sangue mi faccia svenire. Le blocco le mani e subito rivolge a me la sua attenzione. La sua pelle comincia a tendere verso il grigio, le sclere le si tingono di rosso.
«Bevi, coraggio.»
Le infilo a forza il mio braccio in bocca e sento la testa girare. I suoi denti si piantano nella mia carne e posso benissimo sentirla succhiare dalla ferita. Le lascio andare le mani così è libera di tenere da sé il mio braccio e continuare a bere. Mi siedo a terra rilassato, con la testa che ancora gira e la vista che mi si appanna. Eppure fino a quando non ha finito di bere non posso privarla del mio sangue.
«Mi dispiace.» Le sussurro, poi tutto intorno sparisce.
♥♦♣♠
Sento il calore bruciarmi il viso e la luce entrare tra le palpebre chiuse.
Mi alzo lentamente, la testa che ancora gira. Ci vuole un po' perché riesca a mettere a fuoco ogni cosa; fasci di luce dorata coprono la maggior parte degli oggetti. In tutto questo oro, però, c'è qualcosa di rosso che stona con il paesaggio silvano.
«Alina?»
Alina è seduta vicino le ceneri fumanti di un fuoco ormai estinto, il mantello intorno alle spalle, il cappuccio a coprire bene la testa e le gambe piegate al petto. Se le abbraccia e sembra persa in qualche pensiero.
Mi avvicino lentamente e le poggio una mano sulla spalla.
«Stai bene?» Le chiedo, forse una domanda stupida.
Con calma volta la sua testa nella mia direzione. Ha la parte inferiore della faccia coperta di sangue, segno che me ne ha prelevato un bel po'. Ci metto un po' a vederla, una ciocca di capelli è ora bianca e le cade delicata su una guancia.
Alina ha gli occhi colmi di lacrime.
«Cosa ho fatto?!» Chiede a fior di labbra, quasi in un sussurro impercettibile.
Mi avvicino a lei. So quanto possano essere difficili i primi giorni.
Serro le labbra cercando le parole giuste per la situazione.
«Ci sono passato anche io e tua madre mi è stata accanto per tutto il processo.» Mi porto una mano tra i capelli. «Non sono di sangue reale, quindi i miei capelli non diventeranno mai bianchi, ma è per merito di Dafne se ho queste striature. Me la ricordano ogni giorno. I suoi capelli erano candidi come la luna» Ho attirato la sua attenzione perché ora mi guarda di nuovo con gli occhi eterocromi pieni di lacrime. «Quando danzava di notte sui prati sembravano quasi brillare.»
«Sto diventando un mostro... tutto quello che mi hanno insegnato ad odiare, io lo sto diventando.»
Mi porto davanti a lei, la prendo per le spalle e mi assicuro che mi guardi dritto in faccia.
«Tu stai diventando come tua madre e lei certamente non era un mostro. Era la ragazza più dolce e gentile che io abbia mai conosciuto e tu sei esattamente come lei. Sono stato chiaro?» Annuisce ma posso percepire che ancora non è convinta. «Ora andiamo, non abbiamo altro tempo a nostra disposizione.»
Strappo un pezzo di stoffa dalla camicia e comincio ad arrotolarmela intorno alla ferita sul braccio aiutandomi con i denti, quando le delicate mani di Alina si mettono sulla mia togliendomi la stoffa.
«Lascia che ti aiuti, è il minimo che possa fare.»
Le lascio fasciarmi la ferita. Ha ancora il cappuccio, ma riesco a vederle la parte inferiore del viso.
Una volta che ha finito le prendo il mento e la obbligo a guardarmi.
«Ho promesso che non ti sarebbe capitato niente di male, fidati di me.»
Sento i suoi occhi attirarmi e la bocca chiamarmi. Vorrei baciarla. Mi avvicino lentamente, le nostre labbra quasi si sfiorano. Sento il braccio pulsare e il sangue scorrere nelle vene. Il desiderio di averla, di possederla, qui, ora, su questo prato, è davvero enorme.
«Non posso.» Dico ancora una volta e la lascio lì.
♥♦♣♠
Vedo Alina camminare dietro di me con la testa bassa e le braccia chiuse intorno al suo stesso corpo. L'intero bosco intorno a noi sembra accorgersi della sua presenza.
Tiro fuori dalla borsa un pezzo di carne di coniglio cacciato la sera prima e mi fermo aspettando che mi raggiunga.
«Tieni,» Glielo porgo. «sono due giorni che non mangi nulla.»
L'odore della carne le arriva alle narici e le stimola l'urto del vomito. Si porta una mano sulla bocca cercando di fermarlo.
«Non puoi andare avanti a sangue e basta. Oltre al fatto che potrei svenire, diventeresti esattamente come quelli che hai incontrato in città. E Dafne non me lo perdonerebbe mai... io non me lo perdonerei mai. Ti prego.»
Riluttante, Alina prende in mano la carne e ne strappa un morso. La prima reazione è quella di sputarla così le porto le mani sulla faccia, obbligandola a ingoiare il boccone.
«Un giorno mi ringrazierai.» Le spiego. «Hai bisogno di mangiare altro per abituare il tuo corpo a questa trasformazione.»
Alina si dimena sotto il mio peso. Mi spinge, tira pugni, lancia calci. Con una mano arriva alla mia faccia e la graffia sulla guancia. Ma la lascio andare solo quando sono sicuro che abbia ingoiato.
«Mangialo tutto, o ti obbligherò.» La minaccio riprendendo a camminare.
Sento il sangue scendermi sulla guancia, ma non m'importa. La cosa più importante, ora, è che Alina non si trasformi in un succhiasangue marcio.
I suoi capelli diventano ogni giorno più bianchi: un tempo del tutto corvini, oggi lo sono per metà. La guardo con dolcezza, come si guarda un cucciolo smarrito. È lontana da casa, gettata in un mondo totalmente distante dal suo e tutto per colpa mia.
«Mi dispiace.»
Glielo dico sinceramente, ma il suo sguardo è confuso. Così come adesso lo è la sua mente.
Una fitta allo stomaco la piega in due.
«Alina!» Le corro incontro. «Questo è l'effetto che il cibo, il cibo vero ora fa al tuo corpo. Devi continuare a mangiare o non si abituerà mai.» Raccolgo il pezzo di carne che le è caduto e glielo metto in bocca obbligandola a mangiare. «Devi anche bere dell'acqua fresca.»
Le porgo la borraccia e, con mio grande stupore, la tracanna in un solo fiato.
«Ancora.»
Dice ringhiando e gettandosi sulla carne. Le do tutto quello che è rimasto, la carne cacciata negli scorsi giorni e la frutta raccolta, felice che finalmente sia tornata a mangiare.
Sorrido.
«Questa sera dovrò trovare altro cibo.» E i suoi dolci occhi sembrano tornati pieni di vita.
Ma qualcosa non va.
Mi alzo in piedi.
Gli uccelli hanno smesso di cantare e il vento si è alzato facendo oscillare pericolosamente le fronde degli alberi. Il cappuccio di Alina le si toglie dalla testa mostrando a tutto il mondo i meravigliosi capelli metà neri e metà bianchi. Dalle radici degli alberi di fronte a noi una biancastra nebbia si solleva dal terreno venendo nella nostra direzione.
Siamo finiti in una trappola.
Spaventato prendo Alina per una mano e la tiro nella direzione opposta alla nebbia.
«Corri!» Le urlo.
Lei non se lo fa ripetere una volta di più e mi segue arrancando.
«Cos'è?» Chiede tra un respiro e un altro.
«Nebbia magica.» Provo a spiegarle mentre evito qualche ramo «Se non le fuggiamo rimarremo intrappolati per l'eternità.»
Continuiamo a correre a perdifiato, fianco a fianco, nel tentativo di evitare la nebbia che più velocemente del previsto ha aumentato la sua velocità e ora ha inglobato interamente la foresta dietro di noi.
«Cassian!»
Con voce piena di terrore, Alina invoca il mio nome. Ha gli occhi sgranati perché la nebbia ci sta avvolgendo dai lati.
«Non fermarti.» Le urlo, ma una volta che mi volto nuovamente in avanti, la nebbia è ormai di fronte a noi. Ci fermiamo. «Siamo circondati. Vieni vicino a me.» Il mio è un disperato tentativo di credere ancora in un briciolo di coraggio nascosto nella parte più profonda della mia anima. «Qualsiasi cosa accada, non fare pensieri brutti.» Le spiego poco prima che la nebbia ci inghiotta del tutto.
Ma la nebbia ci avvolge e Alina scompare. Cammino con le braccia tese di fronte a me. Vado avanti gridando il suo nome ma l'unica risposta è il rombo della nebbia tutta intorno, come se avesse vita propria. E di Alina non c'è nessuna traccia.
Mi sembrano passare ore o quasi giorni. Eppure continuo a vagare in questo limbo infinito e bianco. Mi sento di impazzire.
«Non sei all'altezza delle aspettative.»
«Dafne è morta perché non hai saputo proteggerla.»
«Lei ti ha abbandonato esattamente come farà Alina.»
Cento, mille voci vellutate sembrano fluttuare nell'aria intorno a me. Volano indistinte facendomi giungere solo qualche parola dei loro racconti. So che non sono vere, è solo una stupida nebbia, ma hanno un peso. Un peso che mi porto dietro da anni. Un peso che sa di abbandono.
Le voci ridono di me e del mio passato.
So benissimo che è colpa mia. Vivo con questa consapevolezza da tutta la vita. Non avevo certo bisogno di voci per ricordarlo.
Quasi ogni notte, prima di arrivare a Enante e di conoscere Alina, sognavo Dafne che mi voltava le spalle e se ne andava lasciandomi ancora una volta per inseguire un sogno d'amore. Ripenso al suo volto, a come aveva detto che per me ci sarebbe sempre stata.
Sono grande e grosso, eppure, di fronte all'amore per una sorella maggiore, chiunque tornerebbe bambino.
Sto per abbandonarmi alla disperazione, quando penso ad Alina, a quello che le ho fatto. È per colpa mia se si trova in questa situazione. Inoltre, se dovessimo rimanere intrappolati nella nebbia, la mia missione fallirebbe e io vivrei per sempre, qui dentro, con i sensi di colpa a gravarmi sul cuore.
«La devo trovare.» Lo dico a voce alta, ho bisogno di credere di essere ancora cosciente. Se la mia mente dovesse decidere che non vivo più nella realtà, per me sarà la fine.
Le voci continuano imperterrite a seguirmi, ma io non le ascolto più. Cammino fino a quando, dopo quella che pare essere un'eternità, un leggero colore rosso si fa spazio tra la nebbia candida.
«Alina!»
Corro nella sua direzione. Alina è piegata a terra, la testa tenuta ferma tra le mani. Il suo sguardo è ricolmo di dolore, così come il suo volto. So quello che le sta accadendo.
«È la nebbia.» Provo a spiegarle, «Quelle che stai sentendo sono solo voci. Non sono vere.» ma lei non sembra neanche essersi accorta della mia presenza. «Devi combatterle, Alina, non puoi permettere che vincano loro. Se ti lasci dominare non se ne andranno mai.»
È lei che ci tiene qui dentro. È lei che non ci fa uscire dalla nebbia. Ma non posso dirglielo. Ho bisogno che liberi la mente, ma le voci nella sua testa sono più forti della mia.
«Ti prego...»
Sussurro.
Le prendo il volto tra le mani e faccio quello che mi ero ripromesso di non fare più, la bacio. Non è un bacio come gli altri, pieno di lussuria, è un bacio dolce, un bacio che chiede perdono. Delicatamente mi stacco dalle sue labbra e appoggio la mia fronte sulla sua.
«Torna da me, Alina, torna da me.» La supplico.
Le sue braccia cadono penzoloni lungo il corpo esausto. Il volto è disteso, rilassato, ma è come se la sua coscienza fosse lontana da tutto questo. I suoi occhi sono persi nel nulla, privi di qualsiasi tipo di bagliore di vita.
«Non puoi abbandonarmi così, Alina. Devi farci uscire da qui. Mi hai capito? Ho bisogno che reagisci.»
Alina punta gli occhi su di me, ma ho troppo poco tempo per dirle qualcosa che subito una fitta alla testa la fa piegare nuovamente su sé stessa. Dalla sua gola esce un urlo rauco e spaventoso. Vorrei aggrapparmi a lei, tenerla forte tra le braccia. Ma le mie mani scivolano e la nebbia intorno a noi diventa più densa dividendoci di nuovo.
Mi copro il viso travolto da una folata di vento impetuoso. Quando riapro gli occhi di Alina non c'è più alcuna traccia.
«Dannazione, l'ho persa di nuovo!»
Lancio un calcio a una pietra e questa rotola fino a toccare qualcosa per poi fermarsi.
Fiera, dritta, come una vera regina, Alina sfida la nebbia, la spada stretta nella mano.
«Alina...» Sussurro il suo nome, poi lo urlo e corro nella sua direzione. «Alina sei viva!»
Vorrei abbracciarla, ma il suo corpo è come avvolto da un'aurea rossa. Ho già visto questo tipo di magia e il re Demir ne sarà contento.
Il suo volto è serio, quasi arrabbiato. I suoi occhi ardono nuovamente delle fiamme della vita.
«È tempo di finire questa storia.» Dichiara a nessuno in particolare e la nebbia intorno a noi sembra ritirarsi come a seguire il suo ordine.
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